Tutti i riferimenti bibliografici si riferiscono a:
Baruch Spinoza, Trattato Teologico-Politico, Einaudi, Torino 2007.
Immaginazione (nell’Etica): affezione del corpo umano le cui idee rappresentano i corpi esterni come a noi presenti. Le immagini non riportano le figure delle cose.
Immaginazione (nel Trattato): conoscenza come rappresentazione sensibili, suscettibile di raggiungere per l’intervento dell’intelletto la perfezione di conoscenza vera ed adeguata (nota 9 p.36).
Teoria degli attributi e dei modi infiniti: gli attributi di Dio sono infiniti, perchè la sostanza è infinita, ma noi ne conosciamo solo due: pensiero ed estensione.
Idea: modo della Mente di Dio (che è un attributo), cioè della natura pensante (p.114). Le idee non sono causate dalle cose percepite (ideati), ma sono causate direttamente da Dio, cioè sono causate da Dio considerato sotto l’attributo della mente. La mente umana è un modo della mente di Dio.
Potremmo dire che l’idea, in quanto modo della mente di Dio, è un pensiero limitato.
Idea di Dio: modo infinito immediato del pensiero (cioè della Mente di Dio). (p.113)
Causalità dei modi: non ci può essere relazione causale tra modi di diversi attributi. L’essere del pensiero determinato come modo (idea) è dedotto dal proprio attributo (il pensiero) con la stessa necessità con cui le cose estese determinate vengono dedotte dall’’estensione. Un’idea non può essere causa di un corpo.
L’ordine e la connessione delle idee sono identici all’ordine e alla connessione delle cose (estese) (E. II, prop.7) (p.115).
mens, anima, animus:
La mente è l’idea del corpo: significa che il corpo è il primo oggetto della mente. I due sono uniti e non hanno nessuna interazione reciproca. Il corpo è affetto in molti modi: noi uomini non riusciamo a percepire nulla che non siano corpi e modi di pensare.(E. II, ax. 4 e 5). Il soggetto, nella mente come nel corpo, è il prodotto di pensieri e di corpi. Per diventare tale, il corpo ha bisogno di altri corpi, la mente di altre menti.
(p.119-120)
p. 121-130 PICCOLA FISICA: corpora simplicissima e corpora composita, nozione di traccia
affectiones: ha due sensi.
Affezione: sentire e percepire
Immagine: affezione la cui idea rappresenta i corpi esterni come a noi presenti.
Immaginazione: opinione, conoscenza per segni, conoscenza di primo genere.
Tre generi di conoscenza: immaginazione, razionalità, intuizione. Solo gli ultimi producono necessariamente idee adeguate. Razionalità e intuizione hanno carattere di adeguatezza e attività. La conoscenza intuitiva non è razionale. Il terzo genere di conoscenza corrisponde propriamente all’intelletto ed è conoscenza delle cose singolari. Noi conosciamo Dio non in modo di capire la natura di Dio in generale, ma possiamo vedere la relazione tra Dio e un oggetto singolare.
Affetto: affezione che aumenta o diminuisce la potenza di un corpo.
Meijer è un amico di Spinoza, e si occupa di dare delle regole per intepretare la scrittura diverse da quelle date da Spinoza. In questa prefazione viene descritto:
Luogo comune del ’600 è che nella filosofia precedente mancasse il metodo per trovare una verità filosofica. Nel ’600, la filosofia già nota (quella aristotelica) viene insegnata nelle scuole. Alcuni usano il metodo matematico per esprimere la nuova filosofia - cioè Cartesio.
Il metodo matematico permette a Cartesio di porre le fondamenta incontrovertibili della filosofia.
Spinoza, Locke, Malebranche sono dei post-cartesiani: non sono cartesiani, ma la loro filosofia non sarebbe possibile senza Cartesio. Secondo l’autore tuttavia, Spinoza vuole solo rendere più chiara, semplice, e matematica la filosofia di Cartesio, riducendone il numero degli assiomi.
Oldenburg è il segretario della Royal Society; aveva fatto nel 1661 un viaggio nei Paesi Bassi e va a trovare Spinoza. Parlano di scienza: di Boyle - e non è un caso: in Gran Bretagna c’erano forti politiche sulla filosofia di Hobbes e di Boyle, e di Bacone. Oldenburg interroga quindi Spinoza in merito a queste questioni.
Qui leggiamo una lettera dell’Ottobre del 1665, in cui Spinoza annuncia che sta scrivendo il Trattato Teologico-Politico. I motivi che lo spingono sono 3:
Nel Trattato non viene mai spiegato in modo chiaro che cos’è la democrazia. Nell’ultimo anno della sua vita scrive ma non riesce a finire il Trattato Politico, dove fa in tempo a spiegare la monarchia e la aristocrazia, ma non fa in tempo a finire la parte dove parla della democrazia, dove poteva spiegare il ruolo in tutto ciò dei saggi, dei filosofi ecc.
Non c’è motivo di pensare che questi sviluppi avrebbero portato ad una teoria di stampo platonico, con classi fisse e filosofi al potere, forse proprio in virtù dell’imperfezione dei filosofi, condizionati anch’essi dalle passioni.
Una delle ipotesi in generale è che quando Spinoza parla di democrazia sta pensando all’Olanda, che è una Repubblica Libera. Lo dice all’inizio della Prefazione al Trattato, e non è solo una captatio benevolentiae, e questa classificazione delle province unite come democrazia ritorna anche alla fine.
In App. Etica I si espone il ragionamento finalistico, che porta gli uomini a non riflettere sulle cause e a sentirsi il centro del mondo. Gli uomini credono di essere liberi.
Distrutta ignoranza, distrutto lo stupore.
Fine: raggiungimento dell’utile. Pregiudizio.
Agire per un fine. Dio non può agire per un fine, gli mancherebbe qualcosa.
Perchè siamo portati a pensare in senso finalistico?
Perchè quando nasciamo non comprendiamo le cause delle cose, non abbiamo le idee innate, quindi non abbiamo cognizione di quello che succede, ma sentiamo un appetito, una tensione a cercare quello che ci utile; e non solo la sentiamo, ma siamo coscienti di averla, cioè sappiamo che noi funzioniamo così.
Da questo discende un primo errore fondamentale: che pensiamo di essere liberi. La sensazione della libertà è la stessa che avrebbe una pietra cosciente mentre cade. Questa pietra non penserebbe che la sua caduta è determinata da leggi; ma pensa che sia un prodotto della sua volontà; ma ciò perchè ha coscienza solo che sta cadendo, e non ha conoscenza delle cause. A gli uomini succede la stessa cosa: noi sentiamo di essere liberi (sentiamo di stare cadendo), ma non ci interroghiamo veramente sulle cause. Cercare qualcosa che è utile per me significa agire in vista di un fine. Quindi io, visto che ho agito in vista di un fine, penso che sono libero.
Gli uomini sono naturalmente portati a cercare le cause finali, e non le cause efficienti.
In questa ricerca del fine trovano conferma nelle cose che ci sono utili: visto che esistono delle cose utili, noi pensiamo che qualcuno le ha fatte utili per noi, strutturando la natura in funzione dell’uomo.
Spinoza prende in considerazione che si possa anche pensare che esistano uno o più rettori della natura, riferendosi dunque al politeismo.
Ma gli uomini non conoscono questi rettori, quindi in base alla loro immaginazione li pensano uguali a loro, e desiderosi di onori, tributi, ecc; pensando che ce ne possiamo guadagnare la benevolenza soddisfacendo i loro capricci. La natura e gli dei sono colpiti dal medesimo delirio degli uomini. Spinoza ci dice anche perchè è molto difficile superare un ragionamento finalistico: perchè questo pone nelle sue premesse che ci sia un’intelligenza superiore che vede oltre, che sa di più.
In questo senso la matematica ha avuto un ruolo storicamente determinante, in quanto ha messo in discussione l’imperscrutabilità della verità. Non ci sarebbe mai stato il pensiero filosofico senza la matematica. Data la difficoltà di smontare il ragionamento finalistico, senza la matematica questa causa da sola sarebbe bastata a tenere celata per sempre la verità.
Fallacie del ragionamento finalistico:
Parole chiave: superstizione, paura, pregiudizi, speranza.
Gli uomini sono superstiziosi. Il loro animo è volubile, specialmente quando sono affetti da paura e altre passioni. Con la superstizione si dominano le masse.
Questa prefazione è “sorella” dell’appendice alla prima parte dell’etica che parla dei pregiudizi.
Riferimenti a Hobbes
In Hobbes abbiamo paura degli altri, non tanto dei fenomeni
naturali ecc. La paura diventa uno strumento di potere.
Riferimenti a Lucrezio e Perseo
Altro collegamento con la paura, intesa come origine della superstizione
e della religione. C’è un riferimento fortissimo a Lucrezio e Perseo,
che parlavano molto di paura e non di immaginazione.
Lucrezianamente, la natura è matrigna, alla natura non importa nulla dell’essere umano; invece l’uomo ha un fortissimo pregiudizio antropocentrico, che lo porta a pensare che tutti gli eventi possibili si riferiscono a lui.
Quando scrive il Trattato Teologico-Politico, Spinoza ha già scritto 4 parti dell’Etica.
Spinoza usa un vocabolario che per metà si riferisce al mondo classico, e quindi apparentemente rivolgendosi al paganesimo, dall’altro si riferisce al cristianesimo del suo tempo. Questo fa sì che a un lettore cristiano il testo risulti poco sopportabile, in quanto il cristianesimo si pone come superamento del paganesimo.
Spinoza invece individua sotto la categoria della superstizione, il paganesimo quanto il cristianesimo.
Speranza e timore, nel Trattato Teologico-Politico come nell’Etica, vanno sempre insieme. Sono due facce della medesima incertezza.
Quando Spinoza critica la religione e afferma che la religione superstiziosa nasce dalla paura, si pone in continuità con una tradizione che parte da Lucrezio, e continuata anche da Hobbes, per esempio. Per Hobbes addirittura lo Stato nasce dalla paura.
Meraviglia: Nell’Etica la meraviglia non è connotata come una passione positiva, ma è ignoranza. Ci meravigliamo delle cose che non conosciamo. La meraviglia produce miracoli. Cartesio parla della meraviglia come Aristotele: la meraviglia è l’origine della conoscenza, viene dopo la percezione. In Spinoza invece ha una connotazione negativa.
