8 domande
prime 4 più riassuntive
cos’è la bellezza per Kant
divisioni arte storica per Hegel
arte autentica per adorno
la fenomenologia nell’arte
heidegger passo da commentare > dio sta nel tempio
gadamer da commentare (da l’attualità del bello)
arte ed esperienza estetica nel dibattito tedesco contemporaneo
Manfred Frank (Seminario ART - se inviamo al responsabile della comunicazione inviamo l’email, lui ci invia le convocazioni dei seminari - seminari di ricerca di estetica; estetica della fotografia - www.art.unito.it - la prossima lezione sarà il 15)
Reading group: si trovano una volta al mese, stanno leggendo un libro sull’immaginario.
Esame scritto domande aperte, commento di testi
6 libri
La disciplina filosofica che ha preso il nome di estetica è recente, il termine estetique viene coniato da Alexander Baumgarten, un filosofo leibniziano nel 1750, come titolo di un suo trattato.
Estetica è l’aspetto della conoscenza che ha a che fare con l’uso dei sensi.
Secondo Baumgarten, l’estetica riguarda la conoscenza dei sensi,
riguarda la conoscenza attraverso i sensi - quindi non solo la
sensazione diretta, ma anche la memoria, l’immaginazione… ed è anche
quella disciplina che riguarda il bello e la bellezza come la
spiegazione della conoscenza sensibile. Per Baumgarten la
bellezza è la perfezione della conoscenza.
Baumgarten lega l’estetica alla logica, due attività
conoscitive di cui la prima è rivolta al sensibile, la seconda al
concettuale.
I termini legati al sentire sono ambigui.
Il sentire può essere sia la sensazione sia il sentimento; l’estetica ha
a che fare con entrambe queste dimensioni. Kant ha sciolto l’ambiguità
parlando di Gefuhl (sensibile, ma anche toccabile) per quanto
riguarda il sentimento ed Empfindung (sensazione) e
Sinnlichkeit (sensibilità). Sinn- in generale
significa sia senso, sia direzione,
sia sensazione. In ogni caso l’estetica si occupa di
entrambe le cose, sensazione e sentimento.
Tra il ’600 e il ’700 si diffonde l’idea per cui l’estetica ha a che
fare con un ambito che non può essere ricondotto alle sensazioni, ma ad
una particolare dimensione dell’esperienza soggettiva, un qualcosa
diciamo di ineffabile.
In Dizionario di Estetica, G. Garchia e P. D’Angelo,
Laterza, all’inizio l’autore parla della possibilità di trattare
l’estetica come una ‘grande teoria’ per cui la bellezza ha a che fare
con l’ordine, la simmetria, l’armonia… Se intendiamo la bellezza in
questi termini sarebbe possibile fornire delle regole per la produzione
della bellezza.
A questa regola dogmatica per cui si cerca di identificare il
quid di che cosa è bello, si passa ad una
analisi delle condizioni per cui l’esperienza diventa bella;
non si possono cioè stabilire criteri oggettivi di ciò che è il
bello, ma si può riflettere sulle condizioni a partire dalle quali
qualcosa che viene esperito può essere giudicato in un certo
modo. Questo a partire da Kant. Il bello perde
la sua universalità ontologica.
Gianni Carchia insiste sul rapporto tra estetica e conoscenza (e dimensione emotiva?)
La seguente articolazione è dovuta a Paolo D’angelo, Tre modi più uno di intendere l’estetica. Estetica come disciplina può essere classificata come:
mem
Quali sono i 4 modi di intendere l’estetica? Può essere intesa
come:
Alexander Baumgarten: Leibniz considera che non ci sia una totale contrapposizione tra idee chiare e distinte ed idee oscure: a partire da ciò Baumgartner considera l’estetica come qualcosa che a che fare con idee chiare e confuse.
Kant: estetica come teoria della forme della sensibilità (I parte della Ragion Pura) - spazio e tempo come condizioni a priori della conoscenza sensibile. Teoria del bello, del giudizio di gusto sul bello. Nella Critica del Giudizio Kant si crede quali sono le condizioni della validità del giudizio di gusto.
Hegel: tratta della bellezza artistica come dell’apparire sensibile dell’idea.
Per Hegel l’arte è un’esperienza conoscitiva, un’“esperienza in cui si fa esperienza” del mondo e di noi stessi.
Dewey - pragmatismo. L’arte come esperienza (1934):
qualsiasi esperienza è un’esperienza a qualche titolo
estetica. L’esperienza estetica ha che fare con un particolare
tipo di esperienza, che è l’esperienza riuscita.
Problema della differenza estetica: c’è veramente
un’esperienza che può essere definita estetica, o si tratta solo di una
differenza di grado? E cosa intendiamo con esperienza? Bisogna capire
quali sono i caratteri specifici dell’esperienza
estetica.
Posizione kantiana: l’estetica ha un campo di esperienza particolare, cioè si rivolge a determinati ambiti dell’esperienza.
omnis determinatio negatio est, come dice Spinoza:)
LUI (Bertinetto) SCRIVE SU UNA WEBZINE DOVE RECENSISCE DISCHI DI MUSICA SPERIMENTALE: KATHODIK
Nel Medioevo abbiamo la divisione delle arti tra trivio e
quadrivio.
La nascita dell’estetica è contemporanea alla nascita dell’arte come
ambito autonomo per così dire. Non si pensava l’arte come una
pratica organizzata da regole.
Nel ’700 si è fatta sempre più posto l’idea che le arti potessero essere ricondotte a un gruppo omogeneo di attività, di pratiche.
Le belli arti ricondotte a un unico principio di Charles Batteaux (1746); in cui le arti vengono suddivise in base ai fini che si propongono:
Questo discorso sul cosiddetto sistema delle belle arti va avanti ancora adesso! Il problema è il seguente: che se il concetto di arte è una acquisizione umana recente, come possiamo parlare di arte del passato, per esempio le pitture rupestri sono arte?
Problema della musealizzazione: la roba presa e messa in un museo, che funzione svolge fuori dal suo contesto?
In questo dibattito sono presenti Gadamer e Dewey. Quando l’opera viene messa in un museo cambia il nostro rapporto con l’opera. C’è una estetizzazione dell’arte, che indebolirebbe in qualche modo la funzione dell’arte.
Insomma, da Kant si forma un concetto unitario di arte che comprende diverse pratiche: dopo Kant, l’estetica diventa esclusivamente filosofia dell’arte; così poi in Schelling, Hegel, e quasi tutta la tradizione otto-novecentesca.
Peter Szondi: Dopo il 1800 ‘estetica’ è il nome di una scienza che non ha più il significato indicato dal suo nome.
Hegel è il protagonista principale della concezione dell’estetica come filosofia dell’arte.
Allgemeine Kunstwissenschaft: Max Dessoir, Emil Utitz.
Nel ’700 e nell’800 si allarga la nozione di bellezza (pluralizzazione dei concetti estetici - il bello viene storicizzato).
Nelle avanguardie la bellezza addirittura il bello
sparisce!
Nel panorama contemporaneo c’è invece un rinnovato interesse per il
concetto del bello.
L’estetica trascendentale è quella che riguarda le condizioni di possibilità dell’esperienza sensibile. Per parlare del bello e dell’arte è preferibile ricorrere a una nozione diversa da quella di estetica.
Libertà è l’unico fatto della ragione, va al di là del principio di causa efficiente, l’uomo è libero nella misura in cui può decidere delle proprie azioni.
L’estetica in filosofia è la critica del giudizio di gusto.
Obiettivo di questa critica è trovare un ponte fra il punto di vista
della Ragion Pura e quello della Ragion Pratica. In
questo testo Kant vuole connette le due sfere, quella della
natura e quella della libertà.
Kant si discosta dal leibniziano Baumgarten e considera la
facoltà di giudicare come la facoltà intermedia tra le facoltà superiori
dell’animo umano.
Obiettivi di Kant:
evitare l’empirismo con le sue conseguenze scettiche
evitare il razionalismo con le sue conseguenze dogmatiche
Critica del Giudizio: di quando è e qual è il suo obiettivo La Critica del Giudizio è del 1790 e ha come obiettivo quello di connettere le sfere della natura e quella della libertà attraverso una facoltà intermedia, quella del giudizio appunto.
Secondo l’empirismo (Hume) la valutazione estetica
dipende dal sentimento provato dal singolo. Il criterio
del gusto è dato dalla comunità degli esperti - si tratta di un
principio relativista in quanto i criteri di giudizio di gusto
derivano completamente dall’esperienza.
Non c’è un bello oggettivo, ma la bellezza
indica una conformità o relazione tra oggetto e
organi.
Il bello coincide con il buono, cioè con l’utile.
L’empirismo ha una posizione relativistica e con esiti scettici
dell’esperienza estetica. Non si può fondare l’esperienza
estetica con un principio che non sia l’esperienza
empirica.
Secondo il dogmatismo (Baumgarten) l’esperienza
estetica è un’esperienza conoscitiva, che si distingue dalla
logica perché se quest’ultima ci presenta idee chiare e
distinte la prima ci indica idee chiare e
confuse.
La bellezza è la perfezione della bellezza
sensibile, al quale dobbiamo riconoscere lo statuto di
principio universale, principio di ordine
conoscitivo.
Per Kant entrambe le posizioni sono errate perché non riescono a trovare termine medio tra regno della natura e della libertà, perché riconducono il giudizio di gusto ad un altro tipo di giudizio.
Kant:
Kant attinge a Edmund Burke, secondo cui il giudizio di gusto pertiene al sentimento (Un’inchiesta filosofica sulle nostre idee di sublime e di bello, 1757).
Altre fonti di Kant:
Kant vuole fondare l’estetica come una sfera autonoma
dell’esperienza, che si basi su leggi autonome che non siano
dipendenti da altri ambiti dell’esperienza, come quello conoscitivo o
quello pratico.
L’estetica ha quindi ha a che fare con una facoltà specifica: il
sentimento di piacere e dispiacere, attraverso cui un essere
umano può fare esperienza della finalità. Nella Critica della Ragion
Pura questa era inconoscibile, nella sfera estetica questa si
realizza in modo diverso dai termini della Ragion Pura.
La bellezza nella Ragion pratica è simbolo della moralità. La facoltà non è inquadrata nella deliberazione tra un mezzo e uno scopo, ma nell’ottica del rapporto tra un singolo e una totalità (Cassirer).
Ad esempio una melodia ha un senso anche se non ha un significato, in virtù della sua organizzazione interna. Questa organizzazione di senso viene chiamata da Kant finalità.
Dobbiamo distinguere tra giudizio determinante e giudizio
riflettente.
La facoltà di conoscere è il giudizio, ma Kant fa una
distinzione molto importante - ci viene in mente subito un certo atto
della conoscenza. Il giudizio può essere articolato in due modi:
Secondo Kant, pensare significa giudicare.
Il giudizio determinante muove da concetti dati, da
forme a priori universali (le categorie), da cui poi vengono
determinati i caratteri degli oggetti dell’esperienza.
Es. Il tavolo è marrone perché abbiamo una certa rappresentazione che
viene sussunta sotto un certo concetto, quello di tavolo.
Abbiamo già l’universale, e inquadriamo gli oggetti
dell’esperienza già dati secondo questi concetti.
Al contrario il giudizio riflettente non determina una caratteristica della cosa rappresentata, ma rivela un sentimento di appagamento che il soggetto prova a partire dall’oggetto.
Kant aveva espunto la finalità dal novero delle categorie aristoteliche, perché la conoscenza è al di là dell’esperienza e non possiamo fare esperienza della finalità. Ma il principio di finalità in questo caso viene ricercato a partire dal particolare.
Il mondo della conoscenza, della natura, è antifinalistico e quindi si applica il giudizio determinante. Il giudizio riflettente mette in moto una riflessione sul particolare in relazione al sentimento che suscita nel soggetto; si percepisce quindi una finalità nell’oggetto.
Questa può essere colta:
Il giudizio teleologico ha uno scopo euristico.
Se nel giudizio estetico si stabilisce un rapporto di concordanza tra soggetto e rappresentazione, nel giudizio teleologico la finalità è pensata concettualmente, ad esempio la qualità di un essere naturale che non pare sufficientemente spiegata da rapporti tra causa ed effetto.
Es. quando riflettiamo che la funzione dell’occhio è la vista (che la sua finalità è vedere)
Il giudizio di per sé è conoscitivo: mettiamo insieme soggetti e
predicati.
Es. “Questa rosa è bella” ha la forma di un giudizio
conoscitivo, ma è un giudizio riflettente in quanto
rispecchia il sentimento di piacere di chi lo afferma.
Intelletto e determinazioni sono in un rapporto “di libero gioco”,
nel rapporto tra soggetto e oggetto bello del giudizio
riflettente.
Il bello si distingue dal piacevole - piacevole è ciò che piace
ai sensi. Es. il piacere dei sensi è un piacere privato che non può
essere condiviso, si può solo provare da soli.
Il piacere estetico della bellezza invece ha a che fare con qualcosa che
può essere condiviso, è richiamato dalla forma dell’oggetto ed è
qualcosa di più universalizzabile.
Il bello è un sentimento.
Il giudizio estetico deve la propria esistenza al libero gioco
delle facoltà di immaginazione e intelletto: una
regolarità senza leggi. Un’armonia tra il
soggetto e la rappresentazione che non è una proprietà
della cosa ma un sentire del soggetto che necessità di
universalizzazione. Ma l’università del gusto è fondata sulla
possibilità di condividere questo sentimento (senso comune).
Oltre al bello, esiste anche un altro tipo di sentimento estetico: il sublime.
Mentre il bello ha a che fare con l’armonia delle concezioni estetiche, il sublime si ha in seguito al riconoscimento di una disarmonia, di un contrasto. Il contrasto è tra immaginazione e ragione.
Il sublime è anch’esso uno stato d’animo, e non una qualità dell’oggetto. Si dà quando facciamo esperienza della piccolezza (sublime matematico) o della impotenza (sublime dinamico) di un essere umano e la potenza di un evento.
“Il piacere per il sublime è perciò soltanto negativo mentre quelle del bello è positivo”.
Il sublime è un sentimento estetico che si ha in seguito al riconoscimento di un contrasto tra immaginazione e ragione, a differenza del bello, che nasce in seguito al riconoscimento di un’armonia.
Kant propone la sua teoria artistica. Riconduce alcune pratiche (non
usa questa parola ma si tratta di questo) come appartenenti alla sfera
estetica.
La tesi di Kant è che le arti sono attività organizzate in base
a regole che richiedono una intenzionale e servono a scopi.
Kant distingue però il concetto dell’arte bella.
La natura potrebbe essere considerata bella quando
si conforma al sentimento di piacere del soggetto, quindi
raggiunge il fine del piacere del soggetto; è bella
quando sembra rilevare qualcosa di ’fatto per quello
scopo’.
L’arte invece secondo Kant è propriamente bella quando sembra
il prodotto di un agire spontaneo, cioè “naturale”.
“L’arte è bella quando sempre natura e la natura è bella quando sembra arte”
La natura dà una regola all’arte; l’arte bella è quella del genio. Il genio non è il soggetto in particolare ma la genialità è una facoltà.
Il genio:
Secondo Kant grazie all’arte non conosciamo il mondo meglio, ma lo possiamo comprendere diversamente, l’arte ci dà la possibilità di estendere la comprensibilità delle cose al di là di quella che è la conoscenza scientifica.
Le tesi di Kant:
Quattro definizioni del bello: quantità, qualità, relazione, modalità
Questa è lezione è evidentemente in freestyle: entro in aula
(ovviamente in ritardo) e mi trovo di fronte un professore diverso da
quello che avevamo prima, alla fine dei suoi trent’anni. Probabilmente è
un dottorando o un post-doc, e sembra la versione boostata di un
professore di liceo. Parla bene ed è anche un bravo oratore - ha una
prosa godibile come quella di un divulgatore ma è un pochino più attento
ai dettagli.
Ora sta facendo un pippone generico del passaggio dall’illuminismo al
romanticismo. Ha le occhiaie da dottorando, è proprio uguale a uno che
ha fatto una lezione così a psicodinamica. RIP si vede che se ne è
studiate.
Con illuminismo, romanticismo e poi il tardo Ottocento e il positivismo - abbiamo questo elemento comune: la fiducia di trovare la verità, fiducia che non si vede mai fino in fondo. L’idea viene prima del reale, se non ci fosse una mente, una razionalità in grado di cogliere le differenze tra i corpi, a cosa servirebbe?
Dal punto di vista idealistico è la mente da cui tutto origina, nel senso che se non ci fosse la mente il mondo sarebbe completamente privo di senso. Il soggetto si auto-fonda in questo modo.
Ma in questo modo di ragionare si prospetta una visione
necessariamente dualistica; il romanticismo diventa il periodo più
attento ai dualismi che strutturano l’esperienza umana: il
dualismo-soggetto oggetto; il dualismo individuo-società che sta
maturando grazie agli sviluppi dell’economia e del senso politico -
questo diventa un nuovo dualismo da superare.
Questo è comunque l’epoca di Kant - Kant prova a superarlo ma non ci
riesce in qualche modo, si prospetta come un percorso infinito. Se c’è
qualcosa che caratterizza la legge morale, è che non potrà mai
realizzarsi fino in fondo.
La coscienza di Kant può essere assimilata a Dio: irrealizzabile, è
inquadrata in una prospettiva di teologia negativa - possiamo dire ciò
che non è.
Da Platone la ragione si carica di significati morali molto profondi - questo stacco si approfondisce ulteriormente in Kant.
Caratteristica almeno del primo romanticismo: si pongono esplicitamente il proposito di superare questi dualismi - immaginando e disegnando una dimensione nuova in cui i dualismi si risolvono in una nuova stabilità (Schlegel: nuova mitologia). La mitologia è un racconto comune che dà un senso a una comunità; l’arte è il grande vettore di questa operazione.
1798-1800 a casa dei due Schlegel si sviluppa il primo romanticismo, il romanticismo storico. Erano tutti più o meno vent’anni, carichi di una nuova speranza.
Ci sarà poi un secondo romanticismo.
Ma si può dire solo che il romanticismo segue l’illuminismo?
1770-1830, c’è in giro un grande, uno che hai ispirato Pareyson. C’è in giro Goethe. Ha un’importanza storica clamorosa, sta venendo rivalutato parecchio. Attraverso la figura di Goethe analizziamo le due stagioni (illuminismo e romanticismo) dal punto di vista della continuità. Possiamo chiamare questa continuità l’età di Goethe.
Fino alla morte Goethe (fine della prima metà dell’Ottocento), ha un
ruolo politico importante in un’università (determina il successo di
Schiller, Schelling).
Parte da una profonda accettazione di un presupposto artistico
dell’Illuminismo, il Neoclassico. Questo incarna alcuni
valori tipi dell’antico e del classico, che si riflettono in una poetica
architettonica e artistica a scopo di architettura morale e
strutturazione urbanistica secondo i presupposti dell’ordine della
simmetria, dell’organizzazione delle parti. Doveva suscitare un effetto
di elevazione, di nobilitazione morale. Il neoclassico contribuisce ad
una risignificazione dell’antichità romana, portandola ad una diffusione
architettonica mai vista nel mondo (Pantheon di Parigi, Capitol di
Washington).
Ma al neoclassico manca, del classico, il
colore. Colore come ora troviamo kitsch. La perdita del
colore la dice lunga sul carattere languido del recupero del classico da
parte del neoclassico - che sottolinea una distanza non già
stilistica, ma del tutto ontologica.
Perché se nel classico il bello non è un’espressione estetica,
ma un risvolto estetico di un ordine ontologico, il classico
del mondo chiuso, il neoclassico impone invece un ordine in un
universo infinito, un ordine che si auto-fonda per la dignità morale, e
molto presto diventa uno stile d’accademia (nel ’7-’800 nascono
prime accademie d’arte). Ma la bella arte è anche fine a se stessa:
impararla ha una propria finalità (Kant su questo). Ma presto diventa
una maniera anche in senso negativo.
E questo fa assumere a Goethe una dura
contrapposizione.
Che rapporto devono assumere i moderni con il modello antico?
Il prof si chiama PAOLO FURIA e insegna a scienze delle comunicazione
Fussli dà importanza alla mitologia (tedesca, norrena). C’è una donna distesa che ha uno gnomo sul ventre, con una sensibilità non neo-classica, quindi Sturm und Drang, forme più espressive della sensibilità moderna.
Il percorso di Goethe è particolare perché lui nello Sturm und Drang matura classicista, ma poi il romanticismo storico arriva: così Goethe arriva a ripensare il senso del bello, il senso del classico, della compiutezza dell’opera d’arte, in un ambiente in cui era prevalente il gusto per l’ironia, del frammento, per l’interessante anziché per il bello (Schlegel).
Goethe convive con la sensibilità romantica - è una figura intellettuale incredibile, ha il gusto per l’integrazione dei saperi. In questo senso è un pensatore anti-individualistico. Dove altri hanno visto un’opposizione tra arte-natura, Goethe trova invece una continuità. La scienza di cui Goethe si occupa non è quella newtoniana di cui si occupa Kant.
Tre domande che corrispondono alle tre critiche di Kant.
La biologia per Kant è nella terza, è una speranza. Goethe non è
d’accordo. Dice per esempio che per sapere la natura di una foglia
bisogna guardare alla sua morfologia, al modo in cui essa si
presenta.
Se nella fisica conta solo il processo che permette il fenomeno, nella
biologia ci sono output un po’ diversi, mai del tutto uguali. Ogni
pianta si spiega alla luce di un certo modo di incarnare un modo di
essere pianta.
Goethe rappresenta una via di uscita per chi si sente soffocare
In alcuni casi l’arte supera la scienza, secondo
Goethe.
Bisogna capire come i processi della natura si traducono in
realtà non tutte uguali tra loro, tutte un pochino diverse tra
loro.
Nel modello dell’organico quello che si ha è un pochino qualcosa in più
di quello che si ha nella fisica, nel modello dell’organico abbiamo cioè
in essere strumenti logici che anche Kant cita ma come indimostrabili.
Goethe vede nell’organico la capacità delle parti che compongono
una realtà di realizzare nelle loro relazioni contestuali e
contemporanee una forma specifica, un’unità di senso assolutamente
semplice; gli elementi di cui è fatta non si compongono come
dei numeri, sono una totalità organica che è più della somma delle
parti.
Questa unità semplice si presenta come un tutt’uno, esattamente come l’individuo - e questa presentazione è un fatto estetico: noi comunichiamo nell’interazione continua delle parti che ci compongono. L’organico è un po’ questo per Goethe: per comprendere una pianta bisogna comprendere:
Quella di Goethe è una filosofia della creatività natura, del suo procedere mai uguale a se stesso.
