Lezioni mancanti:
Storia interna e storia esterna: la prima è
raccontata nei termini di una storia in cui idee si susseguono secondo
una dialettica, cioè nei termini una successione
razionale - si prendono in esame gli argomenti di un filosofo per capire
se sono validi. I vantaggi di questo modo di operare è la
chiarezza, ma c’è un rischio di
anacronismo. In questo corso faremo una storia prevalentemente
interna poiché ricostruiremo le argomentazioni dei filosofi.
La storia esterna della filosofia è il tentativo di spiegare le
idee filosofiche sulla base e cioè come conseguenza del contesto
storico-sociale in cui sono state prodotte - è più sofisticata perché
prende più in considerazione la storia.
Per raccontare l’800 avremo due direttrici:
Karl Löwith pubblica nel 1941 Da Hegel a Nietzsche. La tesi principale del testo è che c’è una continua e progressiva crisi dell’hegelismo - percorso che finisce con Nietzsche. Lowith include in questa storia anche Marx.
Ci sono due letture principali di Marx nella storia:
Il Marx di Löwith è anzitutto un critico di Hegel;
c’è invece che Marx sia un continuatore di Hegel.
Per quanto riguarda la centralità della scienza, avremo il
neokantismo che si preoccuperà di definire le
condizioni di possibilità della conoscenza.
Due eventi centrali per i due secoli:
Hegel è la fine di una storia; la storia
dell’idealismo classico tedesco. Hegel è l’unico grande momento in cui
la filosofia è la regina delle scienze, è il culmine della riflessione
umana. Dopo Hegel, si perde la centralità della
filosofia.
Il ruolo di Hegel al momento della sua morte a 61 anni a Berlino era
centrale. Forniva il linguaggio comune dei filosofi del tempo, era in
una posizione di egemonia. Hegel era letto da tutte le
persone colte del tempo in Germania. La sua influenza era paragonabile a
quello dell’aristotelismo ai tempi della scolastica; questioni
contrapposte venivano presentate in termini hegeliani, come
interpretazioni di Hegel.
La filosofia di Hegel forniva un repertorio di formule
condiviso attraverso cui poi ci si può dividere - in
particolare sul discorso religioso e il discorso politico.
Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è
razionale
l’affermazione si trova Prefazione ai Lineamenti di Filosofia del
Diritto, 1820
Leggiamo il brano da cui è tratto:
C’è una distinzione tra il variegato e transeunte mondo dei
fenomeni, oggetto delle scienze particolari - e ciò che è
razionale, oggetto della
filosofia.
Non si tratta di dire al mondo come deve essere, ma
comprendere lo stato di fatto. Possiamo comprendere il
fatto storico solo una volta che è avvenuto. Scopo della filosofia è di
comprendere solo alla fine del percorso storico.
Queste parole vengono interpretate come una adesione alla
situazione politica della Germania di Federico Guglielmo III di
Prussia, la Germania della Restaurazione, che aveva conosciuto un
periodo napoleonico e poi la Restaurazione nel 1815, ed era tornata una
monarchia.
Il giovane Hegel era stato entusiasta della
Rivoluzione; a molti sembrava che si fosse “convertito” a
essere un conservatore e un difensore della monarchia. Hegel sente il
bisogno di rispondere a tali critiche, e lo fa
nell’Enciclopedia (1827).
Un’esperienza contingente non merita il nome enfatico di realtà. Non tutto ciò che esiste è davvero reale, molte cose che esistono sono accidentali e non sono oggetto della filosofia - sono oggetto del senso comune ma non della ragione, che si occupa di ciò che è razionale. E non prende in considerazione singoli fatti (come fa l’intelletto), ma lo fa comprendendo razionalmente la totalità di quei fatti, l’intero. Distinzione tra intelletto e ragione: il primo (pensiero astratto) si occupa di singoli fatti, la seconda si occupa della totalità in maniera dialettica.
In Hegel due modi per definire la realtà:
Nel testo che abbiamo letto dai Lineamenti, ciò che è reale e razionale Hegel usa Wirklich per designare la realtà. La realtà dialettica, Wirklichkeit, è razionale.
Remo Bodei scrive La civetta e la talpa. La talpa della storia, la talpa del processo storico che si fa.
In questa dialettica tra filosofia e storia sta la grande ambiguità di Hegel, che viene così letto a un tempo come il difensore dello status quo e il rivoluzionario.
Per i contemporanei di Hegel la civetta aveva destava un’associazione culturale molto importante, che Bodei cerca di ritirare fuori:
Ai tempi, di Hegel, una rivista che si chiamava Minerva
diceva: il presente è gravido di futuro. In questo
senso Hegel sarebbe consapevole di come in certi momenti della storia
quello che sembra che stia accadendo non sta davvero
accadendo.
La tensione tra i due aspetti consiste dunque in questo: se la
civetta rimanda solo ad una lettura
conservatrice di Hegel, la talpa apre lo
spiraglio per una lettura della filosofia come perlomeno aperta
al cambiamento.
Haym è uno storico liberale, e scrive che Hegel non parla del dover essere (come l’etica kantiana), ma è un’etica che si riferisce alla realtà effettiva. Dietro la parola verstehen l’intellettualismo di Hegel nasconde la sua arrendevolezza nei confronti della realtà - cioè Hegel lo fa per difendere lo stato di fatto.
Per Haym Hegel è un difensore della realtà politica della Restaurazione.
Alcuni hanno interpretato la giustificazione filosofica del dispotismo; ma per Hegel non tutto ciò che esiste è anche reale; l’attributo della realtà è riferito solo a ciò che è necessario. Un’azione di governo non è sempre reale ; ma se applicata allo stato prussiano dell’epoca, la tesi di Hegel significa che quello stato è razionale, cioè è adeguato ai prussiani di allora. La realtà non è un attributo che si applica a tutte le cose in tutti i tempi. La repubblica romana era reale, l’impero romano era reale. La repubblica francese era diventata così irreale, così irrazionale, che dovette essere distrutta dalla rivoluzione. In questo caso cioè la monarchia era irreale - ciò che perde la propria razionalità perde il proprio diritto all’esistenza. Ciò accade in modo violento se ci si oppone. La tesi di Hegel si traduce in: tutto ciò che esiste è degno di perire. In ultima analisi, è necessario solo il divenire storico, il cambiamento.
I seguaci di Hegel si dividono in destra e sinistra hegeliana - una
formula dovuta a Strauss. La destra hegeliana partiva
dall’idea che tutto ciò che è reale è razionale, quindi non
possiamo fare altro che comprenderlo. Per la sinistra invece il
processo del divenire non è mai concluso, e la ragione
si muove insieme al divenire.
Nella letteratura secondaria si parla correntemente anche di
vecchi e giovani hegeliani.
La contrapposizione tra questi due gruppi si svolge su tre piani fondamentali:
Per Hegel filosofia e religione hanno in un certo senso lo stesso contenuto: lo Spirito, la conoscenza dello Spirito e la conoscenza di Dio sono la stessa cosa - c’è una differenza epistemologica: la Religione nella forma della rappresentazione, la filosofia nella forma del concetto. C’è identità di contenuto ma differenza di forma.
La destra hegeliana mette l’enfasi
sull’accordo tra filosofia e religione: sono
conciliabili.
La sinistra hegeliana mette invece in evidenza la
differenza di forma per far valere il diritto
di critica della filosofia alla religione. Hegel pensava che la
religione non fosse infallibile - a livello individuale
affidarsi alla rappresentazione può portare a errori;
ma a livello comunitario non è in errore.
Una delle opere fondamentali della sinistra hegeliana è una Vita di Gesù (1835-1836) scritta da Strauss, nella quale si spiega che i dogmi religiosi devono essere letti in termini metaforici; si storicizza e si demitizza la vita di Gesù. Bruno Bauer, altro esponente della sinistra hegeliana, arriva a dire che la critica della religione è quello che voleva fare Hegel.
Gli esponenti della sinistra hegeliana si ponevano come i veri interpreti di Hegel, di applicare criticamente alla realtà la dialettica: Bauer arriva persino a scrivere La tromba del giudizio universale contro Hegel ateo e anticristo. Bauer fa finta di essere un teologo, un difensore della chiesa protestante, e si scaglia contro Hegel ateo e “Anticristo”. È un testo ironico.
Gli esponenti della destra hegeliana sono o monarchici o liberali, nel caso della sinistra abbiamo personaggi come Arnold Ruge, un giornalista pubblicista con cui Marx pubblica gli Annali Franco-Tedeschi. In questo periodo della storia molti filosofi importanti (Hegel, Marx) sono giornalisti.
Ruge sostiene Hegel ha scambiato lo stato prussiano dell’epoca con la forma dello Stato.
Destra e sinistra sono d’accordo che quella hegeliana è il punto più alto della Filosofia, ma non sono d’accordo sulla ricostruzione meta-filosofica: per la destra la filosofia è contemplazione dello Stato di fatto, per la sinistra la storia degli esseri umani non è conclusa.
Una delle attività che gli esponenti della destra praticano con più successo è la storia della filosofia. Kuno Fischer scrive una storia della filosofia moderna. L’idea è che la filosofia è in un certo senso l’autocoscienza dell’umanità. L’identità hegeliana di filosofia e storia della filosofia viene presa molto sul serio.
Per la sinistra la faccenda è diversa. August
Cieszkowski sostiene che la filosofia con Hegel è conclusa, ma
la costruzione della storia degli esseri umani non è affatto
conclusa. C’è la civetta, ma c’è anche la talpa. La teoria
filosofica deve cioè passare alla prassi.
Filosofi rivoluzionari nella sinistra hegeliana: Moses
Hess arriva a sostenere posizioni socialisti, e Max
Stirner, che scrive L’unico e la sua proprietà, nel
quale radicalizza a tal punto l’idea che dopo la filosofia c’è l’azione,
da arrivare a dire che l’esito di questa riflessione è il singolo
individuo, l’unico, che passa all’azione, ma in modo del tutto non
razionale.
Hegel è il Fidia della filosofia, è arrivato alla fine della
filosofia. L’essenziale della filosofia è già stato scoperto. Ora deve
trapassare dalla sua purezza ad un elemento estraneo, cominciando a
essere applicata. I rivoluzionari possono con il loro
contributo muovere la realtà.
Quindi si va oltre Hegel, vengono **sepa
Segue le lezioni di Hegel a Berlino, ma quando inizia a studiare filosofia ha già studiato teologia ad Heidelberg. Una sua riflessione autobiografica è: Dio fu il mio primo pensiero, la ragione il secondo, l’uomo il terzo e l’ultimo.
Critica filosofica della religione è l’aspetto principale della
filosofia di Feuerbach è L’essenza del cristianesimo (1841),
che è uno sviluppo e una radicalizzazione del lavoro di Strauss
e Bauer di critica della religione.
Tesi di fondo è che Dio è una creazione dell’uomo. Gli
esseri umani trasferiscono su Dio, un ente immaginario, le
caratteristiche positive della specie umana. Secondo lui ciò che
distingue gli esseri umani dagli animali è la consapevolezza di
appartenere al gruppo che è la specie umana - e in effetti gli animali
non hanno una religione.
Feuerbach arriva a dimostrare questa sua tesi fondamentale in vari
modi.
Anzitutto, gli attributi di Dio cambiano di civiltà in civiltà.
Feuerbach non si limita, come gli illuministi, a criticare la religione
dicendo che è falsa o è un inganno, o come avevano fatto Strauss e Bauer
a demitizzare il discorso del cristianesimo; fa qualcosa di più
sistematico, fa una teoria dell’errore.
Non solo afferma che il cristianesimo è falso, ma
spiega:
Feuerbach chiama il meccanismo che fa nascere Dio inversione di soggetto e predicato. Es. Dio soffre per l’umanità. Quello che noi uomini come razza umana vogliamo dire è che soffrire per gli altri è un atto divino.
L’uomo crea Dio a sua immagine (a immagine della specie umana) con
questo meccanismo di inversione. Il singolo individuo non ha mai queste
caratteristiche positive, ma è tutta l’umanità.
Hegel aveva detto che la religione inganna il singolo individuo, ma non
l’umanità come collettività, e questo è un aspetto fortemente
hegeliano.
Frasi attribuite a Feuerbach:
Secondo Feuerbach la religione si può valutare in modo in parte positivo e in parte negativo; ci sono aspetti positivi della proiezione di sé.
Positivo: nella religione c’è l’oscuro
presentimento dell’infinità del genere umano.
Uno potrebbe non essere consapevole che l’umanità ha queste
caratteristiche. Grazie alla proiezione in Dio, c’è un presentimento
della verità, cioè della presenza degli attributi reali nella specie
umana. La religione è glorificazione indiretta del genere
umano.
Negativo: la coscienza di sé ottenuta tramite la proiezione non solo è indiretta, ma è frutto di una mistificazione, che in ultima analisi impedisce al genere umano di realizzare la sua perfezione.
Feuerbach arriverà a dire che più abbassano Dio, più gli esseri umani gettano se stessi in basso. La proiezione avviene a causa della fragilità degli esseri umani; perché gli esseri umani hanno paura, si sentono indifesi di fronte agli eventi della natura e di fronte alla storia. Gli esseri umani hanno bisogno di protezione, e questa è la ragione. Creano questo oggetto, al quale chiedono protezione, di soddisfare i loro desideri e i loro bisogni.
Questo si vede chiaramente secondo Feuerbach in una delle pratiche più “basiche” (e non acide) della religione, che è la preghiera.
La motivazione dell’esistenza di Dio non è razionale, ma è totalmente pratica.
Non solo Feuerbach cerca una spiegazione dettagliata della questione della religione, ma fornisce un metodo genetico-critico per fare questa operazione. Genetico perché ricostruisce le cause, critico perché fornisce anche una valutazione dei fatti che sta indagando. Nella valutazione, l’uomo innalza Dio e abbassa se stesso; e dove la fantasia è tutto la realtà è nulla.
Negli scritti teologici giovanili, Hegel sostiene che la religione cristiana è una forma di alienazione. L’uomo si spoglia delle sue qualità e le trasferisce alla divinità. Feuerbach scrive delle cose simili senza saperlo. Ma gli Scritti teologici giovanili di Hegel sono stati pubblicati da Nohl nel 1907. È interessante che ci sia in Hegel questo tema.
In Hegel ci sono due termini per significare alienazione:
L’idea di fondo è che nel suo processo di sviluppo lo Spirito passa in qualcosa di altro da sé, oggettivandosi, cioè alienandosi, per poi riappropriarsi di sé in una forma più ricca, più profonda, più consapevole.
Grazie al lavoro di Feuerbach la nozione hegeliana di
alienazione viene precisata e
risemantizzata: l’essere umano crea cose, idee,
istituzioni per soddisfare dei suoi bisogni pratici e
sociali, “intrinseci” alla sua essenza; ma queste sue creazioni
diventano man mano sempre più
autonome, seguendo una logica del tutto autonoma rispetto al
loro creatore. Fino a quando queste idee create diventano delle
potenze autonome sovrastanti, delle forze
estranee all’essere umano che lo minacciano,
si oppongono alla sua volontà e lo dominano - senza che
l’essere umano se ne accorga e ne sia consapevole.
Quando ciò accade, si parla in senso proprio di
alienazione.
Ma ogni qual volta una religione applica una critica alle altre
religioni, non la applica a se stessa; le religioni parlano
delle altre religioni come adoranti idoli, ma nessuna religione
applica a se stessa questa critica. I religiosi
completamente alienati credono davvero in Dio senza accorgersi
della proiezione.
L’opposizione tra divino e umano è del tutto illusoria.
Oltre a criticare la religione risemantizzando la nozione di
alienazione, Feuerbach critica in maniera diretta la filosofia
speculativa hegeliana.
La tesi è che la sia una teologia razionale del tutto simile alla
teologia intesa in senso proprio. Feuerbach ritrova una
inversione soggetto-predicato anche nella filosofia di Hegel.
Hegel presuppone addirittura l’esistenza dell’Assoluto.
Il rapporto tra infinito e finito in Hegel è un rapporto in cui
l’infinito crea il finito: questo è sbagliato.
In generale: non è vero che il Geist crea il
Sein. La logica hegeliana è una teologia razionale, è
una teologia fatta logica.
Feuerbach oppone un’antropologia del tutto materialistica: esistono solo gli uomini con le loro idee e le loro opere. Il materialismo di Feuerbach al tempo di Marx verrà considerato un materialismo quasi settecentesco, pre-kantiano, basato sulle idee dei fisiologi.
Segue le lezioni di Schelling anziano a Berlino, anche lui dopo aver studiato teologia. Anche lui è un radicale critico della teologia razionalistica, della conciliazione operata dalla destra hegeliana tra filosofia e religione.
Contro la teologia razionale, Kierkegaard presenta il problema della fede - che non può essere impostato in problemi razionali. La fede non è il prodotto di un’inferenza o di un ragionamento.
“Credere vuol dire perdere l’intelletto per conquistare Dio”.
Obiettivi polemici di Kierkegaard sono:
Per Kierkegaard, “il problema del singolo è la cosa più decisiva”.
Quella di Kierkegaard è una apologetica cristiana antirazionalistica, portata avanti mostrando che la religione non è affrontabile in termini razionali.
La forma con cui Kierkegaard scrive in maniera in un certo senso più letteraria che filosofica: Kierkegaard scrive dei Diari, delle Prediche, dei Discorsi edificanti.
Un testo importante di Kierkegaard è Aut Aut, e già qui si vede l’anti-hegelismo, c’è cioè un’alternativa in cui non c’è una sintesi. In questo testo Kierkegaard parla di due ideali di esistenza degli esseri umani, presentandoli attraverso delle figure:
I primi vivono in un universo di possibilità, e sono presi dalla angoscia che li porta a distaccarsi ironicamente dalle possibilità che hanno nella loro vita, per passare direttamente ad un’altra. È rappresentata dalla figura del Don Giovanni.
La vita etica si basa sulla scelta di una delle possibilità. Nella vita etica non si è nel mondo della possibilità ma della realtà. È rappresentata dalla figura del consigliere Guglielmo, che è un funzionario e un marito. Nel mondo reale ci sono delle istituzioni e l’uomo etico fa quello che si deve fare, si colloca nelle istituzioni. Una forma di conformismo caratterizza la vita etica.
In un libro del 1843, Timore e Tremore - Lirica dialettica,
Kierkegaard mette a fuoco un terzo tipo di vita: la vita
religiosa, rappresentata dalla figura di
Abramo. La dialettica che sta proponendo è antitetica a
quella hegeliana, riguarda la vita del singolo individuo.
È una lirica perché è opposta nella forma a un trattato
filosofico razionale.
Abramo è disposto a uccidere suo figlio in nome di Dio. La sua storia dimostra che quando c’è in gioco la fede non c’è giustificazione razionale. Se proviamo a metterci nei panni di Abramo non riusciamo pienamente a comprendere quello che sta facendo, che è anche del tutto immorale. Abramo dice a Dio: Signore, è meglio che egli [suo figlio Isacco] mi creda un mostro. Abramo deve dare la sua risposta soltanto a Dio. Il caso di Abramo è diverso da quello degli eroi tragici: la differenza è che noi possiamo provare a capire il loro punto di vista, concependoli come grandi individui; questo non riusciamo a farlo con Abramo, il suo agire ci risulta del tutto incomprensibile.
La fede dunque non è un ragionamento, ma è una passione. Sulla base di questa idea di fondo, Kierkegaard critica la filosofia, che non può spiegare il rapporto personale con Dio. La fede non è un atto di comprensione, ma un atto della volontà.
Kierkegaard contrappone sapere ed esistenza, senza trovare una sintesi; diventerà molto importante nel ‘900, verrò riletto da Heidegger e dall’esistenzialismo.
Il cristianesimo di Kierkegaard non va compreso né dimostrato, ma vissuto: questo porta al rifiuto all’aspetto sociale della vita, e al rifiuto dell’aspetto politico. Politica: Lo Stato è un male necessario entro cui si collocano i singoli; rifiuta i moti liberali del 1848.