Origine della profezia: proiettare sul futuro qualcosa che è accaduto nel passato.
Origine dei culti: quando pensiamo che qualcosa che ci spaventa dipenda dagli dei, e proviamo a placare la loro ira con dei rituali.
Teoria sui miracoli: i miracoli sono fenomeni naturali di cui non conosciamo le cause.
Dio iscrive i suoi decreti nella mente, non nelle viscere degli animali: una tradizione in linguaggio teologico del pensiero di Spinoza sulle leggi della natura. Nell’Etica non si parlerebbe di decreti.
La paura è la causa che origina, mantiene e favorisce la superstizione.
Spinoza parla di saggio, di sapiente, ma persino il saggio non può annullare le passioni: questa è una grossa differenza con il modello stoico. Il saggio deve avere delle strategie di controllo e di rafforzamento della sua razionalità, ma anche lui è soggetto alle passioni.
Se si dovessero soltanto assecondare le proprie passioni psicologiche, ciò darebbe luogo a infinite superstizioni. Le religioni si danno invece delle strutture fisse razionali.
Nella Prefazione troviamo un riassunto molto sintetico dei contenuti dell’opera. È un riassunto parziale. Nella Prefazione vengono messe più in luce le tesi filosofiche di fondo, piuttosto che gli argomenti eruditi.
C’è quindi un vero e proprio elenco di argomenti, con alcuni concetti che vengono tematizzati:
* = temi molto scottanti all’epoca
Non si accenna ad alcuni contenuti che però si trovano all’interno del Tractatus:
Miracoli
I capitoli in cui viene fatto un commento specialistico, stilistico alla Scrittura, che comprendono varie opinioni eterodosse o comunque strane, tra cui:
Forse non accenna a queste cose perchè non si tratta di argomenti strettamente filosofici.
Se la causa prima della Prefazione al Trattato Teologico Politico è la paura, nell’Etica non si può parlare di paura, cioè non può parlare di affetti, perchè nella I parte ha parlato solo di Dio. Espone delle cose sulla natura della mente, ma non le può dimostrare.
Però nel I dell’Etica ha solo descritto come funziona Dio, cioè dotato di infiniti attributi, quindi bisogna riconsiderare il Bene, il Male, ecc., in base alle passioni e a Dio.
Nell’‘Appendice all’Etica, è centrale il concetto di passione come contrapposta alla ragione. Nella Prefazione al Teologico-Politico, l’origine della superstizione è la paura**.
Ma dobbiamo chiederci perchè nel Teologico-Politico parla di paura e
non nell’Etica? Possiamo fare delle ipotesi:
Forse erchè la paura può permettere di passare alla politica. Le
passioni, anche per il saggio, non possono mai scomparire. Anche i
Filosofi non sono sempre Filosofi, non si può pensare a un’intera vita
al riparo dalle passioni. Anche l’Amor Dei Intellectualis non è
costante, non sei sempre in contatto con Dio. La Mente è l’idea del
Corpo, e tutto quello che succede al corpo succede alla Mente.
Questi ultimi due generi fanno agire la parte della mente eterna di tutti gli uomini, facendole funzionare nel modo migliore. L’immaginazione invece non fa lavorare la parte più nobile.
Le ultime righe di questa Appendice alla I parte sono uno dei pochi luoghi dell’opera di Spinoza dove lui parla di teodicea, cioè quella parte della filosofia che si occupa del bene e del male, cioè della giustizia divina.
Il primo a usare questa parola è Leibniz che scrive il Saggio di Teodicea.
Il riferimento cristiano della teodicea è Agostino, che ha conciliato la visione del male con quella della natura onnipotente e onnisciente di Dio.
Spinoza risponde alla questione: perchè un Dio di infinita potenza, saggezza e bontà dà luogo al male e la sofferenza? Poteva dire: Dio non ha fini, e non può preoccuparsi del bene e del male per l’uomo. Ma la sua risposta è: da Dio dipende tutto quello che esiste, cioè ha infiniti attributi; noi siamo una parte di ciò che esiste grazie a lui,da Dio dipende tutto quello che esiste, cioè ha infiniti attributi (Etica Prop XVI); noi siamo una parte di ciò che esiste grazie a lui, siamo una parte che questa caratteristica. Chiederci perchè esiste la sofferenza a causa di Dio sarebbe come chiederci perchè non abbiamo le ali.
Secondo Cartesio è errato cercare di capire quali sono i fini di Dio, perchè non si possono conoscere. Non si possono conoscere cioè le cause finali. La scienza si può riferire solo alle cause efficienti.
Secondo Spinoza, i fini di Dio non possono essere conosciuti perchè non esistono, l’unico modo per conoscere Dio è abbandonare il discorso finalistico. Dire che Dio non ha dei fini significa uscire dalla concezione di Dio come persona.
Tag: profezia, immaginazione, spirito, Dio, Cristo, Mosè.
Profezia è la conoscenza certa di una cosa rivelata da Dio agli uomini. Profeta colui che interpreta le rivelazione di Dio per coloro che non ne possono avere una conoscenza certa, e che perciò possono accettare per sola fede le cose rivelate.
La conoscenza naturale si può chiamare profezia - le cose che conosciamo per lume naturale dipendono da Dio, in quanto come uomini siamo partecipi della mente di Dio. I divulgatori della scienza naturale tuttavia non possono chiamarsi profeti, perchè la loro conoscenza è accessibile a tutti. Ma nulla impedisce a Dio di comunicare con altre vie le stesse cose che possono conoscere per lume naturale.
Cerchiamo quindi più informazioni sulla conoscenza profetica nelle Scritture, secondo il metodo della sola Scrittura - non possiamo dire nulla circa le cose che eccedono il nostro intelletto, oltre a ciò che ci è stato tramandato dai profeti. Tuttavia bisognerà ammettere solo le cose esposte dai profeti con la massima chiarezza.
Non tutto ciò che nella Scrittura si dice Dio abbia detto è da intendersi subito come profezia o conoscenza soprannaturale, ma soltanto ciò che la Scrittura espressamente afferma.
Ad esempio, la voce con cui Dio rivelò a Mosè le leggi fu l’unico caso in cui Dio parlò proprio con una voce reale. Tutte le altre volte, fu frutto dell’immaginazione dei profeti. I profeti percepirono la rivelazione di Dio con l’aiuto dell’immaginazione. Non si sa per quali leggi sia accaduto, ma è l’unica spiegazione che si riesce a trovare nella Scrittura. Tutto è causato ovviamente dalla potenza di Dio, ma non potremo mai risalire “ai suoi piani” (p.33). “È come se volessi spiegare con un termine trascendentale la forma di una cosa singolare”.
I profeti hanno insegnato tutto in termini di parabole ed enigmi perchè questi sono più conformi alla natura dell’immaginazione; infatti grazie all’immaginazione hanno potuto percepire molte cose che vanno al di là dei limiti dell’intelletto.
I profeti si sono immaginati Dio tutti in forma diversa.
L’unico profeta ad aver ricevuto la rivelazione divina senza l’aiuto dell’immaginazione fu Cristo, che comunicò con Dio da mente a mente. O meglio, comunicò agli apostoli attraverso la mente di Cristo.
Cosa significa che i profeti parlavano secondo lo spirito di Dio?
Gli ebrei usavano l’espressione di Dio per molte cose. Tutto
ciò che superava la loro intelligenza lo riferivano a Dio.
Spirito, ruagh, in ebraico significa
“vento,”alito”, “animo”, “di Dio”
significa “di valore”, “grandissimo”,
“eccezionale”. Ecco un esempio di applicazione del metodo della
Sola Scrittura.
Quindi che i profeti fossero pieni dello Spirito di Dio non significa
altro che i profeti erano dotati di virtù singolare e non comune e che
coltivavano la pietà. Significa anche che essi
percepivano la mente di Dio, per cui si poteva legittimamente dire che
l’immaginazione dei profeti corrispondeva alla mente di Dio.
In più, si diceva che i profeti erano ammirati dal volgo perchè questo
ignorava le cause della loro conoscenza, quindi riferivano questa
conoscenza appunto a Dio.
La Scrittura, per adattarsi alla debole mentalità del volgo, suole dipingere Dio in forma umana e attribuirgli una mente e un animo con relativi affetti.
Nelle profezie, è Dio che prende la parola, Dio che non ragiona, ma decreta secondo l’autorità assoluta della sua natura.
La certezza della rivelazione dei profeti deriva da un segno.
I profeti non avevano una mente più perfetta, ma una più viva facoltà d’immaginazione. (p.47)
Le profezie variarono a seconda dell’indole immaginativa dei profeti e delle loro opinioni
Dato che l’immaginazione non implica la certezza, i profeti non erano certi della rivelazione, ma avevano bisogno di un segno. I profeti avevano sempre un segno che li rendeva certi delle cose che immaginavano. Anche quando non viene menzionato il segno, è da ritenersi che lo abbiano avuto (quasi) sempre (p.50).
In quanto frutto di immaginazione, la profezia è inferiore alla conoscenza naturale, che non ha bisogno di segni.
La certezza profetica così costituita non è comunque matematica, ma esclusivamente morale. La certezza dei profeti era fondata:
Segni ad hominem: poichè la certezza dei profeti non era matematica, e i segni erano forniti al solo scopo di persuadere il profeta, dunque erano adeguati alle opinioni e alle capacità di ciascun profeta; cioè i segni variavano da profeta a profeta. Il modo in cui Dio si manifesta ai profeti variava secondo le loro idee preconcette. Esempio: poichè Mosè credeva che Dio fosse buono e misericordioso, egli si rivelò a lui in conformità a questa opinione.
Varianti della facoltà immaginativa: ciascuno
vede Dio così come se lo immagina. Chi crede agli uomini come
dotati di una propria potenza di azione, si immagina un Dio ignaro delle
future azioni degli uomini; chi è un contadino, si immagina buoi e
vacche, chi è cortigiano, il trono reale, se è soldato, capitani ed
eserciti.
Le rappresentazioni variavano anche nella chiarezza: Dio ha elargito il
dono della profezia ad alcuni in misura molto maggiore che ad
altri.