Goethe, Viaggio in Italia
In quegli anni c’è il Grand Tour eccetera; quando arriva a Roma di fronte ai fori dice: ho avuto sempre davanti agli occhi queste immagini.
Goethe contesta un’arte che si basa sull’imitazione degli antichi.
L’arte bella si raggiunge quando si raggiunge lo stile, quando sotto l’insindacabile autorità del proprio sguardo, si rifà l’opera come si fa la natura. Imitazione degli antichi e della natura va bene, ma bisogna acquisire prima una maniera (II livello di skill) e poi uno stile (stile massimo di skill)
In Goethe lo stile non consiste nella libera espressione dell’interiorità dell’artista, ma nella propria capacità di produrre un’opera d’arte perfetta, compiuta. Lo stile è qualcosa che va al di là del gusto individuale, si parte dai modelli per produrre un punto di vista personale, autonomo.
Molto amico di Goethe, porta la sua attenzione sulla morfologia delle piante a livello di geografia.
1808: La natura si presenta con i suoi quadri Pubblica un’opera intitolata Quadri della natura - la natura si presenta in quadri… c’è un valore pittorico intrinseco della natura.
Parte da basi ancora più filosofiche di Goethe (e meno da scienziato). Come Goethe, attraversa i decenni della rivoluzione francese in Germania.
La decapitazione del Re è la fine di un’epoca, la fine di
un’umanità fondata su un ordine cosmico che si riflette nell’ordine
storico monarchico, è un’umanità che dal punto di vista
politico dice “adesso tocca a noi”.
Uccisione del Re che appariva come un atto quasi esagerato. Ma dopo la
rivoluzione arriva Napoleone con il suo Impero - e Napoleone lo depone.
Impero, Chiesa, università sono i poteri che sono resistiti nella
storia.
Napoleone depone il Sacro Romano Impero.
Schiller vive in un’epoca di scissione, non solo teorica, tra
razionalità (ragione) e sensibilità. Questo divorzio ha
fortissime implicazione, in primis dal punto di vista
dell’organizzazione sociale.
Esigenza di un nuovo ordine a livello sociale. Il tentativo è di dare un
nuovo ordine, un ordine fondato sulla libertà, un ordine scelto, un
ordine voluto. Stesso problema di Rousseau nel Contratto
Sociale.
Schiller mette in un luce a livello antropologico come si generano le due virtù della grazia e della dignità.
La dignità è la posizione del soggetto
morale kantiano; la sensibilità le impedisce di essere libera;
è quella ragione che ci fa dire no di fronte a un bene desiderato.
La dignità è l’eroismo del moderno - in cui per essere eroi non bisogna
combattere con mostri o divinità, ma con la parte di sé che lo
spinge alla corruzione sensibile. Un umano capace di darsi il
centro da sé, e non scisso in tutti i momenti.
La grazia invece è il contributo specifico di
Schiller; è la grazia che trapassa nelle successive lettere sulla
produzione estetica.
La grazia è una certa compenetrazione della ragione nella dimensione
dei sensi. I sensi vengono educati, svezzati, impariamo a
desiderare ciò che è meglio per noi, a temperare gli eccessi del nostro
Sturm und Drang individuale; impariamo a comportarci anche
visibilmente come se la ragione si fosse integrata in noi, nel nostro
corpo, con l’obiettivo di riunificare l’umano.
L’educazione estetica è fine a se stessa; si tratta di organizzare un ordine non contro ma insieme ai sensi. Se la ragione pura kantiana è in sé, è il fine - la razionalità è fine a sé - l’educazione estetica vuole invece scoprire l’ordine nel mondo reale, trasponendo la ragione.
La logica non è quella deterministica, la logica, dice Schiller, è quella del gioco, dove non c’è determinismo ma si crea una comunità che trova il proprio fine nel gioco.
Il gioco è un meccanismo attraverso il quale Schiller immagine di rifondare un ordine sociale in cui le persone scelgono di stare insieme, solo per il fatto di stare insieme, non per la volontà di una volontà trascendente o estrinseca. L’educazione estetica serve per l’umano nuovo, che vuole fondarsi su se stesso, vuole realizzare la sua libertà in un ordine (e non è narcisismo).
Schiller è l’autore del testo dell’Inno alla Gioia - anche su l’utilizzo di questo testo nella musica di Beethoven è tardo. Comunque questo è il segno di come la sua opera fosse mossa da profondi ideali di cambiamento. Ma queste cose, pur avendo un presupposto politico fortissimo, non vengono studiate dalla filosofia politica.
I giovani romantici all’inizio sono molto vicini alla rivoluzione francese (compreso Novalis).
Il deserto e la montagna entrano nelle valutazioni estetiche dei
romantici. La relazione che c’è tra l’immagine della montagna e lo
sguardo del soggetto.
C’è un tentativo di superare il dualismo tra uomo e natura, tipica della
rivoluzione industriale. Questo produce un recupero estetico della
natura, il concetto di natura viene estetizzato e
contemplato.
In questo senso il romanticismo ha un programma critico nei
confronti della industrializzazione - si vuole recuperare il
rapporto tra uomo e natura.
Occorre mobilitare il sentimento per superare questa scissione: L’Enrico di Offleffingen di Novalis.
Uno dei primi romanzi di formazione, un romanzo filosofico con un protagonista che deve fare un viaggio con la sua famiglia, e prima del viaggio fa un sogno: vede la natura come trasfigurata: colori, forme, oggetti sono in comunicazione, lui sogna se stesso che cammina e vede questa natura unita. Lui vede questo fiore, che ha le forme di una giovane donna, che testimonia questa armonia. Il padre lo scuote e gli dice di non dare importanza al sogno.
Questo è il mondo in cui si incomincia a dare peso all’infanzia, non solo come dato di natura, ma come modalità di conoscenza simbolica, estetica, precategoriale, che l’individuo moderno tende a sacrificare in favore di una razionalità.
Lui prosegue il suo viaggio, ma il romanzo non finisce, è incompiuto.
Il romanticismo all’inizio concilia gli obiettivi universalisti dell’Illuminismo con una maggiore considerazione del carattere storico delle persone, dei popoli e dell’arte.
F. Schlegel è noto principalmente per i suoi dialoghi e i suoi lavori di traduzione della poesia greca; prima di Hegel, insiste sul carattere storico dell’arte e del giudizio di gusto.
Studia i modelli della filosofia greca, soprattutto per dire che i moderni non possono rifare le cose degli antichi perché non sono antichi. Questo in opposizione ad un’ottica neoclassica-illuministica.
Diciamo anche che la bellezza non è più l’unico obiettivo
dell’estetica e dell’arte, ci sono diversi stimoli: il brutto,
il comico, il tragico - molti stimoli adatti al soggetto moderno, che ha
perso i riferimenti metafisici dal passato, ma ha vinto la
libertà, e per questo ha bisogno di una nuova mitologica.
C’è una conciliazione tra universalismo e considerazione delle
diversità, che poi diventa il motore fondamentale del
romanticismo politico, il quale non si spiega completamente con
ideali nazionalistici.
Il romanticismo guarda in faccia l’infinito. Al massimo gli può venire a noia, ma non può averne paura. L’infinito nemico da sempre della filosofia occidentale: pensiamo a Giordano Bruno, il primo pensatore dell’infinito, che fa una brutta fine.
Infinito non come non determinato, ma come senza fine, è
oggetto di una ricerca del romantica che vuole superare la condizione in
qui sta ricercandone l’origine in qualcosa che trascende
completamente.
Il finito diventa liberatorio nei confronti delle
indeterminazioni del mondo. Questo aggrava la scarto che c’è
tra la nostra esistenza dell’infinito.
L’infinito si realizza nel finito, dirà Fichte. Perché il progetto romantico porta alla disperazione, è un progetto per il quale non c’è un completamento del percorso, non c’è una chiusura.
Modello rinnovato dell’ironia - modello che era già socratico ma viene valorizzato da una figura come Tieck, che teorizza che se un oggetto non assume una determinazione di senso compiuta, posso porre un senso nella natura prendendone una distanza ironica.
L’infinito è più vicino al sublime che al bello - il bello è più una preoccupazione dei classicisti.
Il fiore blu di Novalis rimane nel sogno, è collegato a una dimensione che è quella medievale, e nel percorso il fiore incarna il punto di contatto tra noi e l’origine, che però è un contatto solo sentimentale, che non può mai trasformarsi in un possesso e non può mai dirsi che in modo simbolico.
Rosa Croce (misticismo)
Le idee di Schelling sono idee tipicamente romantiche. L’arte è manifestazione dell’assoluto.
Come dice Novalis, l’arte è manifestazione
di ciò che non può essere manifestato.
Per i romantici non solo dall’arte scaturisce la verità, ma
l’arte è l’attività più importante di conoscenza della realtà.
Ciò distingue il romanticismo dall’idealismo - per il secondo,
questa non è l’unica, o la forma più adeguata di
conoscenza.
Schelling ha avuto una prima fase in cui difendeva le idee romantiche, poi una fase più idealistica.
Ne Il sistema dell’idealismo trascendentale sostiene che ci
sia un principio unico del reale,
l’incondizionato o assoluto. Questo è
l’identità di soggettività e oggettività, natura e
libertà, idealità e realtà, coscienza e incoscienza.
Il punto è che l’arte è il luogo di manifestazione di Dio e
natura.
Nell’arte Schelling individua la manifestazione del principio, di ciò che non può essere altrimenti manifestato. È tale perché da un lato riproduce l’ordine della natura, dall’altro perché confina con il prodotto della libertà. Si differenzia perché è:
fine a sé
intenzionale
Cos’è l’arte per Schelling? L’arte è l’unica manifestazione possibile dell’unico principio, l’Assoluto o Indifferenziato. L’opera d’arte riunisce le due dimensioni dell’individuo: la natura e la libertà. L’opera d’arte è infatti frutto di un agire libero, in quanto è fine a se stessa; ed è il modello del bello naturale.
Qui Schelling porta Kant su un altro terreno. In ciò l’opera d’arte
riunisce ciò che nell’individuo è diviso: la
natura e la libertà. A differenza di Kant, per
Schelling il bello artistico è il modello del bello
naturale, e non viceversa.
Questo perché l’opera d’arte è frutto di un agire
libero - tuttavia si distingue dall’atto pratico in quando il
primo è fine a se stesso, mentre il secondo si dà in relazione a qualche
obiettivo.
L’arte si distingue anche dalla scienza: se è vero che la scienza è un sapere disinteressato, in essa il genio è assente.
Del genio Schelling ha una concezione che specifica il concetto di genio kantiano. Per Schelling il genio È un’istanza ontologica - la tesi è che il genio abbia tratti insieme consapevoli e inconsapevoli.
L’arte è per il filosofo ciò che vi è di più alto.
Il genio media tra la produzione artistica “inconscia”
(che Schelling chiama poesia) e l’aspetto consapevole dell’arte
(Kunst) in senso stretto. Kunst ha a che fare con
Konnen, cioè un potere, un poter fare. Il genio esprime
l’assoluto grazie a questa mediazione tra le due istanze, a
questa sintesi.
L’arte dunque - in questa fase del pensiero di Schelling - è modello della filosofia, in quanto esibisce il superamento della antitesi tra filosofia della natura e filosofia trascendentale, rendendo oggettiva e comunicabile l’unità indifferenziata di necessità e libertà, superando il piano solo soggettivo e ideale della filosofia, portando l’uomo intero alla conoscenza del sommo vero, mentre la filosofia è soltanto logica.
L’arte porta a manifestazione il principio assoluto della
realtà.
L’immediatezza estetica prevale sulla mediazione filosofica,
concettuale.
L’arte è l’unico vero organo della filosofia - la tesi
finale conclusiva di Schelling giovane, Holderlin, Hegel giovane dicono
tutti insieme che le esigenze rivoluzionarie potevano essere soddisfatte
a livello estetico.
Schelling dà una sorta di articolazione sistematica a queste
formulazioni proponendo un assolutismo estetico
secondo cui l’agire veramente autonomo è quello artistico. E la
filosofia deve confluire nell’arte.
La filosofia può trovare una nuova forma adeguata solo se diventa una nuova mitologia. La filosofia deve trovare un linguaggio capace di cogliere l’identità di natura/spirito, soggetto/oggetto, conscio/inconscio.
Nel Sistema dell’idealismo trascendentale (1800) Schelling sistematizza molte tesi tipiche del romanticismo, in particolare quella secondo cui l’arte è l’unica forma di esperienza capace di cogliere l’Assoluto.
Tesi di Schelling (primo periodo):
Finisce in una posizione idealistica, per cui nell’arte si fa conoscenza della realtà, ma non è la forma di conoscenza in cui si può cogliere l’Assoluto nel modo più adeguato.
Filosofia dell’arte, 1802-1803.
Schelling sostiene che la filosofia è l’autocoscienza della
ragione che coglie immediatamente l’Assoluto, mentre
l’arte la coglie solo nella misura in cui le si offrono nella
rappresentazione reale e concreta delle idee.
La mitologia è la condizione necessaria di ogni arte.
L’arte, come rappresentazione dell’infinito nel finito,
non riesce a portare a completa espressione l’Assoluto
nella sua forma più adeguata, ma solo nella forma finita.
Il principio dell’arte in quanto mitologia è il simbolo, che una sintesi tra:
Il linguaggio è ironico perché non può provare a esprimere l’Assoluto
se non con parole, che sono concrete.
Nel simbolo, universale e particolare sono la stessa
cosa.
La compenetrazione simbolica del finito e all’infinito è
riuscita solo al mondo greco. Il cristianesimo produce invece
una spaccatura tra finito e infinito, e il principio dell’arte in questo
senso può essere solo l’allegoria. C’è questo pensiero per cui l’arte
greca è caratterizzata da un’armonia che ha le caratteristiche della
natura, mentre il mondo “cristiano” contemporaneo è caratterizzato dalla
storia e dal divenire, quindi da una spaccatura - che si esprime con
caratteristiche quali il sublime. Simbolo antico vs
allegoria del mondo contemporaneo.
Queste differenziazioni però assumono una minore rilevanza in riferimento all’unità temporale dell’Assoluto che viene colta dalla filosofia.
Quindi, se nel Sistema dell’idealismo trascendentale l’arte riesce a cogliere concretamente ciò che la filosofia può cogliere solo concettualmente, nella seconda fase del suo pensiero il primato spetta alla filosofia, in quanto l’arte è capace di cogliere i propri oggetti solo in forma simbolica, è in questo è inferiore alla filosofia, intesa come auto-consapevolezza della ragione che porta l’Assoluto alla propria rappresentazione concettuale immediata.
Questa concezione per cui arte e filosofia sono due forme diverse, una più adeguata dell’altra, si esprime anche nella distinzione che Schelling fa - come molti suoi contemporanei - del sistema delle arti.
Molti filosofi hanno proposto di articolare in modi diversi le diverse pratiche artistiche. Schelling basa la distinzione tra le diverse arti sulla sua concezione per cui l’Assoluto può manifestarsi:
Allora la poesia, le arti della parola saranno la manifestazione
dell’Assoluto da parte dell’arte in senso ideale - in quanto
lavorano con il linguaggio; la forma plastica e la musica ha invece
hanno a che fare con una dimensione reale.
In questa scansione la musica dunque sta insieme alle arti
figurative.
Il punto è che l’Assoluto è l’essenza della materia,
e quindi ogni arte è o plastica o figurativa. La
figuratività interessa tutti i generi artistici.
La forma d’arte in cui l’unità del reale diventa puramente come tale
potenza, simbolo, è la musica. [Filosofia dell’arte]
La tragedia assume un ruolo nell’idea che occorra un nuovo epos capace di sintetizzare le caratteristiche proprie dell’antichità (capacità di cogliere l’Assoluto nella rappresentazione) e il carattere allegorico dell’arte moderna. Schiller aveva detto anche lui che bisognava inventare una nuova forma d’arte capace di sintetizzare bello e sublime.
È centrale per molti autori di questo periodo l’idea di cercare di superare il contrasto tra il tratto estetico dell’antichità e quello della contemporaneità. L’estetica quindi in questo periodo comporta anche una filosofia della storia.
Schiller nel 1795 scrive Lettere sulla poesia ingenua e
sentimentale, in cui sostiene che l’ingenuità è il carattere
artistico del mondo greco, un’espressione quasi naturale
dell’armonia in cui predomina la natura dell’espressione; il
sentimentale è invece quel tipo di poesia - legata all’espressione di un
sentimento - che concerne il riconoscimento dell’ingenuo rispetto al
carattere estetico del contemporaneo. Dice Schiller, il poeta o
è l’ingenuo, o lo sente, e se lo sente questo è il segno della
sua alterità rispetto a una realtà estetica ormai perduta.
Schiller sostiene anche lui che bisogna trovare una forma estetica
capace di coniugare ingenuo e sentimentale.
Questo punto viene ripreso da Schelling in questa proposta di sintesi tra antico e moderno.
Tesi di Schelling (secondo periodo):
Importanza della filosofia della storia per la filosofia dell’arte:
dimensione fondamentale della filosofia di Hegel.
In Hegel la filosofia dell’arte è da intendersi come una
filosofia della storia dell’arte.
Hegel sostiene infatti l’identità tra razionalità e realtà storica - la ragione per Hegel prende consapevolezza di sé attraverso la storia, c’è un legame sostanziale tra storicità e razionalità il quale si manifesta anche a livello artistico.
Hegel fa delle Lezioni di Estetica, e gli appunti sono stati
messi insieme per ricostruire il suo pensiero estetico.
Ma ne parla anche in delle parti dell’Enciclopedia e della
Fenomenologia dello Spirito.
Per Hegel la realtà non è manifestazione dell’Assoluto, ma l’Assoluto si articola processualmente nella storia in maniera dialettica.
L’arte è la prima espressione dello Spirito Assoluto
all’interno dell’Enciclopedia. Arte, religione e
filosofia sono i 3 momenti dello Spirito Assoluto - la presa di
coscienza da parte dello Spirito di se stesso, e della razionalità della
realtà.
L’arte ha una fortissima dimensione conoscitiva.
Diversamente dal Romanticismo, tuttavia, l’arte non è l’unica
manifestazione possibile dell’Assoluto, ci sono appunto altre
due forme dell’assoluto:
Per quanto riguarda l’arte, c’è una differenza tra quanto Hegel sostiene nella Fenomenologia dello spirito (1807) e ciò che sostiene nell’Enciclopedia (1817).
Distinzione tra
Nell’Enciclopedia invece è trattata come una forma specifica dello Spirito Assoluto, separata e dalla religione e dalla filosofia.
L’arte è in Hegel una manifestazione soltanto sensibile dell’idea - e ciò è causa sia della sua dinamicità interna/storica, sia del suo dissolvimento, cioè il carattere di passato dell’arte (o fine dell’arte in altri ambiti artistici): l’arte, poiché porta a manifestazione l’Assoluto, ma in un mezzo non adeguato, ha in sé sia il motore del proprio sviluppo, sia la causa del proprio venir meno. Nell’arte si espleta nonostante ciò tutta la vita dello spirito.
La bellezza è una particolare forma di manifestazione della
verità soltanto in quando è prodotta dall’uomo.
Il bello naturale non ha per Hegel alcun valore
estetico. Il bello naturale non ha operato la negazione
della materialità che può portare un contenuto a chiarezza e
determinazione.
La materia per essere bella deve essere spirito realizzato. La creazione artistica è una lavorazione della materia, è la messa a disposizione di un contenuto materiale per un contenuto spirituale (il contenuto del significato). La negazione della naturalità è necessaria perché si estrinsechi l’idea assoluta della forma dell’intuizione sensibile. Nell’arte c’è un procedimento di significazione in atto. L’arte riesce a portare a compimento un contenuto spirituale, ossia un significato.
Per Hegel un’estetica ha senso solo in quanto filosofia dell’arte. Già solo la considerazione della bellezza naturale comporta uno sguardo sulla natura che è uno sguardo di tipo culturale, cioè uno sguardo che costruisce il senso per la natura.
L’arte è dunque una manifestazione sensibile dell’idea,
sensibilizzazione dello spirito e spiritualizzazione del
sensibile.
Per Hegel l’arte è espressione della razionalità, non
nel suo elemento più adeguato, quello del concetto, ma in quello della
materialità/sensibilità.
La bellezza artistica è la bellezza generata e rigenerata dallo spirito. Nell’arte l’uomo rappresenta se stesso, liberandosi del sensibile, che si spiritualizza. Ogni arte esprime una precisa spiritualità. Non c’è imitazione della natura nell’arte. L’idealizzazione del sensibile mira ad una espressione storica.
La pittura olandese del ’600 è un esempio perspicuo:
non si tratta di raddoppiare la realtà, ma l’obiettivo
è farci cogliere con una raffigurazione il carattere specifico
di un popolo. In altre parole, la cultura, cioè la vita dello
Spirito.
L’arte, nonostante il loro insignificante contenuto, li fissa per
sé, ne fa dei fini, e indirizza il nostro interesse a ciò di cui
altrimenti non ci cureremmo.
La poesia, utilizzando il linguaggio, va verso la filosofia, in quanto si serve del linguaggio.
Distinzione della religione nella Fenomenologia dello Spirito:
Forme dell’Assoluto nell’Enciclopedia:
L’estetica di Hegel è una filosofia dell’arte.
L’arte manifesta l’adeguatezza della realizzazione storica allo spirito del tempo.
L’arte è manifestazione sensibile dell’idea , cioè una particolare modalità di conoscenza dello spirito, cioè della cultura, di ciò che è l’uomo e il suo mondo**.
L’arte quindi offre una possibilità
conoscitiva,
ma se per il romanticismo l’arte offre la conoscenza più
alta, per l’idealismo l’arte è una
forma di conoscenza tra altre.
Per Hegel l’arte non è imitazione, ma
spiritualizzazione** della natura.
Sarebbe un raddoppiamento; si tratta di negare la natura per
spiritualizzarla; anche le forme artistiche che sembrano essere
più imitative - come la pittura olandese del ’600, il loro vero
significato non è solo rappresentare un oggetto “com’è” ma rappresentare
una comprensione del mondo attraverso l’immagine. C’è una
Lebensform, una forma di vita.
La ragione si articola nella storia
Per Hegel la storia e la ragione non sono indipendenti;
la ragione articola se stessa attraverso la storia -
questo vale anche per l’estetica.
L’arte è negazione dell’immediatezza
naturale
Ma se l’arte oscilla tra la pura materialità e la vera spiritualità - la
parvenza dell’arte non è l’immediatezza naturale ma
una negazione dell’immediatezza naturale.