L’ultima parola di Feuerbach è direttamente contrapposta all’ultima parola di Kierkegaard, eppure:
Entrambi hanno un obiettivo politico comune: la teologia razionale e il sistema hegeliano.
Per entrambi la fede religiosa non nasce sul piano razionale ma nasce da bisogni, da passioni, da sentimenti. Il vero obiettivo politico di Kierkegaard è che non si può fare una scienza cristiana.
Kierkegaard aveva letto Feuerbach ma non viceversa; Kierkegaard
lo chiama libero pensatore e lo definisce uno
schermitore del cristianesimo che attaccando il cristianesimo lo
espone in maniera eccellente. Feuerbach dice che la
religione ha a che fare con i bisogni pratici, con il
cuore. Cioè, la religione è una
passione.
Differenza tra cause e ragioni: la causa di un’azione
ha una relazione oggettiva/meccanica con ciò di cui è causa; una ragione
è qualcosa che giustifica qualcos’altro.
Per Feuerbach la religione sia una questione di cause naturali - l’uomo ha paura e non vuole avere paura; per Kierkegaard, anche se non sono ragioni, queste ragioni misteriose hanno la capacità di giustificare il comportamento di Abramo.
Schopenauer campava di rendita, era ‘un gran borghese cosmopolita’, aveva frequentato Goethe, gli ambienti giusti e aveva questo interesse per la filosofia…dalla sua posizione fa filosofia contro i filosofi dell’università: gli Herbat ma anche Hegel e tutta la sua compagnia. Era un grande polemista e un grande scrittore oltre a essere un filosofo. La sua critica a Hegel è meno radicale a quella di Kierkegaard, ma il modo in cui la presenta è altamente polemico.
I sofisti sono fighi, Hegel è un disgustoso ciarlatano. La critica di Schopenauer è anche allo stile, ricorda ciò che fanno gli analitici contro i continentali nel ’900: non si capisce niente, c’è solo fuffa qui dentro.
Gli capita di avere una docenza a Berlino, e mette le sue lezioni alla stessa ora di quelle di Hegel.
Nel 1818, a 30 anni, Schopenauer scrive il suo libro più importante: Il mondo come volontà e rappresentazione - Die Welt as Wille und Vorstellung. Questo libro ha un piccolissimo successo, nessuno lo considera. Lui però è convinto delle sue ragioni. Dice che consegna la sua opera all’umanità e ai posteri e non ai contemporanei che lo schifano. A un certo punto della sua vita Schopenauer diventa importantissimo in tutta la cultura.
Quello che succede per Hegel vale ancor più per Schopenauer. Ogni persona colta legge Schopenauer. Fino al 1848 Schopenauer non se lo era cacato nessuno, nessuno lo aveva preso sul serio. Poi nella seconda metà del secolo diventa centrale. Forniremo una spiegazione storica “esterna” a questo fatto.
Scansione dei libri:
Incipit: Il mondo è una mia rappresentazione. Schopenauer chiarisce che con questa nozione di rappresentazione siamo in grado di criticare sia l’idealismo che il materialismo.
Nell’idealismo il soggetto è una causa e l’oggetto è un prodotto, mentre per il materialismo è l’opposto. La nozione di rappresentazione permette di non fare questo errore, perché se la rappresentazione è quella che media il rapporto del soggetto con l’oggetto non è affatto una reazione causale.
Questo da giovane Schopenauer l’aveva detto già da giovane. Da studente Schopenauer si era interrogato su rapporti di tipo non causale: Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente. La relazione causale è solo una delle radici, ma si può dare anche in termini logici, quantitativi e come motivi di un azione.
Che il mondo sia una rappresentazione è una verità a priori secondo Schopenauer. Il mondo è intuizione di un intuente.
Schopenauer ritorna a Kant. Possiamo conoscere solo un occhio che
vede il sole e una mano che tocca la terra. La nostra conoscenza è
sempre mediata dalle forme a priori, dai nostri apparati
percettivi.
Fa un po’ di pulizia delle categorie kantiane e mantiene delle categorie
solo la causalità e le forme a priori di spazio e tempo.
Che il mondo è una mia rappresentazione l’unico modo che abbiamo per conoscere il mondo è di conoscerlo come fenomeno, cioè tramite quelle lenti concettuali che ci arrivano da spazio, tempo e causalità.
Nell’epistemologia kantiana il soggetto conoscente non può arrivare
alla cosa in sé, il noumeno.
La prima mossa che fa Schopenauer nel suo testo è di presentarla. Il
mondo è una mia rappresentazione.
La scienza, la filosofia, ogni tipo di razionalità ci può dare una conoscenza in termini di rappresentazione, in termini di fenomeni. E non può arrivarci il senso comune nei termini di una esperienza.
Se l’essere umano fosse stato “una testa d’angelo alata” non ci sarebbero stati questi problemi. Se fosse stato un puro soggetto conoscente, un puro soggetto epistemico. Ma l’essere umano ha un corpo.
Cosa significa questo? C’è un senso per cui il mio corpo in un certo senso è un oggetto tra gli altri oggetti. Questo è il modo di concepire il corpo sotto il punto di vista della rappresentazione. Ma c’è di più.
Non c’è soltanto il corpo come fenomeno, il corpo come oggetto fra oggetti. Attraverso il corpo io posso arrivare, a intuire a riconoscere la presenza di un altro elemento metafisico, diverso dalla rappresentazione, che lui chiama volontà.
Nell’atto di allungare il braccio c’è la volontà di muovere il braccio. Non si tratta di osservare una relazione causale tra due eventi, ma di vedere nel movimento corporeo la volontà.
L’atto corporeo intenzionale è infatti volontà oggettivata, e la volontà oggettivata che diventa atto corporeo. L’atto corporeo non è l’effetto della volontà, ma l’espressione della volontà. Oppure potremmo dire che uno stesso evento lo possiamo descrivere sotto diverse descrizioni; come un evento corporeo, o come l’azione di allungare il braccio per prendere il libro. Sono espressioni analoghe.
L’esistenza della volontà è la più immediata e chiara delle conoscenze. Non è una scoperta inferenziale. Riconosciamo la volontà nell’atto di muovere il braccio.
Ci sono quelli che potremmo chiamare dei fenomeni della volontà. Posso leggere l’azione di muovere il braccio con il fatto che muovo il braccio in quanto ho dei particolari motivi. Il fenomeno della volontà ricade sotto il principio di ragion sufficiente.
Ma la volontà stessa ricade sotto il principio di ragion sufficiente? No. La volontà è immotivata, cieca, irrazionale, pura volontà di vivere. Non è retta da motivi né da ragioni.
Questa è la scoperta di un elemento metafisico fondamentale: Schopenauer pensa che grazie a questa idea nuova di non considerare l’uomo come una testa d’angelo alata, Schopenauer ha scoperto la cosa in sé kantiana.
Quindi se il primo libro era assolutamente kantiano, il secondo libro va oltre Kant. E va oltre Kant sotto un aspetto assolutamente cruciale. Si può arrivare alla cosa in sé. La volontà è quella cosa in sé, è l’ultima realtà metafisica.
Ma che motivi pensa di avere per affermarlo? Se è così, il mondo come rappresentazione non è soltanto un mondo di fenomeni, ma è un mondo di illusioni, di inganni, di apparenze.
Se c’è un modo per concepire il mondo vero dietro la rappresentazione, questo è un modo per svalutare questo tipo di conoscenza.
Giustifica con
Questi sono i due riferimenti filosofici di Schopenauer.
È molto importante vedere quali sono le conseguenze della pretesa di aver trovato la cosa in sé kantiana: il mondo come rappresentazione è un mondo di sola apparenza.
Come per Platone il mondo fisico non è reale, come nei Vedanta l’Io non è reale.
Ma quali sono proprio le ragioni? Schopenauer lavora come un metafisico.
Dice: ho scoperto la volontà. La prenderò come una formula fissa. Prendiamola come punto di partenza della realtà, e vediamo se riusciamo a ricostruire tutta la realtà.
Cerca di fare una teoria metafisica generale più semplice possibile. Arriva a mostrare che una pietra quando cade può essere intesa in termini di volontà. Ma perché volontà e non forza? Dice che non sta dicendo che la pietra desidera cioè vuole cadere.
La volontà è:
irrazionale
non individuata come le cose particolari da spazio e tempo
Schopenauer propone una scala metafisica basata sull’idea che ci siano diversi stati di determinazione della volontà:
Quindi parte da una epistemologia kantiana, poi con la mossa del corpo scopre questo elemento la volontà, che sembra non essere regolato dalle regole della rappresentazione. E quindi prova una ricostruzione a posteriori della sua teoria.
All’obiezione ma perché non usi il concetto di forza, dato che sarebbe meno fuorviante?, Schopenauer ha una preferenza per definire la forza come una entità che non si può conoscere in modo inferenziale.
C’è una preferenza di base non argomentata, che gli permette di usare il termine più noto rispetto a quello meno noto.
Proprio perché c’è questo conflitto tra la volontà e le singole esistenze collegate nel principio di individuazione, possiamo spiegare un altro dato dell’esistenza.
Ogni desiderio presuppone una mancanza, la volontà è un tentativo di soddisfare i bisogni e colmare lacune. Dunque la mancanza, che è sofferenza e dolore, è costitutiva di una metafisica della volontà.
I singoli bisogni si possono soddisfare, e li resta il vuoto della noia.
L’ottimismo è una soluzione empia, il pessimismo (metafisico) è vero. Un po’ diverso dal pessimismo tradizionale.
La noluntas è l’annullamento della volontà individuale.
Le idee platoniche stanno un po’ più vicine alla volontà vera. La contemplazione disinteressata delle idee ci fa dimenticare noi stessi come individui.
Il poeta per esempio conosce le idee perfettamente, ma non gli individui. Può conoscere l’’uomo in generale. Il poeta è facile da ingannare ed è un giocattolo nelle mani del furbo.
Compassione e amore per il
prossimo ci portano alla consapevolezza che siamo tutti figli
della stessa unica volontà di vivere.
C’è il riconoscimento che anche l’altro individuo è legato agli
altri.
Vita ascetica o noluntas
Negazione della volontà di vivere.
Ora faremo un esempio di storia esterna:
Un modo per parlare delle idee è di parlare del successo di quelle idee. Fare storia esterna implica accettare che se una idea ha successo non è perché è una buona idea.
Schopenauer potrebbe dire che ciò che è reale è irrazionale.
I Buddenbrook è la storia della decadenza di una famiglia borghese. Ne I Buddenbrook (1901) Mann mostra Thomas Buddenbrook che legge Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenauer.
Lukacs dirà che Schopenauer occupa il posto per la borghesia europea della seconda metà dell’ottocento che aveva occupato Feuerbach.
In La distruzione della ragione Lukacs fa la storia dell’irrazionalismo dell’800, e vuole dimostrare come certe ideologie come il nazismo siano frutto di quella cultura.
“Schopenauer rappresenta la varietà puramente borghese per l’irrazionalismo”.
Luckàcs però non si ferma all’aspetto biografico (la sua condizione economica) ma dà una spiegazione sociale. Schopenauer offre una giustificazione apologetica diretta del capitalismo (espressione marxiana). Si vuole fare un discorso in cui si contesta ogni contraddizione del sistema capitalistico - questo significa per Marx apologetica diretta.
Secondo Lukacs invece non siamo in presenza di una apologetica diretta, ma un’apologetica indiretta, ossia un discorso che mette in rilievo e non nasconde i dati cattivi del mondo. Passa lungo tempo a descrivere nel dettaglio i mali del mondo in cui viviamo: ma attribuisce questi mali all’esistenza in generale, a una condizione metafisica.
Il prodotto del pessimismo di Schopenauer è l’ascesi, la noluntas. Questo per Lukacs provoca una sospensione dall’azione politica. Un discorso antipolitico, come è anche quello di Kierkegaard, alla fine.
Schopenauer educa alla passività e nega la storia; e l’odio per Hegel non è solo un fatto soggettivo, ma ha radici oggettive. Quello che sta facendo Schopenauer è fornire la base ideologica per la borghesia che vuole sviluppare la sua posizione dominante.
Il successo delle idee di Schopenauer è oggettivamente motivato dal ruolo sociale che le esse avranno in Germania, fornendo una giustificazione ideologica del capitalismo per la borghesia.
A quale compito sociale assolve l’opera di Schopenauer? Si chiede Lukacs. La filosofia di Schopenauer rifiuta la vita.
Il pessimismo come orizzonte di vita non può impedire all’individuo una condotta piacevole della vita - l’aristocratismo di Schopenauer ha un fascino, si vogliono elevare aristocraticamente. Il sistema di Schopenauer si erge come un elegante e moderno hotel fornito di ogni comodità sull’orlo dell’abisso.
Lukacs userò questa stessa espressione, dell’hotel sull’abisso per criticare la Scuola di Francoforte. Così l’irrazionalismo schopenaueriano adempie al suo compito per il ceto intellettuale.
La dissoluzione dell’hegelismo è uno dei fili conduttori dell’800. Il secondo filos conduttore dell’800 è quello che riguarda la reazione dei filosofi alle scienze. Questa settimana ci occupiamo del secondo fattore - lo sviluppo delle scienze e dell’industria capitalistica.
Per fare questo, ci spostiamo in Francia e in Inghilterra. Questa
settimana parleremo di positivismo e utilitarismo.
Oggi parleremo di Auguste Comte.
La filosofia in Francia nella prima metà dell’800 è uno scenario variegato:
Conseguenze della Rivoluzione francese - possiamo dividere tra tradizionalisti e reazionari, liberali e socialisti-utopisti.
Per i tradizionalisti la Rivoluzione in Francia ha portato molti danni (pensano al Terrore, al giacobinismo) - ma pensano che la ragione fondamentale di questi fatti si trova al livello dell’ideologia, cioè dal fatto che un movimento di pensiero risalente alla Riforma, che passa attraverso i lumi, ha condotto a forme radicali e progressive di individualismo, materialismo, ateismo, rifiuto dell’autorità.
Joseph de Maistre è un noto esponente di questa corrente. Contro questo movimento di pensiero, i filosofi tradizionali difendono la tradizione:
De Maistre descrive la rivoluzione francese* come una
crisi di civiltà** la cui origine sta nell’uso critico
della ragione, che De Maistre interpreta nei termini di una
rivoluzione contro Dio, la cui punizione è il
sangue.
La filosofia di de Maistre implica quindi il rifiuto di ogni
forma di contrattualismo. L’opera più importante di de Maistre
è Il Papa, che porta l’idea del poter del Papa come portatore
di un’istanza “che viene da Dio”.
Una seconda opzione è quella dei liberali.
I liberali accettano alcuni risultati della rivoluzione, ma ne
rifiutano gli esiti più radicali, in particolare l’idea
della democrazia diretta, facendo notare come questa
porti a esiti come il dispotismo. Dopo gli esiti egualitari e violenti
della rivoluzione francese c’è bisogno di una democrazia
liberale.
È un bene che la Rivoluzione abbia messo fine all’Ancient
Regime, non è un bene che la Rivoluzione abbia portato a una
situazione che finisce per ritornare nel dispotismo.
Gli autori più importanti in questo senso sono Benjamin Constant e Alexandre de Tocqueville.
Constant scrive nel 1919 La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni. L’obiettivo polemico è l’ambizione rivoluzionaria espressa da un autore come Rousseau, che ha idealizzato il modello di democrazia degli antichi, quello della democrazia diretta, della partecipazione diretta del popolo ai fatti del governo.
La democrazia moderna può sussistere solo nella forma di una democrazia rappresentativa - c’è bisogno di membri istituzionali intermedi.
1958 Isaiah Berlin lezione inaugurale a Oxford distingue libertà e libertà negativa (libertà da, cioè poter agire senza costrizione) - mentre la libertà positiva ha che fare con la costrizione.
L’idea è che se si mette l’enfasi sulla libertà negativa si finisce in un sistema di pensiero liberale; la libertà positiva se sviluppata va invece più nella direzione del socialismo - si tratta di una libertà sociale.
Questi due concetti di libertà in parte si sovrappongono con le teorie di Constant; la libertà degli antichi si avvicina alla libertà negativa, quella positiva ha più a che fare con la libertà dei moderni.
Autore di La democrazia in America. Com’è possibile conciliare democrazia e libertà nei sistemi moderni?
Come si fa a salvaguardare la libertà in un mondo in cui ci sono egalité e fraternité? Tocqueville in America vede ciò che all’inizio sembrava un paradosso: sembra esserci una situazione in cui c’è sempre più uguaglianza tra i cittadini, ma paradossalmente sembra che ciò conduca a meno libertà e porti al dispotismo.
Dal punto di vista metodico Tocqueville presenta questo dato come un
paradosso, ma sostenendo che nel suo processo di sviluppo la società si
atomizza, che non partecipano più direttamente alla vita politica.
Questo porta un disinteresse per la vita pubblica, da parte di qualcuno
che ri-centralizza il potere.
Ci sono una serie di suggerimenti;
Rendere quindi la democrazia più liberale e più rappresentativa dato che non si può dare nel mondo nessuna democrazia diretta.
Nasce in Francia perché in Francia il processo più importante è l’industrializzazione capitalistica del paese.
Entrano in gioco la borghesia e il proletariato.
I principali rappresentanti del socialismo utopico sono tre:
Saint-Simon era un nobile che aveva rinunciato alla sua nobiltà. Dopo la rivoluzione compie un’attività politica importante, e ha molti seguaci, si parla dei Saint-simoniani. Uno di questi saint-simoniani era Auguste Comte, il padre del positivismo.
Saint-Simon porta avanti un’accusa nei confronti della nobiltà, accusata di essere parassitaria. Bisogna organizzare la società dandola in mano agli scienziati e agli industriali.
Società, scienza, progresso. La società va riorganizzata per avere un progresso vero e duraturo. Per fare questo bisogna affidarsi alla scienza.
È una forma di tecnocrazia, di affidarsi agli esperti. Saint-Simon sapeva che se voleva attuare il cambiamento sociale avrebbe dovuto costituire una nuova ideologia, che per lui è una forma di religione.
Un suo testo è Il nuovo cristianesimo. Saint-Simon presenta
l’utopia di una organizzazione scientifica della società.
Attraverso i suoi seguaci e Comte, influenzerà pesantemente il pensiero
tecnocratico dell’Ottocento.
I seguaci di Saint-Simon enfatizzeranno l’idea del socialismo. Gli altri socialisti utopisti sono sempre più radicali e più propriamente socialisti.
Fourier ha una concezione della storia dell’umanità come mito della caduta.
Le istituzioni del mondo contemporaneo sono dannose, due in particolare :
Il commercio porta alle crisi economiche, portando miseria e
povertà.
La famiglia è basata sull’egoismo di coppia, sulla repressione sessuale,
sulla considerazione della donna come essere inferiore.
Fourier ha una proposta pratica per soppiantare questo mondo: l’idea che il mondo deve essere diviso in comunità più piccole - deve dividersi in falangi di 1500 persone che vivono in un falansterio. Nel falansterio avviene che tutti sono sia produttori che consumatori, una società auto-organizzata.
C’è un ottimismo antropologico: eliminando le istituzioni del capitalismo moderno possiamo tornare.
Proudhon critica l’istituzione fondamentale della società capitalistica.
In che cos’è la proprietà (1840), Proudhon dichiara che la
proprietà è un furto.
Emerge l’idea che la proprietà privata, che molti autori consideravano
un fondamento inviolabile e fondamentale, è frutto di
un’appropriazione indebita del lavoro altrui.
La soluzione di Proudhon è di generalizzare a tutti la proprietà - ma senza finire nell’opzione comunista.
Nella prima metà dell’800, in Francia, grazie ad A. Comte nasce il positivismo. Oggi usiamo l’etichetta di positivismo per certe idee nella storia della filosofia; c’è un modo di affrontare le idee che è positivista.