La profezia in nessun caso ha accresciuto la dottrina dei profeti, ma li ha lasciati sempre nelle loro opinioni preconcette.
Non è vero che i profeti sapessero tutto ciò che è accessibile all’umano intelletto: alcuni passi della Bibbia lo dicono chiaramente. Anche i profeti furono uomini e hanno ignorato alcune cose, se non vogliamo pensare che avessero mente e corpo diversi da noi. Adamo, per esempio, ignorò l’onnipotenza e l’onniscienza di Dio, cercando di nascondersi e di scusarsi, come se avesse avuto a che fare con un uomo. Anche a lui Dio si rivelò in modo adeguato alla sua capacità di comprensione. Anche Mosè aveva messo in dubbio la sua onnipotenza e onniscienza.
Non siamo tenuti a credere ai profeti, se non in ciò che riguarda il fine e la sostanza della Rivelazione, cioè il comandamento di pietà e giustizia.
Conclusione del primo capitolo è che la profezia è un prodotto dell’immaginazione. Il secondo capitolo si inserisce su questa ottica e continua a dedurre conclusioni sulla religione.
I profeti non hanno una mente più perfetta degli uomini, ma una immaginazione più viva. E le due cose sono inversamente proporzionale, quindi possiamo dedurre che i profeti non hanno una grande capacità intellettuale, quindi non sono adatti a fare i filosofi.
Nei libri profetici non c’è sapienza, non ci sono contenuti filosofici. I profeti non ci dicono nulla della vera natura di Dio, cosa che invece la filosofia fa.
Nei libri profetici non c’è conoscenza delle cose naturali e spirituali. Nella bibbia non c’è nessuna conoscenza della fisica, quindi tutto quello che la bibbia ci dice in merito corrisponde alle convinzioni fisiche degli ebrei, che non avevano ancora sviluppato la scienza moderna.
Le profezione sono molto variabili, in quanto dipendono dall’immaginazione, dalla condizione fisica dei profeti. La profezia è radicata nel corpo.
I profeti sono uomini qualunque che non hanno conoscenze superiori a quelle della media degli uomini.
Basta avere un’idea chiara e distinta per avere un’idea precisa. Idea chiara e distinta è un termine del vocabolario cartesiano, con cui hanno familiarità i suoi lettori.
Spinoza in altri luoghi preferisce parlare di idea vera o idea adeguata di qualcosa.
Ma per Cartesio l’idea “chiara e distinta” non è chiara di per sé: le idee matematiche sono evidenti, ma non sono certe; hanno bisogno di essere dimostrate, cioè alla fine dell percorso della meditazione diventano certe.
Questo è un percorso che Spinoza rifiuta: non c’è bisogno di passare
dal cogito. L’idea chiara è distinta è certa.
L’idea adeguata implica certezza. Questo in opposizione
all’immaginazione, che non implica certezza. L’immaginazione ha
solo una certezza morale, e non matematica. La certezza matematica è la
necessità della cosa percepita: cioè io percepisco che questa
cosa sia necessaria. (Et. II, 43, S.). Come posso accertare che
il sogno o una visione abbia un’origine divina? Ci vuole un segno.
Spinoza identifica questo segno come una predizione del futuro.
Un profeta è certo che la propria visione abbia un’origine divina quando
questa visione gli permette di predire il futuro. I miracoli non sono
considerati un segno sufficiente.
Nel segno del profeta c’è un elemento soggettivo. La certezza matematica invece è oggettiva.
Questa viene trattata anche da Hobbes, che non pone tanto la questione di ‘come fa il profeta a essere sicuro di avere una profezia’, quanto quella ‘come fa il popolo a sapere che si tratta di un profeta autentico?’. Per Hobbes la risposta è: i miracoli. Qui Spinoza lavora in parallelo e in contrapposizione a Hobbes, e lo fa perchè trova dei passaggi attribuiti a Mosè in cui egli mette in guarda dai falsi profeti e mette in guardia dal credere ai miracoli, perchè possono esserci dei falsi profeti che fanno miracoli, o che sembrano miracoli.
Dunque i profeti sono ignoranti.
Spinoza legge la Bibbia in modo letterale. Quando Dio viene descritto da un profeta come avente un corpo, o determinate caratteristiche, il profeta non sta usando delle metafore ma sta dicendo proprio quelle cose.
Il contenuto profetico della Bibbia non è scientifico, ma mira
all’Amore di Dio. Questo contenuto è esposto da Mosè in forma di
legge.
La legge di Mosè, formulata come ordine, è anche una minaccia, e
gli ebrei sono schiavi di questa legge. Rispettare una legge perchè
abbiamo paura di una punizione ci fa essere “buoni cittadini”, ma da un
punto di vista morale non siamo liberi, perchè lo facciamo per paura di
una punizione.
Accomodatio: nella Bibbia non dobbiamo cercare insegnamenti filosofici e speculativi, ma concentrarci sulle indicazioni morali. Siamo tenuti a credere solo al contenuto morale, che è scopo e sostanza stessa della Rivelazione. Non siamo tenuti a credere al Dio che si adira, e che è corporeo, o qualsiasi altra cosa, ma visto che lo scopo della Bibbia è indurre gli ebrei all’amore di Dio, dobbiamo considerare unicamente la parte morale.
La accomodatio vale anche per il Nuovo Testamento, perchè Cristo non ci dice nulla della natura di Dio, ma ci dà sempre e solo un insegnamento morale.
L’obiettivo di Spinoza rimane separare teologia e filosofia. Spinoza su questa separazione fonderà la sua teoria politica.
Il dono della profezia non è stato peculiare agli Ebrei. L’elezione degli Ebrei riguarda la loro obbedienza, dunque la loro virtù, dunque la solidità del loro Stato.
La vera felicità consiste soltanto nella sapienza e nella conoscenza della verità. Quando la Scrittura, per esortare gli Ebrei all’osservanza della Legge, afferma che Dio li ha eletti tra tutte le nazioni, parla secondo la capacità di comprensione del volgo, che ignora la vera beatitudine, cioè la sapienza e la conoscenza della verità.
Dio stava parlando attraverso Mosè al popolo ebraico per spronarlo più efficacemente all’obbedienza verso Dio, per adattarsi alla loro puerile mentalità.
Gli Ebrei non furono eletti da Dio per sublimi speculazioni o scelti per vivere una vera vita, ma furono portati ad una eccellenza morale.
Direzione divina: ordine fisso e immutabile della natura. Eterni decreti di Dio che implicano eterna verità e necessità. Decreto e direzione di Dio e leggi di natura sono la stessa cosa.
Aiuto di Dio interno: tutto ciò che l’uomo può trarre dalla sua sola potenza al fine di conservare il proprio essere.
Aiuto di Dio esterno: tutto ciò che l’uomo trae a proprio vantaggio dalla potenza delle cause esterne.
Fortuna: la direzione divina, in quanto essa regola per mezzo delle cause esterne e impreviste le umane vicende.
Elezione divina: dato che nessuno fa alcunchè fuori dall’ordine predeterminato della natura, cioè nessuno sceglie nulla se non per una decisione di Dio.
Gli uomini desiderano tre cose:
Le prime due cose dipendono esclusivamente dalla potenza dell’individuo, cioè dalla sua natura - dunque sono comuni a tutti - l’ultima è affidata alla fortuna, perchè è posta nelle cose esterne, che noi ignoriamo.
Però è possibile vivere con tranquillità e evitare le offese, e a questo fine l’esperienza insegna che si può costituire una società con determinate leggi in una determinata regione del mondo e coordinare gli sforzi dei singoli nella costituzione di un unico corpo, quello della società. Sarà più sicura, costante e meno esposta alla fortuna quella diretta da uomini saggi e attenti. Tuttavia, se questa società riuscirà a resistere, sarà solo grazie all’aiuto esterno di Dio, che corrisponde concettualmente alla Fortuna di Machiavelli. Se resiste, si può perfino dire che si tratta di un miracolo.
Non possiamo pensare che siano stati eletti come intelletto, perchè hanno avuto circa Dio e la natura concetti volgari.
Gli ebrei hanno avuto, in cambio dell’osservanza delle leggi, una
vita comoda e tranquilla, una prosperità materiale e la libertà, cioè
uno Stato politico. In tutte le altre cose necessarie alla felicità di
ciascun uomo, furono uguali a tutti gli altri.
Quanto all’intelligenza e alla virtù, Dio è ugualmente propizio a
tutti.
Proprio perchè nella conoscenza delle cause e nel dominare le passioni Dio è uguale con tutti, tutte le nazioni hanno avuto profeti, e il dono profetico non fu esclusivo dei Giudei. Questo fatto è inoltre dimostrato dalla storia sacra e dalla storia profana. Ogni popolo ebbe i suoi profeti, che ebbero i loro segni, e soprattutto possedevano la caratteristica principale dei profeti: avevano l’animo volto al bene ed erano mossi da virtù.
Il popolo ebreo fu così prospero perchè Mosè chiese a Dio uno speciale aiuto esterno, perchè il popolo era ostinato.
D’accordo con Paolo, Spinoza afferma che la legge di Dio, la legge della vera virtù, fu rivelata a tutti.
Gli ebrei non sono eletti da Dio per sempre: nel Deuteronomio e in altri luoghi Dio minaccia gli Ebrei di una totale rovina, e che faranno la stessa fine dei Cananei, popolo che prima di loro era stato da lui eletto. Ci sono altri luoghi che dimostrano che Dio non ha eletto il popolo di Dio senza condizioni e in eterno.
Dato che l’elezione riguarda la vera virtù, dobbiamo credere che i veri profeti, che tutte le nazioni hanno avuto, abbiano promesso la stessa elezione anche ai loro fedeli.
In che senso gli ebrei sono un popolo eletto?
Ciò che Spinoza dice in questo capitolo e nel V, dimostra perchè Spinoza sia un autore così problematico per gli Ebrei: la sua rappresentazione della cultura ebraica è abbastanza negativa.
Gli ebrei sono il popolo eletto?
La vera felicità e la beatitudine consistono nel fruire del bene, quindi nella sapienza e nella conoscenza della verità, e queste cose per definizione non appartengono nè a un solo uomo nè a un solo popolo. Tutti possono conseguire la sapienza e raggiungere la beatitudine.
