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Lezione: lunedì 15 aprile

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heidegger saggio sull’origine dell’opera d’arte

gadamer autore centrale di questo corso. prima di tutto verità e metodo, il problema della verità a partire dall’esperienza dell’arte (trad. Vattimo) ermeneutica filosofica

ricevimento martedì 15 scrivere mail per appuntamento

Che cos’è l’estetica.

La disciplina filosofica che ha preso il nome di estetica è recente, il termine estetique viene coniato da Alexander Baumbgartner, un filosofo leibniziano nel 1750, come titolo di un suo trattato.

Estetica: aspetto della conoscenza che ha a che fare con l’uso dei sensi.

Secondo Baumgartner, l’estetica riguarda la conoscenza dei sensi, riguarda la conoscenza attraverso i sensi - quindi non solo la sensazione diretta, ma anche la memoria, l’immaginazione… ed è anche quella disciplina che riguarda il bello e la bellezza come la spiegazione della conoscenza sensibile. Per Baumbgartner la bellezza è la perfezione della conoscenza.
Baumgartner lega l’estetica alla logica, due attività conoscitive di cui la prima è rivolta al sensibile, la seconda al concettuale.

I termini legati al sentire sono ambigui. Il sentire può essere sia la sensazione sia il sentimento; l’estetica ha a che fare con entrambe queste dimensioni. Kant ha sciolto l’ambiguità parlando di Gefuhl (sensibile, ma anche toccabile) per quanto riguarda il sentimento ed Empfindung (sensazione) e Sinnlichkeit (sensibilità). Sinn- in generale di per sé singifica sia senso, sia direzione, sia sensazione. In ogni caso l’estetica si occupa di entrambe le cose, sensazione e sentimento.
Tra il ’600 e il ’700 si diffonde l’idea per cui l’estetica ha a che fare con un ambito che non può essere ricondotta alle sensazioni, ma ad una particolare dimensione dell’esperienza soggettiva, un qualcosa diciamo di ineffabile.


Da ‘Dizionario di Estetica’, Garchia e D’Angelo, Laterza

All’inizio l’autore parla di una ‘grande teoria’ per cui la bellezza ha a che fare con l’ordine, la simmetria, l’armonia… Se intendiamo la bellezza in questi termini sarebbe possibile fornire delle regole per la produzione della bellezza. A questa regola dogmatica per cui si cerca di identificare il quid di che cosa è bello, si passa ad una analisi delle condizioni per cui l’esperienza diventa bella; non si possono cioè stabilire criteri oggettivi di ciò che è il bello, ma si può riflettere sulle condizioni a partire dalle quali qualcosa che viene esperito può essere giudicato in un certo modo. Questo a partire da Kant.

Gianni Carchia insiste sul rapporto tra estetica e conoscenza (e dimensione emotiva?)


La seguente articolazione è dovuta a D’angelo, Tre modi più uno di intendere l’estetica.

Estetica come disciplina può essere classificata come:

Estetica come disciplina: scienza della conoscenza sensibile

Cartesio Leibniz

Alexander Baumgartner: Leibniz considera che non ci sia una totale contrapposizione tra idee chiare e distinte ed idee oscure: a partire da ciò Baumgartner considera l’estetica come qualcosa che a che fare con idee chiare e confuse.

Kant: estetica come teoria della forme della sensibilità (I parte della Ragion Pura) - spazio e tempo come condizioni a priori della conoscenza sensibile.

Estetica come disciplina: teoria del bello

Teoria del bello, del giudizio di gusto sul bello. Nella Critica del Giudizio Kant si crede quali sono le condizioni della validità del giudizio di gusto.

Estetica come disciplina: filosofia dell’arte

Hegel: tratta della bellezza artistica come dell’apparire sensibile dell’idea.

Per Hegel l’arte è un’esperienza conoscitiva, un’“esperienza in cui si fa esperienza” del mondo e di noi stessi.

Estetica come disciplina:

Dewey (pragmatismo L’arte come esperienza: qualsiasi esperienza è un’esperienza a qualche titolo estetica) e altri. L’esperienza estetica ha che fare con un particolare tipo di esperienza, che è l’esperienza riuscita. Problema della differenza estetica: c’è veramente un’esperienza che può essere definita estetica, o si tratta solo di una differenza di grado? E cosa intendiamo con esperienza? Bisogna capire quali sono i caratteri specifici dell’esperienza estetica, e se la sua specificità è qualitativa.

Posizione kantiana: l’estetica ha un campo di esperienza particolare, cioè si rivolge a determinati ambiti dell’esperienza.


Cosa NON è l’estetica

omnis determinatio negatio est, come dice Spinoza:)

LUI SCRIVE SU UNA WEBZINE DOVE RECENSISCE DISCHI DI MUSICA SPERIMENTALE: KATHODIK

Lui si occupa tra le altre cose del legame tra gusto ed abitudini, considerando che il gusto dà luogo a delle abitudini.

Nascita dell’estetica.

Nel medioevo abbiamo la divisione delle arti tra trivio e quadrivio.
La nascita dell’estetica è contemporanea alla nascita dell’arte come ambito autonomo per così dire. Non si pensava l’arte come una pratica organizzata da regole.

Nel ’700 si è fatta sempre più posto l’idea che le arti potessero essere ricondotte a un gruppo omogeneo di attività, di pratiche.

Le belli arti ricondotte a un unico principio di Charles Batteaux (1746); in cui le arti vengono suddivise in base ai fini che si propongono:

Questo discorso sul cosiddetto sistema delle belle arti va avanti ancora adesso! Il problema è il seguente: che se il concetto di arte è una acquisizione umana recente, come possiamo parlare di arte del passato, per esempio le pitture rupestri sono arte?

Problema della musealizzazione: la roba presa e messa in un museo, che funzione svolge fuori dal suo contesto?

In questo dibattito sono presenti Gadamer, Dewey. Quando l’opera viene memssa in un museo cambia il nostro rapporto con l’opera. C’è una estetizzazione dell’arte, che indebolirebbe in qualche modo la funzione dell’arte.


Orientamenti

Insomma, da Kant si forma un concetto unitario di arte che comprende diverse pratiche: dopo Kant, l’estetica diventa esclusivamente filosofia dell’arte; così poi in Schelling, Hegel, e quasi tutta la tradizione otto-novecentesca.

Peter Szondi: Dopo il 1800 ‘estetica’ è il nome di una scienza che non ha più il significato indicato dal suo nome.

Hegel è il protagonista principale della concezione dell’estetica come filosofia dell’arte.

Allgemeine Kunstwissenschaft: Max Dessoir, Emil Utitz.

Nel ’700 e nell’800 si allarga la nozione di bellezza (pluralizzazione dei concetti estetici - il bello viene storicizzato)

Nelle avanguardie la bellezza addirittura il bello sparisce! Nel panorama contemporaneo c’è invece un rinnovato interesse per il concetto del bello.

Lezione 02: martedì 16 aprile - Kant

Se fosse stato un corso di estetica francese, avremmo parlato di Nietzsche. Questo corso però è incentrato su Gadamer.

Critica ragion pura (1781)

Estetica trascendentale è quella che riguarda le condizioni di possibilità dell’esperienza sensibile. Per parlare del bello e dell’arte è preferibile ricorrere a una nozione diversa da quella di estetica.

Critica ragion pratica

Libertà è l’unico fatto della ragione, va al di là del principio di causa efficiente, l’uomo è libero nella misura in cui può decidere delle proprie azioni.

Critica del giudizio

L’estetica in filosofia è la critica del giudizio di gusto. Obiettivo di questa critica è trovare un ponte fra il punto di vista della ragion pura e quello della ragion pura.

In questo testo Kant vuole connette le due sfere, quella della natura e quella della libertà.
Kant si discosta dal Leibniziano Baumgartner e considera la facoltà di giudicare come la facoltà intermedia tra le facoltà superiori dell’animo umano.

Obiettivo di Kant è evitare l’empirismo con le sue conseguenze scettiche e il razionalismo con le sue conseguenze dogmatiche.

Secondo l’empirismo (Hume) la valutazione estetica dipende dal sentimento provato dal singolo. Il criterio del gusto è dato dalla comunità degli esperti - si tratta di un principio relativista in quanto i criteri di giudizio di gusto derivano completamente dall’esperienza. Non c’è un bello oggettivo, ma la bellezza indica una conformità o relazione tra oggetto e organi. . In questa prospettiva, il bello coincide con il buono, cioè con l’utile. L’empirismo ha una posizione relativistica e con esiti scettici dell’esperienza estetica. Non si può fondare l’esperienza estetica con un principio che non sia l’esperienza empirica.

Secondo il dogmatismo (Baumgartner) l’esperienza estetica è un’esperienza conoscitiva, che si distingue dalla logica perché se quest’ultima ci presenta idee chiare e distinte la prima ci indica idee chiare e confuse.
La bellezza è la perfezione della bellezza sensibile, al quale dobbiamo riconoscere lo statuto di principio universale, principio di ordine conoscitivo.

Per Kant entrambe le posizioni sono errate perché non riescono a trovare termine medio tra regno della natura e della libertà, perché riconducono il giudizio di gusto ad un altro tipo di giudizio.

Kant:

Kant attinge a Edmund Burke, secondo cui il giudizio di gusto pertiene al sentimento (un’inchiesta filosofica sulle nostre idee di sublime e di bello).

Altre fonti di Kant:

Kant vuole fondare una sfera dell’esperienza autonoma, che si basi su leggi autonome che non siano dipendenti da altri ambiti dell’esperienza, come quello conoscitivo o quello pratico.

L’estetica ha quindi ha a che fare con una facoltà specifica: il sentimento di piacere e dispiacere, attraverso cui un essere umano può fare esperienza della finalità. Nella Critica della Ragion pura questa era inconoscibile, nella sfera estetica questa si realizza in modo diverso dai termini della Ragion Pura. La bellezza nella Ragione pratica è simbolo della moralità. La facoltà non è inquadrata nella deliberazione tra un mezzo e uno scopo, ma nell’ottica del rapporto tra un singolo e una totalità [Cassirer].

Ad esempio una melodia: ha un senso anche se non ha un significato, in virtù della sua organizzazione interna. Questa organizzazione di senso viene chiamata da Kant finalità.

Questa distinzione passa dalla distinzione tra giudizio determinante e giudizio riflettente.
La facoltà di conoscere è il giudizio, ma Kant fa una distinzione molto importante - ci viene in mente subito un certo atto della conoscenza. Il giudizio può essere articolato in due modi:

  1. il giudizio conoscitivo (giudizio determinante) (oggettivo)
  2. un giudizio di altro tipo (giudizio riflettente)

Secondo Kant, pensare significa giudicare.

Il giudizio determinante muove da concetti dati, da forme a priori universali (le categorie), dai cui poi vengono determinati i caratteri degli oggetti dell’esperienza.
Es. Il tavolo è marrone perché abbiamo una certa rappresentazione che viene sussunta sotto un certo concetto, quello di tavolo.
Così funziona la conoscenza: abbiamo già l’universale, e inquadriamo gli oggetti dell’esperienza già dati secondo questi concetti.

Al contrario il giudizio riflettente non determina una caratteristica della cosa rappresentata, ma rivela un sentimento di appagamento che il soggetto prova a partire dall’oggetto.


Kant aveva espunto la finalità dal novero delle categorie aristoteliche, perché la conoscenza è al di là dell’esperienza e non possiamo fare esperienza della finalità. Ma il principio di finalità in questo caso viene ricercato a partire dal particolare.

Il mondo della conoscenza, della natura, è antifinalistico e qui si applica il giudizio determinante. Il giudizio riflettente mette in moto una riflessione sul particolare in relazione al sentimento che suscita nel soggetto; si percepisce quindi una finalità nell’oggetto. Questa può essere colta:

Ma il giudizio teleologico ha uno scopo euristico.

Se nel giudizio estetico si stabilisce un rapporto di concordanza tra soggetto e rappresentazione, nel giudizio teleologico la finalità è pensata concettualmente (ad esempio la qualità di un essere naturale che non pare sufficientemente spiegata da rapporti tra causa effetto.
Es. quando riflettiamo che la funzione dell’occhio è la vista (che la sua finalità è vedere)

Noi ci occupiamo solo del giudizio estetico (la cirti quando si vuole riconnettere il giudizio alla filosofia della natura.

Giudizio estetico

Il giudizio è conoscitivo: mettiamo insieme soggetti e predicati

Es. “Questa rosa è bella” ha la forma di un giudizio conoscitivo, ma è un giudizio riflettente in quanto rispecchia il sentimento di piacere di chi lo afferma.

Intelletto e determinazioni sono in un rapporto “di libero gioco”, nel rapporto tra soggetto e oggetto bello del giudizio riflettente.

Il bello si distingue al piacevole - piacevole è ciò che piace ai sensi. Es. il piacere dei sensi è un piacere privato che non può essere condiviso, si può solo provare da soli.
Il piacere estetico della bellezza invece ha a che fare con qualcosa che può essere condiviso, è richiamato dalla forma dell’oggetto ed è qualcosa di più universalizzabile.

Il bello ha quattro definizioni:

Il senso comune e la condivisione del bello

Il bello è un sentimento. Il giudizio estetico deve la sua esistenza al “libero gioco” delle facoltà di immaginazione e intelletto: una “regolarità senza leggi”. Un’armonia tra il soggetto e la rappresentazione che non è una proprietà della cosa ma un sentire del soggetto che necessità di universalizzazione. Ma l’università del gusto è fondata sulla possibilità di condividere questo sentimento (senso comune).