History of ideas è un termine usato per indicare i tratti metodologici di Lovejoy, che all’inizio degli anni ’40 del ’900 introduce l’idea per cui ci sono delle idee, unità concettuali, che sono mattoncini di idee più complesse. Ci sarebbero anche se non ci fossimo noi.
I vari filosofi nella storia prendono queste idee e le combinano. Le teorie sono costruzioni costruite a partire da unità fondamentali. Questa idea si può trovare in Bacone, Hume, Comte.
Secondo la lettura della history of ideas, che stiamo esponendo in questo corso, ci sarebbe un positivismo con dei tratti comuni nella storia, contraddistinto da due tratti fondamentali.
Sono cose che possiamo attribuire anche ad esempio a Newton, hypoteses non fingo.
Nel 1817 incontra Saint-Simon e diventa suo segretario. La sua opera fondamentale è il Corso di filosofia positiva (1830). Negli anni ’40 viene fondata una società positivistica. Il positivismo in un certo senso ambisce a diventare una religione. È una corrente che ha avuto un’influenza enorme nel mondo occidentale. Ci sono casi di positivismo trionfante nella seconda metà dell’800; sono innumerevoli anche le reazioni antipositivistiche nella storia della filosofia.
Per capire qual è la motivazione della teoria della conoscenza di Comte, bisogna partire da considerazioni di carattere sociale - ha l’ambizione di avere una riforma sociale. Solo alla luce del grandioso progetto di riformare la scienza per riformare la società diventa intellegibile la sua teoria della conoscenza.
Come critica la democrazia? C’è una scienza che ha un ruolo speciale, una scienza che chiama sociologia. L’idea da cui parte è una teoria di Saint-Simon. Saint-Simon aveva diviso la storia dell’umanità in società critiche e società organiche (epoca/società):
Le società organiche sono le società che mantengono l’ordine, perché la società viene prima sia logicamente che normativamente rispetto ai singoli individui. Queste società preservano l’ordine costituito.
Nelle epoche critiche, l’ordine esistente viene distrutto e la società si trova a essere anzitutto una collezione di individui.
Ma questa divisione non va intesa come una storia a
cicli, in cui si distrugge e poi si ricostruisce; ma tutta la
storia va letta nei termini di un progresso.
Il progresso, dice Comte, è anzitutto nel modo di pensare, ed è
anche per questo che una riforma scientifica viene considerata come
condizione preliminare per la riforma sociale. Questo fa sì che, anche
se nasce da Saint-Simon, la “filosofia positiva” di Comte
enfatizzi sempre di più una organizzazione
scientifica.
La differenza è che gli utopisti si accontentano della volontà o della buona volontà, mentre i pensatori non utopisti ma scientifici non pensano che serva la buona volontà, ma una comprensione scientifica e razionale di come vanno le cose. Per questo una scienza positiva è un prerequisito del cambiamento positivo che Comte vuole ottenere.
La società viene prima dell’individuo - abbiamo un anticontrattualismo. Tutto ciò inserito in una filosofia della storia progressista. Comte è a un tempo critico e rispettoso delle idee del passato. La storia dell’umanità del pensiero è racconta al modo dei progressisti, che pensano che il domani è sempre meglio dell’oggi.
Se nel passato non ci sono soltanto errori e superstizioni, si tratta
di una forma embrionale di conoscenza che si è poi sviluppata.
Alla fine dell’800 Frazer scrive Il Ramo D’oro, testo
tipicamente positivistico in cui vengono raccontati i riti
magici di certi popoli come degli errori
epistemici da cui comunque si può imparare
qualcosa; Comte ha una visione simile.
Lo scopo di Comte è elaborare scientificamente i principi della società. Per fare ciò deve lavorare ad una forma di scienza che permetta la realizzazione di un’organizzazione perfetta. Questo non significa che Comte dimentichi il processo storico; lo strumento fondamentale che utilizza per realizzare il suo programma sociale è la storia della scienza.
Nel fare ciò, Comte tratta la conoscenza e la scienza come dei fatti sociali. Ci arriva attraverso un’operazione descrittiva. Es. Cos’è la scienza? Vediamo cosa abbiamo chiamato in sociologia “scienza”.
La storia della conoscenza umana ha attraversato 3 stadi fondamentali:
Stadio teologico: questa è l’età dei miracoli in cui ci sono i re. Passaggio dal feticismo al monoteismo. È il più embrionale; le società sono teocratiche - in questo stadio i soggetti epistemici osservano i fenomeni e rispondono costruendo cause sovrannaturali (le divinità) che descrivono come cause dei fenomeni. In questo stadio teologico la natura è un susseguirsi continuo di miracoli. Ogni evento è sempre figlio di un miracolo. C’è del buono in queste forme di conoscenza - sono forme legittime di conoscenza perché il punto di partenza di queste spiegazioni sono i dati osservativi - e questa è una delle mosse fondamentali di ogni conoscenza.
Stadio metafisico: l’età delle cause. Si parte dai dati osservativi e si cercano le cause. Ma non vengono chiamate in causa entità sovrannaturali, ma entità che pur essendo non osservabili sono di tipo naturale. È la natura il nuovo Dio dello stadio metafisico. Si spiegano i nomi basandosi su nozioni di forza, capacità, ecc. Nozioni metafisiche fondamentali.
Nella terza fase, abbiamo l’età positiva. Sostituiamo alla domanda “perché” la domanda “come”. È in parte descrittiva e in parte programmatica. Non si tratta come nel passaggio dal passaggio 1 a 2 di rispondere alle vecchie domande (perché) sostituendole con nuove domande; le vecchie domande sono solo dispute verbali, prive di senso. La domanda perché viene sostituita dalla domanda come. E con la domanda come descriveremo delle leggi.
Viene assunta una forma di determinismo - almeno metodologico - perché in questo modo la scienza viene considerata in grado di formulare previsione. A partire dalla domanda come, si vedranno i dati osservativi, si formuleranno ipotesi. Secondo Comte in questo modo sarà possibile la riforma sociale.
Si può parlare del positivismo considerandone due aspetti:
componenti “di lungo periodo” della filosofia (history of ideas) - in questa accezione il positivismo è individuato da due tesi:
Considerandolo in questo senso, si può trovare il positivismo in molti luoghi della storia della filosofia - Hume, Newton (Principia Matematica)
Il positivismo, una delle realizzazioni dell’idea “positivismo”, in
un’ottica di history of ideas, è nato per ragioni storiche ben
determinate. Ragioni storiche che hanno a che fare con lo scopo
fondamentale di Comte, riformare la vita sociale mediante l’uso
della scienza.
Le concezioni epistemologiche di Comte si comprendono partendo dal
presupposto che questa fosse la sua motivazione fondamentale.
L’idea di società che ha Comte è opposta a quella dei
contrattualisti. È una nozione di società che viene prima degli
individui che la compongono.
Nella classificazione delle varie opzioni politiche, abbiamo visto come
anche i reazionari tradizionalisti la pensavano così, in un certo senso,
con la differenza profonda che è la sua concezione della storia
di tipo progressivo.
Il punto di partenza è l’idea saint-simoniana di un percorso storico
che vede una successione di epoche lineari e epoche
critiche. Pensa che queste siano delle strutture permanenti che
restano invariate.
Il progresso è l’evoluzione interna di queste strutture
permanenti.
Per riformare la vita sociale Comte intende anzitutto riformare la scienza. Si tratta di una forma di tecnocrazia, l’idea che il governo sia guidato da mano scientifica. Comte osserva quindi l’evoluzione della conoscenza umana in un modo particolare: considera la scienza umana come un fatto sociale. Nella considerazione della scienza come fatto sociale Comte è uno dei primi sociologi della conoscenza.
Comte guarda a ciò che gli esseri umani nella storia hanno considerato conoscenza, e cerca di cogliere delle regolarità. L’atteggiamento di Comte nei confronti del passato è ambivalente. Pensa che nel passato ci siano conoscenze più primitive, ma non per questo tute da buttare.
Nella sua analisi storica Comte formula una legge, la legge dei tre stadi. Comte enfatizza in modo particolare che la scienza abbia una dimensione pratica. Questo ci fa vedere in modo interessante l’ingenuità dei positivisti. Comte tende a vedere l’applicazione diretta della conoscenza scientifica come un valore - questo fa sì che Comte consideri metafisiche la teoria probabilità, le indagini sulla struttura profonda della materia - tutte cose che non hanno una applicazione immediata.
Gli esseri umani osservano il mondo, collezionano dati osservativi. Davanti all’osservazione di questi fenomeni si chiedono perché essi avvengono.
Si può dividere la storia in:
Si sostituisce la domanda perché con la domanda come, cercando regolarità nel comportamento dei fenomeni. Queste regolarità vengono chiamate leggi, e permettono agli scienziati di fare delle previsioni.
Entità teorica: un’entità che noi crediamo che esista per ragioni puramente inferenziali e teoriche. Comte è sospettoso, potremmo dire, di queste entità teoriche. È sospettoso di tutto ciò che non è direttamente osservabile o utile.
Comte trova anche delle regolarità nella storia delle discipline scientifiche.
Nella storia si passa da scienze più generali e meno complesse verso scienze meno generali e più complesse. Trova una sorta di regola logica con complessità crescente e specificità decrescente. C’è una storia di ordine logico, storico, pedagogico.
I. Si inizia con la matematica. La matematica è la prima scienza che è diventata una scienza matura. Dal punto di vista logico, la matematica è massimamente generale e minor contenuto, dato che è puramente formale. Dal punto di vista storico, matura per prima, nella Grecia antica.
Si passa attraverso l’astronomia (500-600), fisica, poi chimica e poi biologia. Questa è una progressione sia logica che storica.
Dopo questo elenco, c’è l’ultima scienza, la meno generale e la più complessa di tutte, ed è la sociologia. Secondo Comte questo ordine è anche un ordine pedagogico.
Una forma tipica di riduzionismo è il fisicalismo, cioè in ultima analisi si può considerare la mente come qualcosa di fisico, una configurazione cerebrale. In Comte, questa gerarchia, l’ ordine logico e storico delle scienze, non conduce a una forma di riduzionismo. Per esempio, il fisicalismo è una forma di riduzionismo tra le scienze.
Comte non è un riduzionista: non c’è una scienza più fondamentale che spiega le scienze meno fondamentali - come vuole il riduzionismo. C’è invece una per Comte presupposizione senza riduzione - quella che viene dopo non si riduce ad essa. In ultima analisi, tutte dovrebbero seguire il metodo scientifico: osservazione e ricerca di regolarità.
Comte si presenta come l’inventore, il Galileo della sociologia.
Tutte le scienze sono fatti sociali. La società è un termine primitivo o più fondamentale rispetto all’individuo, che è un costrutto, un’astrazione. Comte è un progressista, ha una filosofia della storia progressiva. La società viene prima, l’umanità viene prima. Ci sono dei criteri dell’identità come soggetto, come organismo. Quando Comte dice che l’umanità sente, crea, non sta parlando per metafore.
L’umanità ha degli organi, si può dividere in individui ma anche in altri modi. Gli organi hanno delle funzioni. La storia dell’umanità è la storia degli organi, delle strutture permanenti, che sono sempre le stesse. Gli organi sono: la famiglia, la proprietà privata, la religione, la divisione in classi, il linguaggio, l’autorità religiosa.
Sono strutture permanenti. Non si dà umanità senza queste strutture. Queste strutture permanenti si trasformano internamente.
Nello stadio positivo dell’umanità, Comte può immaginare una riforma basata su una nuova religione scientifica. La religione non sparisce quando arriva la scienza, ma viene trasformata in una religione scientifica. La divinità di questa religione è la scienza.
Comte ammira l’universalismo della chiesa cattolica e si immagina una struttura della società riformata dalla religione positiva che rimanda a certe riforme istituzionali della chiesa cattolica. Ci sono templi, c’è una papa positivo (uno scienziato) al servizio dello sviluppo industriale. C’è un battesimo secolare.
Comte ha un atteggiamento storicista: per trovare le leggi, le regolarità che interessano, guarda alla storia della scienza umana e alla storia della scienza. Ma è uno storicista fino a quando entra in gioco l’età positiva. Per Comte, come altri positivisti ottocenteschi, c’è la fine della storia, c’è un momento di massima maturità dell’umanità.
È uno storicista quindi fino a un certo punto, fino al tempo presente, in cui grazie alla scienza si raggiunge un momento di massima maturità dell’umanità.
Ragioniamo ponendoci questa domanda in un’ottica di storia delle idee.
Hegel è un antipositivista.
Si può affermare che Hegel è un anti-positivista. Non è
un’affermazione storico contestuale, ma dal punto di vista
teorico-concettuale.
La critica di Hegel al mito del dato e del fatto. I
fatti sono i pezzi di mondo che noi isoliamo quando adottiamo un
certo punto di vista, quello delle scienze particolari e
dell’intelletto. Quando ragioniamo, cioè, in maniera
astratta. Possiamo ragionare anche in maniera più concreta, non
considerando i singoli dati come separati dal resto. Hegel rifiuta
questo modo di pensare.
C’è un modo di pensare che è storico, dialettico, e prende in
considerazione la totalità. La filosofia ricerca nella totalità
attraverso la ragione (Vernunft), e non
l’intelletto.
Tecnocrazia.
Hegel per lo stesso motivo è incompatibile con la tecnocrazia - per
Hegel siamo in grado grazie alla filosofia di valutare la totalità
sociale all’interno del quale viviamo. Le singole scienze possono
proporre singole riforme in singoli aspetti del sistema dato, ma è
solo la filosofia a poter analizzare la totalità del
reale.
Fine della storia.
Secondo Tripodi considerare Hegel come teorico della fine della storia
significa confondere la civetta e la talpa. Per Hegel c’è un’ultima
parola in un dato momento storico della filosofia - ma questo non vuol
dire che la storia finisca. La talpa continua a scavare e il buon
filosofo inizia a intravedere la talpa.
La storia è un conflitto dialettico continuo.
Comte muore nel 1857. Nei 10 anni successivi escono:
Questi libri appartengono più o meno alla tradizione positivista - meno gli ultimi due.
Darwin era stato invece influenzato dagli Studi
di Robert Malthus, Un saggio sul principio della popolazione
(1798). Malthus aveva mostrato che le popolazioni aumentano secondo una
crescita non aritmetica ma geometrica.
I cambiamenti che si adattano meglio alla vita permangono - e questa
dinamica spiega la morfologia e la storia delle specie.
Il libro di Bernard parla di medicina, ed è perfettamente inserito nel paradigma positivistico. Esplicitata idea che il determinismo non sia una norma metafisica ma metodologica. C’è l’idea della neutralità degli scienziati, l’idea di osservare i dati e formulare ipotesi.
Mill appartiene solo in parte a questa storia. È positivista solo in parte.
Herbert Spencer pensava di poter costruire una teoria filosofica generale che applicasse una spiegazione evolutiva a tutto, e non solo al regno animale. I romanzi di Jack London tematizzano questi temi della filosofia spenceriana. Martin Eden è un espressione di certe idee spenceriane.
Marx ha due componenti: una positivistica e una hegeliana, e per questo appartiene solo in parte a questa storia. È positivista solo in parte
Mill condivide in larga parte la filosofia di Comte, in particolare la sua teoria empiristica della conoscenza. Mill è inglese e si rifà alla tradizione dell’empirismo classico inglese, in particolare le idee di Hume. Gli elementi di continuità tra Mill e Comte Mill non li prende da Comte, ma si rifà esplicitamente direttamente all’empirismo.
Mill infatti scrive A system of logic (1843), uno dei libri fondamentali delle logiche dell’800. È una logica innovativa, introduce le nozioni di denominazione e connotazione.
Ma cos’è la logica secondo Mill? C’era chi pensava
che la logica descrivesse il mondo, ossia fosse
descrittiva. Questa non è l’idea di Mill. La logica è
normativa, ci mostra cioè come ragionare in maniera
corretta. Se si ragiona senza seguire una regola logica, ragiona
male. Le leggi logiche governano il buon ragionare, e
ricavano la loro validità da delle regolarità
psicologiche. Mill fornisce cioè una interpretazione
empiristica della logica, pur riconoscendola come normativa. La
logica governa il corretto ragionare, ma le leggi della logica
dipendono dalla psicologia, che è una disciplina
empirica.
Questo errore filosofico - che la validità di una norma
logica dipenda da un fatto di una disciplina empirica - verrà chiamato
psicologismo.
Il lavoro di Mill mostra come egli sia completamente d’accordo con l’empirismo di Comte. Parlando della logica, Mill arriva a dire che nessun asserto - neanche quelli matematici - è puramente a priori. In ultima analisi la validità dei principi matematici dipende dall’esperienza.
Secondo Mill, l’individuo singolo è prioritario rispetto alla
società. Chi sostiene il contrario, rischia una deriva
totalitaria.
Analizziamo ora l’utilitarismo su un piano di storia delle
idee e su un piano di storia contestuale.
History of ideas: in questi termini, l’utilitarismo è quella teoria di filosofia morale secondo cui l’utile è il fondamento del giusto.
Storia contestuale della filosofia: L’utilitarismo ha delle radici storiche molto precise. L’utilitarismo nasce anche prima del positivismo.
L’utilitarismo esisteva già prima di Mill, e lui l’ha preso in
prestito nel contesto inglese dal quale è nato.
Ora raccontiamo allora la storia della tradizione dell’utilitarismo nel
contesto inglese, vediamo come nasce.
Mill arriva all’utilitarismo da Jeremy Bentham. Il suo testo fondamentale è Introduction to the Principles of Morals and Legislation (1789).
Perché Jeremy Bentham è l’inventore
dell’utilitarismo? Bentham era interessato a riformare le leggi inglesi.
Ci sono dei tribunali, che emettono sentenze (Common Law).
Non c’è un sistema codificato, ma sono i precedenti
penali a costituire la giurisprudenza.
Bentham era interessato all’idea di codificare le
leggi. L’idea è che il mondo cambia - per esempio
industrializzandosi - e il diritto invecchia. Serve un
codice di leggi aggiornato e scritto chiaramente.
Serve una codificazione nuova, bisogna riformare il codice giuridico
inglese. Altrimenti, ogni volta c’è bisogna di qualcuno che medi.
L’utilitarismo che nasce in questo modo è uno dei primi movimenti politico-culturali della storia moderna. Ha dei grandi padri, un’ortodossia, è un movimento codificato. Ce ne saranno altri: il socialismo, il positivismo. L’utilitarismo è il primo grande movimento. Bentham è il primo personaggio del movimento, ha alcuni seguaci, tra cui James Mill. James Mill ha un figlio: John Stuart Mill. Bentham diventa l’educatore di Mill, e ne accoglie l’autorità intellettuale.
Insieme, Bentham e Mill fonderanno la Westminster Review, un giornale dove veicolare le idee utilitariste. Dagli utilitaristi viene anche fondato lo University College London.
Di solito, economia politica classica si usa per riferirsi a personaggi come Adam Smith. An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations (1776) è la sua opera principale. L’altro grande nome è Ricardo, autore di Principles of Political Economy and Taxation (1817). J.S. Mill fa anche parte di questo gruppo; Robert Malthus e Jean-Baptiste Say, autore della tesi per cui ‘l’offerta crea la domanda’. Questi autori sono importanti perché a loro si riferirà Marx.
Adam Smith ha introdotto la nozione della divisione del lavoro: ogni operazione produttiva può essere suddivisa in un numero di sotto-operazioni eseguite da gruppi di persone diverse.
Effetti della divisione del lavoro:
A causa della divisione del lavoro c’è una “divisione di talenti” - il contrario della meritocrazia. Gli uomini hanno tutti talenti simili, e si specializzano a causa di quella divisione. Smith sostiene che si può instaurare un circolo virtuoso tra divisione del lavoro e miglioramento delle condizioni di vita.
Altro importante tema introdotto da Smith. Chi coordina la divisione
del lavoro? La mano invisibile è una metafora del meccanismo dei
prezzi. Attraverso il mercato dei prezzi delle merci
avviene e si coordina la divisione del lavoro.