Ci sono due conseguenze:
Cosa significa direzione divina: Spinoza con questa espressione intende semplicemente l’ordine immutabile e fisso della natura. Dio non fa nulla di strano quando dà una via a un popolo o a una persona. La storia va nella direzione divina nel senso che segue un ordine fisso e immutabile. Quindi le leggi della natura sono i decreti divini, che non sono delle volontà estemporanee, ma leggi necessarie ed eterne.
Se le leggi della natura sono decreti esterni, Dio offre anche un aiuto interno all’uomo, offrendogli la propria potenza per conservarsi; ma sempre attraverso leggi universali. Ma ancora una volta è escluso che si dia un atto di volontà particolare ed estemporaneo di Dio.
Secondo Spinoza l’elezione degli ebrei riguardava la temporanea prosperità materiale, lo Stato politico degli Ebrei e le leggi che lo conservavano. Spinoza trae alcune conseguenze da queste osservazioni:
Legge (in senso assoluto) - definizione base di un ragionamento: significa ciò secondo cui ciascun individuo o tutti agiscono in una sola certa e determinata maniera. Questa maniera dipende o dalla necessità naturale o dalla decisione dell’uomo.
Legge naturale: scaturisce necessariamente dalla natura stessa.
Legge umana (diritto): un modo di vivere che gli uomini prescrivono a sè o agli altri in vista di un fine.
Anche se tutte le cose sono determinate necessariamente dalle leggi universali di natura, queste leggi dipendono dalla decisione dell’uomo, perchè
Legge (per Spinoza): un modo di vivere che gli uomini prescrivono a sè o agli altri in vista di un fine.
Legge umana (per Spinoza): regola di vita che serve alla tutela della vita e della cosa pubblica.
Legge divina (per Spinoza): regola di vita che concerne unicamente il sommo bene, cioè la vera conoscenza e l’amore di Dio. La nostra conoscenza certa e la nostra perfezione dipendono solo da Dio. Senza Dio nulla può essere concepito o esistere. Tanto più conosciamo le cose naturali, tanto più conosciamo Dio. Il nostro sommo bene è la conoscenza, e la conoscenza è conoscenza di Dio.
I mezzi per raggiungere questa conoscenza,
ce li ha dati Dio stesso in quanto la sua idea è in noi
(la nostra mente ha l’idea di Dio, cioè è un modo della Mente di Dio), e
si possono a ragione chiamare comandamenti di Dio, la
vera legge divina.
Rispetta così la legge divina soltanto chi ha cura di amare Dio, per il
solo fatto che conosce Dio, ossia sa che conoscenza e amore di Dio sono
per lui il sommo bene. La conoscenza di Dio e il suo amore sono il fine
ultimo a cui vanno dirette tutte le nostre azioni. L’amore di
Dio, che è il fine ultimo di tutte le cose, è un bene che consiste nella
sola speculazione e nella pura intelligenza.
L’amore di Dio scaturisce dalla sua conoscenza, che è attinta dalle nozioni comuni, per se stesse certe e note.
Questa legge divina naturale:
Anche Mosè non apprese i decreti di Dio come eterne verità; le cose che Dio gli rivelò le prescrisse come leggi, dunque Dio venne immaginato come legislatore. Cristo invece apprese le cose in modo vero ed adeguato, fu infatti mandato ad insegnare a tutto il genere umano. Cristo intese le cose dalla mente di Dio, in modo adeguato; e se le trascrisse sotto forma di legge, fu per l’ostinazione del popolo. Liberò l’uomo dalla schiavitù della legge, in quanto iscrisse la legge nei loro cuori.
Soltanto per difetto di intelligenza del volgo Dio è considerato un legislatore e chiamato giusto, poichè egli agisce solo per la necessità della sua natura e della sua perfezione.
Dato che la conoscenza di Dio è data a chiunque in base alle nozioni comuni, nessuno si può scusare con l’ignoranza.
I riti:
In cambio dei riti, la Scrittura promette benessere e piaceri materiali, mentre la beatitudine spetta solo a chi segue la legge divina universale.
Questa lettura è ampiente suffragata dalla Scrittura (p.125). Nei
cinque libri del Pentateuco, infatti si promette solo la temporanea
felicità fatta di onori, reputazione, vittoria, ricchezza, piacere e
salute. I precetti morali che si trovano nel Pentateuco inoltre non
vengono intesi come universalmente validi, ma come comandamenti adeguati
all’indole degli ebrei in quel momento storico: Mosè non insegna come un
dottore o un profeta, ma impone ciò come un legislatore e un principe.
Non sostiene le testimonianze con la ragione, ma con la minaccia
di una pena. Se avesse avuto intenzione di fornire un
insegnamento morale, avrebbe criticato anche le intenzioni, e non solo
l’azione esteriore.
Cristo fece così, promettendono solo un premio spirituale, e non solo
corporeo, per chi rispetta la legge universale.
Isaia promette in cambio della libertà e della carità la mente sana nel corpo sano, e la gloria di Dio dopo la morte, mentre in cambio dei riti solo la sicurezza dello Stato.
Da Geremia, risulta che gli Ebrei, dopo la distruzione del loro Stato, non sono più tenuti all’osservanza dei riti - dopo di essa avrebbe richiesto solo l’osservanza della legge naturale a cui tutti siamo tenuti. I cristiani provano questo fatto, in quanto abbandonarono i riti.
Ma perchè servono i riti per conservare e stabilizzare lo Stato ebraico? Perchè essi inducono gli uomini ad obbedire, ad agire per altrui comando e non per altrui deliberazioni, di confessare con le azioni di essere completamente soggetti a un diritto altrui.
Mosè, che aveva virtù eccellente, dovette istituire i riti, per fare in modo che gli Ebrei, di ingegno rude e logorati dalla schiavitù, agissero in modo virtuoso, non per timore, ma spontaneamente e in vista di un utile.
Convincere gli uomini con la sola esperienza è più facile che convincerli con la ragione, perchè non tutti seguono bene i ragionamenti. Se uno vuole insegnare una dottrina a tutto un popolo, è più facile desumere le prove dalla sola esperienza e adeguare le proprie ragioni all’intelligenza del volgo.
La Scrittura stessa procede in questo modo, dimostrando con le storie che racconta delle verità speculative molto semplici: che esiste un Dio artefice di tutto che dirige il mondo e ha cura degli uomini pii e onesti; gli altri li punisce. Anche se non riesce a dirci abbastanza chi sia Dio o perchè voglia questo, riesce a istruire gli uomini quanto basta per imprimere nel loro animo l’obbedienza e la devozione.
Colui che ignora quelle storie, ma sa per lume naturale che Dio esiste, è più beato del volgo, perchè oltre a opinioni vere, ha anche un concetto chiaro e distinto.
La fede nelle storie sacre non ha rapporto con la legge divina, nè di per sè rende beati gli uomini.
Quali sono le regole che Mosè ha dato agli ebrei per garantire la felicità temporanea del corpo e la sopravvivenza dello Stato?
Distinzione tra profeta e legislatore. Le due cose coincidono nel caso di Mosè, ma non valgono per tutti gli altri profeti.
Il legislatore prescrive delle leggi divine (es. ama il prossimo tuo), come leggi, ossia come comandi, mentre noi dovremmo seguirle perchè conosciamo Dio e lo amiamo. Ma nessuno ci dovrebbe prescrivere, secondo Spinoza, di amare il mio prossimo o di amare Dio. Questo dovrebbe essere un atto spontaneo che deriva dalla conoscenza di Dio.
I profeti invece esortano alla virtù e mostrano i riti.
Cristo invece insegna la legge universale, che esula dalla legge dello Stato: quindi in un certo separa la teologia e la politica. Il suo insegnamento morale parla “dell’altro mondo”, e non ha un’attinenza politica con la realtà.
Perchè abbiamo bisogno dello Stato? Perchè non siamo completamente razionali. Perchè dobbiamo instaurare la legge, cioè un sistema coercitivo? Se fossimo tutti totalmente razionali, non ci sarebbe bisogno della legge. Il fatto è che non siamo completamente razionali, ma abbiamo le passioni, spesso ci fanno apparire come utile ciò che non lo è. Un apparato repressivo è necessario in quanto siamo anche esseri passionali.
Come va costruito dunque tale apparato repressivo, che è necessario? Questo Stato NON può essere fondato solo sulla violenza. Il governo basato sulla violenza e sulla paura non è una base solida di potere. Ci sono varie alternative:
Consenso del popolo libero vs obbedienza basata sulla paura. Sono libero se mi astengo dal commettere reati non perchè qualcuno me lo impone con la forza, ma perchè so che farlo è sbagliato.
In generale, è meglio agire in virtù di una speranza che per un timore.
Il presupposto è che Mosè deve dare delle leggi a un popolo che era appena uscito dalla schiavitù. Per gli ebrei quindi, questa circostanza speciale in cui si trovano li autorizza a mettere il governo nelle mani di uno solo, appunto Mosè.
Gli ebrei rispettano le leggi non per timore, ma per la speranza di essere condotti alla terra promessa.
La bibbia è una storia. Le verità del testo biblico sono inserite per generare ubbidienza e devozione. Chi crede ha una conoscenza incerta delle cose, dunque si rimette alla verità rivelata.
La fede non è necessaria al filosofo virtuoso, che ha la conoscenza naturale cioè speculativa.
In questo capitolo le cose vengono dedotte non da una istoria del testo, come accaduto per la profezia, tema che supera l’umana intelligenza, ma da una trattazione puramente filosofica.
Il volgo immagina due potenze distinte: quella della natura e quella
di Dio, sebbene la natura sarebbe stata creata da Dio.
Perciò, il volgo chiama miracoli i fatti non comuni della
natura. Il volgo sente di non poter esaltare abbastanza Dio se
non immaginando tutta la natura da lui soggiogata.
Tuttavia:
Per miracolo, la Scrittura non può che intendere un fatto naturale che supera o si crede che superi la comprensione umana.
Ricordiamoci sempre che la Scrittura racconta le cose in modo da commuovere il volgo, e impegnare la sua fantasia e immaginazione.
Questo capitolo espone in modo completo il metodo ermeneutico della Bibbia adoperato da Spinoza, quello della sola Scrittura. Dobbiamo tenere in mente l’intenzione dell’autore nel dire qualcosa, partendo cercando di cogliere il contesto storico di quanto viene detto, superando ogni pregiudizio.