Bellezza libera e bellezza aderente

Il sublime

Oltre al bello, c’è un altro tipo di sentimento estetico: il sublime. Mentre il bello ha a che fare con l’armonia delle concezioni estetiche, il sublime si verifica in seguito al riconoscimento di una disarmonia, di un contrasto. Il contrasto è sempre tra immaginazione e ragione. Il sublime è anch’esso uno stato d’animo, e non una qualità dell’oggetto. Si dà quando facciamo esperienza della piccolezza (sublime matematico) o della impotenza (sublime dinamico) di un essere umano e la potenza di un evento

“Il piacere pel sublime è perciò soltanto negativo mentre quelle del bello è positivo”.

L’arte e il genio

Kant propone la sua teoria artistica. Riconduce alcune pratiche (non usa questa parola ma si tratta di questo) come appartenenti alla sfera estetica.

La tesi di Kant è che le arti sono attività organizzate in base a regole che richiedono una intenzionale e servono a scopi. Kant distingue però il concetto dell’arte bella.

La natura sembra bella quando si conforma al sentimento di piacere del soggetto, quindi raggiunge il fine del piacere del soggetto; è bella quando sembra rilevare qualcosa di ‘fatto per quello scopo’.
L’arte invece secondo Kant è bella quando sembra il prodotto di un agire spontaneo, cioè “naturale”.

“L’arte è bella quando sempre natura e la natura è bella quando sembra arte”

La natura dà una regola all’arte; l’arte bella è quella del genio. Il genio non è il soggetto in particolare ma la genialità è una facoltà.

Il genio è:

Secondo Kant grazie all’arte non conosciamo il mondo meglio, o di più, ma lo possiamo comprendere diversamente, l’arte ci dà la possibilità di estendere la comprensibilità delle cose al di là di quella che è la conoscenza scientifica.

Le tesi di Kant:

Lezione 03: mercoledì 17 aprile - Goethe, Schiller, Romanticismo [Paolo Furia]

Bibliografia

Lezione sul romanticismo

Questa è una lezione in freestyle: entro in aula (ovviamente in ritardo) e mi trovo di fronte un professore diverso da quello che avevamo prima, alla fine dei suoi trent’anni. Probabilmente è un dottorando o un post-doc che sembra la versione boostata di un professore di liceo. Parla bene ed è anche un bravo oratore - ha una prosa godibile come quella di un divulgatore ma è un pochino più attento ai dettagli.
Sta facendo un pippone generico del passaggio dall’illuminismo al romanticismo. Ha le occhiaie da dottorando, è proprio uguale a uno che ha fatto una lezione così a psicodinamica. RIP si vede che se ne è studiate.

L’ordine è quello della ragione.

Con illuminismo, romanticismo e poi il tardo ottocento e il positivismo - abbiamo questo elemento comune: la fiducia di trovare la verità, fiducia che non si vede mai fino in fondo. L’idea viene prima del reale, se non ci fosse una mente, una razionalità in grado di cogliere le differenze tra i corpi, a cosa servirebbe?

Dal punto di vista idealistico è la mente da cui tutto origina, nel senso che se non ci fosse la mente il mondo sarebbe completamente privo di senso. Il soggetto si auto-fonda in questo modo.

Ma in questo modo di ragionare si prospetta una visione necessariamente dualistica; il romanticismo diventa il periodo più attento ai dualismi che strutturano l’esperienza umana: il dualismo-soggetto oggetto; il dualismo individuo-società che sta maturando grazie agli sviluppi dell’economia e del senso politico - questo diventa un nuovo dualismo da superare. Questo è comunque l’epoca di Kant - Kant prova a superarlo ma non ci riesce in qualche modo, si prospetta come un percorso infinito. Se c’è qualcosa che caratterizza la legge morale, è che non potrà mai realizzarsi fino in fondo.

La coscienza di Kant può essere assimilata a Dio: irrealizzabile, è inquadrata in una prospettiva di teologia negativa - possiamo dire ciò che non è.

Altro dualismo: ragione e sensibilità
Da Platone la ragione si carica di significati morali molto profondi - questo stacco si approfondisce ulteriormente in Kant.

Caratteristica almeno del primo romanticismo: si pongono esplicitamente il proposito di superare questi dualismi - immaginando e disegnando una dimensione nuova in cui i dualismi si risolvono in una nuova stabilità (Schlegel: nuova mitologia).

A questo punto credo sia una lezione su Hegel: la mitologia è un racconto comune che dà un senso a una comunità; l’arte è il grande vettore di questa operazione.


1798-1800 a casa di due Schlegel si sviluppa il primo romanticismo, il romanticismo storico. Erano tutti più o meno vent’anni, carichi di una nuova speranza.

Il grande vate di questa stagione, più vecchio, era Holderlin.

Ci sarà un secondo romanticismo successivo.

Altri big: Schelling. Anche lui giovanissimo. La moglie di Schlegel lo molla per andare con Schelling.


Ma si può dire solo che il romanticismo segue l’illuminismo?

1770-1830: c’è in giro un grande, uno che hai ispirato Pareyson. C’è in giro Goethe. Ha un’importanza storica clamorosa, sta venendo rivalutato di brutto. Attraverso Goethe analizziamo le due stagioni (illuminismo e romanticismo) dal punto di vista della continuità. Possiamo chiamare questa continuità l’età di Goethe.

Fino alla morte di Goethe (fine della prima metà dell’Ottocento), ha un ruolo politico importante in un’università (determina il successo di Schiller, Schelling). Parte da una profonda accettazione di un presupposto artistico dell’Illuminismo, il Neoclassico. Questo incarna alcuni valori tipi dell’antico e del classico, che si riflettono in una poetica architettonica e artistica a scopo di architettura morale e strutturazione urbanistica secondo i presupposti dell’ordine della simmetria, dell’organizzazione delle parti. Doveva suscitare un effetto di elevazione, di nobilitazione morale. Il neoclassico contribuisce ad una risignificazione dell’antichità romana, portandola ad una diffusione architettonica mai vista nel mondo (Pantheon di Parigi, Capitol di Washington).

Ma al neoclassico manca, del classico, il COLORE. Colore come ora troviamo kitsch. La perdita del colore la dice lunga sul carattere languido del recupero del classico da parte del neoclassico - che sottolinea una distanza non già stilistica, ma del tutto ontologica. Perché se nel classico il bello non è un’espressione estetica, ma un risvolto estetico di un ordine ontologico. Questo è il classico del mondo chiuso. Il neoclassico impone invece un ordine in un universo infinito, un ordine che si auto-fonda per la dignità morale, e molto presto diventa uno stile d’accademia (’7-800 nascono prime accademie d’arte). Ma la bella arte è anche fine a se stessa: impararla ha una propria finalità (Kant su questo). Ma presto diventa una maniera anche in senso negativo.
E questo fa assumere a Goethe una dura contrapposizione.

Che rapporto devono assumere i moderni con il modello antico? L’incubo di Fussli.


Il bro si chiama PAOLO FURIA. ok insegna a scienze delle comunicazione


Incubo di Fussli: dà importanza alla mitologia (tedesca, norrena). C’è una donna distesa che ha uno gnomo sul ventre, con una sensibilità non neo-classica, quindi Sturm und Drang, forme più espressive della sensibilità moderna.

Filosofia della natura di Goethe

Il percorso di Goethe è particolare perché lui nello Sturm und Drang matura classicista, ma poi il romanticismo storico arriva: così Goethe arriva a ripensare il senso del bello, il senso del classico, della compiutezza dell’opera d’arte, in un ambiente in cui era prevalente il gusto per l’ironia, del frammento, per l’interessante anziché per il bello (Schlegel).

Goethe convive con la sensibilità romantica - è una figura intellettuale incredibile, ha il gusto per l’integrazione dei saperi.
In questo senso è un pensatore anti-individualistico.

Dove altri hanno visto un’opposizione tra arte-natura, Goethe trova invece una continuità.

La scienze di cui Goethe si occupa non è quella newtoniana di cui si occupa Kant.

Tre domande che corrispondono alle tre critiche di Kant

La biologia per Kant è nella terza, è una speranza. Goethe non è d’accordo. Dice per esempio che per sapere la natura di una foglia bisogna vedere alla sua morfologia, al modo in cui essa si presenta.

Se nella fisica conta solo il processo che permette il fenomeno, nella biologia ci sono output un po’ diversi, mai del tutto uguali. Ogni pianta si spiega alla luce di un certo modo di incarnare un modo di essere pianta.

Oggi orientamento filosofico ispirato a Goethe: Goethe rappresenta una via di uscita per chi si sente soffocare

In alcuni casi l’arte supera la scienza, secondo Goethe.
Bisogna capire come i processi della natura si traducono in realtà non tutte uguali tra loro, tutte un pochino diverse tra loro.

Nel modello dell’organico quello che si ha è un pochino qualcosa in più di quello che si ha nella fisica.

Nel modello dell’organico abbiamo in essere strumenti logici che anche Kant cita ma come indimostrabili. Goethe vede nell’organico la capacità delle parti che compongono una realtà di realizzare nelle loro relazioni contestuali e contemporanee una forma specifica, un’unità di senso assolutamente semplice; gli elementi di cui è fatta non si compongono come dei numeri, sono una totalità organica che è più della somma delle parti.

Questa unità semplice si presenta come un tutt’uno, esattamente come l’individuo - e questa presentazione è un fatto estetico: noi comunichiamo nell’interazione continua delle parti che ci compongono. L’organico è un po’ questo per Goethe: per comprendere una pianta bisogna comprendere:

Quella di Goethe è una filosofia della creatività natura, del suo procedere mai uguale a se stesso.


In quegli anni c’è il Grand Tour eccetera; quando arriva a Roma di fronte ai fori dice: ho avuto sempre davanti agli occhi queste immagini.


Contesta un’arte che si basa sull’imitazione degli antichi. L’arte bella si raggiunge quando si raggiunge lo stile, quando sotto l’insindacabile autorità del proprio sguardo, si rifà l’opera come si fa la natura. Imitazione degli antichi e della natura va bene, ma bisogna acquisire prima una maniera (II livello di skill) e poi uno stile (stile massimo di skill)

In Goethe lo stile non consiste nella libera espressione dell’interiorità dell’artista, ma nella propria capacità di produrre un’opera d’arte perfetta, compiuta. Lo stile è qualcosa che va al di là del gusto individuale, si parte dai modelli per produrre un punto di vista personale, autonomo.

Alexander Von Humboldt: lo spinoff di Goethe

Molto amico di Goethe, porta la sua attenzione sulla morfologia delle piante a livello di geografia.

1808: La natura si presenta con i suoi quadri Pubblica un’opera intitolata Quadri della natura - la natura si presenta in quadri… c’è un valore pittorico intrinseco della natura.

Friedrich Schiller è un amico di Goethe

Parte da basi ancora più filosofiche di Goethe (e meno da scienziato)

Come Goethe, attraversa i decenni della rivoluzione francese in Germania. La decapitazione del Re è la fine di un’epoca, la fine di un’umanità fondata su un ordine cosmico che si riflette nell’ordine storico monarchico, è un’umanità che dal punto di vista politico dice “adesso tocca a noi”. Uccisione del Re che appariva come un atto quasi esagerato. Ma dopo la rivoluzione arriva Napoleone con il suo Impero - e Napoleone lo depone. Impero, Chiesa, università sono i poteri che sono resistiti nella storia.
Napoleone depone il Sacro Romano Impero.

Schiller vive in un’epoca di scissione, non solo teorica, tra razionalità (ragione) e sensibilità. Questo divorzio ha fortissime implicazione, in primis dal punto di vista dell’organizzazione sociale.

Esigenza di un ordine nuovo a livello sociale. Il tentativo è di dare un nuovo ordine, un ordine fondato sulla libertà, un ordine scelto, un ordine voluto.

Stesso problema di Rousseau nel Contratto Sociale. Schiller la prende dal piano filosofico.

Della grazia e della dignità

Schiller mette in un luce a livello antropologico come si generano le due virtù della grazia e della dignità; e mettendole in combinazione ha due diversi modi di combinare

La dignità è la posizione del soggetto morale kantiano; la sensibilità le impedisce di essere libera; è quella ragione che ci fa dire no di fronte a un bene desiderato.

La dignità è l’eroismo del moderno - in cui per essere eroi non bisogna combattere con mostri o divinità, ma con la parte di sé che lo spinge alla corruzione sensibile. Un umano capace di darsi il centro da sé, e non scisso in tutti i momenti.

La grazia invece è il contributo specifico di Schiller; è la grazia che trapassa nelle successive lettere sulla produzione estetica. La grazia è una certa compenetrazione della ragione nella dimensione dei sensi. I sensi vengono educati, svezzati, impariamo a desiderare ciò che è meglio per noi, a temperare gli eccessi del nostro Sturm und Drang individuale; impariamo a comportarci anche visibilmente come se la ragione si fosse integrata in noi, nel nostro corpo, con l’obiettivo di riunificare l’umano.

Metafora del gioco

L’educazione estetica è fine a se stessa; si tratta di organizzare un ordine non contro ma insieme ai sensi. Se la ragione pura kantiana è in sé, è il fine - la razionalità è fine a sé - l’educazione estetica vuole invece scoprire l’ordine nel mondo reale, trasponendo la ragione. La logica non è quella deterministica, la logica, dice Schiller, è quella del gioco, dove non c’è determinismo ma si crea una comunità che trova il proprio fine nel gioco.

La grazia e la dignità sono due virtù Il gioco è un meccanismo attraverso il quale Schiller immagine di rifondare un ordine sociale in cui le persone scelgono di stare insieme, solo per il fatto di stare insieme, non per la volontà di una volontà trascendente o estrinseca. L’educazione estetica è l’educazione che serve per l’umano nuovo, che vuole fondarsi su se stesso, vuole realizzare la sua libertà in un ordine (e non è narcisismo).