Gli investimenti vengono in qualche modo stabiliti da una “ricognizione”
dei prezzi del mercato. Dal punto di vista psicologico, dietro a questo
meccanismo c’è la competizione - nella natura umana
prevale l’ interesse egoistico. Smith non sostiene però
che gli interessi egoistici siano alla base di tutte le
relazioni umane. Smith è un teorico della simpatia
settecentesca.
Dal punto di vista teorico, l’elemento esplicativo della teoria economica di Smith non è il singolo individuo ma la classe sociale.
Individualismo metodologico - principio che non viene applicato dalla teoria di Adam Smith, perché tutto viene ricondotto non al singolo individuo ma alla classe sociale.
Ci sono 3 classi fondamentali:
Li riconosciamo in base ai fattori produttivi che possiedono:
Ciascuno di questi fattori ha una remunerazione.
Smith propone di distinguere il capitale fisso e il capitale
circolante, e altre divisioni che adesso a noi non interessano.
La teoria politica è una teoria della crescita
economica che dipende dalla teoria della distribuzione
del reddito tra le classi sociali.
Keynes ha chiamato le teoria marginaliste teorie neoclassiche. Ma le
teorie classiche sono quelle che devono risolvere il problema della
divisione del reddito. Chiamiamo le teorie neoclassiche
marginaliste per evitare fraintendimenti.
Lionel Robins negli anni ’30 del ’900 formula una concezione
dell’economia come una scienza che spiega come gli individui fanno delle
scelte per allocare le loro risorse limitate. Sparisce
la teoria della classe sociale.
Smith parla di un saggio naturale del profitto.
Quando dice “naturale” intende dire scientifico, ma
scientifico nel senso delle scienze sociali. C’è un
modo scientifico di riferirsi a queste classi.
Il lavoro è la misura reale del valore di scambio di tutte le merci.
Il prezzo reale di ogni cosa, ciò che ogni cosa realmente costa all’uomo
che vuole procurarsela, è la fatica e l’incomodo di
ottenerla.
Ricardo legge queste parole come una prima formulazione della
teoria del valore-lavoro.
Corn Laws (nella prima metà dell’800) - aumento dei dazi, se aumentano i dazi, aumenta il prezzo del grano. Se aumenta il prezzo devono anche aumentare i salari, altrimenti non si riesci a comprare nulla.
Ricardo è considerato l’autore che ha introdotto il ragionamento astratto in economia. Il punto è che partito con l’intento di difendere la borghesia contro i proprietari terrieri (se ci sono queste leggi, i capitalisti/borghesi ci perdono) Ricardo si trova a parlare di un altro conflitto di classe: quello tra i capitalisti e i lavoratori.
Obiettivo di Ricardo è dimostrare che tra salari (dei lavoratori) e profitti (dei capitalisti) c’era una proporzione inversa.
La teoria in cui si collocano questi discorsi di Ricardo è la teoria del sovrappiù, o teoria del surplus sociale.
Prodotto sociale - capitale investito = sovrappiù
Il surplus sociale è la quantità di nuovo prodotto sociale oltre a quello necessario al sistema sociale per riprodursi. Ciò che serve al sistema per riprodursi è esattamente quello che i capitalisti investono per permettere al sistema di andare avanti; il cosiddetto consumo necessario.
L’elemento fondamentale di questo novero sono i salari dei lavoratori.
Prodotto sociale - consumo necessario = sovrappiù
ma capitale investito = consumo necessario
Prodotto sociale - salari = profitti (del capitalista
profitto = sovrappiù
Il sovrappiù è identico al profitto del capitalista, è in mano al capitalista. In qualche modo, arriva a dimostrare che c’è una relazione inversa tra profitto e salario.
Ricardo aveva bisogno di non cadere in problemi di circolarità: se il profitto è prodotto sociale - consumo necessario, entrambi sono insiemi di merci. Le merci vengono tutte equiparate dal prezzo.
Il problema è che non si può sapere in anticipo il prezzo delle merci. Allora Ricardo si inventa la teoria del valore-lavoro, chiedendosi: “qual è il valore di una merce?” il valore di una merce corrisponde al lavoro in essa incorporato.
r = (P−N)/N
cioè
$$ r = \frac{(lavoro incorporato in P - lavoro incorporato in N)}{lavoro incorporato in N} $$
Il saggio di profitto del capitalismo è dato dall’aumentare del lavoro incorporato nel prodotto sociale. La teoria per cui i salari e i guadagni sono in una relazione inversa era una tesi sovversiva: sembrava che il sovrappiù fosse del lavoro incorporato che non veniva pagato a chi aveva lavorato.
I socialisti ricardiani e i socialisti utopisti francesi utilizzarono quest’idea a favore del movimento operaio; per i borghesi Ricardo era un criminale che aveva creato un problema sociale.
Prende da Ricardo e Smith i concetti chiave dell’economia, cioè:
Proudhon aveva scritto La filosofia della miseria; Marx da giovane scrive La miseria della filosofia. Lo fa perché sostiene che per la lotta in difesa del movimento operaio bisogna avere rigore. Proudhon prende le distanze dal socialismo utopico.
Non si può parlare di appropriazione indebita del lavoro da parte del capitalista; la sua azione è svolgimento coerente del modo di produzione capitalistico. Il lavoro è diventato merce. Il valore della merce-lavoro è dato dal tempo socialmente necessario per produrla.
Lavoro vivo è quello che il capitalista paga in
forma di capitale variabile; corrisponde al lavoro veramente
svolto dai lavoratori e pagato dal capitalista; è variabile
perché i salari crescono e si abbassano.
Il lavoro morto è il lavoro che c’è stato un tempo, che
è servito per esempio per produrre i macchinari; il plusvalore
dipende interamente dal capitale variabile, dal lavoro
vivo.
Il pensiero di Marx è un intreccio di antropologia filosofica, teoria economica, una teoria scientifica della società, una filosofia della storia e un programma di azione politica. Marx partecipa alla Prima Internazionale (1864-1876), un insieme di gruppi politici legati al movimento operaio - Marx partecipa ai lavori, è una delle personalità di spicco.
Il lavoro è un’attività di trasformazione della natura, come trasformazione di sé e delle relazioni con gli altri. Il lavoro è l’essenza dell’essere umano. La realizzazione di sé attraverso il lavoro nella società capitalistica non avviene, ossia il lavoro è alienato.
Hegel non ha distinto a sufficienza tra oggettivazione e alienazione. L’oggettivazione è il secondo momento necessario dello sviluppo dello Spirito. Mentre l’oggettivazione attraverso il lavoro è l’essenza positiva dell’essere umano, l’alienazione è tipica di una fase particolare della storia dell’umanità, quella della società capitalistica. Il lavoro non appartiene al lavoratore nel modo di produzione capitalistico, come aveva detto Ricardo. Questa è la critica che Marx nei manoscritti del ’44 rivolge a Hegel. Come rielabora invece Marx i discorsi di Feuerbach?
Feuerbach ha spiegato meglio di tutti il meccanismo di alienazione. Non è la religione l’origine dell’alienazione - l’origine dell’alienazione sta nell’ambito sociale. Ci sono 2 momenti di questa critica:
La questione ebraica (1843) - Bruno Bauer aveva scritto a proposito della negazione dei diritti di cittadinanza politica piena agli ebrei, e aveva individuato il problema come un problema di alienazione religiosa. Marx dice la sua in questo testo del ’43. Secondo Marx, l’origine ultima del problema politico della mancanza di diritti politici degli ebrei è di tipo sociale. Per questo motivo tutti gli esseri umani possono diventare cittadini. Ci deve essere una emancipazione umana e non politica.
Nei Manoscritti del ’44 (1844) affronta direttamente il problema. L’origine dell’alienazione è di tipo sociale, il prodotto del lavoro è preso dal capitalista.
In una società pre-capitalistica, si produce per vendere, e poi si compra. Si compra per soddisfare i bisogni, quindi è centrale in quella società il valore d’uso delle merci. (M-D-M) Nella società capitalistica il denaro invece è centrale, e conta il valore di scambio, il prezzo della merce in vista della vendita. (D-M-D)
La divisione del lavoro. Nelle società piccole, come
una famiglia, cioè un accordo esplicito a priori, un rapporto
diretto.
Nella società mercantile capitalistica, non c’è nessuno a fare
quell’accordo e a programmare. La divisione c’è, ma viene
occultata. Il valore creato dagli esseri umani, nel contesto
della società mercantile, può apparire come qualcosa di naturale e
de-storicizzato. La mano invisibile può sembrare una forza
naturale, che non appartiene a una certa fase storica, ma a
qualcosa che c’è.
In questo caso, i rapporti sociali tra produttori, prendono la forma di
rapporti fra cose. È solo il determinato rapporto sociale tra gli
uomini che assume la forma fantasmagorica di un rapporto fra
cose.
La merce sembra una cosa semplice e piana, è molto banale fino a
quando analizziamo il suo valore d’uso, ma quando diventa valore di
scambio diventa un feticcio. La merce
è qualcosa di sensibilmente sovrasensibile.
Quella che ci sembra una relazione tra merci, è in realtà un rapporto
tra umani, tra capitalisti e lavoratori. La realtà è un rapporto
sociale, una relazione naturale tra cose. Essendo un rapporto
sociale, essa è storica. Questa mistificazione è ciò
che Marx chiamerà ideologia.
Da un lato, Marx incorpora la dialettica nella sua concezione della storia, dell’essere umano, e della società. Dall’altro, a differenza di Hegel, Marx parla anche del futuro dell’umanità. In questo Marx è più vicino ai positivisti. Il marxismo del Novecento vorrà abbandonare l’anima positivista di Marx per concentrarsi sul lato hegeliano.
Vuole rovesciare la dialettica hegeliana, dandone una interpretazione
materialistica. Quando Marx parla di materia, in realtà secondo alcune
interpretazione sarebbe ‘storia’ degli esseri umani, dunque Marx sarebbe
un’idealista.
Per Marx il suo non è un materialismo volgare (e cioè
feurbachiano) cioè settecentesco, ma un materialismo
dialettico.
Materialismo storico: non ci sono relazioni causali tra una sovrastruttura e un’altra, tutto è determinato dalla struttura economica . L’unica relazione causale è quella da struttura a sovrastruttura.
L’Ideologia Tedesca è il testo dove meglio viene definito il
materialismo dialettico. Questo testo è una critica al fatto che
sono le idee e il pensiero a guidare il mondo, una
critica all’idealismo.
Marx fornisce anche il meccanismo esplicativo del motivo per cui si
creano delle illusioni ideologiche nella società: le idee della
classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti.
La classe dispone dei mezzi della produzione materiale e intellettuale. Sono i rapporti materiali dominanti prese come idee. L’ideologia si dice anche in un altro senso: come falsa coscienza, feticismo delle merci, costrizione ma occultata e mistificata nella società capitalistica.
Due suggerimenti di lettura per capire il materialismo storico:
Nella sinistra hegeliana, Stirner e Bauer pensano che sia la sovrastruttura e non la struttura a dominare il mondo.
C’è un programma di azione politica collegato all’analisi scientifica della società. Viene enfatizzato l’aspetto positivistico della teoria di Marx. Marx prende le distanze dal socialismo utopistico, proponendo una teoria scientifica. C’è un’enfasi retorica sulla scientificità del suo lavoro, ma ha anche un’importanza filosofica.
Lo scopo della società capitalistica non è il
soddisfacimento dei bisogni sociali, ma il conseguimento del
profitto, cioè un’accumulazione progressiva di capitale. Ma
come è nato il capitalismo? Questa è una questione che Marx deve porre.
Nel capitolo XXIV del primo libro del Capitale Marx parla
dell’accumulazione originaria. Alla base
dell’accumulazione originaria, secondo Marx, c’è la
violenza, la violenta separazione del produttore dai
mezzi di produzione. Ma lo scopo del capitalismo è l’accumulazione
progressiva. Marx pensa che il capitalismo sia pieno di contraddizioni,
che sia caratterizzato da una conflittualità
permanente. Queste contraddizioni spesso portano a delle
crisi “inspiegabili” e imprevedibili del
capitalismo.
Le crisi economiche sono la normalità
del capitalismo.
Sovrapproduzione e esercito industriale di riserva: Il capitalismo produce sempre una classe operaia eccedente che non riesce a trovare impiego. Marx lo chiama esercito industriale di riserva, cioè i disoccupati creati dal sistema capitalistico. Questa idea aiuta Marx a spiegare le crisi di sovrapproduzione.
Crisi cicliche: il sistema
dell’accumulazione tende a espandersi (come già Smith
aveva descritto). Aumenta la domanda, quindi aumenta anche
l’occupazione. Aumenta l’occupazione e i salari crescono. Se
aumentano i salari, diminuiscono i profitti (Ricardo).
Ma se diminuiscono i profitti, c’è una depressione del sistema, quindi
più disoccupazione, quindi un nuovo esercito di
riserva. Secondo Marx, questo è il modo in cui funziona il
sistema capitalistico, non è una patologia.
Un testo fondamentale sull’accumulazione è stato scritto da Rosa
Luxembourg, in cui sviluppa i rapporti tra imperialismo e
capitalismo.
Alcuni meccanismi non sono ciclici, ma tendenziali. Viene anche detta oggi stagnazione secolare. Secondo Marx, nel lungo periodo il saggio di profitto è destinato a calare.
Il capitalismo a causa della sua logica interna è destinato a crollare, e sfocerà in una depressione che condurrà ad una società comunista. Secondo Marx, il capitalismo ha creato il proletariato, il soggetto che potrà/dovrà far cadere il sistema. Il sistema è costruito in modo contraddittorio. Potrà farlo perché non ha niente da perdere, questo rende il proletariato il soggetto universale, l’unico che mettendosi dal punto di vista dei suoi interessi può fare gli interessi di tutta l’umanità.
Rivoluzione: Marx pensa che la società capitalistica
è rivoluzionaria, nel senso che ha cambiato la vita delle persone. Ma
nella sua epoca è venuta l’epoca della rivoluzione non solo politica, ma
sociale. Si tratta di combattere la separazione del lavoratore dalla
vera unità umana; l’ambizione è combattere la società dove la
vita è disumanizzata.
La rivoluzione avverrà nei paesi capitalisti avanzati e
industrializzati. Alla fine della rivoluzione ci sarà il
comunismo. Ma che cos’è il comunismo?
Marx è meno ingenuo di Comte, non ci descrive la chiesa positivistica. Non bisogna fornire ricette comtiane per l’osteria dell’avvenire.
Il comunismo è il movimento reale che
abolisce lo stato di cose presenti. Il comunismo non è uno
stato di cose ma un movimento e un processo.
Si realizzerà l’essere umano non alienato, che realizza la sua essenza e
lavora in un modo liberato, non alienato: nella società comunista,
[…] ciascuno può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere.
Il primo obiettivo della classe operaia sarebbe realizzare la
democrazia; la rivoluzione sociale viene intesa come
profondamente diversa dal colpo di stato. Nella fase di
transizione c’è una nazionalizzazione delle banche, credito bancario in
mano allo Stato.
Marx è un critico dello Stato, pensa che lo Stato sia
il comitato di affari della borghesia, ma nella fase intermedia
lo Stato viene usato per i fini della rivoluzione. Nella teoria di Marx
c’è però alla fine una dissoluzione dello Stato.
Il libero sviluppo di ciascuno è la chiave per il
libero sviluppo di tutti. Libertà è una parola chiave, la vita libera è
opposta alla vita alienata.
È un programma del movimento operaio di quegli anni in
Germania, storicamente considerato centrale nella nascita
dell’SPD (1863), il Partito socialdemocratico tedesco, che era un
partito rivoluzionario.
Nel 1883, Marx muore: la tensione
maggiore della sua opera era quello tra il lato
positivistico e il lato hegeliano della sua
teoria. Dovendo scegliere tra i due lati, i marxisti scelsero
il lato positivistico e misero tra parentesi il lato hegeliano. Ora
vediamo in che senso.
Nella Seconda Internazionale (1889-1916) c’è il primo sviluppo del marxismo dopo Marx. La Seconda Internazionale è diversa dalla prima, stanno nascendo dei veri e propri partiti, tra cui la SPD tedesca.
La SPD era in Parlamento, e vota a favore per armare la Germania.
Tutti i partiti socialisti in Europa, tranne quello italiano, votano a
favore. Karl Liebknecht è l’unico che vota contro nell’SPD, entrerà
nella lotta armata con Rosa Luxembourg.
Karl Kautsky era il leader della SPD.
Kautsky formula una teoria che rende coerente per il positivismo con il
marxismo. Quella decisa ed elaborata da Kautsky diventa
l’ortodossia marxista.
Contrapposizione tra interpretazione determinista e
volontarista del pensiero di Marx. Determinismo vuole che
l’ascesa del capitalismo sarà inevitabile. Volontarismo: dobbiamo fare
qualcosa per far accadere la rivoluzione. Il
volontarismo sterile era stato uno degli obiettivi critici di
Marx. Di fronte al problema della presenza di una scienza, ma
la necessità di una teoria normativa dell’azione politica, che cosa
bisognava fare?
La risposta ortodossa di Kautsky è enfatizzare il
determinismo. Marx non esorta moralmente nessuno, ma fa
previsioni. Secondo Kautsky, bisogna lottare quotidianamente per
le riforme, ma le riforme non son il fine ultimo della lotta;
sono solo strumentali. La rivoluzione ci sarà, e questo
è assicurato dalla scientificità della teoria.
Un altro dei capi della SPD, Eduard Bernstein, disse che la posizione di Kautsky era ipocrita. Nella prassi quotidiana non ci rimarrebbe più nulla di rivoluzionario. La rivoluzione non sembra avvenire da nessuna parte, cioè questa teoria “scientifica” non è verificata dagli avvenimenti.
Popper facendo esempi di teorie non falsificabili (quindi non scientifiche) parlerà:
La teoria di Marx nella visione di Bernstein sarebbe non-scientifica, perché non verificata. Secondo Bernstein (revisionismo) bisogna accettare il riformismo non solo sul piano politico, ma anche sul piano teorico. Nessuno sta lavorando alla rivoluzione.
Nell’epoca del neo-kantismo, dei filosofi come gli austro-marxisti che consideravano la teoria marxiana scientifica, e andranno ad integrare la teoria morale con Kant. Più avanti nel ’900, ci sarà un recupero della dialettica e si lascerà da parte l’aspetto scientifico.
Nel lavoro di Engels, c’è una terza prospettiva: mantenere la dialettica e la teoria scientifica, applicando la dialettica alle scienze della natura. Questa idea diventerà dominante durante la Terza Internazionale, a guida sovietica. Non c’è più il materialismo storico (la struttura domina la sovrastruttura), ma un materialismo dialettico che si applica anche alle scienze naturali.
Quindi riassumendo:
Negli anni ’70-’80 dell’800, all’interno dell’economia politica si
sviluppa la corrente del marginalismo, che include
Stanley Jevons, Menger e
Walras. C’è la mossa di applicare l’individualismo
metodologico alle questioni economiche.
La seconda generazione dei marginalisti comprende
Marshall, Bohm von Bawerk e Pareto. Negli anni ’80 e
’90 questo modo di fare economia diventa dominante.
Ricardo aveva formulato la teoria del valore-lavoro, ripresa da Marx. Obiezione alla teoria del valore-lavoro: il costo di un bene a volte è molto superiore al suo valore, o alla quantità di valore incorporato in quel bene. Siamo disposti a pagare di più qualcosa secondo le circostanze. Non è il valore/lavoro che conta per determinare il prezzo della merce, ma il singolo individuo (considerato come produttore e consumatore). Il valore cambia a seconda delle preferenze fatte dal singolo individuo, l’agente economico, ossia l’homo oeconomicus che calcola le sue preferenze.
C’è una crisi teorica dell’idea del valore-lavoro -
si ha un passaggio da una concezione oggettiva ad una soggettiva
del valore. Questi autori proponevano una teoria
anti-marxista, che aboliva termini come sfruttamento,
lotta di classe, classe sociale.