Dato il carattere incomprensibile della Bibbia vogliamo conoscere il senso delle frasi, e non la loro verità.
Nella Bibbia ciò che è ragionevole si capisce immediatamente, cioè che non è subito ragionevole si capisce “storicamente”.
Potremmo dire che questo modo di procedere ha il suo fondamento dogmatico nella fede nella ragione del XVII secolo.
Tutti i teologi spacciano come parola di Dio i loro commenti, e provano a difendere le loro interpretazioni, per difendere la loro autorità.
La religione non è più intesa come seguire l’insegnamento di carità dello Spirito Santo, ma è diventata solo motivo di discordie e motivo di acerrimo odio, camuffato sotto il falso nome di zelo divino e di fervore.
La superstizione aggrava la situazione, poichè insegna al volgo a ignorare l’uso della ragione e a disprezzare la natura, per ammirare invece come miracolo cioè che è fuori dall’ordine naturale delle cose. Per questo motivo, dicono che nella Bibbia ci sono profondissimi ed insondabili misteri che possono spiegati solo dai profeti e dai teologi. Secondo la natura dell’uomo, infatti, ciò che viene immaginato a causa delle affezioni, viene difeso con le passioni stesse, e non con la ragione; ciò che viene concepito con la ragione viene difeso solo con la ragione.
Il vero metodo di intepretazione della scrittura non differisce dal metodo di intepretazione della natura. L’interpretatio, contrapposta all’anticipatio (impressione errata), era già stata indicata da Bacone come unico metodo possibile per una intepretazione scientifica della realtà.
Se vogliamo provare senza pregiudizi la divinità della Scrittura, da essa sola ci deve risultare che essa contiene veri insegnamenti morali, perchè solo in questo modo è dimostrabile la sua divinità. Se la divinitas Scripturae per i teologi è un presupposto, per Spinoza deve essere il risultato dell’esegesi.
La divinità della Scrittura sarà accertata quando avremo accertato che essa insegna la vera virtù.
Il principio della conoscenza della Scrittura è la conoscenza genuina della storia della Scrittura.
Esempio del metodo di valutazione: per sapere se Mosè credesse che Dio fosse fuoco o altro. non possiamo dedurlo in alcun modo dal fatto che tale opinione sia conforme o ripugnante alla ragione, ma soltanto dalle altre opinioni dello stesso Mosè.
La difficoltà della Scrittura sta tutta nella lingua (non abbiamo retoriche o grammatiche ebraiche) - e non nella sublimità dell’argomento.
Benchè le cose contenute nella Bibbia superino per lo più la nostra conoscenza, possiamo tuttavia discuterne con sicurezza, purchè non ammettiamo altri principi all’infuori di quelli che si desumono dalla stessa Scrittura.
Si dimostra che alcuni libri dell’Antico Testamento compreso il Pentateuco non sono autografi. L’autore di questi libri è unico, e probabilmente è Esdra.
Per comprendere la Scrittura nel modo corretto occorre approfondire la discussione in merito ai suoi autori e alla sua storia.
La storia della Scrittura nel tempo si è corrotta, è rimasta imperfetta e difettosa, cioè i suoi fondamenti sono risultati insufficienti per consentirne una ricostruzione integrale. I posteri, cioè gli scribi che trascrissero i libri, e i masoreti (gli eruditi che tra il VII e il IX secolo si riunirono a Tiberiade e Gerusalemme per emendare e correggere il testo biblico) che ne conservarono e restaurarono i testi, sono colpevoli di ciò (vedi cap. X). Quello che Spinoza chiama posteri si contrappongo ai veteres, cioè agli antichi, i veri scrittori dei testi sacri.
Bisogna correggere questi difetti ed individuare i pregiudizi della teologia. (Gli uomini non sopportano più di essere corretti in queste cose, ma difendono tenacemente ciò che hanno accettato come religione, p. 229).
Nell’individuare i pregiudizi, in questo capitolo vengono individuati dapprima quelli relativi ai veri autori dei Libri Sacri.
Cominciamo dal Pentateuco. Quasi tutti credettero che fosse Mosè fosse l’autore. Aben Esdra è il primo a rilevare nel testo una serie di incongruenze concettuali, linguistiche e temporali che riporta a p. 230-232. Spinoza aggiunge poi altri luoghi del Pentateuco che risultano incompatibili con una presunta scrittura del testo ad opera di Mosè. Comunque, già secondo alcune tradizioni ebraiche e tutti i moderni, l’ultimo capitolo del Deuteronomio, per esempio, era da considerarsi non opera di Mosè, in quanto parla, tra le altre cose, di ciò che succede dopo la sua morte.
Ci sono anche dei libri, molto piccoli, ed evidentemente non dei bestseller, citati nel Pentateuco che Mosè avrebbe scritto e che l’autore del Pentateuco ha inserito nella sua opera, ma se non vogliamo uscire di senno insieme al parafraste caldeo, Gionata (parole di Spinoza:|) dobbiamo ammettere che questi libri sono andati perduti (pp.234-235). Non ci sono indicazioni testuali chiare che Mosè sia l’autore del Pentateuco.
A p. 236 parla del libro di Giosuè, che come il Pentateuco, non è
autografo. Ciò viene dimostrato con argomenti simili. Per il Libro
dei Giudici vale la stessa cosa: “nessuno che sia sano di mente
penserà, credo, che esso sia stato scritto dai Giudici stessi”
(p.237).
Samuele uguale: “il racconto si protrae di gran lunga dopo
la sua morte” (p.237).
Re uguale.
In generale, tutti questi libri sono da considerarsi apografi. Spinoza ipotizza che l’autore di tutti questi testi sia unico (c’è un’unità contenutistica e stilistica), e che volesse raccontare tutta la storia del popolo di Israele, oltre che a dimostrare attraverso gli eventi la bontà della legge mosaica.
L’autore dei testi sarebbe Aben Esdra, che avrebbe raccolto i contenuti di 12 libri nei 5 libri del Pentateuco, più quelli di Giosuè, dei Giudici, di Ruth, di Samuele e dei Re.
Oltre alla questione dell’autore, ci sono altre questioni che la superstizione del volgo non riesce ad avvertire:
A riprova di ciò, in libri diversi della Bibbia, cioè in posizioni diverse, sono presenti gli stessi racconti, ma raccontati in modo diverso. Dobbiamo pensare che esistessero diverse versioni di queste storie, e che Esdra non abbia fatto un lavoro di cura del testo.
Se le avessimo, potremmo dedurre la storicità dei fatti narrati dalle opere degli storici, ma non ce li abbiamo, quindi dobbiamo osservare le discordanze del testo.
Ad esempio, nella Genesi c’è una grossa discordanza temporale che riguarda Giuseppe e Giacobbe. Dobbiamo pensare quindi che Esdra abbia inserito il racconto nel testo senza esaminarlo. Insomma, in tutto il Pentateuco, e in tutti i 12 libri che Esdra avrebbe raccolto, tutte le fonti di diversi storici siano state radunate alla confusa e solo successivamente riesaminate e riordinate.
In tutti questi 12 libri (raccolti in 10, vedi cap. IX) ci sono quindi delle discordanze:
I libri veramente incasinati in modo irrimediabile sono tra Giudici e Re (nota 20 p. 280)
I teologi pensano di poter skippare tutte le difficoltà del testo, che paiono irrisolvibili, affermando che Dio abbia preservato la Bibbia dalla corruzione con un atto di provvidenza, e considerando le lezioni discordanti (e gli asterischi, cioè le lacune) come profondissimi misteri.
Qual è invece il significato delle note marginali? Presso gli Ebrei, c’è l’uso di trovare il vero senso del testo all’interno delle note marginali.
Secondo l’opinione dei Farisei, esse furono apposte dagli stessi scrittori dei Libri Sacri per significare qualche mistero e indicare il vero senso di ciò che veniva detto. Hanno anche un argomento piuttosto buono per sostenerlo (che trovi a p.270).
Per Spinoza invece le note marginali restano lezioni dubbie. (p.272)
Ci sono addirittura contraddizioni tra il Talmud e i Masoreti, quindi potrebbe essere che per gli stessi luoghi ci sono addirittura due o più lezioni - anche se Spinoza non è d’accordo, è crede che il darsi di più lezioni su uno stesso luogo sia da imputare alla somiglianza tra alcune lettere ebraiche.
Gli scribi hanno trovato forse solo 2/3 esemplari di doppie lezioni. (La faccenda è un po’ complicata ma anche abbastanza irrilevante, se ti interessa vai a p. 273)
Paralipomeni: già i Talmudisti ritenevano Esdra autore dei Paralipomeni, mentre i cristiani hanno sempre lasciato la questione in sospeso. Spinoza non ha nulla da dire circa il loro autore e circa contenuti, aggiunge di non capire perchè siano stati considerati libri sacri.
Salmi: fa delle osservazioni temporali.
Proverbi di Salomone: “i rabbini volevano escluderlo, e l’avrebbero fatto se non avessero trovato in esso dei luoghi in cui si raccomanda la legge di Mosè. È deplorevole che la sorte di opere sacre […] sia dipesa dalla scelta di costoro.”
[Passiamo ora ai libri dei profeti: le profezie furono raccolti da altri libri e non sono sempre riportate nell’ordine in cui furono annunziate o scritte dai profeti. Sono quindi da considerarsi piuttosto frammenti* di profeti*.]
Di un certo profeta Osea Spinoza si meraviglia che non sia rimasto di più dei suoi scritti. Anche le profezie di Giona sono riportate solo parzialmente.
Aben Esdra nostro fratello crede che questo libro fu tradotto in ebraico da un’altra lingua. Spinoza lascia la cosa nel dubbio. e si limita ad affermare che “…Giobbe è stato un pagano di singolare perseveranza,al quale la sorte è stata prima benigna, poi avversa, infine di nuovo favorevolissima”.
P.294: se c’è un errore nel testo - errore che va attribuito allo storico, e non all’esemplare - occorre tralasciare la questione come incomprensibile.
In conclusione del capitolo, Spinoza afferma che bisognerebbe procedere alla stessa analisi anche per i libri del Nuovo Testamento, ma che ha voluto soprassedere all’impresa per la sua insufficiente conoscenza della lingua greca.