Schiller è l’autore del testo dell’Inno alla Gioia - anche su l’utilizzo di questo testo nella musica di Beethoven è tardo. Comunque questo è il segno di come la sua opera fosse mossa da profondi ideali di cambiamento. Ma queste cose, pur avendo un presupposto politico fortissimo, non vengono studiate dalla filosofia politica.

I giovani romantici all’inizio sono molto vicini alla rivoluzione francese (compreso Novalis).



Viandante sul mare di nebbia

Il deserto e la montagna entrano nelle valutazioni estetiche dei romantici. La relazione che c’è tra l’immagine della montagna e lo sguardo del soggetto.
C’è un tentativo di superare il dualismo tra uomo e natura, tipica della rivoluzione industriale. Questo produce un recupero estetico della natura, il concetto di natura viene estetizzato e contemplato.
In questo senso il romanticismo ha un programma critico nei confronti della industrializzazione - si vuole recuperare il rapporto tra uomo e natura.

Enrico di Offleffingen (Novalis)

Occorre mobilitare il sentimento per superare questa scissione: L’Enrico di Offleffingen di Novalis.

uno dei primi romanzi di formazione, un romanzo filosofico che in una famiglia deve fare un viaggio, e prima del viaggio fa un sogno: vede la natura come trasfigurata: colori, forme, oggetti sono in comunicazione, lui sogna se stesso che cammina e vede questa natura unita. Lui vede questo fiore, che ha le forme di una giovane donna, che testimonia questa armonia. Il padre lo scuote e gli dice di non dare importanza al sogno.

Questo è il mondo in cui si incomincia a dare peso all’infanzia, non solo come dato di natura, ma come modalità di conoscenza simbolica, estetica, precategoriale, che l’individuo moderno tende a sacrificare in favore di una razionalità.

Lui prosegue il suo viaggio.

Il romanzo non finisce, è incompiuto.

Il romanticismo all’inizio concilia gli obiettivi universalisti dell’Illuminismo con una maggiore considerazione del carattere storico delle persone, dei popoli e dell’arte.


Carattere storico dell’arte: F. Schlegel è noto principalmente per i suoi dialoghi e i suoi lavori di traduzione della poesia greca; prima di Hegel, insiste sul carattere storico dell’arte e del giudizio di gusto.

Studia soprattutto i modelli della filosofia greca, soprattutto per dire che i moderni non possono rifare le cose degli antichi perché non sono antichi. Questo in opposizione ad un’ottica neoclassica-illuministica.


Diciamo anche che la bellezza non è più l’unico obiettivo dell’estetica e dell’arte, ci sono diversi stimoli: il brutto, il comico, il tragico - molti stimoli adatti al soggetto moderno, che ha perso i riferimenti metafisici dal passato, ma ha vinto la libertà, e per questo ha bisogno di una nuova mitologica.
C’è una nuova conciliazione tra universalismo e considerazione delle diversità, che poi diventa il motore fondamentale del romanticismo politico, il quale non si spiega completamente con ideali nazionalistici.

Infinito

Il romanticismo guarda in faccia l’infinito. Al massimo gli può venire a noia, ma non può averne paura. L’infinito nemico da sempre della filosofia occidentale: pensiamo a Giordano Bruno, il primo pensatore dell’infinito, che fa una brutta fine.

Infinito non come non determinato, ma come senza fine, è oggetto di una ricerca del romantica che vuole superare la condizione in qui sta ricercandone l’origine in qualcosa che trascende completamente - in alcuni casi, come in, assume anche le forme del Dio ateo.

Il finito diventa liberatorio nei confronti delle indeterminazioni del mondo. Questo aggrava la scarto che c’è tra la nostra esistenza dell’infinito.

L’infinito si realizza nel finito, dirà Fichte. Perché il progetto romantico porta alla disperazione, è un progetto per il quale non c’è un completamento del percorso, non c’è una chiusura.

Modello rinnovato dell’ironia - modello che era già socratico ma viene valorizzato da una figura come Tieck, che teorizza che se un oggetto non assume una determinazione di senso compiuta, posso porre un senso nella natura prendendone una distanza ironica.


L’infinito è più vicino al sublime che al bello - il bello è più una preoccupazione dei classicisti.


L’artista vuole un contatto con il senso.

Il fiore blu di Novalis rimane nel sogno, è collegato a una dimensione che è quella medievale, e nel percorso il fiore incarna il punto di contatto tra noi e l’origine, che però è un contatto solo sentimentale, che non può mai trasformarsi in un possesso e non può mai dirsi che in modo simbolico. Il sogno, è collegato a una dimensione che è quella medievale, e nel percorso il fiore incarna il punto di contatto tra noi e l’origine, che però è un contatto solo sentimentale, che non può mai trasformarsi in un possesso e non può mai dirsi che in modo simbolico.


Rosa Croce (misticismo)

Lezione 04: lunedì 22 aprile - Schelling

conferenza biblioteca civica Jazz festival finisce alle 6 mercoledì 24. Corso casale 5 h 17.

lezione mercoledì inizia alle 6.30


Le idee di Schelling sono idee tipicamente romantiche. L’arte è manifestazione dell’assoluto.

Come dice Novalis, l’arte è manifestazione di ciò che non può essere manifestato.
Per il romanticismo non solo dall’arte scaturisce la verità, ma l’arte è l’attività più importante di conoscenza della realtà. Ciò distingue il romanticismo con l’idealismo - per il secondo, questa non è l’unica, o la forma più adeguata di conoscenza.

Schelling ha avuto una fase in cui difendeva le idee romantiche, poi una concezione più idealistica. Ne Il sistema dell’idealismo trascendentale sostiene che ci sia un principio unico del reale, l’incondizionato o assoluto. Questo è l’identità di soggettività e oggettività, natura e libertà, idealità e realtà, coscienza e incoscienza.
Il punto è che l’arte è il luogo di manifestazione di Dio e natura.

Nell’arte Schelling individua la manifestazione del principio, di ciò che non può essere altrimenti manifestato. Lo è perché riproduce da un lato l’ordine della natura, dall’altro perché confina con il prodotto della libertà. Si differenzia perché è:

Qui Schelling muove da Kant per portare Kant su un altro terreno. In ciò l’opera d’arte riunisce ciò che nell’individuo è diviso: la natura e la libertà.

A differenza di Kant, per Schelling è il bello artistico il modello del bello naturale, e non viceversa come aveva agito Kant. Questo perché l’opera d’arte è frutto di un agire libero - tuttavia si distingue dall’atto pratico in quando il primo è fine a se stesso, mentre il secondo si dà in relazione a qualche obiettivo.
L’arte si distingue anche dalla scienza: se è vero che la scienza è un sapere disinteressato, in essa il genio è assente.

Del genio Schelling ha una concezione che specifica il concetto di genio kantiano. Per Schelling il genio è un’istanza ontologica - la tesi è che il genio abbia tratti insieme consapevoli e inconsapevoli.

Schelling primo periodo: l’arte è per il filosofo ciò che vi è di più alto

Il genio media tra la produzione artistica “inconscia” (che Schelling chiama poesia) e l’aspetto consapevole dell’arte (Kunst) in senso stretto. Kunst ha a che fare con Konnen, cioè un potere, un poter fare. Il genio esprime l’assoluto grazie a questa mediazione tra le due istanze, a questa sintesi operata dal genio.

L’arte dunque - in questa fase del pensiero di Schelling - è modello della filosofia, in quanto esibisce il superamento della antitesi tra filosofia della natura e filosofia trascendentale, rendendo oggettiva e comunicabile l’unità indifferenziata di necessità e libertà, superando il piano solo soggettivo e ideale della filosofia, portando l’uomo intero alla conoscenza del sommo vero, mentre la filosofia è soltanto logica.

È l’arte che porta a manifestazione il principio assoluto della realtà.

L’immediatezza estetica prevale sulla mediazione filosofica, concettuale. L’arte è l’unico vero organo della filosofia - la tesi finale conclusiva di Schelling giovane, Holderlin, Hegel giovane dicono tutti insieme che le esigenze rivoluzionarie potevano essere soddisfatte a livello estetico. Schelling dà una sorta di articolazione sistematica a queste formulazione proponendo un assolutismo estetico secondo cui l’agire veramente autonomo è quello artistico. E la filosofia deve confluire nella filosofia.

La filosofia può trovare una nuova forma adeguata solo se diventa una nuova mitologia. La filosofia deve trovare un linguaggio capace di cogliere l’identità di natura/spirito, soggetto/oggetto, conscio/inconscio.

Nel Sistema della filosofi Schelling sistematizza molte tesi tipiche del romanticismo, in particolare quella secondo cui l’arte è l’unica forma di esperienza capace di cogliere l’Assoluto.

Schelling: secondo periodo

Finisce in una tesi idealistica, per cui nell’arte si fa conoscenza della realtà, ma non è una forma di conoscenza in cui si può cogliere l’assoluto nel modo più adeguato.

Filosofia dell’arte, 1802-1803.
Schelling sostiene che la filosofia è l’autocoscienza della ragione che coglie immediatamente l’assoluto, mentre l’arte la coglie solo nella misura in cui le si offrono nella rappresentazione reale e concreta delle idee.
La mitologia è la condizione necessaria di ogni arte. L’arte, come rappresentazione dell’infinito nel finito, non riesce a portare a completa espressione l’assoluto nella sua forma più adeguata, ma solo nella forma finita.

Il principio dell’arte in quanto mitologia è il simbolo, che una sintesi tra:

Il linguaggio è ironico perché non può provare a esprimere l’assoluto se non con parole, che sono concrete.
Nel simbolo, universale e particolare sono la stessa cosa.

La compenetrazione simbolico del finito e all’infinito è riuscita solo al mondo greco. Il cristianesimo produce invece una spaccatura tra finito e infinito, e il principio dell’arte in questo senso può essere solo l’allegoria.

C’è questo pensiero per cui l’arte greca è caratterizzata da un’armonia che ha le caratteristiche della natura, mentre il mondo “cristiano” contemporaneo è caratterizzato dalla storia e dal divenire, quindi da una spaccatura - che si esprime con caratteristiche quali il sublime.

Simbolo antico vs allegoria del mondo contemporaneo.

Queste differenziazioni però assumono una minore rilevanza in riferimento all’unità temporale dell’assoluto che viene colta dalla filosofia.

Quindi, Se nel Sistema dell’idealismo trascendentale* l’arte riesce a cogliere concretamente ciò che la filosofia può cogliere solo concettualmente, nella seconda fase del suo pensiero il primato spetta alla filosofia, in quanto l’arte è capace di cogliere i propri oggetti solo in forma simbolica, è in questo è inferiore alla filosofia, intesa come auto-consapevolezza della ragione che porta l’Assoluto alla propria rappresentazione concettuale immediata*.

Questa concezione per cui arte e filosofie sono due forme diverse, una più adeguata dell’altra, si esprime anche nella distinzione che Schelling fa - come molti suoi contemporanei - del sistema delle arti.

Molti filosofi hanno proposto di articolare in modi diversi le diverse pratiche artistiche. Schelling basa la distinzione tra le diverse arti sulla sua concezione per cui l’Assoluto può manifestarsi:

Allora la poesia, le arti della parola saranno la manifestazione dell’assoluto da parte dell’arte in senso ideale - in quanto lavorano con il linguaggio; la forma plastica e la musica ha invece hanno a che fare con una dimensione reale.
La musica viene dunque messa insieme alle arti figurative.

Il punto è che l’Assoluto è l’essenza della materia, e quindi ogni arte è o plastica o figurativa. La figuratività interessa tutti i generi artistici.
La forma d’arte in cui l’unità del reale diventa puramente come tale potenza, simbolo è la musica. [Filosofia dell’arte]

La tragedia assume un ruolo nell’idea che occorra un nuovo epos capace di sintetizzare le caratteristiche proprie dell’antichità (capacità di cogliere l’assoluto nella rappresentazione) e il carattere allegorico dell’arte moderna. Schiller aveva detto anche lui che bisognava inventare una nuova forma d’arte capace di sintetizzare bello e sublime.

È centrale per molti autori di questo periodo l’idea di cercare di superare il contrasto tra il tratto estetico dell’antichità e quello della contemporaneità. L’estetica quindi in questo periodo comporta anche una filosofia della storia.

Schiller nel 1795 scrive Lettere sulla poesia ingenua e sentimentale, in cui sostiene che l’ingenuità è il carattere artistico del mondo greco, un’espressione quasi naturale dell’armonia in cui predomina la natura dell’espressione; il sentimentale è invece quel tipo di poesia - legata all’espressione di un sentimento - che concerne il riconoscimento dell’ingenuo rispetto al carattere estetico del contemporaneo. Dice Schiller, il poeta o è l’ingenuo, o lo sente, e se lo sente questo è il segno della sua alterità rispetto a una realtà estetica ormai perduta.
Schiller sostiene anche lui che bisogna trovare una forma estetica capace di coniugare ingenuo e sentimentale.

Questo punto viene ripreso da Schelling in questa proposta di sintesi tra antico e moderno.

Hegel

Importanza della filosofia della storia per la filosofia dell’arte: dimensione fondamentale della filosofia di Hegel.
In Hegel la filosofia dell’arte è da intendersi come una filosofia della storia dell’arte.

Hegel sostiene infatti l’identità tra razionalità e realtà storica - la ragione per Hegel prende consapevolezza di sé attraverso la storia, c’è un legame sostanziale tra storicità e razionalità il quale si manifesta anche a livello artistico.