Il modo in cui l’arte si rende manifestazione nel sensibile dell’idea ha una diversa articolazione nelle diverse epoche storiche. Il concetto dell’arte come sublimazione sensibile dell’idea assume significato rispetto ad una realtà esistente, è cioè incorpora una serie di rappresentazioni dello spirito.
Grado estetico: le diverse forme d’arte si distinguono per il loro diverso grado di realizzazione. Quanto è adeguata l’opera allo spirito del tempo (Zeitgeist)?
Questa articolazione delle forme artistiche dipende
dal rapporto che di volta in volta si configura tra la forma e il
contenuto dell’arte, rapporto che corrisponde alla
trasformazione del gusto attraverso la successione
storica dei diversi materiali artistici e modalità di
rappresentazione.
L’estetica di Hegel è cioè una filosofia della storia dell’arte.
Nell’Enciclopedia Le forme dell’arte che si danno nella storia sono 3:
A questo sviluppo sistematico di carattere storico che Hegel utilizza, Hegel dedica quasi un terzo delle lezioni di estetica ad un’altra parte connessa a questa - una parte in cui caratterizza le diverse pratiche artistiche.
Architettura, scrittura, pittura e poesia. Produce un sistema delle belle arti che non è soltanto logica ma anche storica: le diverse pratiche artistiche corrispondono anche alle diverse forme storiche dell’arte:
C’è una sproporzione forma-contenuto, con la materia che è preponderante. La materialità prevede sulla forma; è l’arte mostruosa, del geroglifico, con forme sproporzionate; è l’arte del sublime. Qui simbolo è nell’accezione di integrazione reciproca di forma e contenuto.
Ma secondo il modo in cui Hegel utilizza questo concetto c’è una
sproporzione di forma e contenuto - quest’ultimo
non è articolato in maniera sufficiente perché la materialità è
esuberante L’arte simbolica fa del simbolo inteso come rapporto
di sproporzione tra forma e contenuto la sua dimensione precipua. Qui si
trova la civiltà araba-ebraica e altre - c’è una
razionalità non propriamente spiegata, in cui quindi lo
spirito non è totalmente dispiegato.
Per Hegel lo Spirito si muove sempre da Oriente a Occidente.
Il simbolo è diverso dal segno: il segno ha a che
fare con una adeguazione convenzionale tra contenuto e forma - il
simbolo invece è in qualche modo un dato quasi naturale. Il
simbolo ha a che fare con una disparità, una
rappresentazione troppo grande o troppo ponte per essere accolte nelle
nostre facoltà sensibili.
In questa fase il simbolo lotta per uscire dalla dimensione
sensibile.
Questo tipo di arte è prima dell’arte (vor-Kunst) - il contenuto non trova espressione adeguata nell’arte. Hegel qui pensa ai templi e alle piramidi, in cui il contenuto (Dio) è presente solo inizialmente e vagamente nella forma.
L’architettura mantiene delle caratteristiche proprie dell’arte simbolica. È quella pratica artistica che meglio presenta questa disparità tra manifestazione sensibile e contenuto, che è poco articolato.
Hegel riprende dal suo tempo l’idea che ci sia una differenza qualitativa tra la sensibilità estetica del suo tempo e la sensibilità estetica del passato. Il classicismo di Winkelmann, i romantici, e Schiller, sostengono cioè che ci sia una distinzione tra arte greca e arte moderna, individuando nell’arte greca la manifestazione di una armonia estetica (bellezza), mentre l’arte moderna è caratterizzata dalla disarmonia, della scissione (epoca della Rivoluzione Francese) - e qui si inserisce tutto il dibattito tra nuovo e antico, antichi e moderni. Schiller utopicamente ipotizza che possa esistere una dimensione estetica che sia una sintesi tra le due dimensioni.
Hegel mette in questione il carattere irenistico dell’arte greca… Nietzsche sulla scorta di Holderlin sosterrà che l’arte greca non esprime solo una dimensione irenica, ma sia in qualche modo caratterizzata dal dionisiaco un principio oscuro, dinamico, inconsapevole.
L’arte classica non è quindi secondo Hegel la prima dimensione dell’arte, ma è l’epoca in cui l’arte sembra raggiungere il suo massimo apice, offrendo la forma artistica per eccellenza.
Lo spirito giunge alla sua più adeguata comprensione nell’era della grecità classica - in questo periodo non è tanto la filosofia a essere espressione dell’Assoluto, ma piuttosto l’arte. La manifestazione sensibile dell’idea si colloca quindi in un preciso contesto storico-culturale: la polis greca. Qui l’arte realizza il proprio concetto come manifestazione sensibile dello Spirito.
In particolare ciò avviene nella rappresentazione artistica della divinità, il Dio viene cioè rappresentato attraverso una figura umana. In questo senso la scultura è la pratica artistica che corrisponde in maniera più esemplare all’epoca dell’arte greca.
C’è un distacco dalla corporeità naturale, la quale
diventa mezzo di manifestazione di un contenuto
spirituale, che non rimane imbrigliato in una rappresentazione
sensibile come avveniva invece per l’arte simbolica. Centrale ovviamente
l’elemento antropologico - l’organismo (“l’esterno”) porta a
rappresentazione l’intero, cioè l’anima. La forma quindi che
porta a più completo compimento la rappresentazione è l’organismo
umano.
Il contenuto etico viene così a espressione nella libera individualità
attraverso la rappresentazione della figura umana nella
scultura.
Perché però poi c’è stato uno sviluppo ulteriore? Perché l’arte non si è fermata qui? La tesi di Hegel è che l’equilibrio tra forma e contenuto è molto instabile, ed è dato dalla natura sensibile dell’arte, come manifestazione sensibile di un’idea e quindi per definizione “contingente”. L’arte classica non è quindi la meta ma è il momento di un processo che ha in sé le ragioni del proprio svolgimento spirituale.
Nella mitologia greca in particolare, che offre la materia per le diverse pratiche artistiche, il contenuto divino viene particolarizzato nelle diverse figure degli dei, in qualche modo tutte contrapposte all’ananke. Si ripropone così una disarmonia tra forma e contenuto che rompe l’equilibrio “apollineo”, in termini nietzschiani che sembrava dare stabilità all’arte classica.
Esteriorità accidentale della scultura: è costretta a impegnarsi nella raffigurazione di caratteristiche e tratti che sono esteriori per i diversi dei, in qualche modo sono delle particolarità esteriori naturali e quindi accidentali.
La crisi dell’arte classica è nella tragedia, dove troviamo una contraddizione insolubile tra la situazione storica del singolo (diverse modalità dell’adesione dei singoli a istante etiche in conflitto che li rende incomponibili tra loro).
Nell’Antigone c’è un conflitto tra istanza politica e istanza familiare, questo è l’esempio dello stesso conflitto che causa la crisi della forma d’arte classica - uno scambio di diverse parti della sostanza universale che non può trovare conciliazione.
Questo porta in qualche modo a mettere il destino e la libertà dell’individuo in lotta tra di loro; c’è una inconciliabilità dei principi messa in luce dalla tragedia. Nella tragedia viene fatto emergere un conflitto dello Spirito con se stesso, una inconciliabilità. Ma in termini dialettici c’è un progresso anche in questa distruzione.
Nella commedia di Aristofane la realtà si presenta nella sua accidentalità e casualità. Attraverso la manifestazione della accidentalità della realtà presentata dalla commedia, per contrasto può emergere la verità dell’idea spirituale, ormai diventata estranea alla forma artistica. Se nella scrittura abbiamo i caratteri esteriori di ogni Dio, nella tragedia emerge il conflitto insanabile; nella commedia la dissoluzione dell’arte classica si compie in quanto la realtà si manifesta come pura accidentalità - può apparire la verità dell’idea spirituale come estranea alla rappresentazione artistica.
Nell’arte cristiana si rivendica che il contenuto spirituale sia
lavorato, in un alto livello di consapevolezza, e
la forma artistica non può portare questo contenuto a una
rappresentazione compiuta.
Lo spirituale riconosce in sé la propria oggettività e la sua
espressione sensibile, adeguatamente mostrata come insufficiente
ad esibire del contenuto spirituale - l’espansione del
contenuto comporta l’inadeguatezza dell’espressione sensibile.
Nell’arte simbolica si dava invece un’estensione della realtà sensibile
che entrava in contrasto con l’inadeguatezza del contenuto.
Il contenuto spirituale dell’arte romantica afferma l’unicità
di Dio così distruggendo il politeismo tipico della società
greca. Affrontando il passaggio dall’arte greca a quella cristiana c’è
un passaggio dall’accidentalità dei diversi dei in balia del destino,
alla distruzione del politeismo per mano dell’unico Dio.
La materia perde la dimensione della naturalità, e
quindi in questo periodo emergono quei caratteri che i romantici
considerano determinanti per la sensibilità estetica moderna:
caratteristico, interessante, ecc. Tutti aspetti che esibiscono
l’accidentalità esteriore della materia, ma con un
contenuto spirituale che si presenta come già autocosciente. Il
divino diventa regola dell’arte auto-consapevole.
La rappresentazione dell’unico soggetto, il divino, perde carattere antropomorfico. La bellezza non si realizza nella forma esterna (come nella statua del Dio greco) ma nella pienezza dell’interiorità. In questo senso l’arte romantica è un’arte della sensibilità.
Attraverso l’umano si manifesta l’inferiorità rispetto al
divino. Esperienza e natura sono spiritualizzati attraverso il
filtro della soggettività.
La materia viene sempre più spiritualizzata, si manifesta nel suo
carattere accessorio: ciò che conta è la dimensione interiore. L’artista
acquisisce così una illimitata libertà rispetto ai contenuti, che non
dipendono più da un vincolo forte a contenuti dettati in qualche modo
dalla determinazione culturale, ma l’artista è libero di
scegliere le proprie forme espressive.
L’arte perde progressivamente il legame con la
materialità facendosi sempre più espressione
dell’interiorità.
Non si tratta più di manifestare un contenuto su una forma, ma di
portare espressione dell’interiorità (e così viene meno
l’interiorità).
Nella poesia l’arte va verso la filosofia, verso le altre forme dello spirito. Ma essendo la filosofia la pratica artistica in cui l’arte sta andando verso altre forme, la poesia non raggiunge solo il suo apice in una forma artistica particolare, ma in tutte le forme artistiche. La poesia può esprimere qualunque contenuto.
Hegel ha in realtà passato di carattere di passato
dell’arte, cioè l’idea che l’arte sia una pratica culturale che
esprime una forma di vita legata al passato, Ende der
Kunst (fine dell’arte) - solo in Italia è nota con questo
nome.
Questa tra l’altro è una tesi che Croce, Gentile, Dino Formaggio (!),
hanno rielaborato il concetto in modo originale. È un pensiero con una
storia interessante.
Interpretazione più plausibile: l’epoca di Hegel è troppo complessa
per essere articolata, portata a comprensione attraverso l’arte. L’epoca
contemporanea a Hegel è quella in cui si parla esteticamente, in cui si
inizia a parlare scientificamente di arte.
L’epoca in cui viene fondata l’estetica segna il momento in cui
l’arte stessa non è in grado di soddisfare i bisogni
spirituali/culturali del presente - funzione che svolgeva nella
polis greca.
La funzione che questa svolgeva nella vita sociale della polis
al tempo di Hegel spetta invece alla filosofia. Questa è una tesi
anti-romantica, contraria all’idea romantica della costruzione di una
nuova mitologia. Non possiamo nostalgicamente ritornare, come avevano
fatto i Nazareni, a un’arte religiosa di ispirazione medievale.
L’arte ha carattere di passato rispetto allo stato attuale dello Spirito. Questo è importante perché quando l’arte diventa oggetto di contemplazione estetica, cioè entra nei musei o nella sala da concerto e viene fruita in maniera estetica, perde la capacità di essere una guida affidabile e plausibile. L’arte non ha più solo una funzione conoscitiva, perde la possibilità di farci comprendere la verità, ma si riduce a una rappresentazione esteriore.
L’arte non è più adeguata a portare a compimento le specificità culturali di una determinata epoca storica.
Alcuni hanno interpretato la fine dell’arte come
fine dell’arte rappresentazionale, fine di arte con
contenuti predeterminati, un’arte più libera, insomma.
Altri hanno sostenuto l’idea che la fine dell’arte sia la fine della storia dell’arte intesa in un senso progressivo, cioè come un progresso nella narrazione che accompagna le ricostruzioni nell’ambito della storia dell’arte.
Gentile interpreta Hegel partendo da una concezione più legata
alla concettualità fichtiana.
Giovanni Gentile ha sostenuto in merito alla morte dell’arte che l’arte
in senso proprio sia la dimensione soggettiva dell’esperienza umana,
un’esperienza trascendentale del sentire. La prima dimensione soggettiva
dell’esperienza conoscitiva che in qualche modo muore come
principio trascendentale ogni volta che si realizzano i singoli
prodotti.
La morte dell’arte sarebbe un processo continuo. Nel momento in cui il principio trascendentale si concretizza nei suoi prodotti artistici non muore mai perché in realtà continua a operare nei suoi diversi prodotti.
Ernst Bloch, della Scuola di Francoforte, autore de Il principio Speranza, lo spirito e l’utopia: all’arte viene assegnato il compito di presentare la dimensione del non-ancora, cioè un’istanza di significato che non ha una immediata realizzazione del presente, ma apre le possibilità di un futuro.
Rosenkranz, un allievo di Hegel, scrive la filosofia del brutto.
Forme storiche dell’arte:
Morte dell’arte:
Oggi parliamo di Schopenauer, Kierkegaard, Nietzsche, autori a vario titolo irrazionalisti. Tre posizioni filosofiche che hanno avuto importanza nel ’900.
È l’autore de Il Mondo come Volontà e rappresentazione. Riprende la filosofia platonica, di Fichte, e accoglie suggestioni della filosofia orientale.
Secondo la sua concezione metafisica, il mondo del fenomeno è apparenza, una realtà soltanto ingannevole. Schopenauer usa l’espressione velo di Maya riprendendola dalle Upanishad, per descrivere la vera realtà del mondo, che Schopenauer identifica con la cosa in sé di Kant, che identifica con la volontà.
Il principio metafisico del mondo come fenomeno è la
volontà.
Al soggetto che conosce il proprio mondo la realtà appare come
fenomeno tra i fenomeni.
La volontà individuale è presente nella natura e nella
gestualità dell’individuo, tanto per i gesti volontari quanto
per quelli involontari - e questa volontà individuale che
appare nella gestualità corporea degli individui - è il momento
in cui si manifesta la volontà in quanto principio ontologico
della realtà.
In primo luogo la conoscenza è uno strumento della volontà, che la sfrutta ai fini della propria auto-conservazione - e il tutto della natura (cose, animali, umani) è auto-oggettivazione della volontà. Il principio metafisico che appare è la volontà:
Le idee sono oggettivazioni adeguate della volontà. Queste sono le leggi originarie della natura. I fenomeni sono oggettivazioni temporali di queste leggi (oggettivazioni di secondo livello).
Compito della filosofia è insegnare una liberazione dal dolore e dalla noia. L’esperienza dell’arte è uno strumento utile a questo scopo.
La conoscenza offerta dall’arte è:
La conoscenza offerta dall’arte è cioè al di là del principio
di causa effetto e della concatenazione temporale dei
fenomeni.
L’esperienza estetica è invece un rapimento capace di
farci andare al di là dei fenomeni, al di là del velo
di Maya; ci porta direttamente alle forme atemporali delle cose che sono
le idee.
Genio: se per Kant non è un individuo ma una
facoltà, per Schopenauer è un individuo capace di annullare le
proprie caratteristiche di individuo fenomenico capace di diventare
occhio del mondo cioè capace di andare oltre i
fenomeni. È inoltre capace di comunicare agli altri la
sua contemplazione delle idee, che egli raggiunge in maniera
intuitiva.
Il genio è innanzitutto l’artista, ma la genialità
viene posseduta dai fruitori dell’arte, in quanto anche
i fruitori devono possedere la capacità di riconoscere nell’arte le
forme ideali. Genialità è dunque posseduta dall’artista e dai fruitori
per attingere alle pure forme ideali.
La bellezza consiste nella capacità di individuare idee nelle forme. Il sublime ha invece a che fare con l’ostilità manifestata dagli oggetti contemplati che minacciano la realtà umana. Riprende la distinzione tra sublime dinamico e sublime matematico.
Schopenauer propone anche lui un suo sistema delle belle arti, che riprende quello di Hegel con alcune modifiche, e manca l’articolazione storica - c’è una articolazione legata alle caratteristiche specifiche delle diverse pratiche artistiche. È così strutturato:
La liberazione che ci dà l’arte dura per il tempo dell’esperienza estetica - la liberazione vera e durevole si dà solo nell’ascetismo.
Sistema delle belle arti:
Per Kierkegaard l’estetica è una sorta di atteggiamento di vita, una forma di vita.
In Aut Aut e in altri scritti come Timore e tremore (1843) Kierkegaard individua tre tipologie di esistenza:
Caratterizzata dall’abbandono alla dimensione puntuale e istantanea di ogni esperienza - l’esistenza di colui che cerca il piacere in ogni aspetto della vita. Don Giovanni. Il Don Giovanni di Mozart mostra le contraddizioni della vita estetica. L’esteta vivendo in molti momenti di godimento puntuale disperde la sua personalità, non c’è nessuna assunzione di responsabilità. Le donne sedotte da Don Giovanni in Spagna son già 1003. La sua è una vita non etica: non è una vita peccaminosa, ma è il demoniaco nell’esperienza estetica, che precede ogni giudizio morale, cioè è al di là di ogni giudizio morale. Il desiderio di Don Giovanni può essere detto un desiderio innocente.
Non si abbandona alla ricerca di piacere, ma è fondata sulla
scelta. Se l’esteta sceglie di non scegliere - vuole tutto, e
quindi non otterrà nulla - l’uomo etico vede compiti di cui
prendersi la responsabilità.
Questa figura si incarna nelle figure del marito e il
funzionario. Il funzionario è contrapposto all’artista.
È caratterizzata dalla mediatezza.
Qui si abbandona la responsabilità tipica della vita etica e
si obbedisce a Dio, in una maniera che oltrepassa completamente la
razionalità.
L’esempio è Abramo che quasi uccide suo figlio per obbedire a Dio. Qui
c’è il rapporto dell’essere umano che si mette in rapporto
assoluto con l’assoluto.
Questo tipo di esperienza ha in comune con la vita estetica l’immediatezza, là dove la vita etica è fondata sulla mediatezza. Il religioso è colui che abbandona ogni considerazione razionale per affidarsi a Dio in tutto.
L’esteta e il religioso hanno in comune una mancata considerazione dell’altro - l’esteta usa l’altro per la soddisfazione del proprio desiderio; il religioso pur di obbedire a Dio è disposto anche a cancellare l’esistenza altrui. In questo senso sono entrambe posizioni irrazionali.
L’inganno di Don Giovanni è un inganno inconsapevole, gli manca la potenza della parola - diverso dal Faust di Goethe che usa la parola come menzogna.
La musica è il medium in cui viene presentato al meglio questo stadio estetico, in quanto è uno stato di immediato erotismo, una materia subito musicale. La musica ha un rapporto diretto con la vita affettiva, che ha una dimensione seducente.
Ci sono anche altre figure dello stadio estetico:
Il testo con cui Nietzsche si fa conoscere è La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1871).
Nietzsche in questo testo interpreta la grecità in modo nuovo, riprendendo le tesi già sostenute da Holderlin, che aveva sostenuto l’esistenza non di un solo principio organico, ma anche di un principio energetico non controllabile dalla ragione, un principio a-logico.
Nietzsche riprende questi temi nella distinzione tra apollineo e dionisiaco. Il dionisiaco esprime la componente irrazionale, dolorosa, oscura, del riconoscimento del tutto. Apollineo è la componente estetica dell’ordine e della bellezza che si manifesta nello stato del sogno.
Il mondo greco secondo Nietzsche riesce ad essere una congiunzione di apollineo e dionisiaco.
Nietzsche riprende da Schopenauer l’interesse per la musica - se per Schopenauer la musica poteva rappresentare la dinamica della vita emotiva, Nietzsche vuole sottolineare il potere di suscitare emozioni nello spettatore. Nel teatro greco le due dimensioni si uniscono e producono l’opera d’arte altrettanto apollinea che dionisiaca della tragedia attica.
Il linguaggio stesso secondo Nietzsche è una costruzione di carattere artistico, cioè una menzogna, una finzione - le verità che vengono considerate tali sono in realtà delle finzioni, delle costruzioni.
Il linguaggio ha un carattere creativo.
Il senso extramorale di cui si può parlare di Verità e menzogna è il senso estetico.
Gli artisti di tutti i tempi hanno portato a celeste trasfigurazione
proprio le credenze che noi oggi riconosceremmo come false.
Gli artisti hanno dato una bella forma a cose false.
Nella Gaia Scienza Nietzsche esprime gratitudine verso l’arte. L’arte ci rende sopportabile ciò che la scienza ci fa riconoscere come falso (cioè le idee che avevamo in passato).
La dimensione estetica è anche quella che ci fa capire che la stessa distinzione tra verità e apparenza non può essere ritenuta solida - qualunque costruzione linguistica è una costruzione, un modo di interpretare il mondo che è di per sé falso. Tuttavia dobbiamo essere grati all’arte in quanto essa è capace di mettere in primo piano la possibilità di vivere la vita in maniera gioiosa nonostante la falsità e il dolore.
L’arte è ciò che ci rende capaci di dire sì alla vita.
C’è un forte riconoscimento del potere dell’arte di farci vivere in
maniera soddisfacente.
C’è quindi un retaggio schopenaueriano che però Nietzsche declina in
senso energetico-vitalistico.
La menzogna ne la volontà di potenza è intesa come facoltà artistica dell’essere umano.
Gregorio Tenti è un ricercatore che studia a Barcellona su Schleiermacher.
Schleiermacher è il padre dell’ermeneutica filosofica moderna.
Ermeneutica: ambito delle tecniche di interpretazione dei testi. Interpretazione di oggetti culturali che possono essere interpretati. Tradizionalmente riguarda testi scritti/testi antichi. L’ermeneutica filosofica è la generalizzazione sul piano filosofico di questo insieme di pratiche di interpretazione testuale.
Per tutto il ’600 e il ’700 i testi più importanti del sapere umano
erano la Bibbia, Platone, Aristotele.
Tra la fine del ’700 e l’inizio del ’800 alcuni pensatori per la prima
volta hanno pensato che il modo in cui la cultura viene trasmessa è in
rapporto con il contenuto del sapere, con il modo con cui gli
uomini pensano.