La teoria non è più come Smith e Ricardo il cui problema fondamentale è
come distribuire, ma l’enfasi è sulla scarsità.
La domanda fondamentale è: qual è il modo fondamentale di
dividere le risorse?
Gli agenti razionali calcolano l’utilità marginale,
cioè se il sacrificio che compiono e maggiore o minore del bene che
otterranno. Questo procedimento sociale, può essere calcolato dalla
teoria.
Si può calcolare il punto naturale dei salari, dei
profitti, ecc. La domanda è: qual è il punto di equilibrio se
consideriamo gli agenti come formulatori di preferenze? Se Ricardo
parlava dell’economia come political economy, nel Novecento si
inizierà a parlare di economics, una scienza che fa dei
calcoli, scienza esatta.
Anche se il marginalismo nasce in opposizione
al marxismo, entrambi si presentano come teorie davvero
scientifiche. Per Kautsky come per Pareto, la parola chiave è
scientificità.
Ai neokantiani interessa il dover essere trascendente, la
validità delle norme è oggettiva.
Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, 1833 - le
scienze dello spirito hanno un oggetto diverso, il
soggetto ha un atteggiamento diverso, applicano nozioni teleologiche
anziché causali.
Non è del tutto vero che nelle scienze dello spirito (scienze
storico-sociali) non facciamo generalizzazioni; la generalizzazione
emerge nell’uso di concetti; abbiamo bisogno di usare concetti
che tengano insieme diversi processi che se non generalizzassimo non
riusciremmo a controllare.
Dobbiamo cioè introdurre dei concetti stilizzati che
parlino di qualcosa che abbiamo di fronte. Questi concetti si chiamano
tipi ideali o idealtipi e sono uno
strumento che Weber ha descritto per primo.
I tipi ideali sono stilizzazioni, idealizzazioni che ci portano a
parlare delle scienze economiche sociali. I tipi ideali non sono
delle descrizioni.
Non sono descrizioni ma non sono neanche norme; sono idealizzazioni - e le idealizzazioni fa notare Weber ci sono anche nelle scienze naturali; vedi la nozione di gas ideale in chimica, per esempio.
Wertfreiheit significa libertà dal valore e assenza di
valutazione. Questa è l’idea, che domina ancora oggi, per cui si può,
anzi si deve fare riferimento ai valori, ma non
si possono dare giudizi di valore.
Questo discorso è diventato egemonico nell’università, per
esempio.
Lo scopo della scienza è invece la chiarezza
concettuale, e di far vedere quali sono i mezzi appropriati per
ottenere un valore. La scienza sociale non può dire qual è il valore
giusto.
Abbiamo visto che i kantiani e anche Dilthey erano d’accordo nel
non cercare relazioni causali nelle scienze dello
spirito.
Weber non vuole negare la conoscenza causale alla scienza.
Regole di esperienza o regole del divenire: chi ha
studiato molto si è fatto un’idea che nella storia ci sono delle
regolarità, cioè si rifanno a delle regole generali,
approssimative, senza valore deterministico.
Un esempio che fa Weber è quello della battaglia di Maratona, dove nel
480 a.C. i persiani furono sconfitti. Si vede che la battaglia di
Maratona ha un potere causale. Le regole di esperienza non sono leggi
universali, ma piuttosto generalizzazioni basate su
osservazioni e dati empirici.
Trovare connessioni causali tra idealtipi e fare un’analisi contro-fattuale. Cioè, che cosa accadrebbe a B se non ci fosse A?
Questo è resistere al positivismo, al monismo metodologico del positivismo. Il monismo metodologico, secondo Weber, non è vero. Weber è un anti-positivista anche nella critica che muove al marxismo della reconda Internazionale (un marxismo positivistico - quello di Kautsky).
Prendiamo per esempio il materialismo storico, per
cui le relazioni causali sono possibili solo a partire dalla struttura
economica, che è causa della sovrastruttura.
Economicismo: l’idea che in fondo è solo la struttura
economica a spiegare cosa succede. Accuse di economicismo vengono mosse
al marxismo, tanto che Engels nel 1890 replica, dicendo che solo
in ultima istanza la struttura determina, ma c’è anche una
causalità per così dire interna alla sovrastruttura. In
ultima istanza cosa potrebbe volere dire? Non si capisce bene, è un
problema aperto.
Per un intellettuale liberale come
Weber non era assurdo criticare il marxismo
della seconda internazionale.
Nel 1904 scrive l’Etica Protestante e lo spirito del
capitalismo; il testo è un contro-esempio al materialismo
storico inteso nel senso economicistico e unilaterale del
marxismo della Seconda Internazionale; un’obiezione all’idea
che soltanto dalla struttura economica possano derivare effetti
causali.
Weber mostrerà come contro-esempio come nella storia un elemento sovrastrutturale (l’etica protestante) ha avuto un effetto su un altro elemento sovrastrutturale, lo spirito del capitalismo.
Due tipi ideali sono:
Non sono né norme né descrizioni, ma concetti con cui operare.
Weber parte da un dato di uno studio: nei paesi a confessione mista (protestanti e cattolici), parrebbe esistere una correlazione tra la popolazione protestante e la proprietà capitalistica, gli strati più colti e ricchi. Questi dati erano venuti da uno studio quantitativo di un suo allievo. Ma la correlazione è diversa dalla causazione. Se si trattasse di una causazione diretta, abbiamo un forte contro-esempio dell’economicismo marxista. Weber prova a dimostrare questo nel suo libro.
Un tipo ideale in purezza è un esempio paradigmatico. Il tipo ideale in purezza del capitalismo - Weber fa l’esempio di un testo in cui Benjamin Franklin parla del fatto che non bisogna perdere tempo per fare denaro. Lo spirito del capitalismo è un ethos di comportamento, un codice, una norma di vita - c’è l’idea che si sia moralmente tenuti a fare profitti.
Vediamo ora l’idealtipo dell’etica protestante, i luterani e soprattutto i calvinisti. Quando Lutero cita la bibbia usa un termine (Beruf), che indica il lavoro, c’è Rufen che indica la chiamata. Weber nota che nei paesi a maggioranza protestante c’è call, che vale sia per il lavoro che per la chiamata divina.
Nell’etica protestante contano meno le opere, conta solo la grazia divina. In Lutero c’è un rifiuto di due tipi di imperativi morali: i praecepta (che riguardano i laici) e i consilia, che riguardano i monaci.
A questo punto della storia diventa importante parlare di Calvino,
della dottrina della doppia predestinazione.
Dio ha già deciso nell’eternità chi è dannato e chi no
- diciamo doppia perché riguarda sia i dannati che i salvati.
Questi tizi lo sono salvi indipendentemente da come si
comportano.
Se quando Calvino è vivo la dottrina è sopportabile grazie alla fede,
due generazioni dopo Calvino si rende insopportabile. Quello che era un
mistero di Dio (è Dio con la sua grazia che decide, noi
possiamo solo accettare) - diventa un problema: si comincia a
pensare che forse c’è un modo per noi di venire a sapere prima
di morire come saranno le cose. Qui Weber sta facendo della
psicologia sociale.
Si vanno a cercare indizi e prove che ci dicano che
forse siamo dei beati. Dall’idea del Beruf
non è uscita l’idea di un fatalismo, ma
l’impegno nel lavoro dove il successo che
otteniamo è visto come un premio di Dio.
Se per i cattolici le opere sono i mezzi, per i
calvinisti le opere sono i segni della salvezza; ma l’effetto
che hanno è quello di creare una mentalità, un certo tipo di
razionalità dice Weber, una forma di autocontrollo.
L’ascesi diventa intramondana.
A questo punto Weber ci presenta un ideale in purezza dell’etica calvinista puritana: Richard Baxter. Usato per far vedere come l’ideale in purezza dell’etica calvinista non è poi così diverso dall’ideal-tipo in purezza di Benjamin Franklin. La domanda controfattuale di Weber è: senza la storia, ci sarebbe . Abbiamo dimostrato che c’è una relazione tra un fatto sovrastrutturale, e il sistema del capitalismo. Abbiamo cioè falsificato il materialismo storico nella versione kautskiana della seconda Internazionale.
Il leggero mantello che era lo spirito del capitalismo, si è trasformato in una gabbia di duro acciaio.
Il nuovo spirito del capitalismo, Boltanski e Chiapello
La metafora della gabbia di acciaio è il capitalismo come fine della storia, è il venire meno della dialettica.
Braudel, uno storico francese associato alla Scuola delle Annales, dice: Weber si sbaglia, il capitalismo è nato nel Medioevo in Italia, nelle repubbliche marinare.
Ma:
Questa sarebbe l’ultima lezione sulla filosofia dell’800. Nietzsche rappresenta la fine e l’inizio di qualcosa. Karl Löwith aveva scritto il libro Da Hegel a Nietzsche. Porta una critica radicale a varie prospettive filosofiche.
Nietzsche è un distruttore; quando D’Annunzio muore scrive per la
morte del distruttore.
Difficile capire in Nietzsche quale sia la pars costruens; si capisce
molto bene la pars destruens. Nietzsche è anche un
anticipatore. Le conoscenze sono infondate, questo sarà un grande tema
del ’900 che verrà variamente sviluppato. Alcune filosofie importanti
del ’900 si porranno come interpretazioni e letture di Nietzsche.
La fortuna di Nietzsche inizia già quando è vivo, come era accaduto a Schopenauer - ma quando questo accade Nietzsche era impazzito.
Nietzsche nasce nel 1844 e studia filologia, a 25 anni gli viene offerta una cattedra di filologia di lingua e letteratura greca. Nel 1872 Nietzsche scrive un libro di stampo filologico, La nascita della tragedia. Ma Nietzsche scrive questo libro in un modo estremamente eterodosso, introducendo alcuni suoi interessi filosofici e culturali per spiegare la nascita della tragedia. I filologi pensano che quello non è un libro di filologia.
Wilamowitz, che diventerà uno dei più grandi filologi tedeschi,
squalificherà il libro come anti-scientifico.
Nietzsche a questo punto si allontana dall’accademia; cerca
l’ispirazione in Schopenauer, di cui era lettore, e in Wagner.
Mostra questo suo allontanamento dapprima adoperando uno stile diverso, scrive le Considerazioni Inattuali, scritte come dei saggi di critica culturale. Con lo stipendio che l’Accademia gli continua a dare, inizia a viaggiare e a scrivere.
Nietzsche è l’autore giusto per porre certi problemi ai filosofi che passano per la prima guerra mondiale.
1872: La nascita della tragedia nello spirito della musica, ovvero grecità e pessimismo. C’è il tema filologico, l’interesse per la grecità. Il tema filolosofico è lo sviluppo del genere teatrale nel mondo greco.
Nietzsche è amico di Wagner, che rappresenta la rottura con quel modo di vedere la grecità come il luogo mitico, idealizzato, dove andarsi a rifugiare. Nietzsche in un testo tardo scriverà che tra noi e gli antichi sono crollati tutti i ponti, e sono rimasti solo degli arcobaleni del concetto; l’idea è che nella sua epoca c’è una idealizzazione del mondo greco, portata dal razionalismo filosofico, nato in Grecia, che messo in ombra uno spirito greco più autentico, più antico.
Alla valutazione negativa del modo in cui la Grecia è stata idealizzata dal razionalismo e dall’intellettualismo dei filosofi, a questo Nietzsche propone una spiegazione alternativa, basata sull’idea che siano presenti due impulsi, due principi anzitutto estetici tra loro contrapposti, il cui intreccio plasma la cultura greca: l’apollineo e il dionisiaco.
L’apollineo rappresenta l’armonia, l’ordine, la misura, e ha a che fare con l’equilibrio di un singolo individuo che vive in armonia; le rappresentazioni paradigmatiche dell’apollineo sono la scultura (in particolare di Fidia) e i poemi epici.
Il dionisiaco invece rappresenta il disordine, l’energia vitale, la libertà senza freni, gli eccessi e la violenza. Dal punto di vista artistico, è rappresentato dalla musica.
La dicotomia apollineo-dionisiaco costituisce una riproduzione della
dicotomia schopenaueriana tra mondo della rappresentazione e il mondo
della volontà; il dionisiaco è una rivisitazione della volontà di
Schopenauer.
Con una differenza sostanziale: che per Schopenauer il mondo dei
fenomeni è una mera apparenza, un’illusione. Non è così per
l’apollineo.
Per Nietzsche il dionisiaco rappresenta un aspetto tragico della vita, ma l’apollineo è il modo in cui l’arte riesce a rendere per noi sopportabile la rappresentazione di quella tragicità.
Secondo Nietzsche la tragedia come genere letterario nasce come punto
di equilibrio tra questi due principi. Che il dionisiaco sia così
fondamentale alle origini della cultura greca è un’ipotesi originale,
che va al di là di un’ipotesi filologica - ha a che fare con la cultura
che arriva fino a noi e addirittura con la metafisica.
Il dionisiaco ha il suo culmine nella tragedia di Eschilo; le cose
peggiorano con Euripide, perché Euripide è un amico personale di
Socrate.
Questo significa che Socrate - cioè la filosofia - sostituisce, o fa
in modo che i poeti sostituiscano all’uomo tragico,
così magnificamente nelle tragedie di Eschilo, l’uomo
teoretico. L’uomo teoretico è l’uomo che cerca di conoscere le
ragioni per cui si deve comportare in un certo modo.
L’equilibrio tra apollineo e dionisiaco viene spazzato via da forme di
razionalismo e di intellettualismo etico.
Il coro nelle tragedie di Euripide ha un ruolo ormai marginale, i
personaggi sono sfaccettati, c’è una razionalizzazione del mondo e del
soggetto introdotta da Platone.
I personaggi così intesi sembrano reali, ma in realtà sono solo delle
maschere, che mascherano la realtà del dionisiaco.
Schopenauer e Wagner in questa fase: Schopenauer per il dionisiaco e la volontà, Wagner invece secondo Nietzsche si è riappropriato dello spirito del dionisiaco grazie alla musica.
Negli anni ’70 Nietzsche scrive quattro Considerazioni Inattuali. Di queste 4, una è dedicata a Schopenauer e una a Nietzsche.
La Prima considerazione inattuale è dedicata a Strauss, autore della vita di Gesù - una critica degli intellettuali conformisti.
La seconda è sull’utilità e sul danno della storia per la vita. Qui c’è la critica della storia come dotata di un fine; la critica della storia come scienza (qui rivedrà le sue posizioni); l’idea della vita.
Nietzsche è capace di cambiare idea. Negli anni ’70 cambia idea rispetto a Schopenauer e Wagner.
Schopenauer aveva proposto una soluzione al problema della tragicità dell’esistenza attraverso il tema della noluntas, smettere di volere - e almeno in prima battuta Nietzsche non è d’accordo - non si deve rinunciare, non volere. La soluzione non è l’ascesi. Nietzsche al contrario evidenzia il tema della volontà, non vuole certo spegnerla come voleva Schopenauer.
In questo periodo prende le distanze anche da Wagner; mentre il Wagner che era piaciuto molto a Nietzsche parlava di certa cultura pagana (Ciclo bretone es. Anello dei Nibelunghi) Wagner, in particolare con il Parsifal, introduce un interesse specifico per il cristianesimo.
Nietzsche arriva a pensare che la razionalizzazione che ha compromesso la tragedia ha avuto un culmine nel cristianesimo; in questo senso gli interessa criticare il cristianesimo - quando Wagner abbandona il paganesimo Nietzsche si allontana.
Tra la nascita della tragedia e le considerazioni inattuali abbiamo la fase schopenaueriano-wagneriana, già conclusa nella seconda metà degli anni ’70.
Nietzsche valuta alcuni aspetti della storia come scienza in modo positivo. Ha in mente la critica della morale tradizionale e certi lavori del positivismo. Le indagini scientifiche del positivismo portano a spiegazioni causali e non razionali. Nietzsche enfatizza come una spiegazione causale può diventare dominante rispetto a una spiegazione razionale.
In questa fase Nietzsche comincia a usare aforismi. Ma chi è il pubblico di un libro di aforismi? Zarathustra satà Un libro per tutti e per nessuno, cioè per tutti coloro che trovano congeniale questo modo di pensare. La filosofia diventa una sorta di questione personale. L’incompleto come l’efficace. L’incompleto ha bisogno di essere completato, e questa operazione viene rimessa al singolo.
La tesi fondamentali di questo periodo è che le idee e i
sentimenti moderni, presenta sé stessa come qualcosa di ideale, sacro e
ben giustificato razionalmente. Le origini sono oscure,
indicibile, e comunque di tipo pratico, non teoretiche e hanno origine
nei sentimenti umani. Umano, troppo umano (1978) appartiene a
questo periodo.
Nietzsche inizia così un lavoro scientifico per mostrare alcune
illusioni della morale tradizionale.
Viene decostruito il soggetto che agisce in base a dei motivi.
Nietzsche fa questa operazione di smascheramento usando la
scienza, lo dice. Parla di una storia naturale della
morale, che metta in luce in modo nocivo la decadenza che nuoce
alla vita (in Aurora).
Al fondo della storia naturale della morale c’è qualcosa di non morale,
di a-morale (Al di là del bene e del male).
L’ideale scientifico cui Nietzsche vuole affidarsi è quello di una Gaia Scienza. I trovatori provenzali, cantori, cavalieri e liberi pensatori, si presentavano come i portatori di questa gaia scienza. Nietzsche vuole scientificamente (positivisticamente) trovare le cause della morale del suo tempo. La scienza di Nietzsche emancipa e ha un rapporto con la vita, non è una scienza “morta”.
Nella Prefazione alla 3a edizione della Gaia Scienza* si parla della possibilità di vedere la scienza con l’ottica dell’arte, e l’arte con quella della vita, una scienza che non è privazione dell’arte […], che critica i valori tradizionali. Questa operazione ha il suo culmine in un’opera che si chiama La genealogia della morale (1887): la genealogia è l’operazione di ricostruzione (vedere i passaggi causali che hanno portato a qualcosa) e decostruzione (nel fare questo mettiamo in discussione che ciò che stiamo ricostruendo sia ciò che dice di essere) - un’origine puramente causale. Questo dal punto di vista del metodo.
La morale ha origini genetiche, causali, che sono diverse da quelle che dicono di essere. Questa è la tesi fondamentale di Nietzsche.
Nietzsche considera i termini fondamentali della morale:
buono e cattivo. Nietzsche mostra come buono e cattivo
originariamente (cioè nella Grecia arcaica) buono significa
aristocratico, forte, ricco, di valore, di condizione sociale superiore.
Nobile nel senso che appartiene a un gruppo dominante.
Cattivo (Schleckt) vuole invece dire volgare, debole, plebeo,
popolare. Questo è il modo in cui i due concetti erano trattati
all’origine. La morale originaria era una morale
aristocratica.
Socialmente, questa situazione ha creato un risentimento; le persone che appartenevano al gruppo sociale dei poveri e dei plebei reagiscono, facendo ciò che noi potremmo chiamare una risemantizzazione dei concetti, cioè un ribaltamento dei valori.
Buono diventa chi è paziente, chi è umile, chi è sottoposto. Attraverso il risentimento, l’invidia dei deboli impone alla cultura un riconoscimento dei valori. Ci si trova avere a che fare, dopo questo processo storico, con una morale degli schiavi. Il cristianesimo è il caso paradigmatico di questa morale degli schiavi.
La scienza storica è uno strumento di emancipazione; Nietzsche si accorge che la scienza è anche un grande problema filosofico-culturale che vuole affrontare come oggetto della sua attività critica. Nell’ultima fase della sua vita Nietzsche mette in discussione l’oggettività del sapere, arrivando ad avere un orientamento relativista-prospettivista.
Cosa vuol dire morte di Dio?
Oggi, di Dio c’è ancora l’ombra, e questa ombra è la scienza. La scienza è il nuovo Dio. La scienza è l’ultima ombra di Dio, la nostra più duratura menzogna. La fede nella scienza riposa su una fede metafisica. (La gaia scienza).