Hegel fa delle Lezioni di Estetica, e gli appunti sono stati messi insieme per ricostruire il suo pensiero estetico.
Ma ne parla anche in delle parti dell’Enciclopedia e della Fenomenologia dello Spirito.

Per Hegel la realtà non è manifestazione dell’Assoluto, è l’Assoluto che si articola processualmente attraverso la storia in maniera dialettica.

L’arte è la prima espressione dello Spirito Assoluto all’interno della Enciclopedia. Arte, religione e filosofia sono i 3 momenti dello Spirito Assoluto - la presa di coscienza da parte dello Spirito di se stesso, e della razionalità della realtà.
L’arte ha una fortissima dimensione conoscitiva.

Diversamente dal romanticismo, tuttavia, l’arte non è l’unica manifestazione possibile dell’assoluto, ci sono altre due forme: + la filosofia - pratica in cui lo spirito è conosciuto nei suoi propri termini, i termini del concetto. + la religione

Per quanto riguarda l’arte, c’è una differenza tra quanto Hegel sostiene nella fenomenolgoai dello spirito (1807) e ciò che sostiene nell’enciclopedia (1817).

Nella Fenomenologia dello Spirito l’arte è una sorta di sottocategoria della religione

  1. religione naturale: religioni orientali, Dio si ritrova nella natura
  2. religione artistica: la religione della società greca e della tragedia, cioè nella religione che trova una qualche forma di espressione artistica.
  3. religione rivelata: la religione cristiana, in cui attraverso le scritture Dio si rivela
    Non c’è distinzione tra religione e arte - entrambe conoscono il divino in maniera immediata nella forma della rappresentazione (contrapposto alla filosofia, che è mediata fino all’arrivo nel concetto). La religione artistica si articola in:

Nell’Enciclopedia invece è trattata come una forma specifica dello Spirito Assoluto, separata e dalla religione e dalla filosofia.

Carattere di passato dell’arte

L’arte è in Hegel una manifestazione soltanto sensibile dell’idea - e ciò è causa sia della sua dinamicità interna/storica, sia del suo dissolvimento, cioè il carattere di passato dell’arte (o fine dell’arte in altri ambiti artistici): l’arte, poiché porta a manifestazione l’assoluto, ma in un mezzo non adeguato, ha in sé sia il motore del proprio sviluppo, sia la causa del proprio venir meno. Nell’arte si espleta purtuttavia tutta la vita dello spirito.

La bellezza è una particolare forma di manifestazione della verità soltanto in quando è prodotta dall’uomo.
Il bello naturale non ha per Hegel alcun valore estetico. Il bello naturale non ha operato la negazione della materialità che può portare un contenuto a chiarezza e determinazione. La materia per essere bella deve essere spirito realizzato. La creazione artistica è una lavorazione della materia, è la messa a disposizione di un contenuto materiale per un contenuto spirituale (il contenuto del significato).

Nell’arte c’è un procedimento di significazione in atto. L’arte riesce a portare a compimento un contenuto spirituale, ossia un significato.

Per Hegel un’estetica ha senso solo in quanto filosofia dell’arte. Già solo la considerazione della bellezza naturale comporta uno sguardo sulla natura che è uno sguardo di tipo culturale, cioè uno sguardo che costruisce il senso per la natura.

La negazione della naturalità è necessaria perché si estrinsechi l’idea assoluta della forma dell’intuizione sensibile.

L’arte è dunque una manifestazione sensibile dell’idea, sensibilizzazione dello spirito e spiritualizzazione del sensibile.
Per Hegel l’arte è espressione della razionalità, non nel suo elemento più adeguato, quello del concetto, ma in quello della materialità/sensibilità.

La bellezza artistica è la bellezza generata e rigenerata dallo spirito.

Nell’arte l’uomo rappresenta se stesso, liberandosi del sensibile, che si spiritualizza.

Ogni arte esprime una precisa spiritualità. Non c’è imitazione della natura nell’arte. L’idealizzazione del sensibile mira ad una espressione storica.

La pittura olandese del ’600 è un esempio perspicuo: non si tratta di raddoppiare la realtà, ma l’obiettivo è farci cogliere con una raffigurazione il carattere specifico di un popolo. In altre parole, la cultura, cioè la vita dello Spirito.

L’arte, nonostante il loro insignificante contenuto, li fissa per sé, ne fa dei fini, e indirizza il nostro interesse a ciò di cui altrimenti non ci cureremmo.

La poesia, utilizzando il linguaggio, va verso la filosofia, in quanto si serve del linguaggio.

Lezione 05: martedì 23 aprile - Hegel

L’estetica di Hegel è una filosofia dell’arte, non solo filosofia del bello, ma dell’arte.
L’arte è manifestazione sensibile dell’idea, una particolare modalità di conoscenza dello spirito, cioè della cultura, di ciò che è l’uomo e il suo mondo. L’arte quindi offre una possibilità conoscitiva, ma se per il romanticismo l’arte offre la conoscenza più alta, per l’idealismo l’arte è una forma di conoscenza tra altre.
Inoltre, per Hegel l’arte non è imitazione della natura - sarebbe un raddoppiamento; si tratta di negare la natura per spiritualizzarla; anche le forme artistiche che sembrano essere più imitative - come la pittura olandese del ’600, il loro vero significato non è solo rappresentare un oggetto “com’è” ma rappresentare una comprensione del mondo attraverso l’immagine. C’è una Lebensform, una forma di vita.

Per Hegel è la ragione non sono indipendenti; la ragione articola se stessa attraverso la storia - questo vale anche per l’estetica. Ma se l’arte oscilla tra la pura materialità e la vera spiritualità - la parvenza dell’arte non è l’immediatezza naturale ma una negazione di essa.

Il modo in cui l’arte è manifestazione nel sensibile dell’idea ha una diversa articolazione nelle diverse epoche storiche. Il concetto dell’arte come sublimazione sensibile dell’idea assume significato rispetto ad una realtà esistente, è cioè incorpora una serie di rappresentazioni dello spirito. Grado estetico: le diverse forme d’arte si distinguono per il loro diverso grado di realizzazione. Quanto è adeguata l’opera allo spirito del tempo (Zeitgeist)?

Questa articolazione delle forme artistiche dipende dal rapporto che di volta in volta si configura tra la forma e il contenuto dell’arte, rapporto che corrisponde alla trasformazione del gusto attraverso la successione storica dei diversi materiali artistici e modalità di rappresentazione.
L’estetica di Hegel è cioè una filosofia della storia dell’arte.

Le forme della storia dell’arte sono 3:

A questo sviluppo sistematico di carattere storico che Hegel utilizza, Hegel dedica quasi un terzo delle lezioni di estetica ad un’altra parte connessa a questa - una parte in cui caratterizza le diverse pratiche artistiche.

Architettura, scrittura, pittura e poesia. Produce un sistema delle belle arti che non è soltanto logica ma anche storica: le diverse pratiche artistiche corrispondono acnche alle diverse forme storiche dell’arte:

Arte simbolica

L’arte simbolica fa del simbolo inteso come rapporto di sproporzione tra forma e contenuto la sua dimensione precipua. Qui si trova la civiltà araba ebraica e altre - c’è una razionalità non propriamente spiegata, in cui quindi lo spirito non è sempre totalmente dispiegato.
Per Hegel lo Spirito si muove sempre da Oriente a Occidente.
Il simbolo è diverso dal segno: il segno ha a che fare con una adeguazione convenzionale tra contenuto e forma - il simbolo invece è in qualche modo un dato quasi naturale. Il simbolo ha a che fare con una disparità, una rappresentazione troppo grande o troppo ponte per essere accolte nelle nostre facoltà sensibili.
In questa fase il simbolo lotta per uscire dalla dimensione sensibile.
Questo tipo di arte è prima dell’arte (vor-Kunst) - il contenuto non trova espressione adeguata nell’arte. Hegel qui pensa ai templi e alle piramide, in cui il contenuto (il Dio) è presente solo inizialmente e vagamente nella forma. L’architettura mantiene delle caratteristiche proprie dell’arte simbolica. È quella pratica artistica che meglio presenta questa disparità tra manifestazione sensibile e contenuto (poco articolato).

Hegel riprende dal suo tempo l’idea che ci sia una differenza qualitativa tra la sensibilità estetica del suo tempo e la sensibilità estetica del passato. Il classicismo di Winkelmann, i romantici, e Schiller, sostengono cioè che ci sia una distinzione tra arte greca e arte moderna, individuando nell’arte greca la manifestazione di una armonia estetica (bellezza), mentre l’arte moderna è caratterizzata dalla disarmonia, della scissione (epoca della Rivoluzione Francese) - e qui si inserisce tutto il dibattito tra nuovo e antico, antichi e moderni. Schiller utopicamente ipotizza che possa esistere una dimensione estetica che sia una sintesi tra le due dimensioni.

Arte

Hegel mette in questione il carattere irenistico dell’arte greca…. Nietzsche sulla scorta di Holderlin sosterrà che l’arte greca non esprime solo una dimensione irenica, ma sia in qualche modo caratterizzata dal dionisiaco un principio oscuro, dinamico, inconsapevole.
L’arte classica non è quindi secondo Hegel la prima dimensione dell’arte, ma è l’epoca in cui l’arte sembra raggiungere il suo massimo apice, offrendo la forma artistica per eccellenza.

Lo spirito giunge alla sua più adeguata comprensione nell’era della grecità classica - in questo periodo non è tanto la filosofia a essere espressione dell’assoluto, ma piuttosto l’arte. La manifestazione sensibile dell’idea si colloca quindi in un preciso contesto storico-culturale: la polis greca. Qui l’arte realizza il proprio concetto come manifestazione sensibile dello Spirito.

In particolare ciò avviene nella rappresentazione artistica della divinità (contenuto sperimentale), il dio viene cioè rappresentato attraverso una figura umana. In questo senso la scultura è la pratica artistica che corrisponde in maniera più esemplare all’epoca dell’arte greca.
C’è un distacco dalla corporeità naturale, la quale diventa mezzo di manifestazione di un contenuto spirituale, che non rimane imbrigliato in una rappresentazione sensibile come avveniva invece per l’arte simbolica. Centrale ovviamente l’elemento antropologico - l’organismo (“l’esterno”) porta a rappresentazione l’intero, cioè l’anima. La forma quindi che porta a più completo compimento la rappresentazione è l’organismo umano.
Il contenuto etico viene così a espressione nella libera individualità attraverso la rappresentazione della figura umana nella scultura.

Perchè però poi c’è stato uno sviluppo ulteriore? Perchè l’arte non si è fermata qui? La tesi di Hegel è che l’equilibrio tra forma e contenuto è molto instabile, ed è dato dalla natura sensibile dell’arte, come manifestazione sensibile di un’idea e quindi per definizione “contingente”.

L’arte classica non è quindi la meta ma è il momento di un processo che ha in sé le ragioni del proprio svolgimento spirituale.

Nella mitologia greca in particolare, che offre la materia per le diverse pratiche artistiche, il contenuto divino viene particolarizzato nelle diverse figure degli dei, in qualche modo tutte contrapposte all’ananke. Si ripropone così una disarmonia tra forma e contenuto che rompe l’equilibrio “apollineo”, in termini Nietzschiani che sembrava dare stabilità all’arte classica.

Esteriorità accidentale della scultura: è costretta a impegnarsi nella raffigurazione di caratteristiche e tratti che sono esteriori per i diversi dei, in qualche modo sono delle particolarità esteriori naturali e quindi accidentali.

La crisi dell’arte classica è nella tragedia, dove troviamo una contraddizione insolubile tra la situazione storica del singolo (diverse modalità dell’adesione dei singoli a istante etiche in conflitto che li rende incomponibili tra loro). Nell’Antigone c’è un conflitto tra istanza politica e istanza familiare, questo è l’esempio dello stesso conflitto che causa la crisi della forma d’arte classica - uno scambio di diverse parti della sostanza universale che non può trovare conciliazione.

Questo porta in qualche modo a mettere il destino e la libertà dell’individuo in lotta tra di loro; c’è una inconciliabilità dei principi messa in luce dalla tragedia. Nella tragedia viene fatto emergere un conflitto dello Spirito con se stesso, una inconciliabilità. Ma in termini dialettici c’è un progresso anche in questa distruzione.

Nella commedia di Aristofane la realtà si presenta nella sua accidentalità e casualità. Attraverso la manifestazione della accidentalità della realtà presentata dalla commedia, per contrasto può emergere la verità dell’idea spirituale, ormai diventata estranea alla forma artistica. Se nella scrittura abbiamo i caratteri esteriori di ogni dio nella tragedia emerge il conflitto insanabile; nella commedia la dissoluzione dell’arte classica si compie in quanto la realtà si manifesta come pura accidentalità - pu apparire la verità dell’idea spirituale come estranea alla rappresentazione artistica.

Arte cristiana

Nell’arte cristiana si rivendica che il contenuto spirituale sia lavorato, in un alto livello di consapevolezza, e la forma artistica non può portare queto contenuto a una rappresentazione compiuta. Lo spirituale riconosce in sé la propria oggettività e la sua espressione sensibile, adeguatamente mostrata come insufficiente ad esibire del contenuto spirituale - l’espansione del contenuto comporta l’inadeguatezza dell’espressione sensibile.
Nell’arte simbolica si dava invece un’estensione della realtà sensibile che entrava in contrasto con l’inadeguatezza del contenuto.