Nessuno può negare che gli apostoli siano stati profeti. (p. 308) Il protagonista dell’Antico Testamento è l’apostolo, portavoce di Cristo. Se il messaggio del profeta è riferito al popolo di Israele, il messaggio dell’apostolo è cattolico, cioè universale.
Ci dobbiamo chiedere se gli apostoli hanno scritto le loro lettere in qualità di profeti, cioè per mandato di Dio. Questo anche perchè Paolo nella Epistola ai Corinti distingue due tipi di predicazione, una per rivelazione e l’altra per conoscenza. In quest’ottica ci dobbiamo chiedere se essi si ponessero proprio come profeti o come dotti.
Lo stile degli apostoli è diverso da quello profetico: se i profeti introducono i loro pensieri con frasi come “Dio dice” o “è volere di Dio”, gli apostoli si esprimono con incertezza, con espressioni come “crediamo dunque”, ”io ritengo”: sono lontani dall’autorità profetica. ”Io dico questo, secondo il mio parere, e non per mandato (Paolo, prima Epistola ai Corinti)*.
Gli apostoli supportano il loro discorso con la ragione, mentre parlano secondo l’autorità assoluta di Dio. L’autorità del profeta non sopporta il ragionamento. Gli apostoli, al fine di convertire gli altri uomini, vogliono sostenere i dogmi con la ragione, e nel fare ciò, li sottopongono necessariamente al giudizio e al discernimento di ciascuno.
I profeti non percepivano le cose rivelate in virtù del lume naturale. Non sostengono il loro pensiero con degli argomenti. Le espressioni di Mosè non sono argomentazioni per convincere il popolo a fare qualcosa, ma forme retoriche per esprimere più efficacemente il decreto di Dio, con un intento morale.
Gli argomenti degli apostoli non sono dunque scritti a seguito di una rivelazione divina, ma sulla scorta di un naturale giudizio: contengono fraterni ammonimenti mescolati a cortesia (p.311).
Agli apostoli non era mai stato ordinato di scrivere, ma solo di predicare ovunque andassero e di confermare con segni le loro parole. Questa è una differenza con i profeti, che riferivano la volontà di Dio obbedendo ad uno specifico mandato. (p.311) Nulla di simile con gli apostoli, che erano liberi di scegliere dove andare a predicare.
Differenza vocazionale tra apostoli e profeti: gli apostoli hanno ricevuto con una singolare rivelazione solo le cose che hanno predicato a voce e confermato con i segni; le cose che invece hanno insegnato (a voce o per iscritto), senza servirsi di segni, le dissero per lume naturale.
In conclusione, gli apostoli furono non profeti, ma anche
dottori, che insegnavano alle genti la verità,
sconosciuta gli ignoranti, allo stesso modo con cui agli
ignoranti si insegnano le lingue e la matematica. Nel fare ciò,
ciascuno di essi, in quanto dottore, cioè insegnante, e quindi libero di
esercitare il proprio metodo, costruì la fede sulla base di diversi
fondamenti, al fine di adattare il messaggio di Cristo alle diverse
comunità con cui entrarono in contatto.
Queste diverse impostazioni didattiche sono all’origine degli
scismi interni alla Chiesa, passati e futuri.
Paolo tra gli apostoli fu il più filosofo di tutti, in quanto fu chiamato a predicare alle genti.
Non è detto che gli apostoli non basassero i loro ragionamenti sulla base di una rivelazione. Quanto più si impegnano in una vera e propria argomentazione, tanto più la loro conoscenza della verità si avvicina a quella rivelata.
Certamente coloro che considerano la Bibbia come la parola di Dio ritengono che Spinoza abbia commesso un crimine gravissimo contro lo Spirito Santo, ma se considerano seriamente l’insegnamento dei profeti e degli apostoli si rendono conto che questi testimoniano che la parola eterna di Dio e la vera religione sono scritti a caratteri divini nel cuore di tutti gli uomini.
Agli Ebrei la legge è stata tramandata scritta perchè erano come in uno stato infantile.
In che senso dunque la Scrittura, nonostante tutti i
suoi difetti testuali, è sacra e divina?
“Si dice sacro e divino ciò che è destinato all’esercizio della
pietà e della religione, e una cosa è sacra soltanto fino a quando gli
uomini se ne valgono a fini religiosi; poichè, se cessano di essere pii,
anche la cosa di cui si valgono cessa di essere sacra, e […] se la
dedichino per sostenere cose empie, allora la cosa stessa che prima era
sacra diventa immonda e profana.
Il significato delle parole è dato solo dal loro uso: se
quell’uso viene meno, al punto che le parole perdono il loro
significato, nè le parole nè il libro servono più a nulla.
Dunque “nulla, al di fuori della mente, è in assoluto sacro
o profano o impuro, ma solo in rapporto ad essa”.
La Scrittura è sacra e le sue parole sono divine, finchè essa serve a suscitare negli uomini sentimenti di devozione verso Dio. Se questo uso viene meno, diventa solo un mucchio di carta e di inchiostro: se essa si corrompe e perisce, è falso dire che la parola di Dio corrompe e perisce, perchè essa è eterna e inesauribile. Anche Geremia si è espresso in questo senso.
Cosa si deve intendere invece per parola di Dio? Significa parola, discorso, cosa di Dio. Se l’espressione parola di Dio si predica di un soggetto che non è Dio, significa, come indicato a p. 159 sg. la legge divina. Un secondo significato metaforico può anche essere ordine della natura o fato.
Dio attraverso i profeti non esige altra conoscenza di sé che non sia quella della sua divina giustizia e carità. (p.337) L’unica definizione certa di Dio che abbiamo nella Bibbia è quella di un Dio sommamente giusto e sommamente misericordioso. Geremia, Mosè e anche Giovanni riassumono la conoscenza di Dio in questi termini.
Giovanni: possiede veramente Dio e lo conosce colui che esercita la carità.
La conoscenza di Dio a cui ciascuno è tenuto si limita
all’esercizio della carità.
La conoscenza intellettuale di Dio non riguarda la fede e la religione rivelata, e gli uomini possono completamente sbagliarsi su questo punto.
Gli uomini non sono tenuti per mandato a conoscere gli attributi di Dio.
L’obiettivo della Scrittura è rendere il popolo obbediente, non dotto: non tutti possono conoscere Dio allo stesso modo. La conoscenza di Dio come divina giustizia e miseriordia è necessaria solo all’obbedienza, e non alla scienza.
Uomini, donne e fanciulli, possono tutti operare in conformità a un comando, ma non essere sapienti.
Se ‘prendiamo per buono’ tutto ciò che si trova nella Scrittura, senza distinguere la vera dottrina divina e le parti adattate all’intelligenza del volgo, e questo diventa motivo di conflitto con chi non condivide le nostre posizioni (cioè diventiamo intolleranti e non accettiamo le interpretazioni degli altri, cadiamo in errore. Questo significa che come il volgo adatta alla propria comprensione del testo sacro, noi dobbiamo pensare che tutti sono liberi di accomodare la alla loro intelligenza la Scrittura, perchè la sua comprensione non porta alla verità, ma all’obbedienza verso un comandamento morale.
Dobbiamo accorgerci che non aver distinto tra insegnamenti divini e parti adattate al volgo ha causato una molteplicità di intepretazioni differenti dello stesso testo.
Definizione della fede: per capire quanto si estende la libertà individuale nell’ambito della fede, dobbiamo determinare in cosa consiste la fede. Questa consiste nell’avere di Dio nozioni tali che se vengono ignorate, non si dà obbedienza verso Dio
La fede infatti non consiste nell’avere dogmi di verità, ma dogmi di pietà. Tutta la fede consiste nell’amore del prossimo.
Sottolineo che l’obbedienza a Dio è intesa in senso positivo, in
quanto consiste nell’adempiere all’unico vero comandamento della
religione cristiana (di cui si sono fatti portatori prima i profeti, poi
Cristo, poi gli apostoli, se pure in modi diversi - una sorta di
denominatore comune): amare il prossimo come se stessi).
Così intesa, l’obbedienza porta alle opere, e le opere sono
tutto. Le opere sono l’unico indicatore della fede. Tolte le
opere, la fede è nulla.
La fede di qualcuno va giudicata pia o empia soltanto in rapporto all’obbedienza e alla disobbedienza.
Appartengono dunque alla fede cattolica soltanto i dogmi che pongono l’obbedienza a Dio. Intorno a tutti gli altri, ciascuno deve regolarsi nel modo che a lui sembra più opportuno per confermarsi nell’amore della giustizia.
Quindi ci sono dei dogmi della fede universale, principi fondamentali dell’intero Scrittura, che sono:
Chi o che cosa sia Dio non interessa la fede. In questo campo, ognuno è legittimamente tenuto ad adattare il testo alle proprie opinioni, così come fecero il volgo e i profeti.
Presenta la migliore fede non chi porta le migliori ragioni, ma chi porta le migliore opere di giustizia e carità.
Apparendo al popolo di Israele con dei segni, Dio non aveva intenzione di convincerli, ma di farli ubbidire. Il suo obiettivo era l’obbedienza. Egli non voleva istruirli circa gli attributi assoluti della sua essenza.
Come la fede si rivelò ai profeti in forme diverse, così ora ciascuno è tenuto ad adattarla alle proprie opinioni.
Rapporto filosofia e teologia (o fede): tra le due
non esiste alcuna affinità e alcun rapporto. Scopo della
filosofia è la verità, scopo della fede l’obbedienza e la
pietà.
I fondamenti della filosofia sono le nozioni
comuni, mentre i fondamenti della fede sono i
racconti e la lingua. La fede concede
a ciascuno la libertà di filosofare e di professare le opinioni intorno
a ogni cosa, ed è legittimo condannare come eretici coloro che
insegnano dottrine atte a suscitare ribellione, odio, discordia e ira,
ma considerando fedeli soltanto coloro che in forza della loro ragione
diffondono giustizia e carità.
La Scrittura deve essere completamente dimostrata, deve rientrare nella ragione, o è la ragione/filosofia che si deve piegare al significato della Scrittura? L’una tesi è sostenuta dai dogmatici, l’altra dagli scettici. Ma entrambi sono totalmente in errore.