Attraverso il metodo genealogico Nietzsche mostra come anche ciò che
sembra più solido nella nostra conoscenza in realtà è infondato, e si
basa in ultima analisi su considerazione pratica. Vale per il principio
di identità, per la metafisica (idea di sostanza).
Nietzsche a questo punto arriva ad attaccare anche il positivismo.
Aforisma 347 Gaia Scienza: il mondo è divenuto di nuovo infinito, in quanto non possiamo scartare la possibilità che abbia infinite interpretazioni.
La volontà di potenza: Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni dicendo “ci sono soltanto fatti”, io direi: no, appunto, i fatti non esistono, esistono solo interpretazioni.
Nietzsche ha valutato la portata della morale tradizionale, della conoscenza tradizionale. Conseguenza principale di questo fatto (è venuta meno la guida religiosa, la morale tradizionale, la certezza della conoscenza scientifica) può sorgere un nuovo tipo di umanità.
Questa è la parola chiave di Così parlo Zarathustra, dove l’uomo nuovo è annunciato da Zarathustra. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Adesso l’uomo lascia spazio a una nuova possibilità.
Questo viene espresso da Zarathustra con l’idea
dell’Uebermensch. Ueber significa oltre o
sopra.
Ci sono due accezioni diverse:
Eterno ritorno dell’uguale: significa contrapporre alla tradizione occidentale della storia come un divenire dominato teleologicamente da ragioni, un’immagine circolare, con la convinzione che questo movimento non abbia nessun senso, nessuno scopo. In ogni istante diciamo sì alla vita e vogliamo divenire ciò che siamo. La storia non si può cambiare.
Weber cita Nietzsche quando parla della storia odierna del
capitalismo, che non è più un leggero mantello ma una gabbia di acciaio.
Cita la descrizione dello Zarathustra che va al mercato e vede l’ultimo
uomo, che sta lì e ridacchia, ammicca (un piacerino al mattino, e
uno la sera, sempre facendo attenzione alla salute). L’ultimo uomo
è l’essere più miserevole, che crede di essere superiore perché ha la
cultura, la cultura scientifica.
Weber vede l’ultimo uomo dentro la gabbia di acciaio, in questo senso
l’oltreuomo sarebbe consapevole di questa situazioone.
Gaia scienza 341: il peso più grande. Il primo punto in cui si parla di eterno ritorno.
Oggi parliamo interamente di storia esterna della filosofia.
La lezione di oggi è principalmente dedicata a un libro di Martin Kusch, Psychologism (1995). Spiegazione esterna fornita da Kusch sulla cosiddetta disputa sullo psicologismo, che avviene in Germania tra il 1870 e la I guerra mondiale.
Ricerche Logiche di Husserl (Logische Untersuchungen). Il primo volume, Prolegomeni a una logica pura, è al centro di questa storia.
Husserl inizia con la matematica, è un allievo di Karl Weierstrass, ma poi abbandona la matematica.
Husserl segue all’università le lezioni di Brentano e pi decide di fare filosofia. Brentano si fa prete, poi diventa professore ordinario all’università di Vienna - poi lascia il sacerdozio.
Stumpf, Meinong, Twardowsky, Marty, Husserl. Anche Freud segue le lezioni di Brentano a Vienna.
The origins of analitic philosophy - Dumett
1874, Brentano scrive La psicologia dal punto di vista empirico, inizialmente è una branca della filosofia, poi diventa una disciplina autonoma.
La psicologia deve fare un lavoro empirico, cioè trovare correlazioni tra stati mentali e stati fisiologici. Questa parte viene detta da Brentano psicologia genetica, cioè causale - si tratta di spiegare in termini causali le correlazioni tra il lato fisiologico e il lato psicologico.
Per analizzare uno stato mentale, dobbiamo prima definirlo,
concettualmente. Prima viene quindi la psicologia descrittiva,
descrivendo a livello concettuale. Una psicologia a priori che spieghi
cos’è uno stato mentale, cos’è lo psichico.
I primi due volumi dell’opera, incompleta, rimangono, quelli dedicati
alla psicologia descrittiva.
È psichico, mentale e non fisico ciò che è dotato di intenzionalità. Intenzionalità è una proprietà costitutiva degli atti mentali. Intenzionalità è un termine tecnico che indica che qualcosa ha intenzionalità se ha un contenuto, se verte su qualche cosa, se è a proposito di qualcosa. In inglese intenzionalità si dice aboutness, riguardare qualcosa, vertere su qualcosa.
Quando noi amiamo, amiamo qualcosa o qualcuno, quando abbiamo paura,
abbiamo paura di qualcuno. Avere contenuto è ciò che significa
intenzionalità.
Questo è il risultato principale della filosofia descrittiva di
Brentano.
Distinzione tra atto mentale (credere, avere paura) e contenuto (sussiste indipendentemente dall’atto mentale). Operare questa distinzione è uno dei modi fondamentali per definire il realismo - pensare che ci siano separati atto mentale e contenuto dell’atto mentale.
La tradizione austriaca a differenza di quella tedesca idealista che viene da Hegel è quella realista. Il realismo, l’Austria, il cattolicesimo vanno quasi sempre insieme. L’atto mentale, l’oggetto intenzionato e il contenuto vengono distinti.
Esempio: atto mentale di pensare alla città di Salisburgo. L’atto mentale è pensare, è intenzionale perché ha un contenuto. Distinguiamo tra contenuto e oggetto; l’oggetto del pensiero è la città di Salisburgo, con le sue piazze e le sue strade. Ma questo oggetto può essere pensato in modi diversi - si può pensare a Salisburgo come la città natale di Mzart. Essere la città di Mozart è uno dei contenuti con cui si può pensare a Salisburgo. Un altro contenuto può essere: essere la città che sorge sulle rovine della città romana di…
La distinzione tra contenuto e oggetto è una distinzione di
Twardowsky.
Husserl Studio con Brentano, poi con Stumpf ad Halle.
Per parlare dello psicologismo parliamo anzitutto delle Ricerche Logiche di Husserl, il libro che ha confutato definitivamente lo psicologismo.
Il termine tedesco per dire disputa sullo psicologismo è Psychologismusstreit.
Una definizione di psicologismo a un certo punto diventa prevalente - una definizione che riguarda logica e psicologia.
L’idea per cui la logica sarebbe fondata sulla psicologia. Definizione husserliana di psicologismo: *Un modo sbagliato per concepire i rapporti epistemologici tra le discipline, dicendo che la logica è basata, è fondata sulla psicologia.
Tutti si accusavano di psicologismo nell’accademia tedesca dell’800. Kusch ha contato 139 casi di autori accusati di essere psicologisti. Lo stesso Husserl viene accusato di psicologismo.
La psicologia sperimentale in Germania in questo periodo emerge come l’anti-disciplina (termine sociologico) della filosofia, cioè la disciplina che rischia di assorbire le aree di ricerca della filosofia, che rischia di prendersi le cattedre di filosofia.
Logica nell’800 vuol dire molte cose, in ogni caso la logica insegnata nelle università era prevalentemente insegnata da logici.
Nel 1875, lo psicologo sperimentale Wundt allievo del fisiologo
Muller ottiene una cattedra di filosofia a Lipsia.
Il primo laboratorio di psicologia sperimentale viene fondato da Wundt
nel 1879 a Lipsia.
Wundt stava operando un tentativo di espansione di una disciplina ai danni di un’altra disciplina. Fonda una rivista dove si parla anche di psicologia sperimentale e filosofia, e la chiama Studi filosofici. È un kampftitel, un titolo aggressivo.
Wundt viene presentato come una figura di rinnovamento nella
filosofia. Sfrutta sentimenti anti-cattolici, anti-metafisici.
I neokantiani reagiscono.
Non c’è spazio per gli psicologi in filosofia. Lo specchio teorico di questa situazione è l’accusa generalizzata di psicologismo. Una lotta legata alle lotte accademiche e alle istituzioni.
Soltanto in questo modo, secondo Kusch, riusciamo a spiegare la forma di questo dibattito. Nascono svariati progetti di logica pura, filosofia pura, psicologia filologica pura (termine kantiano, significa non empirico, a priori).
Gara a chi trova argomenti migliore contro gli psicologisti
Un matematico dell’800, nato nel ’48, Frege, ha degli argomenti
contro lo psicologismo.
Una delle due persone che ascoltava le lezioni di Frege era Carnap del
circolo di Vienna.
Frege dice: immaginiamoci di trovare un gruppo di persone che quando
parla rifiuta sistematicamente una legge logica fondamentale, tipo il
principio di non-contraddizione.
Il logico di scuola psicologista, di fronte a un caso come questo
direbbe: abbiamo trovato gente che pensa in modo diverso da noi, abbiamo
un popolo che ha una logica diversa dalla nostra.
Ora, questo è un errore; la risposta giusta da dare in un caso del
genere è un’altra - siamo di fronte a una forma ancora sconosciuta di
follia.
Questo significa che le leggi base della logica come il principio di
non-contraddizione non sono descrittive, e non sono neanche normative
(non dicono se pensi in maniera giusta o sbagliata), ma sono
costitutive del pensare - non si può pensare
illogicamente.
A quelle persone manca la razionalità, perché il principio di non
contraddizione è costitutivo della razionalità.
Le leggi logiche andando verso questa prospettiva esistono anche se non ci fossero persone.
Questa spiegazione, nonostante la sua chiarezza, non è quella che è
passata alla storia.
La confutazione dello psicologismo si trova nel volume I dei prolegomeni
alla logica pura, e nel volume I delle Ricerche Logiche.
Il libro di Kusch assume che le filosofie decadano per motivi esterni, motivi di storia esterna. A questo scopo può essere utile vedere spiegazioni come quella di Frege, che anche se non hanno avuto successo, sono fondamentali.
Nelle parole di Husserl, Lo psicologismo è inteso come l’errore di pensare che la psicologia sia fondamentale e la logica si basa sulla psicologia.
Vengono distinte nettamente verità psicologiche, incerte, probabili, rivedibili (possono essere falsificate), a posteriori, gradi di verità e verità logiche, pure, a priori, assolute ed eterne, cioè indipendenti da noi. 3+5 fa 8 indipendentemente dal fatto che noi siamo d’accordo o no.
In questo tentativo di confutazione, Husserl riscopre Bernard Bolzano. La Dottrina della scienza è l’opera principale di Bolzano. Frege non ha mai letto Bolzano, ma sono d’accordo su molti temi fondamentali.
Anche Bolzano era un sacerdote, un matematico e filosofo. Bolzano traccia una distinzione tra:
Lotze, uno degli autori che influenza i neokantiani, è un platonista come Bolzano. Frege anche parlerà di un terzo regno.
Husserl dice: per tracciare distinzioni rigoroso che servono per confutare lo psicologismo, recuperiamo Bolzano. Bolzano quindi viene incluso nella storia della filosofia visto che era uno sconosciuto.
La disputa non è finita con la confutazione di Husserl, secondo Kusch.
Una roba che Kusch fa notare è che Husserl ha avuto una grande abilità retorica in questa confutazione.
Husserl prima delle Ricerche Logiche aveva scritto la Filosofia dell’aritmetica (1891). In quest’opera Husserl presenta una teoria psicologista dell’aritmetica.
C’è la tesi in Husserl che l’esperienza simbolica è riducibile nei termini dell’esperienza intuitiva; questa è una forma di psicologismo in quanto teorizza che i contenuti della nostra mente dipendono dall’esperienza.
Questo testo venne stroncato da Frege. C’è una leggenda storiografica (probabilmente falsa) per cui lui dopo la recensione di Frege si converte all’anti-psicologismo.
Il grande confutatore dello psicologismo era stato uno psicologista. Nelle Ricerche Logiche si presenta come un pentito e un convertito.
Secondo Kusch ci sono prove concettuali che mostrano quali sono le vere cause della fine della disputa sullo psicologismo:
Tesi forte di Kusch: dopo la I Guerra Mondiale a nessuno gliene frega niente del rapporto epistemologico tra logica e psicologia.
Dopo la guerra, nasce la filosofia per la vita, Husserl,
Heidegger.
Lo stesso Wundt e Natorp dopo la guerra usano il termine psicologista in
termini nazionalistici per attaccare i francesi e gli
inglesi.
Quindi insomma nei termini in cui abbiamo parlato della cosa, questa storia diventa una questione sociale.
Bourdieu ha scritto un libro su Heidegger in cui fornisce una spiegazione esterna di Heidegger, Il fuhrer della filosofia: L’ontologie politique di Martin Heidegger, in cui dice che Heidegger sia proprio un nazi.
Il 900 verrà diviso in 3 tradizioni: Brentano è all’origine di una delle 3 tradizioni che seguiremo nel 900, quella continentale.
Nelle Ricerche logiche c’è la conversione all’anti-psicologismo. Esce poi il secondo volume delle Ricerche logiche - sei ricerche logiche.
Uno degli effetti dello psicologismo è stato che i filosofi cominciano a scrivere le loro logiche pure, filosofie pure - il secondo volume delle ricerche logiche è la sua logica pura, dopo il primo volume che era la pars destruens in cui attaccava lo psicologismo.
Nell’opera due piani paralleli concettualmente distinti:
In una delle Ricerche Logiche Husserl arriva ad occuparsi di ciò di cui si era occupato Brentano, cioè dei fenomeni psichici. Se ne occupa perché avere contenuto, avere intenzionalità, è una questione semantica.
La differenza tra senso e denotazione nasce con Frege. Frege non lo conosceva nessuno, ma poi Russell lo legge, Wittgeinstein lo legge, Carnap era uno dei due che stava alle sue lezioni.
La distinzione tra atto e contenuto è la caratteristica di tutte le posizioni realiste. Il contenuto c’è lo stesso anche se non c’è l’atto mentale. Applicato alla logica e alla matematica, questo realismo è una forma di platonismo. Nelle Ricerche logiche, Husserl assume questa posizione realista/platonista. Ciò che è descritto dagli asserti matematici è necessariamente esistente.
In questo testo c’è anche:
Che teoria di concetti ha un empirista? Pensa che arriviamo ai concetti astraendo un concetto generale, l’universale dai casi. Per esempio, il concetto di rosso viene desunto dall’osservazione di tanti oggetti rossi.
Husserl critica questo modo di vedere le cose e introduce un nuovo elemento: l’idea che c’è un altro modo, non per astrazione per arrivare ai concetti: l’intuizione diretta o intellettuale. Si tratta di un’intuizione di un mondo oggettivo platonico. Lui, nel caso degli universali, la chiama intuizione categoriale o eidetica, ossia dell’essenza. Abbiamo una intuizione di essenze. Non abbiamo solo sensibilità o concetti, ma un terzo tipo di conoscenza, questa intuizione eidetica con cui si coglie immediatamente l’essenza di qualcosa.
L’intuizione è difficile da definire, ma è un tipo di conoscenza immediata, diretta, non inferenziale. Quando si parla in questa tradizione di rappresentazione, si dice Vorstellung. In altre tradizioni, come quella inglese, assumerà altre denominazioni come in Russell knowledge by acquisition.
Esiste un metodo per arrivare ad avere una intuizione eidetica. Il metodo, ci dice Husserl, l’ha imparato dai matematici e da Bolzano.
Questo metodo si chiama variazione fantastica, e il
suo obiettivo è arrivare ad avere una intuizione
eidetica.
L’essenza è da intendersi come la caratteristica essenziale e
definitoria di qualcosa.
Esempio: la sedia. Vogliamo trovare l’essenza della sedia. Applico la
variazione fantastica: faccio variare la sedia nella mia
immaginazione, ma tolgo proprietà alla sedia, e mi chiedo dopo che tolgo
ogni proprietà mi chiedo se è sempre una sedia. La sedia è blu, allora
me la immagino rossa. La risposta richiede che io mi riferisca alla mia
“intuizione sensibile”. Cambio colore, la immagino rossa, ed è sempre
una sedia.
La sedia è di plastica, e me la immagino di legno. È sempre una sedia?
La mia intuizione dice di sì.
Alla fine, troviamo che c’è qualcosa che definisce la sedia - in questo caso, è la sua funzione, quella di sedersi. Otteniamo una conoscenza diretta di un’essenza, un elemento senza il quale quel qualcosa cessa di avere la stessa natura che aveva prima. Ma questa è solo il nostro esempio; e poi, non generalizziamo: non è, in generale, la funzione l’essenza delle cose. Ci sono essenze che non sono funzioni.
Questo metodo viene applicato sistematicamente da Husserl nelle Ricerche Logiche - questo uso sistematico viene detto intuizione eidetica, e questo è il lavoro che deve fare la filosofia, presentata come una scienza di essenze, non di fatti. Questo metodo non è una ricetta meccanica.
Qual è l’essenza dei fenomeni psichici? Husserl dà una risposta condivisa dai suoi seguaci: avere intenzionalità.
Husserl inizia a usare la parola fenomenologia per parlare della scienza di essenze e non di fatti.
Nel 1911 scrive La filosofia come scienza rigorosa. Nel 1913 scrive Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica
Quando facciamo scienza, ci sono delle assunzioni che facciamo
implicitamente senza pensarci; per esempio assumere
l’atteggiamento naturale in psicologia o nello
storicismo, che porta con sé un errore naturalistico,
quello di confondere il piano empirico con il piano ideale - prendere
tutto quello di cui ci occupiamo come se fosse parte del mondo empirico,
cioè fornendo spiegazioni causali.
C’è un altro modo di lavorare, con le essenze, a priori.
Il pregiudizio che si assume con l’atteggiamento naturale è il
pregiudizio del fatto, o intuizione
realistica, cioè l’idea che ci sono dei fatti o degli eventi
che esistono indipendentemente da noi che li usiamo e dai nostri atti
mentali.
Questo è qualcosa che assumiamo implicitamente.
Finché facciamo scienze naturali o ragioniamo del senso comune,
l’atteggiamento naturale va benissimo. Ma se la filosofia deve essere
scienza rigorosa, non possiamo lasciare neanche questo pregiudizio, ed
esercitare l’epoché, mettendo tra parentesi l’esistenza
del mondo.
Bisogna sospendere il giudizio rispetto all’esistenza indipendentemente
del mondo (fisico o platonico, dipende dall’ambito). Per esempio, sul
fenomeno del banco della frutta al mercato, che appare alla coscienza,
bisogna sospendere il giudizio. Bisogna “restare agnostici” tra realismo
e idealismo.
Per conoscere l’essenza del fenomeno, dobbiamo considerare solo gli
aspetti che appaiono alla nostra coscienza.
È un’idea fondazionale della filosofia, l’idea che si possa fare una
filosofia veramente pura, fenomenologicamente.
Le parentesi che dobbiamo mettere è una parentesi metodologica, che ci fa dire: non prendo posizione né per una esistenza dipendente delle cose né di una indipendentemente.
L’ambito di applicazione dell’epoché, cioè che resta dopo
l’epoché, è il residuo fenomenologico. Questo
residuo diventa l’oggetto dell’esperienza.
C’è un importante cambiamento: nelle Ricerche Logiche,
l’oggetto era indipendente dalla nostra coscienza.
All’inizio avevamo riduzione eidetica.. Ora chiama riduzione
fenomenologica, l’applicazione sistematica
dell’epoché, al fine di ottenere il residuo fenomenologico.
Logicamente viene prima la riduzione fenomenologica e poi quella
idetica.
L’ordine logico è opposto all’ordine cronologico dello sviluppo delle
idee di Husserl.
Dal punto di vista logico, il fenomenologo prende il mondo, applica
l’epoché in modo sistematico, ottiene così il mondo così come
appare alla nostra coscienza, il residuo fenomenologico diventa ciò a
cui applichiamo la riduzione fantastica.
Ci sono dati iletici, cioè relativi alla materia; C’è un
atto mentale, la noesis, che mette in ordine questi dati
iletici. Ciò che si ottiene applicando la noesi ai dati iletici
è il noema.
Allo stesso materiale idetico si può applicare una diversa noesi,
ottenendo due oggetti diversi. Problema dell’anatra-coniglio,
discusso anche nelle Ricerche logiche di Wittgeinstein.