Il contenuto spirituale dell’arte romantica afferma l’unicità di Dio così distruggendo il politeismo tipico della società greca. Affrontanto il passaggio dall’arte greca a quella cristiana c’è un passaggio dall’accidentalità dei diversi dei in balia del destino, alla distruzione del monoteismo per mano dell’unico Dio.
La materia perde la dimensione della naturalità, e quindi in questo periodo emergono quei caratteri che i romantici considerano determinanti per la sensibilità estetica moderna: caratteristico, interessante, ecc. Tutti aspetti che esibiscono l’accidentalità esteriore della materia, ma con un contenuto spirituale che si presenta come già autocosciente. Il divino diventa regola dell’arte auto-consapevole.

La rappresentazione dell’unico soggetto, il divino, perde carattere antropomorfico. La bellezza non si realizza nella forma esterna (come nella statua del Dio greco) ma nella pienezza dell’interiorità. In questo senso l’arte romantica è un’arte della sensibilità.

Attraverso l’umano si manifesta l’inferiorità rispetto al divino. Esperienza e natura sono spiritualizzati attraverso il filtro della soggettività.
La materia viene sempre più spiritualizzata, si manifesta nel suo carattere accessorio: ciò che conta è la dimensione interiore. L’artista acquisisce così una illimitata libertà rispetto ai contenuti, che non dipendono più da un vincolo forte a contenuti dettati in qualche modo dalla determinazione culturale, ma l’artista è libero di scegliere le proprie forme espressive.

L’arte perde progressivamente il legame con la materialità facendosi sempre più espressione dell’interiorità.
Non si tratta più di manifestare un contenuto su una forma, ma di portare espressione dell’interiorità (e così viene meno l’interiorità).

Nella poesia l’arte va verso la filosofia, verso le altre forme dello spirito. Ma essendo la filosofia la pratica artistica in cui l’arte sta andando verso altre forme, la poesia non raggiunge solo il suo apice in una forma artistica particolare, ma tutte le forme artistiche. La poesia può esprimere qualunque contenuto.

La morte dell’arte

Hegel ha in realtà passato di carattere di passato dell’arte, cioè l’idea che l’arte sia una pratica culturale che esprime una forma di vita legata al passato, end der Kunst (fine dell’arte( - solo in Italia è nota con questo nome.
Questa tra l’altro è una tesi che Croce, Gentile, Dino Formaggio (!), hanno rielaborato il concetto in modo originale. È un pensiero con una storia interessante.

Interpretazione più plausibile: l’epoca di Hegel è troppo complessa per essere articolata, portata a comprensione attraverso l’arte. L’epoca contemporanea a Hegel è quella in cui si parla esteticamente, in cui si inizia a parlare scientificamente di arte.
L’epoca in cui viene fondata l’estetica segna il momento in cui l’arte stessa non è in grado di soddisfare i bisogni spirituali/culturali del presente - funzione che svolgeva nella polis greca.
La funzione che questa svolgeva nella vita sociale della polis al tempo di Hegel spetta invece alla filosofia. Questa è una tesi anti-romantica, contraria all’idea romantica della costruzione di una nuova mitologia.

Non possiamo nostalgicamente ritornare, come avevano fatto i Nazareni, a un’arte religiosa di ispirazione medievale. L’arte ha carattere di passato rispetto allo stato attuale dello Spirito. Questo è importante perché quando l’arte diventa oggetto di contemplazione estetica, cioè entra nei musei o nella sala da concerto e viene fruita in maniera estetica, perde la capacità di essere una guida affidabile e plausibile. L’arte non ha più solo una funzione conoscitiva, perde la possibilità di farci comprendere la verità, ma si riduce a una rappresentazione esteriore.

L’arte non è più adeguata a portare a compimento le specificità culturali di una determinata epoca storica.

Alcuni hanno interpretato la fine dell’arte come fine dell’arte rappresentazionale, fine di arte con contenuti predeterminati, un’arte più libera, insomma.
Altri hanno sostenuto l’idea che la fine dell’arte sia la fine della Storia dell’arte intesa in un senso progressivo, cioè come un progresso nella narrazione che accompagna le ricostruzioni nell’ambito della storia dell’arte.
Gentile interpreta Hegel partendo da una concezione più legata alla concettualità fichtiana. Giovanni Gentile ha sostenuto in merito alla morte dell’arte che l’arte in senso proprio sia la dimensione soggettiva dell’esperienza umana, un’esperienza trascendentale del sentire. La prima dimensione soggettiva dell’esperienza conoscitiva che in qualche modo muore come principio trascendentale ogni volta che si realizzano i singoli prodotti. La morte dell’arte sarebbe un processo continuo. Nel momento in cui il principio trascendentale si concretizza nei suoi prodotti artistici non muore mai perché in realtà continua a operare nei suoi diversi prodotti.

Ernst Bloch, della Scuola di Francoforte, autore del Principio Speranza, lo spirito e l’utopia: all’arte viene assegnato il compito di presentare la dimensione del non-ancora, cioè un’istanza di significato che non ha una immediata realizzazione del presente, ma apre le possibilità di un futuro.

Rosenberg/Rosencratz/Rosenpax, un allievo di Hegel, scrive la filosofia del brutto.

Hegel: il pensiero e la riflessione hanno superato la bella arte

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Lezione 06: mercoledì 24 aprile: Schopenauer, Kierkegaard, Nietzsche

Oggi parliamo di Schopenauer, Kierkegaard, Nietzsche, autori a vario titolo irrazionalisti. Tre posizioni filosofiche che hanno avuto importanza nel ’900.

Schopenauer

È l’autore del Mondo come Volontà e rappresentazione. Riprende la filosofia platonica, di Fichte, e accoglie suggestioni della filosofia orientale.
Secondo la sua concezione metafisica, il mondo del fenomeno è apparenza, una realtà soltanto ingannevole. Schopenauer usa l’espressione velo di Maya riprendendola dalle Upanishad, per descrivere la vera realtà del mondo, che Schopenauer identifica con la cosa in sé di Kant, che identifica con la volontà.
Il principio metafisico del mondo come fenomeno è la volontà.
Al soggetto che conosce il proprio appare come fenomeno tra i fenomeni. La volontà individuale è presente nella natura e nella gestualità dell’individuo, tanto per i gesti volontari quanto per quelli involontari - e questa volontà individuale che appare nella gestualità corporea degli individui - è il momento in cui si manifesta la volontà in quanto principio ontologico della realtà.

In primo luogo la conoscenza è uno strumento della volontà, che la sfrutta ai fini della propria auto-conservazione - e il tutto della natura (cose, animali, umani) è auto-oggettivazione della volontà. Il principio metafisico che appare è la volontà:

Le idee sono oggettivazioni adeguate della volontà. Queste sono le leggi originarie della natura. I fenomeni sono oggettivazioni temporali di queste leggi (oggettivazioni di secondo livello).

Compito della filosofia è insegnare una liberazione dal dolore e dalla noia.

L’esperienza dell’arte è uno strumento utile a questo scopo.

La conoscenza offerta dall’arte è diversa: + dalla scienza, perché questa si occupa di porre i fenomeni in relazione causale, di causa effetto. + dalla scienza storica, perché si occupa della concatenazione dei fenomeni in senso temporale.

L’esperienza estetica è invece un rapimento capace di farci andare al di là dei fenomeni, al di là del velo di Maya. L’esperienza estetica ci porta direttamente alle forme atemporali delle cose che sono le idee.

Genio: se per Kant non è un individuo ma una facoltà, per Schopenauer è un individuo capace di annullare le proprie caratteristiche di individuo fenomenico capace di diventare occhio del mondo cioè capace di andare oltre i fenomeni. È inoltre capace di comunicare agli altri la sua contemplazione delle idee, che egli raggiunge in maniera intuitiva.
Il genio è innanzitutto l’artista, ma la genialità viene posseduta dai fruitori dell’arte, in quanto anche i fruitori devono possedere la capacità di riconoscere nell’arte le forme ideali. Genialità è dunque posseduta e dall’artista è dai fruitori per attingere alle pure forme ideali.

La bellezza consiste nella capacità di individuare idee nelle forme. Il sublime ha invece a che fare con l’ostilità manifestata dagli oggetti contemplati che minacciano la realtà umana. Riprende distinzione sublime dinamico e sublime matematico.

Schopenauer propone anche lui un suo sistema delle belle arti, che riprende quello di Hegel, ma musica e e manca soprattutto l’articolazione storica - c’è una articolazione più legata alle caratteristiche specifiche delle diverse pratiche artistiche.

  1. Architettura L’architettura non produce immagini per un soggetto, ma spazi, oggettivando la volontà nei suoi livelli più bassi. Ci mette in contatto con le idee platoniche, che hanno a che fare con leggi naturali come la qualità, la purezza, la durezza. L’idraulica è un sottogruppo dell’architettura che studia la fluidità.

  2. Scultura:

  3. Pittura:

  4. Poesia: Riprendendo le tesi di Aristotele, la poesia permette meglio della storia di comprendere “l’intrinseca unità degli eventi”. La tragedia è il culmine dell’arte poetica in quanto esprime il conflitto della volontà su se stessa. L’eroe della tragedia non sconta i suoi peccati personali, ma il peccato universale, ossia la colpa stessa dell’essere.

  5. Musica: La musica non è come le altre arti, che presentano oggettivazioni della volontà. La musica non è invece immagine delle idee, ma della volontà stessa. Porta alla piena conoscenza del mondo.

La musica intrattiene un rapporto particolare con le emozioni. Per Schopenauer essa è espressiva in quanto capace di rappresentare non i singoli individui colti dall’emozione, come può fare la pittura o la poesia, ma è capace di rappresentare la struttura generale delle emozioni. (idea ripresa da Suzanne Langer). La musica porta ad una piena conoscenza del mondo.

La liberazione che ci dà l’arte dura per il tempo dell’esperienza estetica - la liberazione vera e durevole si dà nell’ascetismo.

Kierkegaard

Contemporaneo di Schopenauer.

Per Kierkegaard l’estetica è una sorta di atteggiamento di vita, una forma di vita.

In Aut Aut e in altri scritti come Timore e tremore (1843) Kierkegaard individua tre tipologie di esistenza:

Questo tipo di esperienza ha in comune con la vita estetica l’immediatezza, là dove la vita etica è fondata sulla mediatezza. Il religioso è colui che abbandona ogni considerazione razionale per affidarsi a Dio in tutto. L’esteta e il religioso hanno in comune una mancata considerazione dell’altro - l’esteta usa l’altro per la soddisfazione del proprio desiderio; il religioso pur di obbedire a Dio è disposto anche a cancellare l’esistenza altrui. In questo senso sono entrambe posizioni irrazionali.

L’inganno di Don Giovanni è un inganno inconsapevole, gli manca la potenza della parola - diverso dal Faust di Goethe che usa la parola come menzogna.

La musica è il medium in cui viene presentato al meglio questo stadio estetico, in quanto è uno stato di immediato erotismo, una materia subito musicale. La musica ha un rapporto diretto con la vita affettiva, che ha una dimensione seducente.

Ci sono anche altre figure dello stadio estetico:

Il destino dell’esteta è quindi un destino triste, perché la ricerca forsennata lo porta a disinteressarti di tutto. La malinconia è la disperazione vissuta esteticamente. La malinconia è una malattia mortale.
La vita estetica porta così alla comprensione della vanità stessa dell’esistenza.

Nietzsche

Testo con cui Nietzsche si fa conoscere è La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1871).

Nietzsche interpreta in questo testo la grecità in modo nuovo, riprendendo le tesi già sostenute da Holderlin, che aveva sostenuto l’esistenza non di un solo principio organico, ma anche di un principio energetico razionale non controllabile dalla ragione, un principio a-logico.

Nietzsche riprende questi temi nella distinzione tra apollineo e dionisiaco. Il dionisiaco esprime la componente razionale, dolorosa, oscura, del riconoscimento del tutto. Apollineo è la componente estetica dell’ordine e della bellezza che si manifesta nello stato del sogno.

Il mondo greco secondo Nietzsche riesce ad essere una congiunzione di apollineo e dionisiaco.

Nietzsche riprende da Schopenauer l’interesse per la musica - se per Schopenauer la musica poteva rappresentare la dinamica della vita emotiva, Nietzsche vuole sottolineare il potere di suscitare emozioni nello spettatore.

Nel teatro greco le due dimensioni si unisco e producono l’opera d’arte altrettanto apollinea che dionisiaca della tragedia attica.

Il linguaggio stesso secondo Nietzsche è una costruzione di carattere artistico, cioè una menzogna, una finzione - le verità che vengono considerate tali sono in realtà delle finzioni, delle costruzioni.

Il linguaggio ha un carattere creativo.

Il senso extramorale di cui si può parlare di Verità e menzogna è il senso estetico.

Gli artisti di tutti i tempi hanno portato a celeste trasfigurazione proprio le credenze che noi oggi riconosceremmo come false.
Gli artisti hanno dato una bella forma a cose false.

Nella Gaia Scienza Nietzsche esprime gratitudine verso l’arte. L’arte ci rende sopportabile ciò che la scienza ci fa riconoscere come falso (cioè le idee che avevamo in passato).

La dimensione estetica è anche quella che ci fa capire che la stessa distinzione tra verità e apparenza non può essere ritenuta solida - qualunque costruzione linguistica è una costruzione, un modo di interpretare il mondo che è di per sé falso. Tuttavia dobbiamo essere grati all’arte in quanto essa è capace di mettere in primo piano la possibilità di vivere la vita in maniera gioiosa nonostante la falsità e il dolore.