Per gli antichi prevaleva l’attenzione per le tecniche di
interpretazione. Il problema dirimente è anzitutto il significato del
testo - i testi dell’ermeneutica sono molto complessi - un esempio sono
le sacre Scritture.
Come interpretare il testo sacro per esempio. Una prima soluzione è
l’individuazione di vari livello di significato: morale, letterale,
ecc.
Lutero introdurrà il principio sull’idea della Sola
Scriptura, per cui l’interpretazione è rimessa all’individuo.
S. Paolo introduce nella lettera ai Corinzi la distinzione tra
lettera e spirito.
La lettera è ciò che il testo dice chiaramente; là dove non basta
bisogna ricorrere allo spirito, al contesto, al senso del testo.
L’ermeneutica come tecnica di interpretazione nasce dalla necessità di
esplicitare i criteri di interpretazione dei testi sacri. Per tutto il
medioevo e la fine della modernità il testo sacro è sorgente di una
autorità assoluta.
A partire dall’Umanesimo l’assunto dell’autorità della Chiesa viene
meno. La rivoluzione scientifica è contro l’ipse dixit (l’ipse
sarebbe Aristotele). Deve essere possibile invece verificare
personalmente con esperienze ripetibili.
La pratica di interpretazione è una pratica libertaria nella misura in
cui è un gesto critico, cioè pone in luce i criteri
dell’interpretazione.
Scienze dello spirito e scienze della natura, una distinzione fatta all’inizio dell’800. C’è una parte di spirito che non appartiene alla natura, i testi. I testi così definiti sono oggetti storici che provengono da diversi contesti culturali, risultato dell’epoca in cui erano stati prodotti. Questa era una verità evidente.
Un primo problema da affrontare nell’interpretazione di un testo è la distanza temporale. In questo senso ogni interpretazione è una traduzione, nel senso che si tratta di una traduzione di contesti. Ogni volta che cambia il contesto mediale, culturale, temporale, si apre lo spazio dell’interpretazione.
L’ermeneutica prende questi problemi e li generalizza. Il primo pensatore a compiere questa operazione è considerato Friedrich Schleiermacher. Fu un teologo, filosofo e pastore protestante. È il primo traduttore tedesco di Platone. Muore dopo poco Hegel, in un’epoca di declino dell’Illuminismo. Partecipa al movimento del Romanticismo ed è uno dei protagonisti dell’idealismo tedesco.
Schleiermacher alla fine del ’700 era amico di Friedrich
Schlegel - iniziarono un sodalizio filosofico iniziando a
tradurre insieme Platone.
In quegli anni Schlegel stava elaborando quella che chiamava
filosofia della filologia. In quell’epoca c’era uno
sforzo culturale generale di identificazione della propria
epoca. Ci si identificava come un’epoca fondamentalmente
diversa e posteriore rispetto a quella antica. La modernità doveva
intrattenere delle relazioni scientificamente regolate con l’antichità.
In questi anni infatti nascono in Germania archeologia e
filologia, discipline dello studio dell’antichità.
In questo sforzo epistemologico la scelta era tra una scienza che trattasse l’antichità nello spirito delle leggi naturali, attraverso una distanza scientifica, oppure un sapere capace di cogliere le istanze spirituali dell’antichità. Questa seconda soluzione è quella di una filologia in senso superiore.
Questa filologia deve mettersi dalla parte dello spirito contro la lettera. San Paolo stesso dice che la lettera uccide, littera occidit. Più questa disciplina riuscirà ad andare oltre la lettera, più sarà un esercizio filosofico. In questo senso lo spirito può essere considerato il contenuto spirituale del linguaggio. La distinzione tra lettera e spirito non è assimilabile a quella tra forma e contenuto.
La lettera è ciò che nel testo si dà in
trasparenza. Lo spirito è quella che si potrebbe chiamare
dimensione del senso.
La dialettica dello Spirito è la vita del testo.
Comprendere un testo significa comprendere la significanza di un testo e
proseguirla. Comprendere la Bibbia, dice Schlegel, permette la creazione
di una nuova Bibbia.
Per Schlegel l’interpretazione è di fatto un atto di simpatia
creativa.
Schlegel muove contro Kant, che propugnava
un’ermeneutica volta ad una ricostruzione rigorosa del testo e alla sua
contemplazione passiva piuttosto che la sua
ricostruzione.
Al cuore di queste valutazioni ci sono però delle premesse estetiche
importanti. Schlegel dal canto suo è un fautore della
produttività simbolica, mentre Kant formula una teoria del
giudizio estetico ovvero della ricezione estetica.
Kant rende conto della creatività artistica attraverso la figura
del genio, che è una sorta di eccezione.
Per Schlegel, in ambito ermeneutico, la dimensione della creatività è una ricreazione del contenuto spirituale - bisogna ricreare il portato spirituale. Schlegel formula il principio del fraintendimento: l’interpretazione dell’opera avviene anche attraverso imperfezioni ed errori comunicativi che hanno un ruolo fondamentale nel processo, e sono fondamentali nella riattivazione della vita del testo.
Altro principio fondamentale è l’organicità: si
riferisce alla possibilità di leggere il tutto in rapporto alle
parti e le parti rispetto al tutto (circolo
ermeneutico), paragonandolo ad un organismo vivente tra
i singoli corpi. L’organismo vivente è maggiore della somma
delle sue parti, in quanto integra le parti dell’organismo,
unità indivisibile, con l’organismo che rimane sempre identico a se
stesso.
Questo avviene anche in un’opera d’arte o un testo - qualsiasi oggetto
che presenti queste qualità può dirsi organico.
Nell’analisi dei dialoghi platonici Schleiermacher arriva alla definizione dei principi della sua ermeneutica filosofica.
Sui testi platonici storicamente c’era grande incertezza.
Schleiermacher scrive che i dialoghi sono parte di un unico
organismo, tenuto insieme da un intento (Platone), che
funziona secondo una legge di sviluppo di un insieme,
che un intento deve divinare.
Proprio come in Schlegel l’oggetto ermeneutico è un organismo in cui il
tutto e le parti si integrano. Il testo platonico è però
disperso.
Schleiermacher formula sulla base di queste riflessioni una teoria generale della lingua e della trasmissione della cultura.
L’ermeneutica di Schleiermacher è un corpus di testi meno incerto di altri perché ha tenuto delle lezioni a Berlino tra il 1806 in poi. Abbiamo i manoscritti di questi corsi.
La teoria ermeneutica di Schleiermacher è rivolta all’uso del
linguaggio nell’atto specifico dell’interpretazione.
Interpretazione come interpretazione dell’atto linguistico è un’attività
umana che svogliamo fin da bambini.
Il problema arriva quando la comprensione del linguaggio non è più
naturale, ma diventa problematica. Poiché l’uso del
linguaggio non è guidato da leggi oggettive, abbiamo bisogno di un’arte
(intesa come sapere non meccanico, libero) che ci aiuti a
comprenderli.
Quando ci troviamo di fronte a testi estremamente complessi ci teniamo davanti a una rete di scelte espressive: ogni discorso è tenuto insieme da un orientamento complessivo che attraversa tutta l’opera. Sul piano del senso ogni componente del testo risponde ad un uso simbolico rispetto a una situazione complessiva non completamente data.
Ci deve essere un bilanciamento tra la lettera e lo spirito.
Schleiermacher distingue due tipi di interpretazione:
uso della lingua rispetto ai limiti della lingua
stessa (codice grammaticale); rispetto alla lingua
come codice specifica.
esempio: ci sono cose che possono essere dette in una lingua e non in
un’altra. Questo riguarda i limiti storici-logici della lingua.
uso della lingua rispetto al testo in sé, cioè rispetto all’unità di senso, singolare, reale, organica del testo. Schleiermacher la chiama interpretazione tecnica, interpretazione divinatoria, interpretazione psicologica. Dipende dall’integrazione della forma e del contenuto alla luce di un contenuto ideale. Il contenuto si singolarizza in una forma specifica, la forma si singolarizza veicolando un certo contenuto. In questo modo si costituisce l’identità di un testo.
Interpretazione grammaticale e divinatoria stanno sempre insieme. Quel contenuto non poteva che essere espresso in quella forma, e quella forma non poteva che esprime quel contenuto. Il senso di un testo si spiega grazie a questa relazione dinamica tra forma e contenuto all’interno di un processo di espressione.
Schleiermacher identifica questo processo come stile
di un testo.
I vincoli stilistici non possono essere resi in una forma che
rispetti la regola, lo spirito del testo - cosa che
necessariamente richiede il coinvolgimento della soggettività
dell’interprete.
Qui Schleiermacher riprende il principio della congenialità, tipico dell’estetica romantica - cioè significa instaurare un rapporto creativo con il testo. È creativo nella misura in cui prolunga l’espressione del testo che racchiude, è una creazione ulteriore.
Ermeneutica e estetica sono sempre in coppia e si
illuminano a vicenda. Non possono essere ridotta l’una all’altra. Se
l’ermeneutica riguarda l’interpretazione,
l’estetica riguarda la produzione e la ricezione
dell’attività artistica. L’estetica non riguarda cioè che fa l’autore e
l’ermeneutica ciò che fa il lettore come ricettore, non sono in questo
rapporto. Si può dire che estetica e ermeneutica sono due voci
diverse sulla stessa attività, la comunicazione espressiva (e
per l’ermeneutica in particolare linguistica).
Nel caso di un testo scritto l’autore di un’opera agisce
esteticamente, e il lettore agisce ermeneuticamente - ma è un
caso particolare.
Schleiermacher descrive il processo ermeneutico come risalire
il processo di creazione a suo tempo percorso dall’autore.
Se il testo è un fenomeno oggettivato, si risale al senso dell’opera e alla fine poi si profila il momento genetico dell’opera. L’interpretazione secondo Schleiermacher non può mai risalire al momento originario, ma si ferma all’idea principale dell’opera, che determina la sua totalità organica e la sua singolarità.
Questo elemento è il vero oggetto del secondo tipo di
interpretazione, quella psicologica. Questo portato è
ciò a cui mira anche l’artista: creare una regola espressiva
nuova che costituisca la corrispondenza tra forma e contenuto di
un’opera.
Nel caso di un’opera d’arte, ciò che il genio crea è ciò che
l’interprete deve trovare.
Non si può mai accedere all’evento originario, ma altre correnti di pensiero arriveranno a dire che ciò che l’autore ha determinato il materiale di cui l’autore si è servito, il suo vissuto e la sua esperienza. Secondo Schleiermacher questi contenuti sono invece inattingibili nell’atto ermeneutico.
Resta forte nel pensiero di Schleiermacher il carattere
pragmatico dell’ermeneutico. Se l’estetica non detta mai la
regola all’arte, l’ermeneutica si interroga sul fare
interpretativa e detta la regola all’arte
dell’interpretazione.
In quest’ottica l’ermeneutica avrebbe una natura
normativa, mentre l’estetica una natura solo descrittiva.
L’estetica nasce dalla retorica - c’è un passaggio
dal normativo al descrittivo che si compie alla fine del ‘700, stesso
passaggio che si compie nell’ermeneutica, ma più tardi. Ciò che le due
hanno in comune è l’avere a che fare con la stessa attività:
l’attività espressiva. Ci sono attività comunicative
che complicano la forma per esprimere un contenuto lineare.
Per esempio possiamo utilizzare il linguaggio per comunicare un
contenuto, e in quel caso la forma linguistica deve essere la più neutra
possibile.
Nessun testo può essere interpretato al netto della sua espressività. In
ogni testo c’è sempre un margine di espressività.
Punto fondamentale che condivide con l’estetica: non può esserci conoscenza universale del particolare; non può esserci, come aveva detto Schlegel, una conoscenza dello spirito umano sul modello delle scienze naturali.
Idea di divinazione: idea che l’interpretazione abbia a che fare con un approccio ricostruttivo/integrativo.
Se si potrebbe pensare che l’atto interpretativo mette in comunicazione due soggetti, lui crede che questa sia un po’ una deformazione dell’idea di Schleiermacher.
Husserl, autore di Idee per una fenomenologia pura. In quell’epoca c’era stato da un lato l’idealismo tedesco, e poi il positivismo come una sorta di reazione, con una forte impostazione scientifica.
L’idea era di andare a vedere i fatti stessi. La fenomenologia vuole costituire la filosofia come scienza rigorosa. È una sorta di atteggiamento rispetto al mondo che muove dall’epoché, la messa tra parentesi dell’esistenza delle cose, per cogliere le cose stesse nel loro manifestarsi, nel modo in cui ci appaiono come fenomeni.
L’idea è di cogliere con l’intuizione delle essenze, l’intuizione eidetica, le cose stesse. La tesi che Husserl riprende da Franz Brentano è che il carattere specifico della coscienza è l’intenzionalità, la coscienza è sempre coscienza di, coscienza di qualcosa che è fuori di sé. Anche la filosofia come riflessione sulla coscienza è rivolta a qualcosa.
Propone un metodo descrittivo - descrivere i fenomeni come ci appaiono. L’ermeneutica è legata alla fenomenologia, ma poi se ne scosterà. Heidegger, che è di fatto l’inventore dell’ermeneutica, è stato allievo di Husserl, e a Husserl dedica Essere e Tempo. L’allontanamento dalla fenomenologia avverrà con Heidegger: l’ermeneutica infatti non si vuole limitare a descrivere i fenomeni come appaiono alla coscienza ma interpretarli alla luce di una data situazione storica.
Husserl ha scritto pochissimo di estetica. In uno scritto Husserl parla della Bild, insistendo sul supporto materiale, il referente oggettivo dell’immagine, ciò di cui l’immagine è figura, e si differenzia dall’immagine mentale perché ha un supporto materiale. Comunque lui ha scritto poco. Ma molti suoi allievi hanno scritto diverse cose di estetica, sia sulla questione di che cosa sia l’opera d’arte, la differenza tra oggetto estetico e opera d’arte.
Merleau-Ponty si è concentrato sull’impatto dell’arte sulla nostra visione delle cose. In l’occhio e lo spirito, le strutture del comportamento.
L’ermeneutica intende i fenomeni come segni da interpretare, la fenomenologia come fenomeni.
L’atteggiamento estetico e quello fenomenologico richiedono entrambi di mettere tra parentesi la realtà. La visione estetica nell’arte pura è affine alla visione fenomenologica.
Secondo Husserl c’è una analogia tra metodo fenomenologico e
atteggiamento estetico. Alcuni testi della fenomenologia del
primo ‘900 sono state usate anche in ambito analitico.
Se per Husserl l’atteggiamento fenomenologico richiede di
mettere tra parentesi l’esperienza, questo accade anche
nell’atteggiamento estetico: l’intuizione dell’opera arte si effettua
mettendo fuori circuito ogni presa di posizione esistenziale.
In queste parole riecheggia la tesi di Kant circa la tesi per cui
la bellezza ha a che fare con un piacere disinteressato - che
non ha a che fare con l’esistenza dell’oggetto, ma con la sua
rappresentazione. L’opera arte ci trasporta nello stato di una
intuizione estetica che esclude quelle prese di
posizione.
Derealizzazione: l’idea che ci sia una dimensione di
irrealtà in quello che è l’ambito dell’esperienza estetica.
Molti fenomenologici si interrogheranno anche sul valore di
finzione, finzionale, di un’opera d’arte. Ciò che viene
rappresentato o narrato dischiude un mondo che non pretende di
essere il mondo reale, che non è il mondo reale. Il mondo
dell’arte è come un mondo separato.
L’aspetto finzionale dell’arte non coincide con la sospensione
della realtà - possiamo avere un’esperienza estetica generata
dalla bellezza naturale.
In un’esperienza estetica sospendiamo legami funzionali della vita e
instauriamo un rapporto diverso con la realtà -
sospendiamo, dice Husserl, la nostra posizione esistenziale
rispetto ai fenomeni, quando l’opera d’arte ci trasporta in una
dimensione puramente estetica.
La tesi che esista un’esperienza di questo tipo è dibattuta.
L’atteggiamento della vita spirituale naturale, quello della vita attuale, è del tutto spirituale. Il contrario di quanto accade nell’esperienza estetica.
La tesi di Husserl è che tanto la fenomenologia quanto l’atteggiamento estetico proprio dell’arte sono accomunati da una sospensione dell’atteggiamento naturale per cui normalmente siamo coinvolti nel mondo.
La visione fenomenologica è strettamente affine alla visione estetica
nell’arte pura - solo essa non è un vedere per godere,
ma un vedere per conoscere, entrando in una nuova sfera, la
sfera filosofica. L’artista si comporta nel mondo in modo simile al
fenomenologo, cioè si muove per una volontà di
conoscenza.
L’esperienza estetica ci dispone a un atteggiamento di
disinteresse per l’esistenza delle cose.
Husserl ha preso la distinzione tra Leib - corpo nella sua realtà, corpo vissuto, così come viene sentito dal soggetto nella sfera del fenomeno e dell’esperienza estetica - e Korpe - corpo nella sua mera materialità.
Filosofi come Konrad (?) e Oskar Becker hanno applicato il metodo fenomenologico alla disamina dell’oggetto estetico in un’ottica anti-psicologistica, cercando di mettere tra parentesi il modo in cui gli oggetti vengono percepiti a livello psicologico e concependo l’oggetto estetico come oggetto intenzionale, come una serie di relazioni distinta dagli eventi naturali e dagli eventi psichici. Questi sono stati influenzati principalmente dalle Ricerche Logiche di Wittgeinstein.
Altri come Oskar Becker hanno lavorato più sulle Idee per una fenomenologia pura, in cui Husserl assume una posizione trascendentale, occupandosi delle condizioni di possibilità dell’esperienza, con l’idea di una soggettività che costituisce i fenomeni con il modo in cui si rivolge ad essi. Becker definisce l’oggetto estetico attraverso l’analisi della soggettività dell’artista e del fruitore.
Per questo autore c’è una distinzione tra oggetto estetico e opera d’arte. Se l’oggetto estetico può essere l’oggetto intenzionato attraverso qualsiasi tipo di atteggiamento - può essere oggetto anche se non è opera d’arte. L’oggetto estetico ha una estensione più ampia dell’opera d’arte. Questa è realizzata, istituita, in un atto de-realizzante che apre una realtà altra rispetto alla realtà naturale, incarnata però in un supporto materiale ma che possiede un’esistenza trans-oggettiva: la realtà dischiusa dall’opera d’arte non è riducibile alla dimensione materiale del suo supporto, la tela del quadro per esempio - e appartiene alla dimensione spirituale. L’idea è che l’opera d’arte sia un costrutto che sebbene si basi su un supporto materiale non possa ridursi a questo.
C’è una grossa affinità tra alcune tendenza dell’estetica
analitica e della fenomenologia. Roger
Strutton (?) ha sostenuto che l’esperienza
estetica ha a che fare non tanto con il rapporto
causale tra i suoni e gli strumenti che li producono, ma
con un rapporto narrativo non-causale dei suoni tra di
loro.
L’oggetto estetico non ha bisogno di un supporto
materiale, in quanto può essere anche un evento
psichico, un dato immaginario, una circostanza, a condizione
che abbia alcune caratteristiche:
Il punto principale è chiedersi se l’esperienza estetica è nell’oggetto estetico dell’esperienza, nel soggetto, o nel rapporto tra i due. Possiamo dire che l’oggetto estetico ha delle qualità, ma qualità response-dependent, che hanno cioè a che fare con il soggetto.
Per tornare sull’impostazione generale della fenomenologia.
Altro filosofo che si rifà alla fenomenologia è Nikolai Hartmann, sulla tesi che l’esperienza estetica dal punto di vista ontologico abbia a che fare con una dimensione di de-realizzazione, l’idea che la dimensione della bellezza ha a che fare con la possibilità che la materialità dell’opera d’arte assuma un significato tale da trasportare il soggetto al livello del simbolico.
L’idea comune di questi filosofi è che l’esperienza estetica e gli oggetti estetici abbiano a che fare con una dimensione ‘altra’ rispetto a una dimensione ‘naturale’ dell’esperienza e della realtà, in cui gli atteggiamenti morali razionali conoscitivi che valgono nel rapporto quotidiano con il mondo vengono messi tra parentesi, e dunque l’esperienza estetica sarebbe qualitativamente diversa rispetto all’esperienza quotidiana.
Influsso di ciò nel dibattito contemporaneo: si parla di everyday aestethics. Bisogna capire in che senso possiamo parlare di fenomenologia a livello quotidiano, nel quadro di una filosofia che basava la propria specificità su una distinzione tra atteggiamento naturale e atteggiamento estetico. Se cioè possiamo avere un’esperienza estetica di tipo contemplativo anche per fenomeni quotidiani, anche per l’esperienza ordinaria e abituale. Questo è un punto che oggi è particolarmente discusso.
Altri filosofi hanno applicato l’indagine fenomenologica ad altre particolari manifestazioni artistiche. In Polonia … ha individuato in particolare 2 ambiti a cui applicare l’estetica di ispirazione fenomenologica: letteratura e musica.
Cioè si è chiesto che cosa sia dal punto di vista estetico un’opera letteraria e un’opera musicale. Obiettivo è far emergere la struttura oggettiva di questi due tipi di opere al di là degli stati psicologici del fruitore e dell’autore. Cioè, come l’opera d’arte è costituita dal punto di vista ontologico.
Roman Ingarden sostiene che la prima cosa di fare è
escludere qualsiasi tipo di giudizio normativo, cioè
assumere una posizione di tipo prescrittivo. Questo significa che le
considerazioni che facciamo devono valere sia per la grande opera
letteraria sia per il poliziesco. La tesi è che occorra fornire
un’analisi capace di definire che cosa sia un’opera d’arte
letteraria/musicale indipendentemente da considerazioni
assiologiche/valutative, in quanto questo potrebbe portare ad una
mancata oggettività della discussione.
Per Gadamer questo sarebbe un atteggiamento di tipo riduzionistico, una
riduzione delle scienze dello spirito ai metodi tipici delle scienze
naturali-matematiche.
La peculiarità della sua tesi consiste nella capacità di descrivere l’opera musicale/letteraria a partire dai suoi elementi: nell’opera letteraria l’ambito linguistico, la dimensione semantica di un’opera letteraria, cioè il riferimento delle parole alle entità a cui si riferiscono.
Il punto è descrivere quali sono gli elementi dell’opera letteraria e i rapporti che gli elementi hanno tra di loro. Che tipo di realtà spetta all’opera d’arte letteraria? La tesi di Ingarden è che l’opera letteraria sia un tipo speciale di oggetto ideale.