Il termine che usa Husserl per parlare dell’esperienza vissuta è Erlebniss, cioè esperienza vissuta.
Obiezione: ma allora sei un idealista. Quello di Husserl è solo un idealismo metodologico, non è un idealista che pensa che il mondo è creato dalla coscienza. Negli anni per Husserl diventa sempre più preoccupante che il suo non venga scambiato per una forma di solipsismo.
Allora scrive le Meditazioni Cartesiane (1931), perché appunto tratta di un problema scettico, il problema del solipsismo.
Soluzione sostantiva di Husserl: in un esperimento mentale,
eliminiamo dall’immaginazione tutto ciò che fa riferimento alla
soggettività altrui. Che cosa resta? Resto io, cioè il mio
corpo.
Ma detta così rimane un’ambiguità; in tedesco ci sono due termini per
dire corpo: Korper e Leib.
Korper significa corpo fisico, mentre il Leib è il
corpo vivente, una mente dotata di corpo; un corpo
espressione di una mente e di una coscienza.
Il mio corpo, all’interno dell’esperimento mentale, usa
Leib. Noi abbiamo una appercezione
trascendentale del nostro corpo vivente. Cioè, siamo in grado
di intuire, vedere direttamente il nostro come corpo vivente,
come coscienza dotata di corpo. Così, secondo Husserl si giustifica
l’intersoggettività. Non vedo dei corpi, vedo
direttamente davanti a me una mente dotata di corpo, un corpo
vivente.
Sembra essere un’argomentazione per analogia. Questo è il
problema che in filosofia si chiama problema delle altre
menti.
Husserl è ebreo, il suo allievo Heidegger, un nazi, diventa rettore dell’università di Friburgo (1934). Nel 1935 Husserl perde la cittadinanza tedesca. Husserl morirà nel 1938.
Nel 1936 Husserl pubblica La crisi delle scienze europee e la
fenomenologia trascendentale.
Si può parlare di una crisi delle scienze in un mondo in cui la scienze
ha così grande successo? Husserl parla di una crisi di
senso. È venuto a mancare il rapporto con l’esistenza umana, il
rapporto con la vita.
Nella miseria della nostra vita, la scienza non ha niente da
dirci. Ovvio che sia così, per la scienza positivista. Ma vale la
stessa cosa per le scienze storico-sociali. Husserl come filosofo si
presenta come un funzionario dell’umanità.
Si vede che questo testo è stato scritto in un momento di crisi. C’è stata una frattura tra il mondo oggettivo della scienza e il Lebenswelt, il mondo della vita. Il mondo della vita è il mondo come appare nella vita quotidiana irriflessa (corpo come Leib).
Secondo Husserl è stato Galileo a creare per primo questo distacco - ma è un po’ fuorviante esprimersi in questo modo, perché Husserl sta parlando del problema della tecnocrazia.
Glossario:
La fenomenologia nasce dalla disputa sullo psicologismo.
La filosofia analitica nasce dallo sviluppo della logica.
Nel 1899 un filosofo e logico francese, Louis Couturat, invita
Bertrand Russell, matematico e filosofo inglese, al
congresso internazionale dei matematici che si sarebbe tenuto l’anno
successivo a Parigi.
Quell’anno Hilbert avrebbe formulato un elenco di “23 problemi
matematici irrisolti”.
A quel congresso Russell viene colpito da uno di questi relatori, che
diventerà un modello di chiarezza: Giuseppe Peano,
dall’università di Torino, che presentava il suo sistema di aritmetica.
Trattava dei “problemi sui fondamenti della matematica”, cioè la
questione che prova a identificare su cosa si basa la fondatezza
della matematica.
Russell aveva una doppia formazione: si era formato come filosofo in Inghilterra, ma sapeva il tedesco (condizione necessaria per fare matematica ad alti livelli in quel momento storico (Weierstrass, Cantor erano tedeschi).
A partire dall’incontro con Peano Russell si mette a lavorare al
problema dei fondamenti dell’aritmetica, e stila un programma di ricerca
che si chiama logicismo, ossia il tentativo di fondare
la matematica sulla logica matematica.
Il linguaggio della matematica si può tradurre nel linguaggio della
logica, e a partire dagli assiomi della logica di possono dimostrare
tutti i problemi della matematica.
Questo è l’atto di nascita della filosofia analitica - un nuovo modo di fare filosofia basato sulla logica.
Russell dopo il congresso si mette a leggere Peano, e tra le varie
cose che legge trova la recensione di un libro, pubblicato da
Gottlob Frege; un matematico tedesco.
Russell legge la recensione di Peano e da lì va a leggersi i principi
dell’aritmetica di Frege. La sua è una reazione di meraviglia e di
stupore, un misto di entusiasmo e di incredulità. Frege si trova di
fronte a un “maestro mancato”, in quel testo trova l’idea di fondare la
matematica sulla logica, unita al rigore che aveva visto in Peano.
Il programma logicista era in questo libro svolto con più rigore e con
più chiarezza del programma che si era fatto lui.
Mike Dummett ha dato un’interpretazione della filosofia analitica, per cui bisogna partire di Frege. Bisogna partire dalle tesi di Frege per studiare la filosofia analitica. Questa è una tesi degli anni ’90 che non è più quella della contemporaneità. La tesi fondamentale contenuta nelle opere di Frege è che:
Per studiare il pensiero bisogna studiare il linguaggio.
Ci sono delle storie della filosofia analitica che partono però da Bolzano, perché ci sono delle tesi simili tra Bolzano e Frege.
Partiamo da Frege quindi non perché Frege ha le tesi fondamentali del pensiero analitico che dobbiamo accettare, ma perché Russell, che aveva la volontà esplicita di fondare una tradizione, aveva trovato in Frege un modello.
Il punto di partenza sono le varie logiche dell’800. Intendono con lo stesso termine cose molto diverse.
Se la frase di Kant per cui “la logica non ha fatto nessun progresso dai tempi di Aristotele” è sbagliata, è perché già Leibniz era stato un grandissimo logico, non solo perché la logica successivamente ha avuto uno sviluppo clamoroso.
Il filone della filosofia analitica riguarda il recupero e la trasformazione del programma di riforma della logica di Leibniz. Frege recupera questo programma.
Il programma prevedeva:
Nel caso di Leibniz era un programma del tutto utopico.
Frege dice che la logica ha un contenuto concettuale estremamente
generale e astratto.
Il contenuto concettuale può essere giudicabile (vero o falso)
corrisponde alle proposizioni in sé di Bolzano. Frege li chiama
pensieri.
Pensieri sono le proposizioni in sé, oggetti strutturati che sono nel terzo regno. Bolzano dice che hanno essere ma non esistenza. Sono fuori dallo spazio e del tempo e sono condivisibili intersoggettivamente.
Gli storici si sono interrogati a lungo sul rapporto tra Bolzano e Frege. Non c’è nessuna prova che Frege abbia letto Bolzano; è strano perché nei punti fondamentali le loro tesi sono molto concordi.
Nel 1879 Frege scrive la sua prima opera: Ideografia (Begriffsschrift, letteralmente scrittura concettuale). In quest’opera Frege propone una rivoluzione nel linguaggio della logica, arrivando a costruire la cosa più simile mai concepita a una caratteristica universale leibniziana.
L’idea è che se noi usiamo un linguaggio che non è perfetto e universale, possiamo fare un sacco di errori. Possiamo cadere nell’ambiguità e nella chiarezza del linguaggio. Dobbiamo quindi trovare un linguaggio che esprime in maniera trasparente ciò che viene espresso.
Esempio: A Platea i greci uccisero i persiani
Forma passiva: I persiani a Platea furono sconfitti dai
Greci
Queste due frasi hanno lo stesso contenuto concettuale. Dalla prima e dalla seconda frase ricaviamo le medesime conseguenze logiche. Queste due frasi “dicono la stessa cosa”, ma in due modi diversi.
Se noi avessimo l’ideografia, avremmo un’unica frase.
Innanzitutto Frege pensò che bisognava fare un errore fatto si dai tempi di Aristotele, ossia che la forma di un enunciato (frase) dichiarativo (vero o falso, cioè che descrive uno stato di cose) abbiano tutti la forma soggetto-predicato.
Se pensiamo così, mascheriamo il pensiero nel linguaggio. Pensiamo che il soggetto abbia una certa proprietà in base al predicato. L’ideografia vuole invece, traducendo quel risultato in una forma simbolica, sostituire la forma soggetto-predicato. Per fare ciò Frege propone di sostituire a questa forma la relazione di funzione, ossia una corrispondenza tra due insiemi (argomenti e valori), tale che a un elemento del primo insieme corrisponde uno e un solo argomento del secondo insieme.
Se noi siamo disposti a usare come argomenti e valori non soltanto i numeri, possiamo considerare in questo modo gli enunciati dichiarativi.
Proviamo a pensare al concetto x è mortale. Può essere vista
come una funzione, che ha come argomento un certo oggetto, essere
mortale, che restituisce un valore di verità (vero o falso).
La frase Socrate è mortale va analizzata come x è
mortale, che applicata all’argomento Socrate restituisce
il valore di verità vero.
Possiamo applicare il concetto di funzione non soltanto ai numeri.Argomenti di qualsiasi tipo, e restituiscono due soli valori: vero o falso. Così facendo, siamo in grado di analizzare in modo diverso (logica aristotelica) gli enunciati dichiarativi.
Secondo Frege:
Gli asserti generali hanno uno statuto particolare.
Un esempio è tutti gli uomini sono mortali. Tradizionalmente
c’è un soggetto, tutti, a cui si applica un predicato, essere
mortali.
Nell’Ideografia, il pensiero espresso da tutti gli uomini
sono mortali, è espresso dalla forma per cui
∀x, ….
Nell’Ideografia è possibile tradurre concetti come “ogni numero ha un successore”. Usando il linguaggio logico, si può fare qualcosa che con la logica aristotelica non si può fare.
Ogni numero ha un successore è uno degli assiomi fondamentali dell’aritmetica di Peano.
Si vede in trasparenza il pensiero attraverso l’espressione linguistica.
Il secondo punto era il calcolo di ragione leibniziano, un sistema formale.
Frege costruisce due sistemi formali:
Per quanto riguarda il calcolo proposizionale, è linguaggio di base (espresso con simboli dell’ideografia) e composto da:
Il calcolo predicativo ha invece assiomi e regole di inferenza diverse.
I sistemi di calcolo di Frege hanno in un certo senso portato a termine l’ideale leibniziano di calcolo di ragione.
In questo contesto, i simboli sono intesi come segni, e sto dando regole per manipolarli. Non sto dando un significato ai simboli. Sto lavorando cioè a livello sintattico e non semantico.
Ma qual è la ragione storica per cui Frege si mette a fare queste cose? Perché aveva lo scopo di fondare la matematica sulla logica.
Soltanto con un linguaggio potente come l’ideografia che posso sperare di tradurre in termini logici l’aritmetica.
Ragioni storiche del logicismo
Aritmetizzazione dell’analisi: la matematica diventa sempre più astratta; non è l’intuizione sensibile di Kant che ci serve pr la matematica dell’800, dove si parla di figure a n dimensioni.
Processo riduttivo: la tendenza a dimostrare che nella matematica ci sono delle relazioni fondamentali a cui le altre possono essere ridotte all’aritmetica. Si possono ridurre molte parti dell’aritmetica alla teoria di un numero. Personaggi come Frege pensano che la riduzione non può fermarsi alla teoria del numero, cioè c’era qualcosa di più elementare a cui possiamo ridurre la teoria del numero.
Frege vuole ridurre alla logica soltanto l’aritmetica, e non la geometria. Se qualcosa è riducibile alla logica, questo qualcosa è analitico. Sulla geometria, la pensa come Kant, cioè che sia una scienza sintetica a priori. La logica non è cioè analitica, ma sintetica.
Il programma logicista di Frege consiste nella riduzione della
matematica in termini logici.
Russell invece aveva intenzione di ridurre tutta la matematica alla
logica; nel caso di Russell tutta la matematica è
analitica.
Prima che Frege introducesse l’ideografia, non era proprio possibile fare questa riduzione dell’aritmetica alla logica. Con l’introduzione dell’Ideografia, Frege si dota di questi strumenti.
Nel 1884 Frege scrive I fondamenti dell’aritmetica. Degli anni ’90 sono invece I principi dell’aritmetica, che lesse poi Russell.
–
Un logicista anzitutto traduce i concetti dell’aritmetica in concetti logici. Facciamo l’esempio dei numeri naturali.
Quando diciamo che Frege vuole ridurre a termini puramente logici l’aritmetica, intendiamo come oggetto della riduzione che oggi chiamiamo logica matematica e la teoria degli insiemi.
Ciò che Russell vuole arrivare a definire:
N è un numero: c’è un concetto F tale che n è la classe delle classi costituite dagli elementi in corrispondenza biunivoca con gli elementi appartenenti all’estensione di F.
(A lezione, stiamo definendo il numero 7, ma senza esprimere 7 come concetto - cioè solo come collegamento tra insiemi)
Corrispondenza biunivoca: a ogni elemento di A corrisponde uno e un solo elemento di B.
Arriviamo a definire tutti i numeri come relazioni, senza usare concetti di numeri.
Uber Sinn und Bedeutung - Sul senso e il riferimento è un articolo di Frege che è considerato l’atto fondativo della filosofia del linguaggio.
Frege si è posto da matematico dei problemi fondazionali.
Nelle ricostruzioni a posteriori degli storici della filosofia, Frege si è guadagnato l’etichetta di fondatore di varie cose, tra cui :
La logica matematica dai tempi di Frege è diventata autonoma, e si è sviluppata principalmente in 3 ambiti:
In questo programma emerge a un certo punto un
problema.
Il contenuto concettuale di un enunciato è il pensiero
espresso da un enunciato. L’ideografia è capace di esprimere
pensieri con un unico contenuto concettuale. Il contenuto
concettuale sta nel “terzo regno platonico” degli enunciati
linguistici.
Il problema riguarda gli asserti di identità.
Consideriamo due asserti di identità diversi e partiamo dall’assunzione che siano entrambi veri. I due asserti sono:
- a = a
- a = b
Se noi abbiamo soltanto la nozione di contenuto concettuale, e i due asserti sono entrambi veri, non siamo in grado di spiegare le differenze tra il caso a = a e il caso a = b. Eppure le differenze ci sono, per esempio noi sappiamo completamente a priori che a = a è vero.
Se a = b è vero, a e b hanno lo stesso contenuto concettuale. Ma perché allora in un caso lo sappiamo a priori e in un caso a posteriori? Come rendiamo conto di questa differenza epistemologica, cioè che riguarda il nostro modo di conoscere il valore di verità di questi enunciati?
Nel famoso articolo del 1892 Uber Sinn und Bedeutung, che si
può tradurre senso e significato, viene risolto questo
problema. Qui però Bedeutung non vuole dire ciò che noi
intendiamo quando usiamo la parola “significato”. Sinn e
Bedeutung sono due aspetti di ciò che chiamiamo
“significato”.
Altre possibili traduzioni sono:
La nozione di contenuto concettuale presenta due aspetti. Per spiegare il significato delle nostre parole, non ci basta l’idea che esprimono un contenuto concettuale. Dobbiamo riferirci al fatto che le parole hanno due aspetti, il senso e la denotazione.
Per la denotazione, prendiamo l’esempio di un nome
proprio, nomi che hanno come denotazione un oggetto
individuale. L’oggetto a cui si riferisce quel nome è
la sua Bedeutung.
Le descrizioni definite sono espressioni linguistiche formate da un
articolo determinativo seguito da una descrizione. es. “il primo corpo
celeste che si vede al mattino”.
Nomi propri e descrizioni definite sono termini singolari, e hanno un
oggetto ai quali si riferiscono.
Il Sinn è il modo in cui l’espressione linguistica presenta la sua Bedeutung. Espero, la stella del mattino e la stella della sera presentano la stessa Bedeutung in due modi diversi.
La Bedeutung è un oggetto fisico (non sempre), mentre i
sensi si trovano nel terzo regno platonico. Se le parole
fossero legate solo alle nostre immagini mentali, non ci
capiremmo.
Il “concetto di cane” è il senso della parola cane, secondo
Frege. Tutti i parlanti che affermano la parola cane condividono gli
stessi sensi, oggettivi.
Questa questione risolve il problema dell’identità:
la parola “a” e la parola “b” hanno la stessa Bedeutung, cioè
la stessa denotazione. L’oggetto denotato da a è lo stesso oggetto
denotato da b.
Ma a e b hanno sensi diversi; presentano lo stesso oggetto in due modi
diversi. Per sapere che a = a è sufficiente sapere cosa vuol dire
“uguale”; mentre per sapere che a = b dobbiamo avere accesso a due sensi
diversi.
Frege dopo aver risolto il problema, sistematizza la cosa. Si chiede: le espressioni linguistiche che non sono termini singolari hanno un Sinn e una Bedeutung? Si. Per esempio i predicati, o gli enunciati. Il Sinn di un enunciato è il pensiero espresso dall’enunciato. Ma qual è la Bedeutung?
In quali casi mi interessa la Bedeutung di qualcosa? Quando
mi interessa sapere se è vero o falso.
La Bedeutung degli enunciati è il vero e il falso, dice Frege -
cioè il loro valore di verità.
Frege arriva a questa conclusione per:
Russell trova un problema nella soluzione di Frege
per fondare l’aritmetica sulla logica.
Il problema ha a che fare con la definizione di numero come
classe delle classi in cui gli elementi sono in corrispondenza
biunivoca con gli elementi che appartengono all’estensione di
un concetto dato. (Definizione di numero in termini puramente
logici).
Russell trova che la nozione di classe di classi sia problematica. Se la si impiega, si entra in contraddizione. Russell trova un’antinomia: l’antinomia delle classi. C’è una contraddizione implicita nell’apparato concettuale di Frege. Usando la nozione e facendo tutte altre assunzioni ragionevoli, si entra in contraddizione - quindi è quella nozione il problema.
Russell scrive a Frege: nel secondo volume dei Principi (1903) Frege scrive:
La soluzione di Russell sarà la cosiddetta teoria dei tipi, che consiste nell’idea per cui dentro un sistema logico non dovrebbe essere permesso applicare un certo concetto a se stesso o ad un concetto dello stesso livello (per esempio la nozione di classe di classi non si potrà più costruire).
Principia Matematica (1910-1913) scritto da Russell e Whitehead, è un libro logicista.
Russell comincia così la sua carriera filosofica.
La figura più importante tra gli idealisti britannici era F.H. Bradley, a Oxford. A Cambridge c’era invece Mactaggart, una delle persone con cui Russell si trova a studiare.
Russell e G.E. Moore passano alla storia per la
rivolta contro l’idealismo britannico di Bradley. Il
“territorio da conquistare” non è quello dei fondamenti della
matematica, ma quello della filosofia in generale.
Quello che in realtà fecero fu sostituire l’immagine metafisica
prevalentemente dell’idealismo britannico con un’altra immagine
filosofica, che ripresa dagli allievi della scuola di Franz
Brentano (scuola brentaniana austriaca); cioè nelle
Ricerche Logiche. La filosofia analitica nasce quando Russell
legge gli articoli e i libri degli allievi di Brentano (compreso
Husserl) e sostituisce quella “immagine metafisica” con quella
dell’idealismo britannico.
Appearance and Reality di Bradley.
L’idea di fondo è questa: il mondo che noi abitiamo è composto da una
pluralità di oggetti che hanno tra loro delle relazioni, dette
relazioni esterne. Una relazione esterna può essere
spiegata con un esempio di “stare di fronte a”; la natura dei termini
correlati non viene modificata dalla relazione; per questo è una
relazione esterna. La natura dell’oggetto non dipende dalle relazioni
esterne - questa è l’idea del senso comune.
Bradley dice: questa idea va bene giusto per il senso comune; quando
facciamo metafisica, dobbiamo capire che questa è solo un’astrazione -
tutte le relazioni in realtà sono interne, cioè le relazioni
determinano la natura degli oggetti in relazione tra loro.