L’arte è ciò che ci rende capaci di dire sì alla vita.
C’è un forte riconoscimento del potere dell’arte di farci vivere in maniera soddisfacente.
C’è quindi un retaggio schopenaueriano che però Nietzsche declina in senso energetico-vitalistico.

La menzogna ne la volontà di potenza è intesa come facoltà artistica dell’essere umano.

Lezione 07: lunedì 29 aprile - Schleiermacher [Gregorio Tenti]

Gregorio Tenti è un Ricercatore che studia a Barcellona su Schleiermacher.

Schleiermacher è il padre dell’ermeneutica filosofica moderna.

Ermeneutica: ambito delle tecniche di interpretazione dei testi. Interpretazione di oggetti culturali che possono essere interpretati. Tradizionalmente riguarda testi scritti/testi antichi.

L’ermeneutica filosofica è la generalizzazione sul piano filosofico di questo insieme di pratiche di interpretazione testuale.

Per tutto il ’600 e il ’700 i testi più importanti del sapere umano erano la Bibbia, Platone, Aristotele.

Tra la fine del ’700 e l’inizio del ’800 alcuni pensatori per la prima volta hanno pensato che il modo in cui la cultura viene trasmessa è in rapporto con il contenuto del sapere, con il modo con cui gli uomini pensao.

Secondo gli antichi prevaleva l’attenzione per le tecniche di interpretazione. Il problema dirimente è anzitutto il significato del testo - i testi dell’ermeneutica sono molto complessi - un esempio sono le sacre Scritture.
Come interpretare il testo sacro per esempio. Una prima soluzione è l’individuazione di vari livello di significato: morale, letterale, ecc.

Lutero introdurrà il principio sull’idea della Sola Scriptura, per cui l’interpretazione è rimessa all’individuo.

S. Paolo introduce nella lettera ai Corinzi la distinzione tra lettera e spirito.
La lettera è ciò che il testo dice chiaramente; là dove non basta bisogna ricorrere allo spirito, al contesto, al senso del testo.

Circolo ermeneutico. L’ermeneutica come tecnica di interpretazione nasce dalla necessità di esplicitare i criteri di interpretazione dei testi sacri. Per tutto il medioevo e la fine della modernità il testo sacro è sorgente di una autorità assoluta.

A partire dall’Umanesimo l’assunto dell’autorità della Chiesa viene meno. La rivoluzione scientifica è contro l’ipse dixit (l’ipse sarebbe Aristotele). Deve essere possibile invece verificare personalmente con esperienze ripetibili.
La pratica di interpretazione è una pratica libertaria nella misura in cui è un gesto critico, cioè pone in luce i criteri dell’interpretazione.

Scienze dello spirito vs scienze della natura, distinzione fatta all’inizio dell’800. C’è una parte di spirito che non appartiene alla natura, i testi. I testi così definiti sono oggetti storici che provengono da diversi contesti culturali, risultato dell’epoca in cui erano stati prodotti. Questa era una verità evidente.

Un primo problema da affrontare nell’interpretazione di un testo è la distanza temporale. In questo senso ogni interpretazione è una traduzione, nel senso che si tratta di una traduzione di contesti. Ogni volta che cambia il contesto mediale, culturale, temporale, si apre lo spazio dell’interpretazione.

L’ermeneutica prende questi problemi e li generalizza. Il primo pensatore a compiere questa operazione è considerato Friedrich Schleiermacher. Fu un teologo, filosofo e pastore protestante. È il primo traduttore tedesco di Platone. Muore dopo poco Hegel, in un’epoca di declino dell’Illuminismo. Partecipa al movimento del Romanticismo ed è uno dei protagonisti dell’idealismo tedesco.

Schlegel

Schleiermacher alla fine del ’700 era amico di Schlegel - iniziarono un sodalizio filosofico iniziando a tradurre insieme Platone.
In quegli anni Schlegel stava elaborando quella che chiamava filosofia della filologia. In quell’epoca c’era uno sforzo culturale generale di identificazione della propria epoca. Ci si identificava come un’epoca fondamentalmente diversa e posteriore rispetto a quella antica. La modernità doveva intrattenere delle relazioni scientificamente regolate con l’antichità. In questi anni infatti nascono in Germania archeologia e filologia, discipline dello studio dell’antichità.

In questo sforzo epistemologico la scelta era una scienza che trattasse l’antichità nello spirito delle leggi naturali, attraverso una distanza scientifica, oppure un sapere capace di cogliere le istanze spirituali dell’antichità. Questa seconda soluzione è quella di una filologia in senso superiore. Questa deve mettersi dalla parte dello spirito contro la lettera. San Paolo stesso dice che la lettera uccide, littera occidit. Più questa disciplina riuscirà ad andare oltre la lettera, più sarà un esercizio filosofico.

In questo senso la lettera può essere considerata, e lo spirito il contenuto spirituale del linguaggio. La distinzione tra lettera e spirito non è assimilabile a quella tra forma e contenuto.

La lettera è ciò che nel testo si dà in trasparenza. Lo spirito è quella che si potrebbe chiamare dimensione del senso.
La dialettica dello Spirito è la vita del testo. Comprendere un testo significa comprendere la significanza di un testo e proseguirla. Comprendere la Bibbia, dice Schlegel, permette la creazione di una nuova Bibbia.
Per Schlegel l’interpretazione è di fatto un atto di simpatia creativa.

Schlegel muove contro Kant, che propugnava un’ermeneutica volta ad una ricostruzione rigorosa del testo e alla contemplazione passiva del testo piuttosto che la sua ricostruzione.

Al cuore di queste valutazioni ci sono però delle premesse estetiche importanti.

Schlegel dal canto suo è un fautore della produttività simbolica, mentre Kant formula una teoria del giudizio estetico ovvero della ricezione estetica. Kant rende conto della creatività artistica attraverso la figura del genio, che è una sorta di eccezione.

Per Schlegel, in ambito ermeneutico, la dimensione della creatività è una ricreazione del contenuto spirituale - bisogna ricreare il portato spirituale.

Schlegel formula il principio del fraintendimento: l’interpretazione dell’opera avviene anche attraverso imperfezioni ed errori comunicativi che hanno un ruolo fondamentale nel processo, e sono fondamentali nella riattivazione della vita del testo.

Altro principio fondamentale è l’organicità: si riferisce alla possibilità di leggere il tutto in rapporto alle parti e le parti rispetto al tutto (circolo ermeneutico), paragonandolo ad un organismo vivente tra i singoli corpi. L’organismo vivente è maggiore della somma delle sue parti, in quanto integra le parti dell’organismo, unità indivisibile, con l’organismo che rimane sempre identico a se stesso.
Questo avviene anche in un’opera d’arte o un testo - qualsiasi oggetto che presenti queste qualità può dirsi organico.

Nell’analisi dei dialoghi platonici Schleiermacher arriva alla definizione dei principi della sua ermeneutica filosofica. Sui testi platonici c’era grande incertezza storicamente.
Schleiermacher scrive che i dialoghi sono parte di un unico organismo, tenuto insieme da un intento (Platone), che funziona secondo una legge di sviluppo di un insieme, che un intento deve divinare.
Proprio come in Schlegel l’oggetto ermeneutico è un organismo in cui il tutto e le parti si integrano. Il testo platonico è però disperso.

Schleiermacher formula sulla base di queste riflessioni una teoria generale della lingua e della trasmissione della cultura.

L’ermeneutica di Schleiermacher è un corpus di testi meno incerto di altri perché ha tenuto delle lezioni a Berlino tra il 1806 in poi. Abbiamo i manoscritti di questi corsi.

La teoria ermeneutica di Schleiermacher è rivolta all’uso del linguaggio nell’atto specifico dell’interpretazione. Interpretazione come interpretazione dell’atto linguistico è un’attività umana che svogliamo fin da bambini.
Il problema arriva quando la comprensione del linguaggio non è più naturale, ma diventa problematica. Poiché l’uso del linguaggio non è guidato da leggi oggettive, abbiamo bisogno di un’arte (intesa come sapere non meccanico, libero) che ci aiuti a comprenderli.

Quando ci troviamo di fronte a testi estremamente complessi ci teniamo davanti a una rete di scelte espressive. Ogni discorso è tenuto insieme da un orientamento complessivo che attraversa tutta l’opera. Sul piano del senso ogni componente del testo risponde ad un uso simbolico rispetto a una situazione complessiva non completamente data.

Ci deve essere un bilanciamento tra la lettera e lo spirito.

Schleiermacher distingue due tipi di interpretazione:

  1. uso della lingua rispetto ai limiti della lingua stessa (*codice grammaticale); rispetto alla lingua come codice specifica.
    esempio: ci sono cose che possono essere dette in una lingua e non in un’altra. Questo riguarda i limiti storici-logici della lingua.

  2. uso della lingua rispetto al testo in sé, cioè rispetto all’unità di senso, singolare, reale, organica del testo. Schleiermacher la chiama interpretazione tecnica, interpretazione divinatoria, interpretazione psicologica. Dipende dall’integrazione della forma e del contenuto alla luce di un contenuto ideale. Il contenuto si singolarizza in una forma specifica, la forma si singolarizza veicolando un certo contenuto. In questo modo si costituisce l’identità di un testo.

Interpretazione grammaticale e divinatoria stanno sempre insieme. Quel contenuto non poteva che essere espresso in quella forma, e quella forma non poteva che esprime quel contenuto. Il senso di un testo si spiega grazie a questa relazione dinamica tra forma e contenuto all’interno di un processo di espressione.

Schleiermacher identifica questo processo come stile di un testo.

I vincoli stilistici non possono essere resi in una forma che rispetti la regola, lo spirito del testo - cosa che necessariamente richiede il coinvolgimento della soggettività dell’interprete.

Qui Schleiermacher riprende il principio della congenialità, tipico dell’estetica romantica - cioè significa instaurare un rapporto creativo con il testo. È creativo nella misura in cui prolunga l’espressione del testo che racchiude, è una creazione ulteriore.

Ermeneutica e estetica sono sempre in coppia e si illuminano a vicenda. Non possono essere ridotta l’una all’altra. Se l’ermeneutica riguarda l’interpretazione, l’estetica riguarda la produzione e la ricezione dell’attività artistica. L’estetica non riguarda cioè che fa l’autore e l’ermeneutica ciò che fa il lettore come ricettore, non sono in questo rapporto. Si può dire che estetica e ermeneutica sono due voci diverse sulla stessa attività, la comunicazione espressiva (e per l’ermeneutica in particolare linguistica).
Nel caso di un testo scritto l’autore di un’opera agisce esteticamente, e il lettore agisce ermeneuticamente - ma è un caso particolare.

Schleiermacher descrive il processo ermeneutico come risalire il processo di creazione a suo tempo percorso dall’autore.

Se il testo è un fenomeno oggettivato, si risale al senso dell’opera e alla fine poi si profila il momento genetico dell’opera. L’interpretazione secondo Schleiermacher non può mai risalire al momento originario, ma si ferma all’idea principale dell’opera, che determina la sua totalità organica e la sua singolarità.

Questo elemento è il vero oggetto del secondo tipo di interpretazione, quella psicologica. Questo portato è ciò a cui mira anche l’artista: creare una regola espressiva nuova che costituisca la corrispondenza tra forma e contenuto di un’opera.
Nel caso di un’opera d’arte, ciò che il genio crea è ciò che l’interprete deve trovare.

Non si può mai accedere all’evento originario, ma altre correnti di pensiero arriveranno a dire che ciò che l’autore ha determinato il materiale di cui l’autore si è servito, il suo vissuto e la sua esperienza. Secondo Schleiermacher questi contenuti sono invece inattingibili nell’atto ermeneutico.

Resta forte nel pensiero di Schleiermacher il carattere pragmatico dell’ermeneutico. Se l’estetica non detta mai la regola all’arte, l’ermeneutica si interroga sul fare interpretativa e detta la regola all’arte dell’interpretazione.
In quest’ottica l’ermeneutica avrebbe una natura normativa, mentre l’ermeneutica una natura solo descrittiva.

L’estetica nasce dalla retorica - c’è un passaggio dal normativo al descrittivo che si compie alla fine del ’700, stesso passaggio che si compie nell’ermeneutica, ma più tardi. Ciò che le due hanno in comune è l’avere a che fare con la stessa attività: l’attività espressiva. Ci sono attività comunicative che complicano la forma per esprimere un contenuto lineare.
Per esempio possiamo utilizzare il linguaggio per comunicare un contenuto, e in quel caso la forma linguistica deve essere la più neutra possibile.

Nessun testo può essere interpretato al netto della sua espressività. In ogni testo c’è sempre un margine di espressività.

Punto fondamentale che condivide con l’estetica: non può esserci conoscenza universale del particolare; non può esserci, come aveva detto Schlegel, una conoscenza dello spirito umano sul modello delle scienze naturali.

Lezione 08: martedì 30 aprile - Fenomenologia (online)

Husserl, autore di Idee per una fenomenologia pura. In quell’epoca c’era stato da un lato l’idealismo tedesco, e poi il positivismo come una sorta di reazione, con una forte impostazione scientifica.

L’idea era di andare a vedere i fatti stessi. La fenomenologia vuole costituire la filosofia come una scienza rigorosa. È Uuna sorta di atteggiamento rispetto al mondo che muove dall’epoché, la messa tra parentesi dell’esistenza delle cose, per cogliere le cose stesse nel loro manifestarsi, nel modo in cui ci appaiono come fenomeni.

L’idea è di cogliere con l’intuizione delle essenze, l’intuizione eidetica, le cose stesse. La tesi che Husserl riprende da Franz Brentano è che il carattere specifico della coscienza è l’intenzionalità, la coscienza è sempre coscienza di, coscienza di qualcosa che è fuori di sé. Anche la filosofia come riflessione sulla coscienza è rivolta a qualcosa.