L’opera d’arte incorporata da un oggetto materiale come un libro viene ricostituita di volta in volta dall’atto della lettura del lettore. C’è un ruolo del fruitore nella costituzione dell’opera, già incorporata nell’oggetto.
Il rapporto tra l’unicità dell’opera e la molteplicità delle sue realizzazioni è uno degli aspetti cruciali per comprendere certi aspetti dell’ermeneutica contemporanea, per cui la molteplicità dell’opera può essere considerata solo alla luce della molteplicità irriducibile delle sue interpretazioni (Gadamer). L’opera musicale è irriducibile all’oggetto materiale, e viene intesa come oggetto ideale, cioè oggetto che ha una dimensione di costrutto culturale, un oggetto sociale che si realizza grazie ai musicisti che interpretano la partitura e i fruitori che la ascoltano.
La differenza fondamentale tra opera letteraria e musicale riguarda
Il libro viene eseguito dal lettore che lo fruisce.
Il rapporto tra l’unicità dell’opera e la molteplicità delle sue realizzazioni è uno degli aspetti cruciali per comprendere certi aspetti dell’ermeneutica contemporanea, per cui la molteplicità dell’opera può essere considerata solo alla luce della molteplicità irriducibile delle sue interpretazioni (Gadamer).
Duchamp e il ready-made (1917): Fontaine, l’orinatoio esposto come opera d’arte in un museo.
Arthur Danto - In The Transfiguration of the Commonplace 1981
Che cosa distingue un oggetto normale da un oggetto estetico?
Questo tipo di questioni interessa molti orientamenti filosofici diversi.
C’è una scuola tedesca quindi, una scuola polacca, e un’ampia e strutturata scuola francese, con M. Ponty, Sartre, Ingarden, Dufren, e molti altri.
Sartre autore di L’essere e il nulla. La sua idea
fondamentale rispetto all’estetica è che l’esperienza estetica
ha a che fare con la dimensione de-realizzante della
coscienza. La sua tesi è che l’immaginazione
caratterizza la coscienza nelle sue caratteristiche più definitorie:
l’immaginazione è la coscienza in quanto realizza la libertà
realizzandosi come altra rispetto al mondo. Fenomenologicamente
la coscienza è coscienza di, distinta dal mondo di cui fa
conoscenza. In tal senso la coscienza è negazione del mondo, superamento
della realtà, e dunque come immaginazione.
Aspetto cruciale per Sartre è che l’esperienza estetica viene a definire
la stessa dimensione esistenziale della coscienza come altra rispetto al
mondo. Tuttavia c’è un aspetto più specifico legato alla concezione
sartriana di immagine. L’immagine è un oggetto separato dal
reale, che nega la realtà, e questa distanza si manifesta nell’oggetto
estetico, nell’opera d’arte come supporto materiale.
L’opera d’arte è costruito nell’immaginazione che pone questo oggetto come irreale. L’opera d’arte è mentale, si costituisce nell’atto intenzionale immaginativo della coscienza. L’immagine si configura nella mente dell’artista e poi del fruitore. Immagine è da intendersi come un medium, un supporto che ‘ospita’ l’opera d’arte, comunicandola al fruitore. In questo senso è un oggetto irreale.
Conseguenza è che la realtà non è mai bella, la realtà è opaca, oggettiva - bello è un valore che può essere attribuito solo all’immaginario che nasce da una annichilazione della realtà.
Due questioni:
Per Sartre l’esperienza estetica e quella finzionale convergono sempre.
Scrive un testo intitolato Fenomenologia dell’esperienza estetica, in cui vengono messi a fuoco diversi temi. Dufren concentra la sua immagine sulla percezione estetica. È attraverso l’esperienza del fruitore che l’opera d’arte si costituisce come oggetto estetico.
Se per Sartre si costituisce come oggetto irreale che nega il mondo, per Dufren l’opera d’arte si costituisce come oggetto estetico grazie all’esperienza del fruitore.
Tre elementi costitutivi dell’esperienza estetica
Il discrimine tra oggetto estetico e opera d’arte è che l’opera d’arte diventa oggetto estetico grazie all’intervento del fruitore. Fenomenologicamente infatti fenomeno è ciò che appare a qualcuno. Ogni cosa cioè è oggetto in quanto appare a qualcuno.
L’opera d’arte può essere considerata come cosa ordinaria, ma può anche essere oggetto di una percezione estetica, l’unica a renderle giustizia. L’oggetto estetico viene in qualche modo qualificato da un soggetto. La materialità dell’opera resta rilevante nella misura in cui viene intenzionata da un soggetto.
L’oggetto si fa fenomeno attraverso la percezione che si dà nella fruizione. Nell’opera dobbiamo trovare il fondamento in sé dell’oggetto estetico - c’è l’idea che il fenomeno abbia a che fare con una illuminazione che viene alla luce nella coscienza.
L’artista è capace di farci vedere come vediamo.
Esperienza estetica non è solo esperienza di, ma esperienza con. Noi facciamo esperienza del mondo con l’opera d’arte.
Ermeneutica:
Io queste due lezioni le ho saltate, ma Alice, detta Rain, ha preso appunti e me li ha passati. Danke Schon.
1936 -> Sull’origine dell’opera d’arte
Qual è il rapporto tra arte e verità? Tra verità e conoscenza? Vicinanza ad Hegel piuttosto che a Kant.
Che cos’è un’opera d’arte? L’arte è il luogo in cui accade la verità (apertura all’essere). L’opera si mostra come una cosa fra le altre.
“Cosa” significa:
L’opera d’arte:
note:
L’arte:
La conservazione museale delle opere le priva del loro rapporto con la verità, decontestualizzandole. L’opera nel suo perde il suo significato, perché perde il suo Mondo.
C’è un conflitto tra Mondo e Terra che rende difficile acceedere al significato di un’opera:
Il Tempio: Dio rimane nel Tempio finché l’opera svolge la sua capacità di significazione, cioè finché non viene ridotto a pure fatto estetico.
Heidegger fa l’esempio del tempio.
Il tempio presenta un evento e attorno a un tempio il popolo trova il suo esistere. Il tempio non è qualcosa di accidentale rispetto alla religione e alla credenza; è piuttosto l’istituzione della verità.
Per Heidegger l’arte è il modo eminente di istituzione della verità. Il luogo in cui l’opera d’arte è inserita appartiene, è messo in luce dall’opera d’arte.
Non-luoghi: spazi che potrebbe essere ovunque, spazi che sono decontestualizzati rispetto al loro posto concreto. Aeroporto di Shangai potrebbe essere uguale ai musei. Dei musei secondo questa definizione potrebbero essere definiti non-luoghi, in quanto indipendenti dal luogo non solo fisico, ma anche storico in cui sono situati.
L’opera apre un mondo e lo mantiene in una permanenza ordinata.
L’immagine è artistica secondo questa concezione
quando non intende solo riferirsi ad un oggetto in modo da darci
una informazione esatta. Non abbiamo a che fare con la verità,
ma con un’apertura di senso.
La materialità dell’arte non può venire meno, non
possiamo ridurre l’opera alla dimensione di significazione, altrimenti
viene meno l’idea stessa dell’opera d’arte, e la sua rilevanza
culturale.
Un oggetto è un’opera d’arte se è capace di produrre senso.
In saggi successivi Perché i poeti (1946) e In cammino verso il linguaggio () Heidegger insiste sulla dimensione poetica del linguaggio, emblematica dell’arte in generale. Qual è la funzione dei poeti? È la domanda che già si poneva Holderlin. La poesia è capace di parlare un linguaggio più autentico della filosofia. Solo la poesia è capace di dire l’essere istituendo verità.
In cammino verso il lingauggio: poetare e pensare sono due parallele, non sono separati, si intersecano all’infinito.
Si riferisce sia a Verità e metodo sia a l’Attualità del bello.
Testi importanti:
Testo di Wiesing - neo-fenomenologia Seconda - Atmosferologia, studio dell’atmosfera
Lui presenterà l’impianto generale di Verità e metodo. La prima parte noi dobbiamo leggere. È divisa in due sezioni - la parte più importante è la seconda perché è la pars costruens del progetto di Gadamer.
Esperienza estetica per l’ermeneutica è interpretazione, mentre per la fenomenologia ha a che fare con una percezione. Ci sono filosofi come Ricoeur che sono stati sia attivi nella fenomenologia che nell’ermeneutica che nella semiotica, intrecciando i modelli intepretativi.
Nel comprendere si realizza un’esperienza di verità irriducibile alla comprensione del metodo scientifico moderno. Ci sono esperienze non riconducibili alla verità: esperienze extrametodiche di verità. Gadamer arrivera ad affrontare il problema del linguaggio come fondamento ontologico di ogni comprensione.
Verità e Metodo ha 2 sezioni.
In magistrale ha un corso con 30 persone e oggi siamo 3. È stupito. Top.
Secondo Gadamer l’arte è un’esperienza extrametodica della verità. La questione dell’interpretazione trova nell’arte un terreno fecondo. Sia la produzione che la fruizione delle arti performative sono centrali per descrivere le strutture della comprensione.
Nella prima sezione del primo capitolo - questa parte non dobbiamo leggerla perché la spiega lui - Gadamer affronta il tema dell’estetica mostrando come dalla nascita dell’estetica si assiste alla differenziazione estetica, Gadamer rifiuta cioè il modello per cui l’arte è concepita come separata dagli altri ambiti della vita. Questa visione priva l’arte del suo importante valore conoscitivo.
La differenziazione estetica riguarda quel modo di considerare l’arte come qualcosa di separato, privo di una funzione conoscitiva. Gadamer vuole ridare all’arte questo valore conoscitivo.
L’arte è un’esperienza, non come un momento a parte, ma piuttosto come un’esperienza nel contesto di una Erfahrung, nel senso di un processo, un percorso che è modificato anche da chi lo compie. Non è un momento separato dall’esistenza, ma modifica chi la fa.
Il gioco si fa arte quando mette capo a una struttura - gebilden significa figurare, costruire. C’è l’idea che il gioco possa portare a una struttura definita, una forma. Quando il gioco mette capo a una struttura definita, compiuta, il gioco si fa arte, si fa opera d’arte.
trasmutazione in forma
Quando il gioco porta a una struttura definita e compiuta (forma)
l’opera acquisisce una consistenza autonoma rispetto al
resto della realtà. L’opera d’arte è accrescimento d’essere, il gioco
che portando a rappresentazione se stesso a qualcuno, si fa che illumina
la realtà, non nel senso di una imitazione della parvenza delle cose, ma
piuttosto un accrescimento d’essere.
esecuzione/interpretazione
L’opera si realizza solo nelle sue interpretazioni, che
esprimono modi d’essere possibili dell’opera stessa.
C’è un ulteriore passaggio: l’estetica deve risolversi nell’ermeneutica. La fruizione dell’opera pone il problema generale dell’interpretazione, la messa in luce del significato da parte del presente, e di come il passato può essere appropriato nel presente.
La questione estetica per Gadamer deve risolversi nell’ermeneutica -
si risolve nella comprensione delle strutture che caratterizzano
l’esperienza.
Secondo Gadamer ci sono due modi per comprendere il rapporto tra
passato e presente:
L’idea di costruzione viene attribuita a
Schleiermacher, per cui bisogna ricostituire il mondo originario
dell’opera. L’unica possibilità è invece un rapporto di
integrazione tra l’opera e il suo contesto, bisogna
fare una mediazione tra passato e presente consapevoli
che possiamo comprendere il passato solo se siamo consapevoli della
nostra situazione. Questa è la tesi che Gadamer ricava dal modo in cui
le opere d’arte sono vissute ed esperite.
Questo approccio esemplifica in rapporto all’arte un processo che però
può essere applicato a tutti gli ambiti del sapere, in relazione al
problema della comprensione.
Il punto di Gadamer è questo: intendere l’estetica con
l’esperienza soggettiva è un modo per criticare l’idea di un sapere
personale, disincarnato, che abbia la pretesa di rivolgersi
alle opere in modo totalmente distaccato dalla nostra posizione, dalla
nostra prospettiva. Il punto di Gadamer è che occorre acquisire
un sapere per cui non solo l’oggetto è storico, ma anche la nostra
posizione di studiosi è storica. Dobbiamo acquisire una
posizione per cui tra la nostra posizione e la posizione di un
oggetto c’è una continuità che deve essere riacquisita. Noi
siamo ancora sotto gli effetti di quel testo.
Bisogna allora tematizzare quello che già Heidegger aveva chiamato
circolo ermeneutico, per cui ogni comprensione avviene
sulla base di una pre-comprensione che occorre
articolare.
Come dice Hegel, ciò che è noto deve diventare conosciuto. Bisogna cioè articolare una comprensione sulla base di qualcosa che è già pre-compreso. Abbiamo in altri termini dei pre-giudizi, che anticipano il giudizio, rispetto agli oggetti a cui ci accostiamo per comprenderli. E questo non è un inconveniente.
Il problema non è come uscire dal circolo, ma starci dentro
nel modo giusto, prendendo consapevolezza di questi
pre-giudizi.
Quando conosciamo qualcosa di nuovo integriamo l’oggetto della
comprensione con il soggetto. Il pregiudizio così inteso non ci
allontana dalla comprensione, ma ci consente di metterci in relazione
con il compreso.
Contro i pregiudizi Gadamer difende l’importanza
dell’autorità della tradizione. L’idea è che la tradizione è
ciò in cui noi già ci troviamo. Le nostre azioni, i nostri
pensieri sono influenzati dall’autorità di ciò che viene tramandato. È
lo sviluppo della tesi di Heidegger per cui siamo
gettati.
Ma non si tratta di contrapporre ragione e sentimento, illuminismo e
romanticismo, ma far vivere un processo attraverso il presente. La
conservazione è un atto di libertà non meno di quanto lo siano il
sovvertimento e il rinnovamento.
Esempio il jazz. Ha una tradizione, i musicisti jazz si considerano parte di una tradizione. Gadamer intende la tradizione come faceva Miles Davis, cioè un modo vivo. Significa che si tratta di rispettare la tradizione e appropriarla con una performance che la sviluppa, la continua, la fa vivere. La cultura in tal senso è una sorta di improvvisazione, un movimento a partire da qualcosa.
Non si diviene padroni di se stessi liberandosi dal passato, ma dalla presa di consapevolezza che si è in un processo storico - un processo culturale che continua attraverso la trasformazione, un processo di tradizione.
Precomprensione: concetto di
pregiudizio, il pregiudizio testimonia la
nostra appartenenza ad una tradizione dinamica che lega
intepretante e intepretato in uno stesso processo storico.
Interpretare significa essere in rapporto con la cosa stessa, ma questa
vicinanza non esclude la lontananza. Si tratta di articolare la
pre-comprensione per integrare consapevolmente il passato e il presente.
Questo processo è l’interpretazione, entrare in
rapporto con la cosa stessa che si manifesta nella tradizione, in un
rapporto di vicinanza (oggetto dell’interpretazione è il linguaggio, il
costrutto culturale) e di lontananza.
La distanza culturale va compresa come fecondità, si tratta di
comprenderla dal punto di vista dell’apertura di significati. Non
possiamo comprenderla diversamente, consapevoli della nostra posizione
storica. La distanza cronologica può aiutare a distinguere i
pregiudizi veri dai pregiudizi falsi, che si rivelano infondati
- in un processo di prova ed errore, mettendo alla prova la nostra
pre-comprensione.
Nozione di Wirkungsgeschichte (Storia
degli effetti):
In tedesco ci sono 3 modi per dire realtà:
Quando ci accostiamo a un prodotto culturale, siamo già influenzati dai suoi effetti e ne dobbiamo tenere conto. Es. Prima di leggere la Divina Commedia, siamo già influenzati dalla Divina Commedia.
L’interprete lavora in un contesto di interpretazioni già data, che agiscono a sua insaputa e come condizione della sua comprensione. Di ciò l’interprete deve prendere coscienza. Questo si vede molto bene: uno scrittore oggi è in rapporto con tutta la musica precedente, che lo voglia o menon
Coscienza della determinazione storica Bisogna prendere consapevolezza che siamo sottoposti agli effetti dell’opera - prendere coscienza della determinazione a cui l’interprete è sottoposto.
Horizontverschmelzung (fusione di orizzonti)
Non si tratta di determinare astrattamente la propria situazione. Non ci
sono due orizzonti separati (quello del presente quello del passato), ma
un orizzonte unico dove si fondono quello dell’interpretante e
dell’interpretato.
Applicazione
Per gli antichi comprendere, spiegare e applicare sono 3 momenti del
lavoro interpretativo. Secondo Gadamer l’applicazione ha un ruolo
fondamentale - nell’applicazione si determina il comprendere stesso. In
questo atto interroghiamo il nostro costrutto culturale. L’applicazione
non è un momento successivo o accessorio ma determina il comprendere
stesso.
Dialettica domanda e risposta
Noi interroghiamo un oggetto culturale ponendo una domanda. La domanda è
un atto critico. Può avere sapere solo chi ha domande.
Non si esaurisce con la prima risposta. Ci si mette in dialogo
con ciò che vogliamo comprendere.
Ciò che viene fuori dall’interpretazione è il logos stesso, una
dimensione di verità che non è né quella dell’interpretante né quella
dell’oggetto da interpretare. In questa maniera si definisce un
logos intersoggettivo che prescinde e sta al
di là dell’opinare soggettivo degli interlocutori.
L’esperienza ermeneutica è un dialogo con il testo. Accostarsi a un testo significa:
La dialettica di domanda e risposta equivale al principio della fusione degli orizzonti.
Estetica dell’apparire, criticando vagamente Baudrillard. Sostiene che non bisogna confondere l’apparizione estetica, il fenomeno estetico, con la parvenza.
Il linguaggio è il medium in cui si verifica
l’intesa sulla cosa.
Le tradizioni scritte sono in rapporto con le comunità
storiche, presentano l’articolazione di una
cultura. Senza cose scritte, la comprensione
del passato diventa molto più complessa, abbiamo la preistoria prima
della storia, si capisce molto meno.
Lo scritto presenta una autonomia rispetto all’autore, ciò che è scritto
diventa ‘contemporaneo in ogni presente’ dice Gadamer.
Il problema di chi interpreta è trasformare
la lettere del testo in significato, al di là delle intenzioni
dell’autore. La linguisticità non riguarda solo l’oggetto del testo, ma
anche l’atto ermeneutico. Questo fa sì che l’ermeneutica possa essere
applicata ad altri testi. L’atto ermeneutico di comprensione del
senso avviene grazie al linguaggio.
Il senso di un’interpretazione musicale può essere espresso con la
parola, esprimendo le emozioni che un brano può farci esprimere.
Si configura una fusione tra il linguaggio del testo e quello dell’interprete, con la costruzione di un linguaggio comune. L’interazione linguistica è la forma di ogni comunicazione in generale, comunicazione performativa: un musicista interpreta una composizione - si può esprimere la sua interpretazione in maniera linguistica.
Come in un testo l’interprete deve tradurre il testo nella sua
lingua, anche l’interprete performativo dove riuscire a entrare nel
linguaggio dell’opera, della composizione, e riuscire a
dialogare con esso - per interpretare un brano o una sinfonia
bisogna capirlo.
Ciò non conduce al superamento del linguaggio, ma alla ricerca di nuove
e più efficaci forme linguistiche: Il linguaggio sta sempre al
di là della critica dei suoi limiti.
I fenomenologi credono che la pittura non venga letta, ma venga percepita; per Gadamer capire un’opera significa leggerla, attivare un processo di comprensione che in qualche modo richiede e produce un’articolazione linguistica. Per i fenomenologi la cosa principale è attivare dei meccanismi della visione - quando si ha a che fare con pittura e musica. Per Gadamer tutte queste capacità di visione e di ascolto, se vogliono portare alla creazione di un senso, devono essere, in qualche modo, linguistiche.
L’arte per Gadamer è un’esperienza che modifica, un
esperienza linguistica. È significativo per l’esperienza
esprimersi, quindi esprimersi a parole.
La descrizione dell’esperienza non è qualcosa di aggiuntivo rispetto
all’esperienza stessa, ma è l’esperienza stessa. Il linguaggio incarna
il pensiero così come nel cristianesimo Dio si incarna nell’essere
umano. L’esperienza deve essere per essere tale articolata nel
linguaggio. Come dice Humboldt il linguaggio viene dal mondo e può
rendersi indipendente sull’ambiente.
Oggi si riflette sui rapporti tra linguaggio e ambiente, nella comunicazione con l’ambiente. Si può pensare che il linguaggio sussista senza l’ambiente, questa è l’idea di Gadamer ma è criticabile.
Tutte le comunità linguistiche si fondano sulla comunicazione come fatto vitale in cui si genera una comunità. Il linguaggio come uso e come dialogo, la comunicazione stessa nella sua articolazione costituisce il fondamento del linguaggio. Il linguaggio è il senso del mondo, il mondo dell’essere umano è il linguaggio. Il linguaggio è co-appartenenza al mondo. Il mondo non è altro che le interpretazioni che ne diamo con il linguaggio. Non esiste un ‘esterno’ del linguaggio, viviamo in una esistenza linguistiche ne diamo con il linguaggio.
Concetto di appartenenza: la conoscenza non è l’agire del soggetto sulla cosa, ma l’agire della cosa sul soggetto, è come un accadere in cui la tradizione agisce su di noi. Si appartiene a una comunicazione linguistica.
Allora il lavoro ermeneutico è un lavoro dialettico
e porta ad una articolazione della verità mettendo in luce un punto di
vista come punto di vista, senza dimenticare la limitatezza
dell’interprete, cioè il fatto che l’interprete è in una
condizione specifica da cui non può astrarre e in qualche modo
è già un effetto della tradizione che si vuole comprendere.
Questo processo di tradizione è anche un processo creativo, di pura
innovazione. È anche inesauribile perché non si
esaurisce mai del tutto.
A differenza di Hegel, infatti, il senso non si risolve
mai. Non riusciamo mai ad acquisire un punto di vista esterno
rispetto alla nostra posizione; rimane sempre qualcosa di inesauribile,
la comprensione è un processo inconcluso, è un tendere a.
Altra tesi molto forte: tesi su cui Vattimo ha insistito molto: l’essere che può venir compreso è il linguaggio:
Si possono dare due letture:
Secondo un’altra lettura, è essere, cioè, è comprensibile soltanto ciò che può essere articolato in un linguaggio. Tutto l’essere è linguistico.
l’essere che può venir compreso è il linguaggio.
La parte dell’essere che viene esperita è il linguaggio. Il linguaggio
si confronta con solo la parte di essere “linguaggio”.