La Scrittura non insegna dottrine filosofiche, ma soltanto la pietà; e tutto ciò che essa contiene fu accomodato all’intelligenza e alle opinioni del volgo.
Chi vuole accomodare la Scrittura alla ragione farà a dire ai profeti cose che non hanno mai sognato. Su questo lato del ring troviamo Mosè Maimonide, del team Dogmatici. (vedi cap. VII) Maimonide parte da due cose che Aristotele dimostra in modo soddisfacente:
Solo che mentre 1 è compatibile con quanto affermano le scritture, e quindi interpreteremo tutti i punti che non si accordano con questa intepretazione in senso metaforico, 2 è indimostrabile. Quindi, non crederemo che il mondo sia eterno, e interpreteremo tutti i passi che dicono che non sia eterno in senso metaforico.
Secondo Maimonide, insomma, se ciò che dice Aristotele è dimostrabile, può accordarsi con la Scrittura, mentre se ciò che dice non è dimostrabile, non può accordarsi con la Scrittura. Ma questo è sbagliato: se infatti Maimonide riuscisse a rendere l’eternità del mondo dimostrabile, non esiterebbe a modificare il senso della Scrittura per renderlo concorde ad Aristotele. Quindi è in errore.
Chi invece pretende di mettere la ragione in secondo piano, dovrà
prendere per verità i pregiudizi del volgo. Da questa parte del
quadrato, un bell’applauso per Alpakhar, campione degli
Scettici. Questo alpaca pensa che la ragione si deve completamente
sottomettere alla Scrittura: alcune cose della Scrittura si devono
interpretare metaforicamente. Questo perchè il senso letterale
ripugna anche alla Scrittura stessa, oltre che alla ragione.
Esempio: viene detto chiaramente che Dio è unico, ma poi si parla di Dio
al plurale in moltissimi luoghi. Necessariamente dunque dobbiamo
spiegare le espressioni al plurale metaforicamente.
Allo stesso modo, viene detto chiaramente che Dio è incorporeo, ma poi
in altri passi si allude alle sue gambe, alle sue braccia, ecc. Dunque
non possiamo fare a meno di interpretare quei passi in cui si implica
che è corporeo in senso metaforico.
Di Alpakhar, Spinoza approva l’intenzione di voler spiegare la Scrittura per mezzo della Scrittura, ma obietta che questo va bene fino a quando si parla delle opinioni dei profeti; quando si vuole ricavare il vero significato della Scrittura, deve necessariamente entrare in gioco la ragione. Si stupisce di come chi vuole mettere d’accordo fede e ragione possa affermare che la Scrittura, vero documento della parola di Dio, è corrotta, cieca e smarrita.
Alpacity ritiene che siamo tenuti ad accettare come vero e a respingere come falso tutto ciò che la Scrittura afferma o nega.
Come dovremmo comportarci allora se la Scrittura appare essere in
contrasto con la ragione? (p.362) Se è questo il caso non possiamo
esprimerci.
Inoltre, dice Spinoza, questi che come Alpakhar vogliono salvare la
Scrittura, ponendola al di sopra della religione, fanno proprio ride, ed
incorrono in una gravissima contraddizione: stanno cercando di
dimostrare, con la ragione, che la ragione è
insufficiente. Per questo sono considerati scettici.
Ma perchè crediamo? Possiamo dare alla fede un fondamento razionale, una motivazione? Altrimenti significherebbe che procediamo inconsideratamente e senza giudizio. Questo dogma fondamentale della teologia non può essere scrutato col lume naturale. Tuttavia, possiamo accogliere con una certezza almeno morale ciò che è stato rivelato. Possiamo farlo con certezza perchè abbiamo dimostrato che la Scrittura è pervenuta nelle nostre mani intatta.
Non possiamo insomma spiegare perchè la fede: se potessimo farlo in termini razionali, non esisterebbe più nessuna differenza specifica tra filosofia e fede. Questo punto viene però lasciato da Spinoza in sospeso.
Diritto naturale individuale - Contratto sociale - Diritto Civile -
Diritto [questa parola esprime il diritto come risultato di una volontà] indica e istituto naturale [questa parola esprime il diritto come risultato di una determinazione necessaria]: le regole di natura di ciascun individuo, per cui ciascuno è naturalmente determinato a esistere e a operare in un certo modo.
Diritto equivale a potenza.
Il diritto della natura si estende fin dove si estende la sua potenza,
ed è il diritto stesso di Dio, la potenza stessa di Dio. Ma la potenza
della natura non è altro che la somma delle potenze di tutti gli
individui. Dunque ogni individuo nello stato di natura ha diritto a
tutto ciò che è in suo potere.
Poichè per legge di natura ogni cosa si sforza di persistere quanto può nel proprio stato (conatus, vedi Et. III, Propp. VII, VIII), ne segue che ciascun individuo ha pieno diritto ad esistere e ad operare così come è naturalmente determinato. In questo non c’è differenza tra gli uomini e gli altri individui della natura. Tutto ciò che qualcuno fa, lo fa con pieno diritto, in quanto nel farlo non può non esprimere la sua natura. Tra gli uomini quindi vive secondo il diritto naturale colui che non ha ancora acquisito la ragione. Il sapiente che ha conosciuto la ragione ha pieno diritto ha vivere secondo ciò che la ragione gli detta; l’ignorante ha pieno diritto a vivere secondo l’istinto.
Il diritto naturale non è determinato dalla ragione, ma dalla cupidigia e dalla forza. Tutti infatti nasciamo senza virtù, senza ragione, e prima di averla acquisita siamo ignari di ogni cosa: anche chi non ha la ragione deve necessariamente continuare a vivere e a conservarsi per quanto è in loro (p.378).
In sostanza, il diritto naturale non vieta nulla che l’istinto consiglia.
La natura non è circoscritta dall’umana ragione, che ha di mira soltanto la vera utilità e la conservazione degli uomini, ma si estende alle infinite altre che riguardano l’eterno ordine di tutta la natura, di cui l’uomo è una piccola parte e dalla cui sola necessità tutti gli individui sono determinati a esistere e a operare in un certo modo. (p.379)
Tuttavia, nessuno può dubitare quanto sia più utile per gli uomini vivere secondo ragione. E inoltre, non vi è nessuno che non voglia vivere con sicurezza e senza timore. Poichè senza ragione viene meno la sicurezza, gli uomini decisero di ordinarsi secondo la sicurezza, facendo sì che il diritto di ciascuno fosse determinato non dall’istinto di ciascuno, ma dalla volontà di tutti.
Legge universale della natura umana è che chiunque sceglierà
sempre tra due beni quello maggiore, tra due mali quello
minore. Per questo motivo, il patto non può avere
alcuna forza se non in ragione dell’utilità. Se viene meno
l’utilità, possiamo annullare e distruggere il patto. Il patto
non è irrevocabile.
L’utilità è il fondamento del patto. Nessuno è tenuto a
rispettare un patto, se non per la speranza di un bene maggiore o di un
male minore.
Inoltre, è da stupidi esigere dagli altri fede eterna al patto, se non vengono create le condizioni per far sì che al violatore del patto venga più danno che utilità dalla violazione.
Se tutti gli uomini fossero guidati solo dalla ragione, tutti si atterrebbero ai patti in piena realtà, e non ci sarebbe bisogno di costituirne uno vincolante; ma gli uomini sono guidati in primo luogo dalle passioni, dagli affetti. Non basta cioè una sola promessa, per gli uomini; ma bisogna anche aggiungere un patto che obblighi a rispettarla. Non ci si può fidare della buona fede.
Quando uno trasferisce a un altro la propria potenza, gli cede necessariamente il proprio diritto. Ma questo trasferimento non è irrevocabile, a differenza di ciò che avviene nel Leviatano. Nessuno che abbia più potenza del sovrano sarà tenuto ad obbedirgli.
Come usciamo da questa situazione? Se ciascun individuo trasferisce tutta la propria potenza alla società, che da sola deterrà il diritto naturale su tutto, cioè il sommo potere, ogni patto può essere sempre osservato in buona fede. Questa è la democrazia. La somma potesta non è soggetta ad alcuna legge, ma tutti devono ad essa obbedire in tutto. Se tutti avessero voluto mantenerlo, avrebbero congegnato dei motivi per mantenerlo, invece non lo hanno fatto, dunque si sono sottomessi senza riserve all’arbitrio del sommo potere. (qui Spinning non è che mi stai convincendo tantissimo).
Tutti devono obbedire in tutto alla somma potestà, tutti gli ordini della suprema autorità, anche se impone delle assurdità. Questo perchè abbiamo deciso, per così dire, di non fare delle eccezioni al potere. Se vogliamo pacificare il potere, dobbiamo rimetterlo nelle mani di una suprema potestà. La forma democratica tiene al riparo dalle conseguenze dell’impulsività.
Si potrebbe dire che riducendo l’individuo alla pura obbedienza il regime democratico faccia diventare i cittadini sudditi, ma Spinoza confuta questa obiezione distinguendo schiavi, figli, sudditi.
Gli schiavi sono tenuti ad obbedire agli ordini del padrone in vista del solo suo utile. Figlio, colui che compie per imposizione ciò che è utile a lui stesso. Suddito, colui che per ordine della suprema autorità ciò che è utile a tutta la comunità, e quindi anche a lui stesso.
Nella democrazia, nessuno trasferisce ad altri il proprio diritto naturale in modo così irrevocabile da non essere poi consultato, ma lo trasferisce alla società tutta, un corpo di cui egli è cioè un membro. Per questo tutti continuano a essere uguali, come nello stato di natura, ma senza soffrire i downsides di ciò.
Poi definisce diritto civile privato, giustizia e ingiustizia (p. 385 e ss.), equità e iniquità, confederati e nemici.
Diritto civile privato è la liberta di ciascuno di conservarsi nel proprio stato.
Il contratto sarà valido fino a quando ne sussisterà il fondamento, cioè l’utilità. Non si può inoltre venire meno ai patti se ne deriva un danno per lo Stato.
Ora cambiamo tema. Tutti coloro che vivono di pieno diritto nello stato naturale secondo le leggi dell’istinto.
Prima della rivelazione nessuno è vincolato dal diritto divino, in quanto non può conoscerlo. Il diritto naturale (anche e soprattutto prima della rivelazione) è senza religione e senza legge. Se il diritto divino coincidesse con quello naturale, gli uomini non avrebbero stretto un patto con Dio. Il potere di Dio è ancora più in alto di quello della somma potestà: anche essa è tenuta ad osservare i suoi comandamenti.