Propone un metodo descrittivo - descrivere i fenomeni come ci appaiono. L’ermeneutica è legata alla fenomenologia, ma poi se ne scosterà. Heidegger, che è di fatto l’inventore dell’ermeneutica, è stato allievo di Husserl, e a Husserl dedica essere e tempo. L’allontanamento dalla fenomenologia avverrà con Heidegger. L’ermeneutica non si vuole limitare a descrivere i fenomeni come appaiono alla coscienza ma interpretarli alla luce di una data situazione storica.

Husserl ha scritto pochissimo di estetica. In uno scritto Husserl parla della Bild, insistendo sul supporto materiale. Il referente oggettivo dell’immagine, ciò di cui l’immagine è figura, e si differenzia dall’immagine mentale perché ha un supporto materiale. Comunque lui ha scritto poco. Ma molti suoi allievi hanno scritto diverse cose di estetica, sia sulla questione di che cosa sia l’opera d’arte, la differenza tra oggetto estetico e opera d’arte.

Merleau-Ponty si è concentrato sull’impatto dell’arte sulla nostra visione delle cose. In l’occhio e lo spirito, le strutture del comportamento.

L’ermeneutica intende i fenomeni come segni da interpretare, la fenomenologia come fenomeni.

Secondo Husserl c’è una analogia tra metodo fenomenologico e atteggiamento estetico. Alcuni testi della fenomenologia del primo ’900 sono state usate anche in ambito analitico. Se per Husserl l’atteggiamento fenomenologico richiede di mettere tra parentesi l’esperienza, questo accade anche nell’atteggiamento estetico: l’intuizione dell’opera arte si effettua mettendo fuori circuito ogni presa di posizione esistenziale. IN queste parole riecheggia la tesi di Kant circa la tesi per cui la bellezza ha a che fare con un piacere disinteressato - che non ha a che fare con l’esistenza dell’oggetto, ma con la sua rappresentazione. L’opera arte ci trasporta nello stato di una intuizione estetica che esclude quelle prese di posizione.

Derealizzazione: l’idea che ci sia una dimensione di irrealtà in quello che è l’ambito dell’esperienza estetica. Molti fenomenologici si interrogheranno anche sul valore di finzione, finzionale, di un’opera d’arte. Ciò che viene rappresentato o narrato dischiude un mondo che non pretende di essere il mondo reale, che non è il mondo reale. Il mondo dell’arte è come un mondo separato.

L’aspetto finzionale dell’arte non coincide con la sospensione della realtà - possiamo avere un’esperienza estetica generata dalla bellezza naturale.

in un’esperienza estetica sospendiamo legami funzionali della viat e instauriamo un rapporto diverso con la realtà - sospendiamo dice Husserl la nostra posizione esistenziale rispetto ai fenomeni, quando l’opera d’arte ci trasporta in una dimensione puramente estetica.
La tesi che esista un’esperienza di questo tipo è dibattuta.

L’atteggiamento della vita spirituale naturale, quello della vita attuale, è del tutto spirituale. Il contrario di quanto accade nell’esperienza estetica.

La tesi di Husserl è che tanto la fenomenologia quanto l’atteggiamento estetico proprio dell’arte sono accomunati da una sospensione dell’atteggiamento naturale per cui normalmente siamo coinvolti nel mondo.

La visione fenomenologica è strettamente affine alla visione estetica nell’arte pura - solo essa non è un vedere per godere, ma un vedere per conoscere, entrando in una nuova sfera, la sfera filosofica.

L’artista si comporta nel mondo in modo simile al fenomenologo, cioè si muove per una volontà di conoscenza.
L’esperienza estetica ci dispone a un atteggiamento di disinteresse per l’esistenza delle cose.

Husserl ha preso la distinzione tra Leib - corpo nella sua realtà, corpo vissuto, così come viene sentito dal soggetto nella sfera del fenomeno e dell’esperienza estetica - e Korpe - corpo nella sua mera materialità -

Filosofi come Konrad e Oscar Becher hanno applicato il metodo fenomenologico alla disamina dell’oggetto estetico in un’ottica anti-psicologistica, cercando di mettere tra parentesi il modo in cui gli oggetti vengono percepiti a livello psicologico e concependo l’oggetto estetico come oggetto intenzionale, come una serie di relazione distinto dagli eventi naturali e dagli eventi psichici. Questi sono stati influenzati principalmente dalle ricerche logiche,

Altri come Oscar Becher hanno lavorato più sulle idee per una fenomenologia pura, in cui Husserl assume una posizione trascendentale, occupandosi delle condizioni di possibilità dell’esperienza, con l’idea di una soggettività che costituisce i fenomeni con il modo in cui si rivolge ad essi. Becher definisce l’oggetto estetico attraverso l’analisi della soggettività dell’artista e del fruitore.
C’è una distinzione per questo autore tra oggetto estetico e opera d’arte. Se l’oggetto estetico può essere l’oggetto intenzionato attraverso qualsiasi tipo di atteggiamento - può essere oggetto anche se non è opera d’arte. L’oggetto estetico ha una estensione più ampia dell’opera d’arte. Questa è realizzata, istituita, in un atto de-realizzante che apre una realtà altra rispetto alla realtà naturale, incarnata però in un supporto materiale ma che possiede un’esistenza trans-oggettiva: la realtà dischiusa dall’opera d’arte non è riducibile alla dimensione materiale del suo supporto, la tela del quadro per esempio - e appartiene alla dimensione spirituale. L’idea è che l’opera d’arte sia un costrutto che sebbene si basi su un supporto materiale non possa ridursi a questo.

C’è una grossa affinità tra alcune tendenza dell’estetica analitica e della fenomenologia. Roger Strutton (?) ha sostenuto che l’esperienza estetica ha a che fare non tanto con il rapporto causale tra i suoni e gli strumenti che li producono, ma con un rapporto narrativo non-causale dei suoni tra di loro.

L’oggetto estetico non ha bisogno di un supporto materiale, in quanto può essere anche un evento psichico, un dato immaginario, una circostanza, a condizione che abbia alcune caratteristiche:

Il punto principale è chiedersi se l’esperienza estetica è nell’oggetto estetico dell’esperienza, nel soggetto, o nel rapporto tra i due. Possiamo dire che l’oggetto estetico ha delle qualità, ma qualità response-dependent, che hanno cioè a che fare con il soggetto.


Per tornare sull’impostazione generale della fenomenologia.

Altro filosofo che si rifà alla fenomenologia è Nikolai Hartmann, sulla tesi che l’esperienza estetica dal punto di vista ontologico abbia a che fare con una dimensione di de-realizzazione, l’idea che la dimensione della bellezza ha a che fare con la possibilità che la materialità dell’opera d’arte assuma un significato tale da trasportare il soggetto al livello del simbolico.

L’idea comune di questi filosofi è che l’esperienza estetica e gli oggetti estetici abbiano a che fare con una dimensione ‘altra’ rispetto a una dimensione ‘naturale’ dell’esperienza e della realtà, in cui gli atteggiamenti morali razionali conoscitivi che valgono nel rapporto quotidiano con il mondo vengono messi tra parentesi, e dunque l’esperienza estetica sarebbe qualitativamente diversa rispetto all’esperienza quotidiana.

Influsso di ciò nel dibattito contemporaneo: si parla di everyday aestethics. Bisogna capire in che senso possiamo parlare di fenomenologia a livello quotidiano, nel quadro di una filosofia che basava la propria specificità su una distinzione tra atteggiamento naturale e atteggiamento estetico. Se cioè possiamo avere un’esperienza estetica di tipo contemplativo anche per fenomeni quotidiani, anche per l’esperienza ordinaria e abituale. Questo è un punto che oggi è particolarmente discusso.

Altri filosofi hanno applicato l’indagine fenomenologica ad altre particolari manifestazioni artistiche. In Polonia … ha individuato in particolare 2 ambiti a cui applicare l’estetica di ispirazione fenomenologica: letteratura e musica.

Cioè si è chiesto che cosa sia dal punto di vista estetico un’opera letteraria e un’opera musicale. Obiettivo è far emergere la struttura oggettiva di questi due tipi di opere al di là degli stati psicologici del fruitore e dell’autore. Cioè, come l’opera d’arte è costituita dal punto di vista ontologico.

Roman Ingarden sostiene che la prima cosa di fare è escludere qualsiasi tipo di giudizio normativo, cioè assumere una posizione di tipo prescrittivo. Questo significa che le considerazioni che facciamo devono valere sia per la grande opera letteraria sia per il poliziesco. La tesi è che occorra fornire un’analisi capace di definire che cosa sia un’opera d’arte letteraria/musicale indipendentemente da considerazioni assiologiche/valutative, in quanto questo potrebbe portare ad una mancata oggettività della discussione.
Per Gadamer questo sarebbe un atteggiamento di tipo riduzionistico, una riduzione delle scienze dello spirito ai metodi tipici delle scienze naturali-matematiche. La peculiarità della sua tesi consiste nella capacità di descrivere l’opera musicale/letteraria a partire dai suoi elementi: nell’opera letteraria l’ambito linguistico, la dimensione semantica di un’opera letteraria, cioè il riferimento delle parole alle entità a cui si riferiscono.

Il punto è descrivere quali sono gli elementi dell’opera letteraria e i rapporti che gli elementi hanno tra di loro. Che tipo di realtà spetta all’opera d’arte letteraria? La tesi di Ingarden è che l’opera letteraria sia un tipo speciale di oggetto ideale.

L’opera d’arte incorporata da un oggetto materiale come un libro viene ricostituita di volta in volta dall’atto della lettura del lettore. C’è un ruolo del fruitore nella costituzione dell’opera, già incorporata nell’oggetto.

Il rapporto tra l’unicità dell’opera e la molteplicità delle sue realizzazioni è uno degli aspetti cruciali per comprendere certi aspetti dell’ermeneutica contemporanea, per cui la molteplicità dell’opera può essere considerata solo alla luce della molteplicità irriducibile delle sue interpretazioni (Gadamer). L’opera musicale è irriducibile all’oggetto materiale, e viene intesa come oggetto ideale, cioè oggetto che ha una dimensione di costrutto culturale, un oggetto sociale che si realizza grazie ai musicisti che interpretano la partitura e i fruitori che la ascoltano.

La differenza fondamentale tra opera letteraria e musicale riguarda

  1. la dimensione semantica - più problematica per quanto riguarda la musica;
  2. il fatto che l’opera d’arte musicale richiede la realizzazione, l’esecuzione da parte dei musicisti.

Il libro viene eseguito dal lettore che lo fruisce.

Il rapporto tra l’unicità dell’opera e la molteplicità delle sue realizzazioni è uno degli aspetti cruciali per comprendere certi aspetti dell’ermeneutica contemporanea, per cui la molteplicità dell’opera può essere considerata solo alla luce della molteplicità irriducibile delle sue interpretazioni (Gadamer).

Che cosa distingue un oggetto normale da un oggetto estetico?

Questo tipo di questioni interessa molti orientamenti filosofici diversi.

C’è una scuola tedesca quindi, una scuola polacca, e un’ampia e strutturata scuola francese, con M. Ponty, Sartre, Ingarden, Dufren, e molti altri.

Sartre

Sartre autore di L’essere e il nulla. La sua idea fondamentale rispetto all’estetica è che l’esperienza estetica ha a che fare con la dimensione de-realizzante della coscienza. La sua tesi è che l’immaginazione caratterizza la coscienza nelle sue caratteristiche più definitorie: l’immaginazione è la coscienza in quanto realizza la libertà realizzandosi come altra rispetto al mondo. Fenomenologicamente la coscienza è coscienza di, distinta dal mondo di cui fa conoscenza. In tal senso la coscienza è negazione del mondo, superamento della realtà, e dunque come immaginazione.
Aspetto cruciale per Sartre è che l’esperienza estetica viene a definire la stessa dimensione esistenziale della coscienza come altra rispetto al mondo. Tuttavia c’è un aspetto più specifico legato alla concezione sartriana di immagine. L’immagine è un oggetto separato dal reale, che nega la realtà, e questa distanza si manifesta nell’oggetto estetico, nell’opera d’arte come supporto materiale.

L’opera d’arte è costruito nell’immaginazione che pone questo oggetto come irreale. L’opera d’arte è mentale, si costituisce nell’atto intenzionale immaginativo della coscienza. L’immagine si configura nella mente dell’artista e poi del fruitore. Immagine è da intendersi come un medium, un supporto che ‘ospita’ l’opera d’arte, comunicandola al fruitore. In questo senso è un oggetto irreale.

Conseguenza è che la realtà non è mai bella, la realtà è opaca, oggettiva - bello è un valore che può essere attribuito solo all’immaginario che nasce da una annichilazione della realtà.

Due questioni:

Per Sartre l’esperienza estetica e quella finzionale convergono sempre.

Mikel Dufrenne

Scrive un testo intitolato Fenomenologia dell’esperienza estetica, in cui vengono messi a fuoco diversi temi. Dufren concentra la sua immagine sulla percezione estetica. È attraverso l’esperienza del fruitore che l’opera d’arte si costituisce come oggetto estetico.

Se per Sartre si costituisce come oggetto irreale che nega il mondo, per Dufren l’opera d’arte si costituisce come oggetto estetico grazie all’esperienza del fruitore.

Tre elementi costitutivi dell’esperienza estetica - percezione estetica - oggetto estetico - opera d’arte

Il discrimine tra oggetto estetico e opera d’arte è che l’opera d’arte diventa oggetto estetico grazie all’intervento del fruitore. Fenomenologicamente infatti fenomeno è ciò che appare a qualcuno. Ogni cosa cioè è oggetto in quanto appare a qualcuno.