La parte che non si riesce a comprendere è uno sfondo
oscuro, iperuranio (Holderlin), un fondamento
infondato che delimita l’esperienza. Il carattere
pre-razionale che si sottrae alla comprensione. Un
carattere abissale (Schelling). Non
precategoriale.
Se dicessimo precategoriale gli daremmo un’accezione più psicologica, qualcosa che non ha a che fare con il giudizio, ma con la percezione e l’affettività. Questa è l’accezione di precategoriale della fenomenologia - ciò che precede il giudizio. Può anche essere applicata all’ontologia per declinare questa dimensione di un essere che sfugge costitutivamente all’articolazione razionale. Schopenauer interpretava questo principio metafisico incoglibile come una volontà analoga a quella umana.
I romantici interpretavano questa nozione come Assoluto, ab-solutus, sciolto, indeterminabile, quindi ciò che è libero, svincolato. Mentre per Hegel l’Assoluto sarà il concetto, e il concetto appare. Nei romantici rimane irraggiungibile.
Queste tesi si danno nella svolta del linguaggio della filosofia, della nascita della filosofia analitica. Molte condizioni confluivano nell’idea che l’esperienza umana fosse anzitutto linguistica.
Precategoriale è una nozione della fenomenologia che si riferisce alla sensibilità - se accettiamo 2, invece, c’è qualcosa nell’essere di pre-razionale, possiamo dire
Ontologia: c’è una parte di essere a cui non possiamo accedere razionalmente? Se è vero:
Oggi in molti ambiti questa tesi è anche superata, ci sono altri aspetti dell’esperienza: performance, percezione, vari aspetti che non hanno una immediata…
Musica strumentale aka musica assoluta. Dimostra che c’è un rapporto molto forte, senza una formulazione linguistica, cioè un rapporto completamente percettivo per l’opera d’arte, e non primariamente linguistico, anche se poi può essere articolato linguisticamente.
Merleau-Ponty in quanto fenomenologo è inteso come un autore che mette in primo piano la percezione - una percezione che non è necessariamente di tipo concettuale e linguistico.
Ci sono teorie contemporanee che parlano penetrabilità cognitiva della percezione, per cui il modo in cui percepiamo la realtà è influenzato da una dimensione linguistica. Altri rivendicano la radicale indipendenza della percezione. In ogni caso un fenomenologo deve rendere anche conto dell’articolazione linguistica dell’esperienza, che è comunque importante.
Un ermeneuta come Gadamer all’opposto deve rendere conto della specificità della percezione - cerca di farlo. Gadamer sostiene che la percezione non è soltanto passiva ma attiva e quindi comporta un rapporto con l’oggetto, con l’opera, con il mondo, che viene articolato in senso linguistico.
Analizziamo la nozione di sintesi passiva, l’idea che ci sia un’organizzazione dell’ambito percettivo che procede il categoriale, il giudizio, una sintesi che però è passiva (es. l’abitudine), che hanno a che fare con il modo in cui la corporeità realizza l’esperienza) per Merleau-Ponty questa non è una dimensione linguistica, cioè del fatto di cui parliamo; per Gadamer invece si parla di interpretazione linguistica. Gadamer non menziona esplicitamente il precategoriale, non lavora sull’ambito percettivo. A Gadamer interessa capire il senso dei fenomeni culturali: perché l’idea di ciò che percepiamo ha senso per noi in quanto fenomeno articolabile linguisticamente?
Come rende conto Gadamer della specificità della percezione? Sostiene che la percezione comporti un rapporto linguistico con l’opera e in generale del mondo.
Cos’è la teoria della penetrabilità cognitiva della percezione? Una teoria contemporanea per cui il modo in cui percepiamo la realtà sarebbe influenzato da una dimensione linguistica.
Cos’è una sintesi passiva? L’idea riconducibile alla fenomenologia per cui esiste un’organizzazione della percezione che precede il giudizio.
Secondo Gadamer il punto di partenza è che il soggetto è
inserito in un contesto storico, e dunque un contesto
culturale.
Il gioco è il protagonista, non sono i giocatori. Analogia con
la bellezza: non possiamo disporne, ma è lei che dispone di noi - non
possiamo fare a meno di emozionarci per qualcosa che è bello.
Così come la verità della cosa, il contenuto, si impone al
soggetto. La Sache è la cosa in senso diverso dalla
Ding - la Ding è oggetto materiale, la Sache
è la cosa nel senso del contenuto - la cosa stessa.
Il punto è che la verità non è qualcosa che si acquisisce col metodo, ma è frutto di una presentazione extra-metodica della cosa. La comprensione non è un virtuosismo tecnico. Come nel gioco, l’interprete non è padrone ma è tramite della verità del linguaggio, diventa il mezzo con cui la verità si espone artisticamente.
Tesi ontologica per cui non sono gli interpreti ad appropriarsi della verità come qualcosa di oggettivo, nell’ambito delle scienze dure, ma nella verità l’interprete è tramite del gioco che il linguaggio fa con se stesso. Questa è una tesi in qualche modo metafisica. Questo è un primato a un tempo epistemologico e ontologico.
Verità e metodo si chiude con una apoteosi del linguaggio, che diventa motore non solo della storia, ma anche dell’esperienza. C’è un impegno da parte di Gadamer e altri filosofi di quel periodo a evitare il riduzionismo scientista, riconoscendo dei diritti anche ad una ragione che ha a che fare con capacità di comprendere il senso dell’esperienza pratica.
Primo passo che Gadamer compie è quello di dire che (la filosofia? la
storia? qualcuno?) ha operato un disconoscimento del valore che ha
l’arte per l’esperienza umana - valore che Gadamer vuole
recuperare.
Per fare ciò Gadamer vuole mostrare come i concetti
dell’estetica (gusto, genio, cultura, Bildung, senso comune - i
concetti su cui Kant ha costruito la sua Critica del Giudizio
estetico nella Critica del Giudizio …???
Il terreno di questi nuovi concetti è una filosofia della cultura in cui si mostra secondo Gadamer come l’esperienza estetica e l’esperienza dell’arte vadano intese come due articolazioni di forme di vita storicamente situate, e quindi hanno un senso in quanto fanno parte del modo in cui l’essere umano comprende la sua situazione storica.
Strano come la nozione di gusto e la nozione di senso comune vadano intesi in un senso diverso in cui sono state declinate, ma vadano comprese nella loro dimensione di esperienze etiche, il cui valore non è solo nell’ambito dell’estetica (piace/non piace), ma come capacità di discernere ciò che conviene o non conviene fare in una certa situazione.
Si tratta per Gadamer di fondare l’estetica come qualcosa che ha che fare con la conoscenza, ancorando la tradizione estetica alla sua dimensione umanistica, per mostrare come nelle scienze dello spirito non sia usato un metodo come quello delle scienze naturali, ma ciò non toglie che la scienza dello spirito sia una singolare esperienza di verità irriducibile ad altro.
Nel concetto di cultura (Bildung), che viene da Bild, intendiamo un formarsi attivo di una cultura attraverso una configurazione di figure, di forme, immagini rispetto alle quali l’essere umano può trovare il senso della sua esistenza. Bildung è una parola hegeliana, nel senso di un processo di presa di consapevolezza della coscienza su se stessa.
Altra nozione su cui Gadamer si sofferma è quella di sensus communis Kant aveva usato questa parola per sottolineare la specificità della dimensione estetica rispetto a quella conoscitiva, mentre Gadamer usa questa espressione per ancorare l’esperienza estetica all’ambito delle scienze dello spirito.
Ha a che fare con la nozione della phronesis, cioè la
capacità di discernere ciò che è giusto in un determinato momento e in
una specifica situazione.
Sensus communis non è solo un qualcosa che tutti gli
uomini possiedono, ma ciò che forma anche una comunità,
qualcosa che ha una capacità con ciò che è vero, ciò che è
giusto in una certa situazione.
Gadamer dunque riconosce che il senso comune è una conoscenza
positiva - ed è anche ciò che poi consente di costruire un sapere
storico.
Filosofia del buon senso e del senso comune - si dice che il common sense ha a che fare con una capacità di ordine morale. Il senso morale ha a che fare con la capacità di riuscire a mettersi d’accordo. Si esplica una capacità di considerare le cose con delicatezza, una capacità di ordine sociale.
Gadamer fa una ricostruzione dei concetti che diventano fondamentali
per definire l’estetica come ambito separato; prende questi concetti e
ne fa la storia, per mostrare come i concetti dell’estetica
siano radicati nella cultura umanistica, avendo avuto
almeno fino a Kant un significato, un valore nell’ambito delle scienza
dello spirito.
Vuole arrivare a sostenere che l’esperienza dell’arte
non sia qualcosa di separato, senza potere conoscitivo e senza potere
morale, ma abbia un forte radicamento nell’idea di esperienza come
interpretazione di senso e di verità.
Questo secondo Gadamer avviene a partire da Kant e soprattutto in
Schiller.
Gadamer mostra come facendo una storia di un concetto, quel concetto acquisisce sempre più una consistenza teorica, che permette di giudicare meglio una cosa.
Ciò che in Kant è la facoltà di discernere rispetto al sentimento di piacere e dispiacere (giudizio estetico) in Kant questa nozione ha perso una connotazione sistematica, non è più centrale nel modo in cui Kant spiega l’esperienza conoscitiva. Il senso comune non gioca un ruolo nella Critica della Ragion Pratica.
Gadamer mostra i concetti, che in Kant hanno solo una connotazione estetica, nella tradizione umanistica c’è un paradigma più conoscitivo, una maggiore capacità di capire.
Se il giudizio in Kant ha una validità estetica, e infatti si presenta come giudizio di gusto, qui Gadamer fa la storia del concetto di gusto a partire dalla pittura del ’600 - ’700 - i sensi indicano la sensibilità ma anche l’estensione, una capacità di discernimento pratico, un saper fare, un know-how rispetto alla capacità di cogliere ciò che è corretto, ciò che funziona, ciò che è valido in specifiche situazioni.
Rispetto al gusto e al giudizio, Gadamer li
considera dotati di una capacità conoscitiva che rende capaci di
interpretare il caso concreto - esempio è
l’applicazione della legge da parte del giudice, cioè legato alla
dimensione specifica.
Il modello inglese in questo senso è paradigmatico, non ci sono prima le
leggi e poi l’applicazione, ma attraverso le sentenze si
costruisce il diritto. Il giudizio in questo senso
costituisce conoscenza, il giudizio, dice Gadamer,
porta a uno sviluppo del diritto.
Come il diritto, il giudizio è sempre in divenire, a causa della
produttività del caso particolare.
Quindi non è vero, contro Kant, che l’esperienza non ha una portata conoscitiva e morale. Dice che è sbagliato distinguere tra giudizio determinante e riflettente, perché l’applicazione della regola porta a un giudizio estetico - quindi la separazione non ha un valore assoluto.
Ciò significa che il giudizio non si limita ad applicare la regola, ma contribuisce a determinarla. Tutte le decisioni pratiche perciò richiedono il gusto, ne costituiscono il momento essenziale. Il tatto è innato, la ragione stessa è incapace di darne conto.
Il gusto è il canone più alto del giudizio morale. Il gusto conosce qualcosa in un modo che non si lascia separare dall’atto concreto: il punto fondamentale è mostrare come il senso comune è una categoria non solo estetica, ma che riguarda tutto l’ambito conoscitivo e morale.
In questo modo si crea una impossibilità di legittimare il metodo delle scienze dello spirito - si limita la pretesa di verità all’ambito scientifico. Ciò in Kant contribuisce alla divisione tra gusto e genio, in particolare nella formazione trascendentale del giudizio estetico come ambito specifico.
In quanto screditava ogni approccio che non fosse scientifico, Kant spingeva le scienze dello spirito ad appoggiarsi alle scienze della natura. In altre parole, la dimensione estetica veniva limitata all’ambito soggettivo.
Ma ha senso riservare la verità alla conoscenza concettuale? Non bisogna forse riconoscere che l’opera d’arte ha una sua verità, e dunque occorre rivedere questa operazione che Kant e i suoi successori hanno compiuto per rimettere l’estetica al suo posto, considerando cioè l’arte come un’esperienza conoscitiva ed esperienza di verità - capace di manifestare aspetti dell’esistenza che altrimenti rimarrebbero celati.
Schiller riduce l’ambito dell’estetico alla parvenza, che non ha più nessuna dimensione conoscitiva, mentre in Kant c’è anche la possibilità di articolare posizioni in cui l’esperienza estetica ha un valore conoscitivo.
Gadamer sta introducendo il discorso dell’arte come esperienza paradigmatica di verità - come l’estetica ha trattato la storia dell’arte riducendola a contenuto soggettivo e sganciandola dalla continuità della vita, dall’esperienza ordinaria. L’esperienza estetica nella sua dimensione di conoscenza, che Gadamer invece vuole comunicare.
Critica che Gadamer fa a Kant e Schiller: hanno individuato un valore specifico dall’esperienza estetica - distinguendola da quella conoscitiva e morale - quindi giustificando l’applicazione del metodo della critica della ragione al campo del gusto - Kant è stato costretto a negare al gusto ogni valore conoscitivo - il gusto diventa un principio a priori con una dimensione non conoscitiva.
Sicuramente Kant parla di senso comune riducendo il senso comune a un principio soggettivo. Tuttavia il problema che Gadamer segnala è il fatto che Kant sgancia la critica del gusto dalla questione della conoscenza. Se Kant ci ricorda che non ci interessa l’esistenza degli oggetti, ma la rappresentazione - il giudizio estetico è disinteressato - ci interessa ciò che è bello, Gadamer ci dice invece che l’esistenza degli oggetti è rilevante perché fa parte del contesto in cui l’esperienza si inserisce.
Kant aveva distinto tra bellezza libera e bellezza
aderente, non considerando due tipi di oggetti - belli in
maniera libera o aderente - ma uno stesso oggetto può essere
considerato sotto i due aspetti.
Un conto è la bellezza ornamentale, di un disegno, una decorazione, dei
fiori, che non ha un aggancio a un contenuto;
altro è la bellezza di un oggetto in base alla funzione di
quell’oggetto.
Ebbene qui Gadamer rivaluta la dimensione della bellezza
aderente, proprio perché vuole recuperare la dimensione
conoscitiva legata all’esperienza estetica.
Inoltre, Gadamer sottolinea una cosa importante: che la Critica
del Giudizio è un testo in cui Kant si sofferma in particolare
sulla bellezza della natura (diversamente da Hegel) - e Kant parla di
arte quando si riferisce al genio, la particolare facoltà in cui la
natura dà la regola all’arte.
Kant ha cioè dimostrato che la bellezza naturale è capace di
suscitare un interesse morale - il punto importante è che un
piacere scevro da ogni interesse indica che noi siamo il fine
ultimo della creazione.
Anche l’approccio di Kant, quindi, ci indica nell’apprezzamento
della bellezza naturale c’è una significatività morale.
Tuttavia Gadamer sottolinea come questa insistenza sul bello
naturale sia equivoca; per Gadamer l’estetica realizza la sua
posizione solo in quanto filosofia dell’arte, in quanto capace di uno
sguardo artistico. Solo così possiamo comprendere la bellezza della
natura.
In questo senso Gadamer sposa la posizione di Hegel,
secondo cui la stessa ammirazione del bello naturale è resa
possibile dalla dote dell’essere umano di gettare uno sguardo estetico
sulla realtà.
Gadamer si sofferma sul rapporto tra gusto e
genio.
Se il gusto in Kant è un’istanza che comporta una
misura, una regola, una dimensione normativa, e quindi
è la disciplina; il genio è invece la capacità
creativa-produttiva, “indisciplinata”.
Gadamer nota che in realtà questo limitare la genialità della produzione
artistica sia dovuto a un’esigenza di Kant di separare la dimensione
estetica da quella dell’esperienza; mentre secondo Gadamer la
nozione di genio è applicabile anche in altri ambiti, come quello
scientifico.
Queste due colonne portanti dell’estetico hanno in Kant l’esito di separare l’esperienza del giudizio dal resto dell’esperienza, dalla dimensione conoscitiva. Si fanno esperienze separate che hanno alla base gli stessi principi specifici, separandosi dall’esperienza. La capacità di configurare un ambito di validità in cui si applica il giudizio estetico non fonda alcun ambito di verità per oggetti belli. La validità del giudizio estetico non si applica al campo dell’arte.
Dopo Kant questo isolamento tendenziale dell’esperienza
estetica viene ulteriormente amplificato. Uno dei maggiori
responsabili di questa deriva è Schiller, in cui la dimensione estetica
sarà quella della parvenza (Schein).
Schiller parla di libero impulso al gioco, valorizza la
nozione di gioco. Schiller fa ciò in una prospettiva
soggettiva in cui si perde completamente il legame con la
dimensione conoscitiva della realtà.
Questa dinamica secondo Gadamer si percepisce nel modo in cui in
Schiller si passa dall’idea che si possa educare attraverso
l’arte, che l’arte sia parte del campo dei saperi che concorrono ad una
formazione, ad una fioritura dell’essere umano - cosa che secondo
Gadamer ha senso, l’arte come mezzo - a sostenere un’educazione
all’arte, cioè finalizzata all’arte. Quest’ultimo passaggio contribuisce
ad allontanare ancora di più l’arte dalla vita.
Gadamer vuole invece recuperare l’idea di Hegel secondo cui l’arte ha una portata conoscitiva - sappiamo che per Hegel l’arte è una forma di vita grazie a cui l’essere umano può conoscere se stesso - ma senza sposare la tesi di Hegel secondo cui c’è qualcosa di passato nell’arte. Non dobbiamo pensare che nell’arte ci sia qualcosa di non-attuale.
Per fare ciò Gadamer si riferisce al concetto di
Erlebniss.
Erlebniss significa esperienza vissuta.
Erleben significa essere ancora in vita, dice Gadamer, quando
qualcosa succede. Erleben ha un’impronta di immediatezza con
cui qualcosa viene colpito. Il vissuto è ciò che si sperimenta
direttamente, e la cui caratteristica più importante è che si sperimenta
in maniera immediata - caratterizzata da una immediatezza,
intensità. Si caratterizza quindi anche come una dimensione affettiva
che ha a che fare con l’immediatezza che ci mette in rapporto diretto
con ciò che si esperisce.
L’esperienza estetica è anche però segnata da una certa discontinuità. Si vive ogni singola Erlebniss. C’è l’idea per cui ogni esperienza è un’esperienza conclusa, attraverso cui si può raccontare la vita privata del soggetto. Tra i vari riferimenti che fa Gadamer c’è quello di Zimmel, che scrive un saggio sull’avventura - per cui l’avventura è un’esperienza vissuta che ha una dimensione chiusa, una forma compiuta che si articola anche nella possibilità di raccontarla.
L’opera d’arte come Erlebniss è considerata come qualcosa di eccezionale, che si stacca dal resto dell’esistenza e deve essere intesa come esperienza particolare, che si vive in maniera particolarmente intensa e immediata.
Allora Gadamer si rifa all’idea di Kierkegaard per cui l’esperienza
estetica è caratterizzata fondamentalmente da vivere ogni attimo
dell’esperienza come distaccata dal resto dell’esperienza. Ogni
esperienza si vive in maniera immediata e intensa, quindi tutto
interessa, però alla fine non interessa più nulla e l’esperienza
dell’esteta è caratterizzata da una condizione di instabilità.
Questo caratterizza un certo tipo di concezione dell’estetico, che
Gadamer critica. L’Erlebniss in qualche modo diventa l’oggetto
stesso dell’esperienza estetica, che si stacca dal resto dell’esistenza
diventando l’oggetto stesso dell’esperienza estetica.
Qui c’è lo scarto per cui Gadamer sostiene al contrario che occorra comprendere l’esperienza dell’arte sulla base di un diverso concetto di esperienza: non più come Erlebniss, esperienza vissuta soggettiva e caratterizzata da una sua dimensione anche temporale legata all’attimo e alla discontinuità, ma piuttosto come Erfharung, l’esperienza capace di recuperare alla dimensione estetica la capacità metodologica e conoscitiva: non una verità conseguita con il metodo della scienza, ma come dischiudersi di un senso per l’esistenza.
Allora la tesi di Gadamer è che si tratti di recuperare la dimensione simbolica e allegorica dell’estetico: le allegorie come concetti capaci di non isolare l’esperienza soggettiva. Sono cioè concetti cioè capaci di articolare la dimensione di conoscenza che occorre riconoscere all’esperienza estetica. Dimensione che l’estetica ha in qualche modo smarrito, ma presenti nelle altre humaniora, cioè campi del sapere.
Secondo Gadamer come possiamo rimediare alla natura di Erlebniss dell’esperienza estetica, cioè alla sua dimensione puntuale? Recuperando la dimensione simbolica e allegorica, come concetti capaci di articolare la dimensione conoscitiva dell’esperienza estetica.
La dimensione allegorica ha a che fare con la capacità di una
rappresentazione, di un’immagine, di dire altro. C’è
cioè un rimando della rappresentazione a una dimensione di
significato.
E il simbolo? Non è detto che il simbolo debba essere in contrasto con
l’allegoria. Symballein significa mettere insieme, dal
nome di un oggetto che veniva diviso come dono ospitale - c’è l’idea di
una congiunzione, di un legame fra due elementi.
Gadamer nota che nel concetto di simbolo c’è una dimensione ontologica che si manifesta nell’idea che un elemento corporeo, materiale nell’oggetto, abbia un significato intrinseco. L’oggetto cioè non è separabile dal significato a cui rimanda.
Verso la fine della trattazione del I capitolo di Verità e
Metodo Gadamer spiega che un simbolo è un segno,
cioè un significante che rimanda a un significato.
Tuttavia il significato è incorporato nel significante. Un
oggetto materiale è una verità, una dimensione di senso. Il
simbolo quindi non rinvia ad altro da sé.
I simboli indicano qualcosa - un oggetto materiale svolge una
certa funzione ed indica un significato.
Es. segnali stradali - non facciamo attenzione a come è fatto il segno
come se si dovesse riferire in modo esauriente, come una riproduzione
fedele, ma il segno rimanda ad altro: comunica un
pericolo, per esempio.
Il simbolo si distingue dal segno, perché la sua funzione è totalmente esaurita nel simbolo stesso, cioè nell’oggetto simbolico stesso. C’è un legame tra visibile e invisibile, percepito e non percepibile, intima unità di ideale e esperienza.
Nell’allegoria c’è un riferimento significativo del sensibile
al non sensibile.
Esempio: la bilancia si riferisce alla giustizia. L’idea di
equilibrio non è l’oggetto ma viene incarnata attraverso
l’oggetto.