Ma, come vedremo, la somma potestà dovrà farsi carico anche del potere religioso.
Nel capitolo XVI abbiamo visto il fondamento dello Stato, cioè il diritto naturale individuale convertito dal contratto sociale in diritto civile. Attraverso il contratto il fine individuale della libertà viene perseguito nel mezzo sociale della sicurezza.
Bisogna vedere ora come lo stato civile democratico si possa
realizzare, continuando però a garantire quello che è in fin dei conti
il fine ultimo del contratto sociale, cioè la libertà, e non la
ragion di Stato. In altre parole occorre trovare una pratica di
compatibilità effettiva che permetta agli individui di rimanere
massimamente liberi all’interno della compagine civile.
Il metodo di questo saggio è quello di Machiavelli, guarda cioè alla
storia antica: in particolare, a quella degli Ebrei, analizzando la
storia dello Stato ebraico. In questo studio bisognerà anche fissare il
limite del potere costrittivo dello Stato.
Come Hobbes, anche Spinoza riconosce che il problema della sua versione della teoria contrattualistica è la prassi.
Nessuno può trasferire tutto il proprio potere al punto da cessare di essere uomo. Perchè se l’obiettivo del patto sociale è la libertà, se venisse trasferito tutto il potere individuale, al fine di conquistare la libertà attraverso il patto, si perderebbe tutta la libertà individuale.
Non potrà mai esserci inoltre un potere che può tutto ciò che vuole. Questa situazione è provata dall’esperienza, in quanto nessun popolo ha mai ceduto così completamente il diritto fino al punto da non rappresentare in alcun modo un pericolo per il governo costituito.
Il potere dello Stato consiste nel fatto che esoo può costringere gli uomini con tutti i mezzi a sua disposizione. È l’obbedienza (ottenuta in qualsiasi modo) che caratterizza il suddito. Ma poichè supponiamo che l’uomo decida di obbedire (o per il timore, o per la speranza di un bene), o lo Stato non decide nulla sui sudditi e non ha alcun diritto, o esso si estende a tutti i mezzi con cui può far sì che i sudditi si sottomettano ad esso, cioè agiscano secondo il diritto civile dello Stato, e non secondo il proprio.
L’esperienza insegna che per conservare lo Stato occorre mantenere la fedeltà dei sudditi. Ma come si ottiene (e mantiene) la loro fedeltà? Sappiamo che le masse sono completamente guidate dalle passioni e dalla loro visione parziale (p.415). Bisogna istituire un ordinamento che precluda ogni frode e faccia in modo che ciascun cittadino, qualsiasi sia la sua indole, anteponga il diritto pubblico ai suoi interessi privati. I cittadini, invece, come racconta Tacito, e come sapeva Alessandro, sono ancora più pericolosi dei nemici.
Così nei secoli i governanti per assicurarsi la fedeltà dei sudditi hanno trovato diversi stratagemmi: farsi considerati dei, oppure emissari di Dio, ecc.. Ma cosa fu insegnato a Mosè in proposito dalla Rivelazione?
Il popolo di Israele ucito dalla schiavitù ha fatto ad una
voce un contratto, un patto in cui rimetteva tutto il suo potere a
Dio. Era quindi una vera e propria teocrazia, dove non
c’era alcuna differenza tra diritto civile e religione. I dogmi
religiosi costituivano il diritto, la pietà era considerata giustizia,
ingiustizia l’empietà.
Questo però avveniva più in teoria che in pratica. Il diritto del
sovrano non è sancito da un patto siglato con i sudditi. Il patto dei
sudditi è con Dio.
Cioè, alla teoria del potere assoluto divino non corrispondeva una pratica analoga. Infatti, in seguito al patto con Dio essi rimasero assolutamente tutti uguali: a un certo punto, dopo aver visto Dio nel fuoco, decisero di obbedirgli. Poi però si impegnarono ad obbedire a quanto Mosè gli avrebbe comunicato di Dio, a obbedire, cioè, solo a Mosè. Mosè rimase unico interprete delle leggi divine. Si tratta quindi in quest’ottica di una monarchia assoluta, con Mosè che si presentava come luogotenente di Dio. Il popolo elesse Mosè ma non potè eleggere il suo successore. Dunque, eleggendo Mosè, gli Ebrei persero tutto il loro diritto non potendo scegliere il successore.
La differenza con un regime monarchico standard, che si regge per un decreto di Dio ignoto allo stesso monarca, la monarchia retta da Mosè era assicurata da una rivelazione diretta da Dio a Mosè. Una monarchia di diritto divino rivelato (teocrazia). È una demo-teocrazia. Subito dopo Mosè c’è stato un governo che non può dirsi nè popolare, nè aristocratico, nè monarchico, ma principalmente teocratico, in quanto i cittadini dovevano sempre obbedire solo a Dio. Era Dio “la polizia”, era Dio che si incazzava se loro facevano qualcosa di sbagliato e li puniva.
Pagina 421. Racconto biblico: morto Mosè, e costruita una chiesa con i soldi di tutto il popolo. A custodia della chiesa vengono messi i Leviti, e capo supremo dei leviti viene eletto Aronne come sommo interprete delle leggi divine. Ma Aronne, pur avendo il diritto di interpretare la legge, non ha il diritto di imporne l’osservanza al popolo - quello lo può solo Dio, e i Leviti furono esclusi dal governo, diventando una casta sacerdotale mantenuta dal popolo. Storia delle 12 Tribù di Israele.
Continua con la storia biblica per troppe pagine, poi ribadisce che subito dopo Mosè c’è stato un governo che non può dirsi nè popolare, nè aristocratico, nè monarchico, ma principalmente teocratico, in quanto i cittadini dovevano sempre obbedire solo a Dio.
I leviti erano una classe ciotta, perchè erano gli unici a poter interpretare le leggi ma non avevano nessun potere esecutivo o giuridico. In questo modo chi aveva il potere esecutivo (coloro che ammistrano o tengono le redini del governo) possono fare meno magheggi con la legge.
Pippone infinito sugli ebrei…
Alla morte di Mosè si istituisce una vera e propria monarchia. Questo segna il passaggio da una condizione di totale libertà a uno stato di effettiva soggezione politica.
Conclusione: “il diritto divino o di religione ha origine da un patto, senza il quale non esiste se non il diritto naturale: e perciò gli Ebrei non avevano per legge divina alcun obbligo di pietà verso le genti che non erano intervenute alla stipulazione del patto.
Lo stato Ebraico avrebbe potuto durare in eterno, ma ha un certo punto Dio ha fatto in modo (e non poteva andare altrimenti, per la libertà necessitata di Dio) che le discordie interne diventassero troppo gravi. In altre parole, Dio ha permesso che gli Ebrei potessero violare la sua stessa legge.
Non è opportuno nè possibile replicare punto per punto l’organizzazione politica degli Ebrei - se non altro perchè stringere un patto con Dio richiederebbe anche la Sua volontà - ma ci sono alcune lezioni che possiamo imparare da loro.
Il diritto ai poteri ecclesiastici appartiene completamente alla sovrana potestà, che è interprete del diritto divino.
La religione acquista valore giuridico solo in seguito al decreto di chi ha il diritto di imperio. Dio non ha nessun potere particolare sopra gli uomini, se non attraverso gli uomini che governano. Questo emerge in modo più chiaro dal capitolo IV, in cui è stato spiegato che Dio non dirama i suoi decreti come un principe, ma i suoi decreti sono eterni e quindi non possono che realizzarsi attraverso gli uomini che governano.
Il culto religioso esterno (non quello interiore del rapporto con Dio - il culto interiore di Dio rientra nell’ambito dei diritti individuali inalienabili e cioè non cedibili) e l’esercizio della pietà devono conformarsi alla pace e all’interesse dello Stato, quindi è normale che siano regolate esclusivamente dalle somme potestà, che devono dunque esserne anche le interpreti.
Il regno di Dio consiste esclusivamente nel diritto della giustizia e della carità.
Non c’è differenza se la religione è concepita nel senso di lume naturale o come rivelazione profetica: l’obiettivo ricercato nell’ uscire fuori dallo stato di natura, dove non esistono bene e male, giustizia e ingiustizia, con grande pericolo di tutti, è sempre dare vita al regno di Dio, un regno di giustizia e pietà.
Affinchè ad esempio la religione rivelata tramite profeti avesse valore giuridico per gli ebrei, fu necessario che essi rimetteressero il loro diritto soltanto a Dio, tutti d’accordo (in questo senso democraticamente). fine p.463 molto importante!
La salute del popolo è la legge suprema, a cui devono conformarsi tutte le altre leggi. È compito solo della suprema autorità determinare ciò che è giusto per tutto il popolo. In altre parole, la suprema autorità ha il compito di adeguare il culto della pietà alla pubblica utilità. Nessuno può veramente esercitare la pietà nè obbedire a Dio se non obbedendo a tutti gli ordini della suprema potestà. La pietà non si può cioè esercitare nella sfera individuale (p. 466). Cristo insegnò di esercitare la pietà verso tutti: la religione si conformò sempre alla pubblica utilità.
Colui che ha la autorità religiosa ha più potere di ogni altro sulle coscienze, per questo motivo, è importante che questa sia rimessa alla somma potestà.
I profeti, che pure erano buoni, e dotati di divine virtù, nell’ammonire gli uomini li irritarono, più che correggerli, mentre essi si piegavano facilmente quando erano minacciati o ammoniti dal re.
Se si levano i diritti, si crea una società più insicura: perchè di fronte a ciò si sviluppa un sottobosco di illegalità e di disobbedienza. Bisogna lavorare per garantire diritti.
Sappiamo che per diritto naturale non si può lavorare su cosa pensano o dicono le persone, ma su quello che fanno. Il popolo ebraico è la dimostrazione di tutto ciò: pensavano per tutta la storia di poterli costringere a dire le cose, ma per migliaia di anni sono sopravvissuti.
In una libera Repubblica è lecito a chiunque di pensare quello che vuole e di dire quello che pensa.
Insomma, Spinoza: alla fine, se vogliamo essere giusti, possiamo solo imporre la ragione!