L’opera d’arte può essere considerata come cosa ordinaria, ma può anche essere oggetto di una percezione estetica, l’unica a renderle giustizia. L’oggetto estetico viene in qualche modo qualificato da un soggetto. La materialità dell’opera resta rilevante nella misura in cui viene intenzionata da un soggetto.

L’oggetto si fa fenomeno attraverso la percezione che si dà nella fruizione. Nell’opera dobbiamo trovare il fondamento in sé dell’oggetto estetico - c’è l’idea che il fenomeno abbia a che fare con una illuminazione che viene alla luce nella coscienza.

Merleau-Ponty

L’artista è capace di farci vedere come vediamo.

Esperienza estetica non è solo esperienza di, ma esperienza con. Noi facciamo esperienza del mondo con l’opera d’arte.

Lezione 09: martedì 30 aprile - Ermeneutica

Ermeneutica si occupa dell’interpretazione come dimensione fondamentale dell’esperienza umana. Heidegger e Gadamer principalmente. Kirk ha messo in relazione ermeneutica fenomenologia e filosofia analitica.

Ci concentreremo su Heidegger e Gadamer perché hanno dato uno spazio significativo all’estetica.

Dilthay, prendendo spunto e mettendosi contro la concezione del positivismo, ha elaborato una teoria che vuole trovare un metodo di studio del senso nella storia differente da quello delle scienza naturali.

Dilthay

NaturGeistwissenschaften sono le scienze della natura. Il problema di Dilthay è la giustificazione della conoscenza storica.

Le scienze della natura usano il procedimento dell’Enklaren, dimostrare, mostrare. Le scienze dello spirito hanno invece come metodo fondamentale la comprensione del senso. In particolare, il punto fondamentale delle scienze dello spirito è inquadrare le singolarità in significati generali

Erledniss significa esperienza vissuta. Contro questo concetto polemizzeranno vari autori tra cui Gadamer distinguendo tra due concetti di esperienza. La lingua tedesca ha due termini per descrivere l’esperienza: uno è Erfahrung, che si riferisce a viaggiare (Fahren), quindi enfatizza sulla trasformazione che avviene nell’esperienza, mentre l’Erledniss ha a che fare con il termine Leben, che significa vita, quindi Erlebniss è l’esperienza vissuta, la vita, un’esperienza singolare puntuale che ha a che fare con l’immediatezza nel suo darsi.

Se l’Erklaren per Dilthay è la spiegazione dei fatti, il comprendere ha a che fare con la capacità di comprendere l’esperienza vissuta. Il comprendere ha a che fare con la possibilità di fornire al sapere storico un fondamento psicologico, cioè la capacità di rivivere dall’interno le esperienze dei protagonisti - non si può ridurre la conoscenza storica a quella della natura. Si tratta di comprendere il senso dell’esperienza e cogliere il vissuto dei protagonisti della storia.

In terzo luogo occorre riconoscere la sostanziale co-appartenenza dello studioso delle scienze dello spirito al mondo culturale che cerca di comprendere - cioè prendere consapevolezza della circolarità ermeneutica in cui si muove il pensiero. Per circolo ermeneutico originariamente si intendeva la dipendenza delle parti dal tutto - ad esempio di ogni frase dal contesto. Se la valutazione di un’opera di un autore può basarsi solo sull’intera opera di quell’autore, bisogna considerare anche il contesto storico-culturale in cui l’autore si situava.

Dilthay estende la circolarità ermeneutica anche al rapporto che c’è tra il periodo storico e lo studioso che prova a capire un autore. Questo è un punto fondamentale che verrà ancora più radicalizzato da Heidegger e Gadamer. Le conseguenze del fatto storico hanno cioè un impatto su chi lo studia.
In tal senso la nozione di Erlebniss è fondamentale perché si tratta di integrare, comprendere la singolarità individuale integrandola in quella che viene chiamata Weltanscharung (?) di un’epoca (Visione del mondo).

Per Dilthay ogni pretesa di completezza è un ideale metafisico irraggiungibile per il carattere linguistico della comprensione storica. Un’idea che prende da Schleiermacher e estende al contesto storico.
Questo circolo non è un circolo vizioso, ma un aspetto fondamentale della comprensione di cui occorre rendersi conto e tematizzare..

Occorre considerare che c’è un senso che implica e deve tenere conto dell’osservatore. Non è possibile una oggettivazione, altrimenti avremmo la descrizione propria delle scienze naturali. In ambito storico occorre rendersi conto che la verità può darsi ma in un modo che tiene conto della soggettività dello studioso e del suo contesto storico. Non stiamo studiando fatti nella loro oggettività, ma fatti che coinvolgono anche chi vuole studiare.

Esperienza vissuta e poesia, 1906 è un’analisi dell’immaginazione poetica in quanto capace di trasformare i fatti in avvenimenti significanti, cioè dare senso ai fatti, di far vivere il passato, di avere una Erlebniss, un’esperienza vissuta del passato.

C’è una vicinanza tra storia e poesia nella misura in cui la storia diventa capace di illuminare il significato dei fatti, cioè l’impatto che i fatti possono avere come fenomeni che in qualche modo continuano a impegnare lo studioso. In qualche modo è lo stesso atteggiamento del poeta, che dà valore ai fatti e al loro significato.

Dilthay è un precursore dell’ermeneutica, ma Gadamer si sofferma su una critica del concetto di Erlebniss su cui fonda la particolarità delle scienze dello spirito, che si servono della comprensione, come contrapposte alle scienze della natura.

Questi fenomeni possono essere anche solo fenomeni estetici.

Heidegger

Heidegger è stato allievo di Husserl, è influenzato da Nietzsche e Kierkegaard. La sua filosofia è una radicalizzazione dell’ermeneutica, per cui l’ermeneutica da problema epistemologico diventa problema ontologico - l’esistenza è interpretazione, l’interpretazione è una dimensione fondamentale dell’esperienza umana.

Il tempo (Zeit) è il modo di essere dell’esserci (Dasein). L’esserci indica la soggettività umana, anche se Heidegger non parla di soggetto, termine troppo legato alla metafisica che Heidegger vuole decostruire. L’esserci - significa essere nel mondo (in der Welt sein) - è legato alla pre-comprensione del mondo in cui è gettato, quando nasciamo, nasciamo in una situazione che pre-determina il modo in cui noi comprendiamo la realtà. La situazione cioè orienta ciò che siamo in qualche maniera.

In Heidegger c’è sicuramente una critica del concetto di soggetto come tematizzato nella filosofia moderna. L’esistenza è invece un’esserci, un essere con gli altri - una descrizione di tipo fenomenologico relativa a quelli che Heidegger chiama gli esistenziali, caratteristiche tra cui troviamo la Gewinnistalt (fatto di trovarsi, Vattimo), l’intonazione emotiva che costituisce la determinazione affettiva fondamentale dell’esistenza, caratterizzata dal vivere una determinata situazione, dall’essere gettato in una determinata situazione.

1936: Sull’origine dell’opera d’arte

Successivo a Sein und Zeit. Heidegger esplora il rapporto tra essere e tempo a partire dall’essere stesso (svolta ontologica). È inserito nella raccolta Sentieri Interrotti. Il testo inizia in modo fenomenologico, il discorso però nel suo svolgimento si piega all’ermeneutica.

In Essere e Tempo c’è una disamina del rapporto dell’essere umano con le cose esistenti - le cose più che essere presenti come datità oggettive sono considerate come Voranden, come utensili. Le cose si danno anzitutto e perlopiù a noi come mezzi che vengono utilizzati.
Heidegger si avvicina ai romantici per molti versi. In Gadamer invece l’approccio è più immediato.

Il testo considera la questione che cos’è l’arte e qual è la sua origine. Heidegger sostiene che il problema dell’origine dell’opera d’arte assume la forma del problema dell’essenza dell’arte. Per determinare l’essenza dell’arte dobbiamo chiederci che cos’è l’opera d’arte perché essa si trova nell’opera d’arte.

L’opera è il luogo in cui si origina la verità, non nel senso dell’adeguazione dell’intelletto alla cosa, verità come corrispondenza, ma apertura di una nuova dimensione di senso, apertura di un mondo in cui si rende possibile l’esperienza.
Heidegger muove dalla constatazione che ci si muove in un circolo - per capire cos’è l’arte bisogna capire cos’è l’opera d’arte e viceversa.

Possiamo considerare il fatto che l’opera d’arte si mostra nel mondo come cosa fra le cose, come oggetto tra l’altro. Bisogna chiedersi quali sono le principali determinazioni al concetto di res. Tutte le opere hanno questo carattere di cosa, Ding….. La cosa è anzitutto pensata come sostrato portatore di qualità percepite attraverso i sensi, e poi come materia formata. In modo abbastanza veloce Heidegger passa a sostenere che l’unica concezione plausibile della cosa è quella di materia formata, soprattutto per quanto riguarda l’opera d’arte, una cosa fabbricta.
Fondamentale perché ci sia un’opera d’arte è che si formi una materia.

Ma sostrato portatore di qualità non funziona perché il sostrato, il subiectum, può essere descritto solo a partire dalle qualità. Possiamo intendere l’oggetto come elenco di qualità percepite dai sensi, ma si perde la dimensione ontologica. Possiamo allora utilizzare la nozione di materia formata, utile a farci capire il senso di un’elaborazione di una materia da parte di un artista.

Ma Heidegger aggiunge che la cosa rimanda ad altro - c’è un carattere allegorico o simbolico (Heidegger non distingue tra i due termini) - l’opera d’arte rimanda a qualcos’altro. Unire si dice in greco sumballein, l’arte simboleggia in questo modo.

L’opera d’arte dunque è allegoria e simbolo, e perciò si distingue dallo strumento. L’oggetto è materia formata utilizzabile. L’opera d’arte è invece libera da scopi pratici. L’arte dimora nell’essere.

Un filosofo contemporaneo, Al Malone, sostiene che l’opera d’arte sia uno strano strumento (strange tool), cioè uno strumento privato della propria funzionalità. Questo ci fa pensare al modo in cui Kant aveva parlato di finalità senza scopo. L’idea è che l’arte sia fine a se stessa, che non sia uno strumento ma manifesta una finalità che non è un a finalità strumentale. Le cose sono strumenti, l’opera d’arte non è uno strumento.

La comprensione di ciò che significa essere strumento dello strumento non è data dallo strumento stesso - la strumentalità dello strumento non è compresa attraverso il suo utilizzo. Quando utilizziamo un martello non lo stiamo comprendendo, lo stiamo utilizzando. Il significato dello strumento viene compreso grazie all’opera d’arte.

È per questa ragione che l’arte è da intendersi come porsi in opera della verità - attraverso l’arte si apre una possibilità di significazione della realtà.

L’esempio che fa Heidegger è quello del quadro di Van Gogh, Le scarpe del contadino. Esempio: un paio di scarpe, oggetto che ha una funzione, vengono comprese nel loro significato grazie all’opera d’arte.

Ma in che senso parliamo di significato in questo caso? Intendiamo che la verità non è imitazione o conformità o corrispondenza alla cosa. Il significato non è quello di dare una riproduzione fedele della realtà. Già Hegel aveva individuato l’inutilità di una riproduzione fedele, cioè di un doppione della realtà.

Si tratta di istituire la verità. Heidegger intende la verità come evento, nel senso etimologico aletheia, non nascondimento, cioè disvelamento, di che cosa? Dell’essere. Secondo Heidegger l’essere è stato occultato nella storia della metafisica occidentale, venendo degradato ad ente - l’arte è evento di verità perché disvela la verità, è il porsi in opera della verità.

La comprensione della verità, più che la conoscenza, è fondamentale per l’estetica. L’arte è capace di dischiudere un mondo. Espliciteremo la nozione di mondo nel contesto della produzione di Heidegger.
L’allegoria è simbolo perché entra in relazione con la verità. Il simbolo è la verità stessa.

Passiamo da una descrizione di tipo fenomenologico a una proiezione di significati, una iper-interpretazione, un conferimento da parte dell’osservatore di significati che in realtà non sono presenti nel quadro.

La verità in pittura, Derrida
In Derrida il significato si disperde nel testo del significante, non c’è un riferimento.
Il quadro di Van Gogh si sedimenta, si sedimenta nel testo di Heidegger, c’è un legame e una trasformazione del senso.

Il punto è che per Heidegger le opere sono tali se hanno la capacità di coinvolgerci nel senso.

Un problema fondamentale riconosciuto dall’ermeneutica e dal pragmatismo. Il problema è che le opere d’arte hanno perso il loro contesto originario, discorso che fa anche Gadamer in modo più esteso e particolareggiato. Questo fatto, la musealizzazione, fa parte di un processo di soggettivazione dell’esperienza estetica e trasformazione dell’opera d’arte in oggetto da esposizione, da percepire come esposto in un certo modo e in un certo contesto allo scopo di farne una esperienza estetica. Questo è un problema perché fa perdere all’opera d’arte il loro contesto originario.

L’arte come esperienza, 1934

Mondo e Terra

L’Heidegger introduce una coppia concettuale - l’opera manifesterebbe il conflitto, la contesa tra mondo e Terra. Il Mondo esprime l’orizzonte culturale, storico, linguistico, cioè rete di significati e di rimandi di significazione.
La Terra indica invece la riserva di fisicità naturale (physis), matrice che non può essere definitivamenter esplicata, è il fondo oscuro e la condizione di possibilità dell’opera. La materialità dell’opera è irriducibile al suo significato.