Gadamer sostiene la tesi per cui l’estetico ha a che fare con
questa dimensione simbolica-allegorica di significato, che va
in qualche modo recuperata. Molti autori hanno sostenuto che l’allegoria
non è una vera e propria opera d’arte, però in realtà la
contrapposizione tra simbolo e allegoria è un caso
particolare della significatività che ogni fenomeno può manifestare.
In Gadamer l’intima unità di immagine e significato non sopprime la tensione tra mondo e idee, ma esprime la connessione tra ciò che appare e la possibilità infinita di significazione, rivendicando in questo modo per l’estetica una visione della verità che l’estetica come Erlebniss costringe a smarrire.
Per Gadamer pensare all’esperienza estetica dimenticando la
dimensione veritativa, che possiamo recuperare grazie alla tesi appena
esposta per cui l’arte ha un carattere simbolico - in
questo modo riducendo l’esperienza estetica alla coscienza estetica - è
un’astrazione, in quanto astrae l’estetico dalla vita,
dall’esperienza che le è propria.
Schiller è il campione di questo atteggiamento, separando la dimensione
dell’apparenza da quella della verità.
Gadamer vuole riportare l’esperienza estetica alla cultura, alla
Bildung di Hegel.
Perché l’esperienza estetica intesa come Erlebniss è
un’astrazione? Perché in qualche modo l’oggetto inteso
esteticamente non viene inteso mettendoci in relazione con esso
- Gadamer sostiene una co-appartenenza dell’essere umano alla
cultura e agli oggetti culturali che vengono interpretati.
L’esperienza astrae dalla continuità storica,
e quindi l’opera d’arte non appartiene più al mondo, ma viene sradicata
dal suo mondo.
C’è quindi una distillazione tra ciò che è estetico e ciò che
non lo è - questo lo farà Croce, che vuole isolare ciò che è poetico da
tutti gli elementi extra-estetici, che sono comunque questione di
tecnica, di pratica, di conoscenza. Si tratta di distillare ciò che è
propriamente estetico.
Idea presente in qualche modo anche nel positivismo, rivolgersi
ai fatti cercando di articolarli nel loro isolamento, separando
il fatto dall’interpretazione.
Ha il suo pendant nella coscienza storica, che si possa fare
esperienza del passato come qualcosa di irrelato al
presente, con la possibilità di prescindere dalla valutazione
del presente in quella del passato.
L’operazione estetica di astrazione dai legami che sia l’opera
d’arte che chi ne fa esperienza hanno con la realtà trova la
sua concretizzazione culturale nell’istituzione del
museo, un luogo in cui vengono collocate opere d’arte slegate
dai loro contesti.
L’arte d’occasione e l’arte decorativa non sono estetiche solo perché i motivi utilizzati hanno delle forme piacevoli, ma bisogna capire come quella forma abbia la funzione di collocarci in modo armonioso nell’ambiente. Valutare il monumento non come oggetto a cui rivolgere una funzione specifica, ma per il ruolo di quell’oggetto nel permettere di articolare una continuità che non è separata dalla possibilità che l’arte abbia una dimensione trasformativa.
L’arte spesso ha questa capacità. Non c’è una incoerenza -
l’arte d’occasione o decorativa può avere una capacità trasformativa -
realizzare un ambiente armonioso, una modalità per agganciare chi ne fa
esperienza all’ambiente che viene decorato. C’è quindi una dimensione di
co-appartenenza al mondo, che ha anche un potere trasformativo. Questo
stare nella situazione ha una capacità
trasformativa.
L’arte esperita nel museo è invece staccata dal suo contesto,
astratta dalla situazione in cui gli è permesso di
esercitare il suo potere comunicativo.
La musealizzazione è andata di pari passo con un cambiamento nel ruolo dell’artista stesso. L’artista era anche artigiano, intessuto in un tessuto sociale in cui svolgeva delle funzioni, es. delle commissioni. A partire dall’epoca romantica è emersa l’idea per cui l’artista è libero, genio-follia, artista-follia, l’idea che l’artista è libero in quanto sollevato da un contesto, da funzioni, da compiti, che un’artista che possa determinare “liberamente” la propria esperienza d’artista.
Questo è un modo - sostiene Gadamer - per caratterizzare la dimensione di astrazione che caratterizza non tanto l’Erfharung ma l’Erlebniss, come dimensione in cui si astrae la verità.
Di pari passo con questo discorso viene portata avanti una
critica alla tendenza di varie discipline umanistiche
di limitare l’interesse di ogni pratica artistica ad uno
specifico medium, modalità percettiva, legata a un’esperienza
vissuta specifica.
Es. idea per cui la pittura dovrebbe concentrarsi sugli elementi
specificamente legati al visivo, astraendo possibili connessioni con
l’esperienza in generale. Su questa linea è Grimberg, critico
d’arte americano, sosteneva che ogni pratica artistica avrebbe il
compito di aggiungere l’essenza del suo medium - la pittura
avrebbe dovuto concentrarsi sul colore e la rappresentazione
bidimensionale.
Ma questo giudizio non è che un’astrazione, perché noi vediamo il dato specifico in rapporto a qualcos’altro, lo percepiamo in connessione con il resto dell’esperienza. Solo in questa prospettiva la connessione del dato percettivo può avere significato. Ciò vale anche quando l’oggetto non è guardato come qualcos’altro (come avvine invece nel segno), ma quando lo sguardo si sofferma su se stesso senza essere rinviato ad altro, cioè nel caso del simbolo. Anche il simbolo è in connessione con il resto della nostra esperienza.
Come dice Heidegger, il modo di essere di ciò che esiste
esteticamente non è la semplice presenza - concezione che
riduce al dato percettivo - ma si tratta di comprendere che quando
percepiamo esteticamente non ci limitiamo ad astrarre la sua
dimensione percettiva e quindi i suoi colori e forme, ma
piuttosto lo leggiamo.
Solo quando siamo capaci di leggere un quadro articolando ciò
che è rappresentato, cioè connettendo il quadro al
mondo, allora lo possiamo comprendere.
Il modo di essere di ciò che esiste non è la semplice presenza, ma il rimando a qualcos’altro in una dimensione simbolico-allegorica; ma non si può astrarre la dimensione percettiva dell’oggetto, che piuttosto viene letto e compreso connettendolo al mondo
Perché vengono criticati gli approcci che cercano di circoscrivere l’ambito estetico a specifiche modalità percettive? Perché ciò che percepiamo non può mai essere astratto dal resto dell’esperienza,
La stessa cosa può essere fatta con la musica.
Il puro vedere, il puro sentire, sono secondo Gadamer invenzioni
romantiche. Questo è significativo se pensiamo che anche in
realtà contemporanea esista qualcosa come la musica pura o
anche la musica assoluta, priva di testo e di funzioni.
Si perde quello che è in legame dell’arte con la vita.
Si fa un’operazione innaturale perché la percezione coglie sempre un
significato, un motivo - un soggetto. Qualcosa che ci invita ad
articolare una possibilità di senso, un’unità di forma e
significato.
L’artista artigiano, ingegnere, con la capacità di collegare diversi
ambiti dell’esperienza, è capace di comprendere come le
esperienze estetiche dell’arte non possano essere caratterizzate
dall’assoluta discontinuità che è il tratto distintivo
dell’Erlebniss.
O meglio, sicuramente l’arte è segnata da un essere nel momento, ma
questa esperienza fatta in un momento specifico viene connessa a
una continuità esperienziale che ha a che fare con quella
dell’esistenza.
Ogni esperienza estetica connette l’opera a chi partecipa
alla verità di quest’opera. La verità dell’opera non si
esaurisce nell’esperienza soggettiva, ma continua
generando una continuità esperienziale sia dalla parte
dell’opera d’arte sia dalla parte del soggetto che ne fa esperienza,
dischiudendo una comprensione che ha a che fare con la capacità di
aprire un senso.
Non si tratta della contemplazione di un oggetto irrelato, ma
di una parrtecipazione all’opera d’arte. L’arte è conoscenza, e
l’esperienza dell’opera d’arte rende partecipi di quella
conoscenza.
p. 127 Verità e Metodo A
L’opera d’arte non resta un universo estraneo entro il quale siamo
attirati per istanti, ma piuttosto in essa impariamo a
comprendere noi stessi, cioè superiamo la puntualità dei momenti
dell’Erlebniss, per la continuità
dell’esistenza.
Bisogna trovare una posizione che non pretenda immediatezza ma
corrisponda alla realtà storica.
La Weltanschaung secondo Hegel, la portata si tratta di giustificare questa tesi, comprendendone la portata veritativa. Intendiamo l’esperienza dell’arte come esperienza. Non deve venir pensata come semplice momento della cultura estetica.
Ogni incontro con il linguaggio dell’arte è segno di un
evento non concluso - questa è un’esemplificazione del problema
della verità.
Tuttavia l’esperienza dell’arte è la prima ad ammettere che non può
avere in una dimensione conclusa tutta la verità di ciò che esperisce;
ciononostante l’esperienza estetica modifica veramente chi la
fa.
Non ci lascia indifferenti come voleva Kierkegaard.
Obiettivo della sezione II della I parte è comprendere questa dimensione ontologica dell’arte, che poi viene ripresa nell’Attualità del bello.
Il concetto di gioco è messo al centro dell’estetica da Kant e da
Schiller. Il gioco secondo Schiller è una sorta
di stato d’animo del soggetto, una particolare
dimensione soggettiva. Schiller la considera una particolare
dimensione esperienziale del soggetto. L’uomo è libero solo quando
gioca, gioca solo quando è libero, secondo Schiller.
Il gioco secondo Gadamer non indica lo stato d’animo,
non c’è una dimensione soggettiva, ma indica l’essere dell’opera
stessa. Il gioco è una dimensione ontologica,
oggettiva. Domina i giocatori. In ogni gioco abbiamo una
situazione per cui nell’atteggiamento ludico in cui il giocatore si
immerge completamente nel gioco, è il gioco a dominare i giocatori.
Secondo questa tesi quindi l’opera d’arte non è un oggetto che si contrappone al soggetto - Gadamer si avvicina alla posizione di Dewey per cui l’arte è esperienza. L’arte è un’esperienza che modifica chi la fa e che ha una dimensione che è l’opera stessa. L’opera d’arte è l’esperienza, l’oggetto in quanto esperito e interpretato dal soggetto - in una prospettiva in cui il subiectum è l’opera che si realizza nell’esperienza.
Il gioco non ha una consistenza diversa da coloro che giocano;
si realizza nei giocatori e si riproduce attraverso
essi, ma non si riduce ad essi; allo stesso modo l’opera d’arte non si
riduce all’esperienza che i fruitori ne fanno, non è riducibile
all’Erlebniss.
La dimensione del gioco è quella di un andamento regolato, che
domina chi lo pratica.
C’è un ordine in cui l’iniziativa non è quella dei singoli, quanto piuttosto quella del gioco come evento stesso, che si realizza attraverso gli spettatori. Così come una partita si realizza con i giocatori. Si può dire che i giocatori sono parte del gioco attraverso le loro interazioni reciproche - questa è la caratteristica fondamentale di ogni gioco.
L’estetica ha una affinità con
l’ermeneutica: l’esperienza estetica deve essere intesa nel suo
rapporto con la cultura in generale e per il suo potere
conoscitivo.
Se gli autori legati all’ermeneutica esaltano la capacità dell’arte di
approfondire il legame con la realtà e di farcela conoscere, esponenti
del marxismo o della teoria critica sottolineano l’aspetto
trasformativo dell’arte.
L’arte ha quindi uno statuto ambiguo: da un lato è un fatto sociale, legato alle dinamiche proprie di qualunque fatto sociale, dall’altro ha una sua autonomia ed è capace di criticare l’esistenza. Autori legati al marxismo ortodosso sottolineano come l’arte sia un rispecchiamento della realtà (carattere descrittivo) ma anche prescrittivo, cioè si sostiene che debba essere così.
Gli autori che vediamo oggi sottolineano quindi come l’arte debba
avere un certo stile - realista - e svolgere la
funzione di servire alla lotta di classe e all’ideologia
comunista.
Altri difendono l’idea che l’arte possa portare a termine la sua
missione critica non tanto esprimendo certi significati
determinati ma piuttosto è capace di presentare un’alternativa
alla realtà esistente dal punto di vista formale - di cui per
esempio Adorno sottolinea il carattere contraddittorio.
Donde il carattere enigmatico dell’arte e l’idea che l’arte sia un’arte critica, come dice Bloch un’arte utopica - una realtà altra, sempre a venire, non empiricamente data. L’arte è come capace di presentare le istanze di quello che Bloch chiama il principio speranza.
Marx non scrive molto di estetica ma identifica la dimensione sovrastrutturale dell’arte, sovrastrutturale in quanto non riguarda direttamente la dimensione economica. Anche l’uomo contemporaneo che vive sotto il capitalismo è in grado di apprezzare forme d’arte del passato. L’arte ci parla ancora nonostante la sua base materiale non sia più disponibile - questo costituisce la specificità dell’arte.
Marx si sorprende che la mitologia e l’arte che si alimenta di
mitologia possa ancora piacerci, questo perché l’età a lui contemporanea
era segnata dalla rivoluzione industriale, con grandi sconvolgimenti
della vita quotidiana.
Anche i miti che caratterizzavano la società contemporanea erano diversi
dai miti della cultura classica. L’arte cioè può avere una presa
sulla mente delle persone anche a distanza di tempo (arte antica) anche
in un mondo industrializzato. I prodotti della creatività
artistica del passato forniscono ancora i modelli dell’esperienza
estetica.
Il fascino che l’arte dei greci esercita su di noi non è in contraddizione con lo stato sociale poco avanzato in cui maturò. Non c’è una aspirazione in Marx a un ritorno a condizioni di vita che non sono più le nostre - ma c’è il riconoscimento che le produzioni artistiche dell’arte del passato affascinano ancora. La bellezza dell’arte raggiunta da una società in generale non ha nulla a che fare con le condizioni materiali (struttura) della società. Questa idea è irrealistica: l’uomo contemporaneo vive in condizioni completamente diverse che non possono essere superate con un ritorno al passato.
In Marx c’è un atteggiamento ambiguo di fronte all’esperienza artistica: l’arte può servire a prendere coscienza dello stato di alienazione dell’uomo contemporaneo, ma d’altro lato rischia di rivelarsi utopica perché tale da offrire una sorta di ingannevole sostituto di una vera esperienza di miglioramento delle proprie condizioni (rifugio nel regno della fantasia).
Se per l’ortodossia marxista è positiva solo l’arte funzionale alla propaganda comunista - il comunismo occidentale invece si concentra sul valore utopico dell’opera d’arte, che prefigura una società senza classi.
Marxismo ortodosso: la realtà comunista, di una società senza classi, è quella che si sta costruendo nello stato sovietico. Marxismo occidentale: una realtà priva di ingiustizie è un’utopia ancora da realizzare, e il valore dell’arte sta nella capacità di esercitare queste dimensioni che ancora intrappolano la società contemporanea.
Ha avuto un’evoluzione verso posizioni più ortodosse.
Si rifà a Marx nel sostenere l’autonomia del fare artistico, per cui l’arte non segue in maniera meccanicamente causale gli stadi del progresso economico - non è necessario secondo Lukacs che una società più evoluta socialmente possieda anche una cultura artistica più progredita.
La nozione messa in primo piano da Lukacs nella maturità è quella di
rispecchiamento (mimesis).
Secondo Lukacs questo è il momento essenziale della produzione
artistica, in una prospettiva realista: l’arte
riproduce il particolare attraverso la presa di posizione
dell’artista, che consente al fruitore di cogliere aspetti
della realtà storica. Il particolare non viene copiato nella sua
individualità, ma viene tipizzato. L’opera, scrive Lukacs,
è una riproduzione della vita in cui gli uomini trovano se
stessi spiegati in un modo illuminante che non si può avere nella vita
stessa.
Qui Lukacs si contrappone, come altri filosofi marxisti, alle avanguardie, che vengono intese come prodotto estremo decadente. Altri filosofi meno legati all’ortodossia vedranno nelle avanguardie - per la loro capacità di lavorare espressivamente sugli effetti formali - di essere capaci di contrapporsi alla società esistente in maniera efficace negando l’autenticità della realtà.
Se quindi Lukacs sostiene che l’arte sia una riproduzione
della realtà che non ha l’obiettivo irrealistico e inutile di fornire
una imitazione delle singole particolarità individuale, ma quello di
offrire una tipizzazione degli aspetti salienti della
realtà, altri sosterranno che l’arte debba esercitare una
funzione diversa, quella di contrapporsi all’esistente.
Secondo Lukacs le espressioni artistiche più riuscite sono quelle di
Shakespeare, Goethe, Balzac - viene riconosciuto uno sforzo
appassionto per il conseguimento di una riproduzione vera e integrale di
essa.
L’arte non deve cadere nell’arte astratta, colpevole di irrazionalismo, di fuggire dalla realtà. Ma secondo una certa concezione della fotografia l’arte non è una copia fotografica ma offre al fruitore delle tipizzazioni che gli fanno comprendere la realtà.
Nella sua ultima opera, La distruzione della ragione, critica il pensiero borghese in autori come Schopenauer, Nietzsche, Kierkegaard, sostenitori di un radicale irrazionalismo nichilista.
Autore di due diversi volumi:
In questi testi si valorizza la dimensione utopica
dell’arte -l’arte come capace di dire ciò che non è ancora -
che ci permette di fare esperienza di una realtà più autentica
dell’esistente. Bloch insiste su questa dimensione utopica.
Il significato che ci presenta l’arte non deriva da una rappresentazione
della realtà, ma la presentazione di una realtà che non è
ancora - Bloch lavora sul concetto di non ancora -
noch nicht. La dimensione utopica emerge dal carattere di
oltrepassamento del qui e ora.
Il problema è posto dall’impossibilità di mediare tra l’estetica
tradizionale e il funzionamento tecnologico della società industriale -
come si possono conciliare arte e vita?
Lo si può fare indagando le proprietà estetiche specifiche dei
vari mezzi di produzione.
Bloch considera cioè un merito dell’avanguardia espressivista di
liberarsi dalla raffigurazione realista, alla ricerca
di espressioni artistiche diverse, capaci di esplorare anche le nuove
tecnologie. Il cinema espressionista e i movimenti del
Bauhaus (artisti e designer), autori come Klee,
Molinaghi, Omer Ray, Russolo (intona rumori) - macchina capace di
produrre rumori.
Attraverso le nuove possibilità espressive date dalla
tecnologia è possibile conciliare la dimensione
estetica e la funzionalità tecnica industriale - uno dei meriti
delle avanguardie storiche.
Attraverso questa specificità dei nuovi media è possibile mostrare il potenziale utopico dell’arte, che Bloch sempre più lega al riconoscimento del valore socialmente rivoluzionario dell’arte stessa.
Vattimo su Lukacs e Bloch: mentre Lukacs interpreta l’irrazionalismo filosofico come espressione di una decadenza del capitalismo, il pensiero utopico vuole arricchire il marxismo di contenuti etici e umanistici.
Quindi lo stesso orientamento (marxista) può avere esiti anche molto diversi e contrastanti: questo perché si guarda alla realtà in modi diversi - Lukacs guarda alla capacità di rappresentare la realtà, nel senso di una tipizzazione, mentre Bloch mette in evidenza invece le capacità espressive dell’arte, capace di esplorare i nuovi media a livello formale e cioè capaci di rispondere alle esigenze del mondo contemporaneo.
Il saggio L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica (1936) è dello stesso anno di L’origine dell’opera d’arte.
La possibilità tecnica della riproducibilità dell’opera d’arte comporta una perdita dell’aura - quell’atmosfera che circonda l’opera d’arte. L’aura caratterizza l’opera d’arte in quanto unica e in quanto dotata di una dimensione culturale che fa sì che si provi un certo rispetto e riverenza rispetto all’opera.
Aura è l’apparizione di una lontananza, per quanto vicina possa essere. Ha una dimensione sacrale che ci fa apparire l’opera come distante, non dominabile. L’arte dall’invenzione della fotografia l’arte ha perduto questo valore magico-religioso, un’esperienza in cui il singolo individuo si trova di fronte all’opera d’arte, nel suo rivolgersi alle masse come prodotto riproducibile.
L’arte diventa cioè esperibile non solo dall’individuo, ma anche dalle masse. Sono offerte infinite copie - l’opera viene fruita attraverso le copie piuttosto che attraverso l’originale. L’esperienza a tu per tu con l’opera d’arte oggi è preliminarmente mediata da riproduzioni di diverso tipo, facilmente disponibili.
Sono anche disponibili nuove forme d’arte, la
fotografia e il cinema, in cui
produzione e riproduzione coincidono.
La fruizione di queste opere una fruizione
distratta, non più contemplativa ma
occasionale; non comporta più una sospensione della temporalità
quotidiana, ma si tratta piuttosto di una fruizione diversa e distratta
che perde quella dimensione di riverenza e rispetto che
l’aura comportava per le opere del passato. La percezione stessa degli
individui cambia in questo contesto. Prevale un’esperienza discontinua
tipica delle società delle macchine, tipica dell’esperienza caotica che
la maggioranza vive. La fruizione ha diverse
analogie con la tecnica cinematografica, che racchiude
in sé tutti i problemi della filosofia contemporanea. Pensiamo al modo
che ha il cinema attraverso il montaggio di disarticolare i
rapporti temporali e causali, e rendendo possibile una
narrazione basata sull’esaltazione della possibilità di colpire lo
spettatore attraverso quella che Benjamin chiama una esperienza
di shock. C’è quindi un vero e proprio cambiamento
della percezione dovuto ai nuovi media.
Possiamo sottolineare la capacità di Benjamin di cogliere un fatto fondamentale di tecnologie successive, che hanno approfondito ampliato alcuni effetti della veridicità della sua diagnosi. L’esperienza dell’essere umano e la fruizione dell’arte è cambiata moltissimo grazie alle nuove tecnologie. Un esempio che possiamo fare, al di là della fotografia e del cinema, è la musica - produciamo e ascoltiamo musica con procedimenti tecnologici introdotti tra l’800 e il ’900. Oggi cioè ascoltiamo la musica con la mediazione della tecnologia - non c’è bisogno di trovarsi dinanzi a un musicista che suona. Il tipo di esperienza e il valore di questa pratica cambia radicalmente - se prima il fatto di partecipare a un’esperienza musicale comportava un certo tipo di fruizione, non sempre concentrata sullo sviluppo musicale ma anche distratta - per esempio nell’opera lirica. C’è una differenza però tra questo tipo di distrazione e la distrazione che riguarda il consumo della musica con media digitali. La possibilità infinita di musica che abbiamo oggi comporta una diversa esperienza - con questa diversità occorre fare i conti.
