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Gabriele Ferri
Università di Torino
Mercoledì 15 maggio 2024
Secondo Platone, le arti riproducono ciò che appare: i poeti e gli artisti riproducono una parvenza.
rimangono due alternative:
Prima di scegliere tra essere e parvenza, essere oggetto di un particolare modo della percezione è la prima relazione possibile con l’opera d’arte.
L’opera d’arte, prima di essere essere o parvenza, deve essere percepita nella modalità del suo apparire.
Questo apparire viene prima:
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Esempio: il peso di una scultura non ci dice nulla della costituzione estetica di una scultura, ma ha una rilevanza estetica solo se riferisce al processo di percezione della scultura - se la pesantezza è percepibile oppure no.
La condizione fondamentale dell’opera d’arte è di essere a disposizione, nel suo apparire, di una percezione.
L’essenza dell’opera d’arte sta nell’apparire a una percezione
Il suo apparire può essere inteso come rivelazione dell’essere o messa in scena della parvenza - ma spesso questa è più o meno e allo stesso tempo entrambe. Può anche non essere nessuna delle due, e solo un gioco di apparizione.
A fronte di questa nuova definizione, si aprono delle opzioni - l’estetica della parvenza può superare il confinamento alla teoria dell’arte, definendo l’attenzione estetica in generale come attenzione orientata all’apparire di ciò che appare.
come ci poniamo rispetto a queste figure?
chiediamoci: proviamo timidezza? perché la proviamo se i personaggi non sono reali?
perché li guardiamo in modo così insistito?
queste questioni sembrano essere risolte da un’estetica dell’essere: o le immagini sono vere, o sono false
ma la base della parvenza a cui entrambe ricorrono è l’apparire, lo stare di fronte dell’opera rispetto all’osservatore.
quelle figure, in altre parole, provocano degli effetti reali, delle sensazioni reali: i fenomeni della parvenza. Apparire mediale .
qual è la verità di questa installazione?
una spiegazione in termini di essere o parvenza è insufficiente: il punto non è che l’oggetto deve essere percepibile affinché ci sia la possibilità di percepirlo in quanto arte; ma qualsiasi analisi possibile prende le mosse dall’ apparire dell’opera come presenza fenomenica, resa possibile dai diversi dispositivi elettronici (i monitor).
impossibilità di conciliare ciò che avviene contemporaneamente: i monitor non possono essere guardati tutti insieme.
il senso dell’opera è cioè completamente ancorato alla situazione letterale e situativa della sua materialità
la testa senza corpo mostra sia l’assenza di corpo che una corporalità estrema
.
In generale, oggi mancano:
In altre parole, l’accessibilità di un luogo virtuale è diversa dall’uso estetico che possiamo fare di un luogo virtuale.
La tecnica del cyberspazio non è artistica in quanto tale: lo spazio immaginativo virtuale potrà acquisire un carattere estetico a condizione che la permanenza in esso si possa distinguere da:
La permanenza in uno spazio immaginario diventerebbe permanenza in uno spazio d’immaginazione, facendo emergere le possibilità di entrambi gli spazi.
Cita Peter Weibel, che mostra come la struttura concettuale dell’estetica sia ormai inutile. L’arte si è trasformata a causa dei media tecnologici.
Weibel sostiene come Foucault un’arte ironica - che si confronta con i rapporti di potere svelandoli
Data l’impossibilità di una fondazione ontologica, puntiamo su una fondazione semiotica dell’arte*, perché essa pone il problema del potere
cioè: la realtà è un effetto prodotto da sistemi di potere e segni contingenti
In questa prospettiva, per una teoria dell’arte (strettamente riferita all’arte) è indifferente un’ontologia dell’essere o del potere - il suo compito rimane uguale: svelare qualcosa che si compie dietro i fenomeni
La teoria di Weibel è quindi una versione alternativa dell’estetica dell’essere, contro cui si rivolge contro
Questo tipo di estetica vorrebbe abbandonare l’estetica dell’essere e il discorso della parvenza - ma non capisce che l’apparire può anche essere concepito come apparizione non già di qualcos’altro, ma come apparire autonomo.
L’apparire autonomo emerge:
Flusser porta all’estremo la tesi per cui i media hanno portato un radicale sconvolgimento del paradigma estetico tradizionale: dobbiamo intendere tutto, compresi noi stessi, come una parvenza digitale.
Gli oggetti intorno a noi, ciò che veniva chiamato anima, vanno pensati come computazioni di punti.
I profeti dell’epoca mediale obbediscono a questo slogan per cui la differenza tra essere e parvenza oggi non vale.
Tra questi:
l’estetica digitale […] ci conduce […] verso un aldilà di significato segnico, di senso e oggetto che […] non ci conduce però fuori dal labirinto del possibile, ma sempre più profondamente dentro al mondo del combinatorio, del multiplo e degli eventi permutazionali. Andiamo in labirinti estetici con i quali ci esercitiamo ludicamente alla realtà della parvenza.
Il punto comune di tutte queste argomentazioni è il Nietzsche semplificato:
Ma non possiamo pensare che i processi di digitalizzazione e virtualizzazione mettano sottosopra i concetti di verità e realtà, pur causando sicuramente degli sconvolgimenti radicali nel nostro modo di vita.
La conclusione è sbagliata: anche se il conoscere è costruttivo non si può affermare che sia esclusivamente costruttivo.
Ma che la verità sia una proprietà degli enunciati non significa che la realtà sia tutta questione di parvenza: ma significa che la verità è accessibile solo attraverso una nostra presa di posizione nei confronti della verità degli enunciati
L’estetica dei media impazzita si sottrae al “compito storico di ripensare i concetti portanti della comprensione del mondo in rapporto ai cambiamenti storici tecnologici che aprono nuove possibilità di percezione e di conoscenza.
Senza le dovute differenziazioni tra spazio reale e virtuale la struttura di opere come Hill o Naumann non potrebbero essere descritte - per non parlare dei prodotti dell’arte cibernetica.
Seel rigetta il criterio accettato dai profeti dell’epoca mediale, quello di un necessario superamento della differenza tra essere e parvenza. Un’estetica dell’assoluta parvenza è la risposta sbagliata all’estetica dell’essere.
Una estetica dei media adeguata deve sviluppare un linguaggio adatto a un mondo in cui l’influenza mediale aumenta sempre di più.