La riproducibilità tecnica comporta un cambiamento dell’esperienza artistica di cui occorre tenere conto. Si abbandona una certa dimensione rituale propria dell’esperienza del passato, e un altro tipo.
Certamente questi cambiamenti dovuti alle nuove pratiche artistiche
comportano anche un diverso valore attribuito all’arte.
La teoria dell’“arte per l’arte” è una sorta di
teologia, l’arte viene considerata come avulsa
dal tuo contesto e non dotata di significati concreti - con un
valore solo estetico che non ha nè il compito nè il
potere di farci capire la realtà. Questa ideologia dell’arte per l’arte
va intesa come reazione alle nuove possibilità di
rappresentare, di raffigurare la realtà che si danno attraverso la
fotografia. Anche questo culto della bellezza è diverso rispetto
all’arte auratica - una sorta di conseguenza delle nuove
possibilità di rappresentazione della realtà offerta dalle nuove
tecnologie.
Di queste reazioni Benjamin vuole anche tenere conto a livello
politico; a differenza di Adorno, Benjamin è critico rispetto a queste
nuove possibilità tecnologiche - ma ne riconosce le capacità
emancipative e democratiche - la possibilità democratica di
concepire l’arte in nuovi modi. La perdita dell’aura non è
soltanto un fenomeno negativo, quindi. Bisogna cercare di
comprendere le articolazioni di un fenomeno che è accaduto.
Il fatto che l’opera d’arte grazie alla riproducibilità sia emancipata
dal suo rapporto parassitario con il rituale non è qualcosa che va
giudicato solo in termini negativi. Bisogna riconoscere che l’opera
d’arte è sempre più predisposta alla sua sua riproducibilità: ma questo
non è soltanto un fenomeno negativo.
Occorre rendersi conto che c’è un cambiamento di collocazione dell’arte - in quanto prima era fondata su un criterio di riproducibilità, ora essa si fonda su un’altra prassi, la politica - perché ora è a disposizione delle masse, non è più solo un fenomeno aristocratico. Non si tratta soltanto di avere un atteggiamento di nostalgia per qualcosa che si è perduto, ma anche riconoscere il valore positivo della diffusione dell’arte - avendo le possibilità e le risorse per una fruizione democratica dell’arte. All’estetizzazione della politica (in senso fascista) - che assolutizza i suoi valori si risponde con una politicizzazione dell’arte.
Cos’è l’aura? L’aura è una “atmosfera” che caratterizza l’opera d’arte nella sua unicità e nel rapporto con il singolo fruitore. È l’apparizione di una lontananza che ha una dimensione sacra per l’individuo. Con l’introduzione della fotografia l’aura si è perduta in nome di una riproducibilità che espone il prodotto artistico alla fruizione di massa.
Cosa ha prodotto la perdita dell’aura nella fotografia e nel cinema? La fruizione di massa dell’opera d’arte è distratta, occasionale e non contemplativa. La fotografia e il cinema sono i due esempi eminenti di questa dinamica. In particolare il cinema disarticola i rapporti temporali e causali della narrazione, causando una cambiamento nella percezione che è scioccante. Tuttavia, alle innovazioni tecnologiche viene riconosciuta anche una capacità emancipativa, che porta ad una liberazione dell’arte declinata in senso politico.
Musicologo, sociologo. Il suo metodo filosofico è un metodo dialettico, correggendo l’andamento positivo di Hegel - è un hegelismo senza conciliazione. La sua è una dialettica negativa come nel libro Dialettica Negativa (1966).
La dialettica negativa riconosce che è l’elemento materiale e
aconcettuale a costituire nella sua irriducibilità il il cuore della
realtà e del divenire. C’è una natura antisistematica nel suo
programma - la sua opera è scritta in uno stile frammentario e
antisistematico, che fa uso della paratassi.
Gli irrazionalisti Kierkegaard, Schopenauer e
soprattutto Nietzsche vengono recuperati per aprire uno
spazio di libertà in un sistema chiuso.
La filosofia dunque non può e non deve riprodurre il gergo rassicurante della realtà falsamente conciliata - retorica che riproduce l’ideologia - ma deve riprodurre nella propria espressione linguistica la negatività, la dissonanza, in modo da rendere conto del modo in cui il reale e il razionale non coincidono. Adorno riprende il metodo hegeliano, senza però sposare la tesi hegeliana della conciliazione. Si tratta dar voce alla vita offesa per rivelare le crepe, le falle, le incrinature della realtà, opponendosi all’idea che l’arte debba rispecchiare logicamente la struttura economica.
Teoria estetica (1970): l’arte critica una prassi
intesa come dominio di un brutale auto-conservarsi
dell’esistente. Questo significa che la felicità è al
di là della prassi.
Questo è importante perché viene ripresa da autori come Menke, autori
che articolano un’estetica negativa che ha la sua fondazione in Adorno.
La felicità non può darsi in una prassi dominata dalla lotta per
il potere e il compromesso - non si può scardinare la prassi in questo
modo, ma la promessa di felicità data dall’arte si si dà al di là della
prassi. L’arte riesce quando è capace di contrapporsi
alla prassi esistente.
Il problema è che nell’arte contemporanea è difficile capire cosa
sia l’arte, la natura stessa e la definizione sono messi in dubbio.
Niente di ciò che riguarda l’arte è ormai più ovvio.
Sbarazzatosi dalla sua aura, l’arte si configura oggi come
processo consolatorio. Adorno riprende la nozione di aura
rielaborandola, cioè l’arte si distacca dai fatti che dovrebbe
denunciare.
L’arte secondo Adorno si fa portatrice di una cultura affermativa, cioè
fa parte di un’industria culturale della società
capitalistica.
In Dialettica dell’illuminismo Adorno e Horkeimer fanno una critica all’industria culturale che accusa le manipolazioni delle coscienze individuali che regola tutti gli ambiti dell’esistenza. C’è una situazione in cui solo pochi sono capaci di apprezzare l’arte, mentre i più sono in una condizione di ottundimento e schiavitù. Bisogna invece criticare la prassi attraverso l’arte, andando oltre la prassi stessa - una sorta di elitismo.
Adorno considera il cinema pop come qualcosa che ha la funzione di difesa dell’esistente e di regolare e normare finanche il tempo libero. L’arte rischia di diventare solo espressione dell’ideologia, che domina l’epoca della civiltà di massa. L’humus del totalitarismo politico. L’arte come fenomeno di massa, cioè, alimenta i totalitarismi politici. Società di massa si basa sulla dimensione di godimento gastronomico o culinario del prodotto - diverso dal piacere disinteressato e aconcettuale di Kant (dettato dalla finalità senza scopo) che è tale di opporsi all’esistente; mentre il godimento della società di massa di dà nel consumo.
L’arte ha un valore conoscitivo. Il valore dell’opera consiste nella sua capacità di opporsi alle contraddizioni dell’esistente. Se l’aura con la sua autenticità, nel suo hic et nunc, nella sua irripetibilità e carattere puntuale, impedisce la completa riduzione dell’arte a merce e preserva un margine di libertà, essa può entrare in contraddizione con il tutto, con l’esistente. Queste possibilità sono già compromesse con l’ideologia dominante, quella del mondo totalmente amministrato. Si tratta di disturbare, di criticare.
Il margine di libertà viene mantenuto dal lato formale - l’arte non può dire di porsi in rottura sul piano dei contenuti, ma con la forma. In musica Adorno predilige la musica atonale, il serialismo, la musica che opera con uno scardinamento dei principi dell’armonia, connessi con un’estetica di facile consumo, per giungere a presentare una musica che manifesta la dissonanza della realtà. Privilegia Schonberg al neoclassicismo di Stravijinksy. Il Jazz viene accusato di essere artificioso, pseudodemocratico, antiemancipativo. L’improvvisazione del jazz è una falsa libertà.
Adorno manifesta un certo elitismo che viene preso di mira da alcuni critici tra cui Jauss, che sostiene che Adorno dimentichi un aspetto fondamentale dell’esperienza estetica - la sua dimensione ludica.
La ricerca di Adorno si concentra sulle avanguardie e sulla loro capacità di omologarsi al sistema - continuando a produrre esperienze che hanno il carattere dello shock, colpiscono e si oppongono a una fruibilità di tipo consumistico.
L’arte tiene aperta la possibilità di uno sguardo controluce sul mondo e di dar voce a uno sguardo individuale. L’arte ha la capacità di dar voce al non-esistente, a ciò che non è assimilabile alla falsa armonia dei rapporti sociali vigenti. Questo è ciò che fa ancora dell’arte una possibilità di disarticolazione della prassi ed emancipazione.
Non si tratta di favorire contenuti esplicitamente sociali - Brecht o Sartre - a scapito della qualità formale; altrimenti l’arte/denuncia non farebbe che tornare a essere assimilata a ciò che vorrebbe criticare. I contenuti devono agire in modo creativo sulla forma, bisogna lavorare sulle possibilità dei media. Questo è un altro aspetto in cui la teoria di Adorno si differenza dall’ermeneutica, che invece insiste molto sull’aspetto contenutistico.
Adorno insiste sul carattere di enigma dell’arte, sulla materialità,
su ciò che sfugge a un’immediata comprensione. L’arte se da un
lato è reificata, cioè asservita al sistema produttivo, può
anche emanciparsene. Gli artisti non possono lavorare se non grazie a
certi rapporti sociali, che sono rapporti economici vigenti nel sistema
capitalistico. Eppure l’arte autentica riesce a sfuggire a
questa dinamica se si presenta come enigma ed è capace di disturbare
questo suo stesso carattere di prodotto, presentandosi come non
facilmente consumabile e non facilmente integrabile in queste
logiche.
L’arte inautentica è un’arte non trasparente. L’arte autentica si
presenta come difficile da fruirsi per suscitare una interpretazione che
ha un carattere filosofico. L’arte ha bisogno di altro da sé, e non può
essere superata o integrata nella filosofia, come voleva Hegel. Gode di
una sua autonomia.
Gli aspetti sociali che determinano l’arte come fatto sociale vanno messi in luce lavorando sugli aspetti formali come fanno le avanguardie.
Adorno è un fautore delle nuove possibilità espressive dell’arte contemporanea - lui crede nello sfrangiamento dell’arte, di andare oltre i confini di una pratica artistica. L’arte autentica è considerata come una pratica per sua natura critica, include in sé una critica a se stessa.
Compito della filosofia dell’arte è eliminare una inautenticità - quella di Adorno è un’estetica normativa - l’arte autentica mira alla comunicazione di ciò che non può essere comunicabile sul piano della comunicazione concettuale. L’arte autentica è critica nel senso che rifiuta l’esistenza; è un’arte capace di liberare la forma perché nell’arte la forma rappresenta il rapporto sociale. Autori considerati emblematici sono Beckett (teatro dell’assurdo) e tutti gli autori che lavorano su un piano formale, mettendo in primo piano le possibilità del linguaggio di andare oltre una semplice comunicazione.
Adorno dimentica la dimensione ludica ed edonica dell’arte senza considerare che è possibile trovare nella dimensione del piacere anche una possibilità di emancipazione.
L’arte deve essere capace di esprimere il Grande Rifiuto - può farlo
mettendo in primo piano la dimensione formale e nella dimensione
del gioco. Qui riprende Schiller.
Si deve recuperare una dimensione del gioco e della fantasia, che si
contrappone alla realtà stessa offrendo uno spazio di libertà.
C’è in Marcuse una più evidente sottolineatura del carattere
emancipativo dell’arte qualora essa sia capace di esprimersi
come forma ludica.
Per Gadamer il gioco gioca i giocatori.
Il primo capitolo de L’Attualità del bello è dedicato a tre concetti.
Sono tre concetti che incontriamo anche in Verità e Metodo. Non solo il gioco gioca i giocatori, ma è anche un rappresentare per qualcuno - e su ciò si fonda il carattere ludico dell’arte.
Il gioco diventa arte quando avviene la trasmutazione in
forma, quando il gioco viene a condensarsi, a ordinarsi
in una forma - acquisendo una consistenza
rappresentazionale. La trasmutazione in forma comporta una
mutazione per cui il gioco che deve coinvolgere giocatori e
pubblico viene trasfigurato, diventando opera - acquisendo cioè
una consistenza ontologica che - sottolinea Gadamer - è una
trasmutazione nella verità. Quando il gioco acquisisce questa
consistenza acquisisce un essere diverso a cui c’è anche una
dimensione veritativa.
L’opera acquisisce una dimensione di significato che è qualcosa di più
del gioco. Il mondo dell’opera d’arte è un mondo completamente
trasfigurato - davanti ad esso ognuno riconosce che è proprio
così.
L’opera d’arte acquisisce una dimensione di significato ed è capace di comunicare una verità. Il gioco è la base ontologica dell’opera d’arte. Il gioco acquisisce una capacità di rappresentare - dischiudere un mondo; l’opera è un mondo perché il mondo è nell’opera.
Il rappresentato è presente - l’arte è capace di rendere presente ciò che rappresenta. L’arte ha una capacità di configurare senso nella rappresentazione - che presenta il rappresentato. La dinamica per cui la rappresentazione è in grado di produrre conoscenza è quella del riconoscimento: la capacità di riconoscere ciò che viene rappresentato, che produce il piacere della conoscenza reso possibile dall’arte. Il piacere del riconoscimento consiste nel fatto che nella rappresentazione prodotta dall’opera si conosce più di quanto si conosceva prima - c’è un aumento d’essere (Zuwachs am sein).
L’esperienza estetica può essere intesa nei termini di un
gioco, sia per chi lo crea sia per i fruitori, che sono
chiamati a un gioco che è un gioco interpretativo.
C’è un interplay tra l’opera d’arte e gli spettatori - questo
vale anche per Bertram.
Leggere non è solo sillabare, ma compiere un movimento
ermeneutico guidato dall’attesa del senso del tutto - che si dà
nell’attuazione del senso a partire dal
particolare.
Il messaggio dell’opera rimane con un margine di indeterminatezza,
piuttosto l’opera desta l’attesa di un contenuto di senso che il
fruitore è chiamato ad articolare. Non dobbiamo ricercare nell’opera un
significato inteso dall’idea che il significato risiede prima nella
mente dell’autore, e successivamente realizzato. Secondo Gadamer c’è un
salto tra il programmare, il progettare e la realizzazione. L’opera
realizzata eccede i progetti dell’artista.
Opera d’arte è anche accrescimento di essere che si realizza
anche al di là delle intenzioni dell’artista. Non bisogna
contrapporre arte astratta e arte rappresentazionale - piuttosto la
funzione dell’arte è riscrivere un senso, anche quando si
tratta di arte astratta.
La coscienza estetica non è separata dall’opera, perché l’opera non è oggetto, è esperienza. C’è questo rapporto per cui il fruitore è elemento fondamentale del compimento del gioco dell’opera d’arte, nella sua dimensione di forma, che si realizza nel processo d’interpretazione.
In questo quadro si può sostenere che le arti
performative abbiamo un valore paradigmatico -
richiedono un’interpretazione performativa senza la quale
l’opera non si realizza. La musica ha bisogno di un musicista
che la realizza. Per questo Gadamer critica le interpretazioni
storicistiche che vogliono interpretare le opere ad esempio musicali con
gli strumenti dell’epica - queste interpretazioni avrebbero il difetto
di isolare il proprio presente pensando di poter presentare la storia
come un fatto. Gadamer invece intende il rapporto con l’opera come
un’operazione di mediazione la fusione degli
orizzonti.
La fruizione appartiene all’opera in quanto appartiene alla sua
storia di effetti.
Per spiegare la contemporaneità che si genera tra l’opera e il fruitore attraverso l’esperienza estetica Gadamer introduce il concetto di festa, attraverso cui riusciamo a definire la specifica attualità dell’esperienza estetica.
La festa si realizza a ripetizione, la ricorrenza,
che ha carattere regolare. La festa è tale perché viene celebrata. La
festa non è astrattamente, esiste se viene celebrata e partecipata da
chi la celebra. Questa celebrazione ha un carattere
ricorrente.
Nella festa c’è una sorta di ripetizione sui generis: il
presente riafferma se stesso attraverso il mutamento.
L’essenza originaria della festa è sempre diversa - è un ente che è
solo in quanto culturalmente diverso e più temporale - ha il suo essere
nel divenire e nel ricorrere. Il tempo trascorre ma c’è una
ripetizione attraverso il cambiamento.
Questa temporalità è diversa dalla simultaneità estetica criticata da
Kierkegaard. C’è la struttura quindi della ricorrenza, che può essere
intesa assieme alla nozione di ritmo - una ripetizione
di pattern che costituiscono una forma, un’articolazione spaziale o
temporale di un fenomeno.
Gadamer sostiene che questa è anche la temporalità propria della
tradizione. La tradizione si rigenera a vivere in ogni sua
trasformazione.
Le emozioni di paura e timore avvengono nello spettatore: Gadamer fa quest’esempio per parlare del carattere centrale che nell’essere dell’opera d’arte l’esperienza del fruitore.
Passo in avanti in questa discussione è fornito nella disamina che Gadamer fa del concetto di immagine - ancora oggi molto presenti nel dibattito sulla svolta iconica - studi legati alla teoria dell’immagine.
L’intento di Gadamer è mostrare come funziona l’esperienza estetica, con l’accento posto sulla dimensione dell’immagine e del rapporto tra originale e immagine.
Secondo una concezione dell’immagine che Gadamer critica - l’immagine sarebbe la copia di un’originale, di un essere che sta al di là di un’immagine. L’essere è ciò di cui l’immagine è la copia; l’immagine sarebbe passiva, secondaria e dipendente rispetto all’essere.
In realtà non è vero che abbiamo un’immagine che copia l’originale, ma piuttosto il rappresentato si realizza precisamente nella rappresentazione - e Gadamer afferma il primato ontologico delle arti transeunti, cioè performative - che appunto il modello si realizza come tale. Bisogna intendere l’ontologia dell’immagine in altri termini rispetto a quelli che spiegano l’immagine come copia di un modello - l’immagine sarebbe destinata a sopprimersi come ente indipendente e servirebbe soltanto a rappresentare l’essere, scomparendo di fronte all’essere che non si è percepito nell’immagine.
Il punto fondamentale di Gadamer è invece che un’immagine non ha la sua essenza e si sopprime; questo perché non è un mezzo in vista di un fine; es. un quadro non esaurisce il suo senso nel rimando a qualcosa di esterno, ma rimanda a qualcosa, a una funzione - tipo segnali stradali. La rappresentazione è essenzialmente legata al rappresentato. È l’immagine del rappresentato che si mostra nella rappresentazione. L’immagine dice qualcosa di più l’originale, è un aumento di essere. La rappresentazione resta legata in un senso essenziale all’originale, ma è “di più.”
Questo è simile alla mimesis di cui parlava Lukacs. Non c’è un rapporto a senso unico tra immagine e originale - l’originale può presentarsi come tale solo come immagine. Non ha bisogno proprio di questa rappresentazione per manifestarsi - può essere anche in modo diverso. Quando si presenta in qualche modo, ciò appartiene al suo essere. Nella rappresentazione c’è un aumento di essere, il contenuto dell’immagine è percepito come emanazione di un originale.
È solo attraverso l’immagine che l’immagine Bild diventa Urbild, cioè modello. Bild ha a che fare con l’inglese to be, il figurare - in un’accezione di tipo attivo, costruttivo. Il contenuto non può essere esterno all’immagine, ma è proprio la sua essenza.
L’estetica di Platone studiata da Schelling e tutti i romantici. Quando parliamo di essere e parvenza, sicuramente il riferimento è platonico, ma soprattutto kantiano. In Schopenauer e Nietzsche queste due tradizioni semantiche vengono a confluire. Schopenauer si riferisce infatti a Platone.
Anche Nietzsche afferma che il mondo vero e il mondo falso non possono più essere distinti. Nietzsche si sta riferendo sicuramente al rovesciamento del platonismo, ma anche sulla base del discorso kantiano.
p.94-95 attualità del bello nel capitolo arte e imitazione, Gadamer si riferisce ad Aristotele e la critica platonica alle arti. Viene sostenuta la tesi di Aristotele per cui l’essere umano fa esperienza del mondo attraverso la pratica imitativa con cui apprende.
I significati della parola fenomeno nelle varie teorie cambiano:
Esthetik der Arschein di Seel
Ha a che fare con l’esecuzione, la rappresentazione di un’opera. Esecuzione di un’opera in una specifica circostanza è un evento costituisce il senso dell’opera, che accade. La musica ad esempio accade, avviene, nasce sempre in una specifica situazione. L’opera stessa in condizioni diverse si presenta in modo diverso. L’opera si realizza attraverso le sue diverse esecuzioni ed esperienze.
Segue una parte legata alla letteratura - Gadamer insiste sul tema dell’attuazione del senso della letteratura da parte del lettore; un tema che poi anche altri autori tra cui Umberto Eco e che sarà molto discusso negli ultimi 30 anni del secolo scorso.
Il punto di Gadamer è che il senso l’opera letteraria viene attuato dalla capacità del lettore di collegare l’opera al suo contesto.
La mia presentazione su un testo di Martin Seel: qui
presentazioni
presentazioni
Wirkungsgeschichte
Bisogna dare una spiegazione normativa e non descrittiva dell’arte come fatto sociale.
Svolta pratica alla tradizione idealistica: bisogna considerare il contributo dell’arte in relazione alla prassi umana.
Vizio metodologico di alcune teorie: paradigma dell’autonomia si pretende di identificare il valore dell’arte con la sua differenza dalle altre pratiche della vita umana.
Orientamento oggettualistico del modello autonomistico non riconosce a sufficienza il ruolo del contesto delle pratiche di ricezione dell’opera.
La prassi storico-culturale dell’opera è essenziale per comprendere l’arte come non isolata dalle altre pratiche;
l’arte va cioè concepita come interazione di pratiche.
Così l’opera d’arte si può costituire come oggetto dinamico che determina la propria rilevanza estetica.
Considerata in continuità/contrapposizione alle altre pratiche, l’arte si rivela come prassi di libertà, cioè nell’esperienza dell’arte si articola l’autodeterminazione dell’essere umano.
I fruitori giudicano il valore delle opere rispetto al loro contributo alla prassi umana rispetto al loro contributo alla prassi umana.
Wirkungsgeschichte: la formazione dell’opera è un processo plurale che implica una reciproca integrazione di fruizione e produzione.
L’esperienza estetica è iscritta in una dinamica interattiva che coinvolge produttori e fruitori.
Bertram realizza una sintesi:
L’autoreferenzialità dell’arte è una forma specifica di prassi riflessiva.