Cioè, tutte le relazioni sono costituitive della natura
e dell’identità di ogni singolo oggetto.
Se ci spostiamo nell’ambito semantico, questa idea si chiama
olismo semantico. (L’olismo è anche uno strumento di
Hegel, per questo idealisti)
Non è possibile essere per esempio il numero 2 senza essere maggiore di 1.
La metafisica ingenua del senso comune va sostituita con un’altra metafisica. Quella di Bradley è una metafisica revisionistica - per descrivere il mondo non possiamo usare i concetti del senso comune, dobbiamo usarne degli altri.
Alla domanda ontologica “che cosa c’è?” possiamo rispondere che c’è
un unico oggetto, l’assoluto dell’idealismo, che non
può essere descritto con il linguaggio.
Possiamo farci un’idea di ciò che è l’assoluto, de pensiamo alle
esperienze percettive pre-linguistiche. Quella cosa lì è “più reale”, la
vera realtà metafisica. Questa è più o meno la metafisica
dell’idealismo britannico, che Russell vuole criticare.
Alle origini della filosofia analitica - quella filosofia che presenta se stessa come motivata massimamente dall’argomentazione, non c’è l’argomentazione; ma la sostituzione di un’immagine con un’altra.
La prima espressione di questa mossa interpretative non si trova in Russell, ma in due articoli di
Esponiamo questa sostituzione, contro gli idealisti britannici in 5 punti fondamentali:
Cioè che Moore e Russell sviluppano grandemente, andando molto oltre la scuola brentaniana, è lo sviluppo di quest’ultimo punto, cioè dell’analisi.
Ngram viewer di Google, per cercare le origini delle parole
L’analisi serve a capire come è nata la filosofia analitica, ma non è definitoria, non è un tratto essenziale della filosofia analitica. Ci sono filosofi analitici che non fanno analisi.
Aboutness significa intenzionalità, avere un contenuto, essere about something.
Nel 1903 (The Principles of mathematics), Russell immagina una teoria più complessa, l’analogo russelliano ti Tardowvsky (allievo di Brentano) che distingueva tra oggetto e contenuto dell’atto mentale.
[…]
Una proposizione anche se non ha Aristotele tra i suoi costituenti, “verte” su Aristotele.
On the noting (sulla denotazione) (1905) - il testo che due generazioni di filosofi considerarono un paradigma di filosofia - cioè l’esempio di come bisogna fare filosofia. Questo articolo è così importante storicamente che con “analisi” intendiamo l’operazione che fa Russell nel suo articolo del 1905 On the noting.
Per Russell, ogni tipo di giustificazione “ragionevole” va bene in filosofia.
L’attuale re di Francia è calvo. Possiamo chiederci se questo enunciato è vero o falso. Ma se mettessimo da un lato tutti quelli che sono calvi e tutti quelli che non lo sono, il Re di Francia non sarebbe da nessuna delle due parti, perché oggi non esiste nessun Re di Francia.
Il linguaggio può ingannarci.
Questo enunciato del Re di Francia, in realtà, è la congiunzione di tre enunciati diversi. Quello che enunciamo davvero quando lo esprimiamo è tre enunciati diversi:
Ho trovato cioè una forma logica sottostante, profonda, della frase.
Questo enunciato quindi non sarà nè vero né falso, ma completamente falso, perché una proposizione è falsa se almeno uno dei suoi componenti è falso. Con questo esempio Russell ha salvato il principio del terzo escluso - lo usiamo come un esempio paradigmatico di cosa significa analisi.
Arrivo a h. 12.45
Wittgeinstein nel Tractatus fa una ontologia.
Abbiamo: stati di cose possibili - solo uno degli stati di cose possibili sussiste, e questo è il fatto. Dal punto di vista delle categorie modali (possibilità, contingenza, ecc.) - i fatti sono reali, gli stati di cose sono possibili; sono reali, sussistono ma avrebbero potuto non sussistere.
Gli oggetti sono costituenti degli stati di cose.
Si parte con un’ontologia e poi c’è una parte sul linguaggio.
L’ordine del testo è diverso dall’ordine dell’argomentazione -
all’inizio c’è un’ontologia e poi c’è la parte sul linguaggio. Avrebbe
dovuto esserci prima la parte del linguaggio; che le cose stiano così
dal punto di vista ontologico dipende effettivamente da una questione di
linguaggio.
L’impianto neokantiano si vede ancora in Essere e Tempo -
Heidegger parte da un dato di fatto, procede in modo kantiano, parte da
un dato di fatto, l’esistenza del da sein. La questione che fa
Wittgeinstein nel Tractatus può essere considerata affine a
quella di Kant nella ragion pura: partire da un dato di fatto e
ricavarne le condizioni di possibilità.
Wittgeinstein parte da un dato di fatto che riguarda il linguaggio, e ne
ricava le condizioni di possibilità del linguaggio - ricava come deve
essere fatto il fatto per essere ciò che effettivamente è.
La ragione storico-filologica di ciò è che Wittgeinstein voleva fornire una nuova metafisica di tipo brentaniano - per questo mette prima l’ontologia (interpretazione di Hans Sluga).
Ordine di argomentazione è di tipo kantiano: prima il linguaggio, dopo l’ontologia.
come è fatto il linguaggio
L’idea di fondo da cui Wittgeinstein parte è che una proposizione (Satz - il termine con cui anche Bolzano chiamava le proposizioni, es. Satz an sich, ossia proposizioni in sé). Nel Tractatus la Satz è l’enunciato dotato di contenuto. Viene tradotto come proposizione o enunciato - la proposizione dotata di senso. È diverso però dalle traduzioni di Russell e Brentano.
L’idea è che le proposizioni sono delle immagini, ossia raffigurano la realtà perché hanno qualcosa in comune con la realtà. Qualcosa nell’immagine corrisponde a qualcosa nella realtà. L’immagine ha in comune con la realtà una forma di rappresentazione - l’insieme dei mezzi espressivi (la capacità di esprimere relazioni spaziali [stare sopra stare sotto] o la cromaticità [capacità di esprimere i colori]) con cui l’immagine rappresenta la realtà.
Il caso più generale è la forma logica, che corrisponde a una struttura - solo ciò che ha una struttura può essere immagine di qualcos’altro; un punto non può essere un’immagine; l’immagine raffigura, ripresenta le stesse relazioni che ci sono tra le immagini.
L’idea di fondo di Wittgeinstein è che le proposizioni linguistiche e gli enunciati sono delle immagini. Quand’è che un’immagine è corretta, adeguata? Quando presenta una situazione possibile e quella situazione è davvero così come è raffigurata nell’immagine. Se quello stato di cose è davvero un fatto, allora l’immagine è corretta.
Funziona allo stesso modo con le preposizioni; anche le proposizioni sono immagini; infatti presentano uno stato di cose. Se ciò che rappresentano è un fatto, la proposizione è vera.
Wittgeinstein costruisce una teoria raffigurativa del linguaggio, per
cui le proposizioni sono rappresentazioni di stati di cose.
Se lo stato di cose sussiste la proposizione è vera, altrimenti è
falsa.
Comprendere un enunciato significa sapere come deve essere fatto il mondo se la proposizione è vera - capire che cosa accade, quali stati di cose sussistono, se l’enunciato è vero.
Le proposizioni elementari sono immagini perché come nelle immagini ci sono vari elementi, nell’immagine ci sono delle parole che denotano gli oggetti, che sono i costituenti degli stati di cose.
I nomi sono i simboli che hanno come funzione semantica quella di denotare oggetti. Così come l’ombrello raffigurato designa l’ombrello reale, il nome dentro la proposizione designa lo stato di cose.
Gli stati di cose hanno solo un Sinn, nel senso di Frege. I nomi hanno solo Bedeutung, ossia si riferiscono a oggetti, nel senso di Frege.
La proposizione del linguaggio ordinario, comune, come diceva Frege, travestono il pensiero, in quanto - come aveva notato Russell - non esprimono sempre pensieri; solo nella proposizione completamente analizzata gli elementi della frase denotano oggetti.
Nel caso della teoria del Tractatus, questa analisi viene
svolta in maniera simultanea e inconscia da qualsiasi parlante di una
lingua.
Il problema è che lo proposizioni che usiamo nella nostra lingua non
sembrano delle immagini, in molti casi.
Soluzione: andiamo a pescare da Frege e Russell. La proposizione non sembra un immagine perché il linguaggio traveste il pensiero (Frege) - diventa un’immagine dopo che è svolta l’analisi (Russell), che non è l’analisi fatta dal logico con il suo ingegno, ma c’è un atto inconscio.
Un pensiero corrisponde alla proposizione completamente analizzata ed è composto solo da nomi che rappresentano oggetti e rappresentano uno stato di cose.
La distinzione tra fatto e stato di cose serve a giustificare proprio la questione che il linguaggio sembra non corrispondere sempre a stati di cose.
Una proposizione ha un senso perché rappresenta uno stato di cose possibile.
Gli oggetti (logici) sono assolutamente semplici, perché non hanno parti. Questa è una conseguenza di un ragionamento a priori a partire da un fatto del linguaggio. Questo è il ragionamento:
Noi abbiamo proposizioni che hanno un senso determinato: es. Torino è in Piemonte, non c’è bisogno di nessuna spiegazione ulteriore, possiamo comprenderla solo sulla base della nostra competenza linguistica. I nomi della frase denotano oggetti che esisto; se denotasse oggetti che non esistono, non la capiremmo.
Perché ci sia un senso completamente determinato, la proposizione non può non parlare di qualcosa di perfettamente determinato, non denotare qualcosa. Quindi un oggetto deve esistere, cioè esiste necessariamente.
Soltanto ciò che è assolutamente semplice può esistere necessariamente - questa è una verità metafisica ripresa anche nella tradizione.
Nel Tractatus non ci sono esempi, ma solo definizione. Nelle Ricerche filosofiche troveremo invece un sacco di esempi.
Tutto ciò che abbiamo detto fino ad adesso riguarda le proposizioni elementari, enunciati che rappresentano un singolo stato di cose - ma non ci sono solo proposizioni elementari; ci sono anche proposizioni complesse.
Due conseguenze importanti:
Prendiamo l’enunciato. La proposizione “piove” è vera se lo stato
di cose sussiste.
Qual è lo stato di cose raffigurato? Una proposizione non p
rappresenta lo stesso stato di cose di p. Piove
rappresenta lo stesso stato di cose di non piove - e poi i
valori di verità possono essere diversi a seconda del fatto che siano
veri o falsi.
Le costanti logiche (i connettivi proposizionali) non sono
rappresentanti.
Le proposizioni complesse sono funzioni di verità delle proposizioni elementari.
Il valore di verità di una proposizione complessa dipende dal valore di verità delle proposizioni che la costituiscono. Si può calcolare il valore di verità con le tavole di verità.
La logica proposizionale è decidibile.
Nelle tavole di verità ci sono dei casi particolari, come piove o non-piove, caso in cui per qualsiasi combinazione dei costituenti la proposizione sarà sempre vera. Queste sono le tautologie.
Le tautologie sono necessariamente vere. Sono vere a priori, cioè
indipendenti dall’esperienza. Queste proposizioni non dicono nulla, ma
mostrano qualcosa.
Sono vuote, puramente formali, conosciute direttamente a priori. Ma
questo era esattamente lo statuto delle verità logiche. Le verità
logiche sono le tautologie.
Quindi che cos’è la logica (la domanda da cui Wittgeinstein era partito)? L’insieme delle tautologie.
Abbiamo finito? No. Cosa è successo? Scoppia la prima guerra mondiale. Wittgeinstein ha una crisi esistenziale. In guerra si porta un compendio dei vangeli fatto da Dostoevskij e Tolstoj.
Distinzione tra dire e mostrare: Wittgeinstein trova questo
Distinzione tra dire e mostrare: le proposizioni sensate sono quelle che dicono qualcosa - cioè sono immagine di uno stato di cose. Non c’è solo la dimensione del dire - delle proposizioni delle scienze naturali; ma anche del mostrare, lavorando su qualcosa che non si può dire. Ed è per questo che Wittgeinstein aggiunge una parte significativa al Tractatus.
Può essere descritta nei termini di alcune conseguenze notevoli della teoria della raffigurazione del Tractatus.
Le tautologie si possono applicare anche alla metafisica: la metafisica è frutto di un errore filosofico fondamentale, quello di cercare di dire ciò che si può soltanto mostrare. Ma la nozione di un fatto necessario è una contraddizione in termini nell’impostazione filosofica del Tractatus - un fatto è uno stato di cose che sussiste, (e avrebbe potuto non sussistere), dunque è per definizione contingente. Critica della nozione di fatto necessario. C’è solo una necessità logica
Nella tradizione che c’è in Aristotele e continua anche nella
scolastica, e continua nella metafisica a partire dagli anni ‘70, si
dice che l’origine della necessità è il mondo - qualcosa è
necessario perché quella è la sua natura, la sua essenza. La metafisica
deve cioè trovare nel reale la necessità del mondo.
Un’altra tradizione, che possiamo far risalire a Kant e si sviluppa con
Wittgeinstein e Carnap fa risalire l’origine della necessità non al
mondo, ma al soggetto (soggetto epistemico e le forme
di rappresentazione in Kant, le forme linguistiche in Wittgeinstein).
Non c’è un’essenza intrinseca nel mondo, non ci sono fatti
necessari.
Non possiamo trovare una descrizione di uno stato di cose che sia
necessaria, perché ogni stato di cose è uno stato di cose possibile,
cioè già dall’inizio contingente.
La metafisica dunque non è falsa, ma è insensata. Il tentativo di dire ciò che può essere soltanto mostrato.
Wittgeinstein usa il linguaggio anche per parlare dell’ambito morale e religioso.
La proposizione 6 del Tractatus dice che la forma generale di una funzione di verità […] è la forma generale di una proposizione - cioè qualcosa che raffigura uno stato di cose possibile; il valore di verità una funzione complessa dipenderà dai valori di verità dei suoi costituenti.
Nella proposizione 6.4: tutte le proposizioni hanno lo stesso valore. (morale-religioso-estetico). Ossia, tutte le proposizioni hanno nessun valore - e sono puramente descrittive. Tutte le proposizioni vere della scienza non hanno nessun valore.
Il senso del mondo deve essere al di fuori di esso. Tutto è come
è e tutto accade come accade. Non c’è in esso valore di sorta. Se c’è
qualcosa che ha valore deve essere fuori dall’accadere o dall’essere
così […]
Se il valore fosse nel mondo ci sarebbero fatti dotati di valore; ma non
possono esserci fatti necessari nel mondo, dunque non può esserci valore
nel mondo.
Di conseguenza, non ci possono nemmeno essere proposizioni nell’etica. Le proposizioni non posso esprimere nulla di ciò che è più alto. L’etica non si può esprimere a parole. L’etica è inesprimibile e ineffabile. L’etica si trova fuori dai confini del mondo, cioè non si può “dire”. L’etica è trascendentale.
Dentro al cerchio c’è il linguaggio sensato - questo sviluppo
dell’argomentazione è coerente con l’obiettivo iniziale di Wittgeinstein
di delimitare dall’interno i confini dell’etica
(metafora spaziale - esprime l’obiettivo trascendentale
del Tractatus). Il fuori decide il confine di ciò che
è sensato. L’etica è anche condizione di possibilità del linguaggio
significante.
Etica ed estetica sono la stessa cosa, perché contengono quel mondo dei
valori che si mostra da sé ma non si può dire sensatamente.
Due osservazioni:
Qual è allora il valore del Tractatus se queste sono le premesse, cioè se lui ha cercato di dire tutto il tempo cose che non si possono dire, cioè come è fatto il mondo, come funziona il linguaggio, ecc.?
L’inesprimibile c’è: […] il mistico.
6.5.3: il metodo della filosofia consiste dunque in questo: non dire niente se non ciò che si può dire.
6.5.4: le mie proposizioni delucidano così: colui che le comprende le riconosce alla fine come insensate […] gettando la scla su cui è salito.
La filosofia è o al di sopra o al di sotto delle altre scienze.
Lo spazio della filosofia è solo uno spazio distruttivo - si farebbe filosofia solo quando si commette un errore filosofico.
Il verbo che viene utilizzato per dire che si deve tacere è
mussen (e non sollen).
Il sollen si potrebbe tradurre con “dovresti, un
dovere di qualcosa che dovresti fare anche se non potresti. Mussen ha a
che fare con ciò che è necessario, con ciò che deve accadere perché non
può non accadere. Non c’è un”invito al silenzio”, ma sta parlando del
fatto che non è possibile parlare di ciò di cui è impossibile
parlare. Trae cioè le conclusioni.
Russell scrive un’introduzione al Tractatus che a Wittgeinstein non piace. Ramsey è uno che ha capito il Tractatus, aveva scritto una recensione critica - pone delle obiezioni a Wittgeinstein a cui lui risponde. Wittgeinstein trova un interlocuore in Ramsey.
Keynes fa in modo di far tornare Wittgeinstein a Cambridge - fa un dottorato e presenta il Tractatus come tesi di dottorato.
Per un po’ insegna a Cambridge e poi c’è un periodo intermedio della produzione wittgeinsteiniana che a noi non interessa.
Nel 1953, dopo la sua morte, vengono pubblicate le Ricerche Filosofiche. In questo periodo Wittgeinstein ha degli incontri significativi con il circolo di Vienna.
C’è una critica rivolta da Ramsey a Wittgeinstein che porterà a Wittgeinstein a cambiare l’impianto del Tractatus.
Ramsey aveva consigliato a Wittgeinstein di considerare due proposizioni:
Queste due proposizioni sono incompatibili, cioè è impossibile che siano entrambe vere contemporaneamente.
Se c’è solo un’impossibilità logica, deve essere logicamente impossibile che siano vere entrambe allo stesso tempo. Cioè, queste due proposizioni dovrebbero essere contraddittorie se messe insieme in una proposizione.
sarebbe invece una contraddizione:
La proposizione 3 non ha la forma p & non-p, cioè non è contraddittoria.
Allora evidentemente dice Ramsey (1) o (2) non sono proposizioni elementari; ci deve allora essere un processo di analisi che mostri sotto la superficie del linguaggio, che (1) e (2) sono contraddittorie.
Un’analisi come
La congiunzione di queste proposizioni è una contraddizione.
Bisogna rinunciare all’idea che c’è solo una possibilità/impossibilità logica - ci sarà una possibilità/impossibilità fisica, legata alla fisica del colore.
Che ci fosse solo una necessità logica era un caposaldo del suo pensiero e Wittgeinstein non vi avrebbe mai rinunciato.
Se Wittgeinstein fino a quel momento aveva sostenuto che non era suo compito fornire un’analisi - essendo un filosofo che lavora a priori e sul piano logico - non voleva dare nessuna spiegazione diciamo empirica.
Wittgeinstein dice che ci deve essere una proposizione
interamente analizzata, non che ci sia.
Ramsey chiama questa posizione di Wittgeinstein una posizione
dogmatica.
Wittgeinstein inizia dunque a elaborare un nuovo modo di fare
filosofia.
Nelle Ricerche Filosofiche (1953) l’unità di argomentazione
fondamentale è quella delle osservazioni, lunghe al più
una pagina e mezza.
Lo stile delle Ricerche è come un album di schizzi paesistici.
Gramsci connection - secondo una teoria, Sraffa (un economista torinese) a Cambridge portava le sue influenze marxiste a Wittgeinstein, che le recepisce cambia modo di fare la sua filosofia.
Iniziano con una citazione di Agostino che fornisce “un’immagine pre-teorica del linguaggio”. Un’immagine molto diffusa che troviamo in molti luoghi, in particolare nel Tractatus.
L’immagine wittgeinsteiniana del linguaggio è l’idea che le proposizioni sono composte da nomi, ecc. Agostino e il Tractatus condividono questa impostazione del discorso sul linguaggio.
Nella prima parte delle Ricerche Wittgeinstein descrive e critica questa immagine agostiniana, a un tempo criticando tutti i modi che ci sono stati nella storia della filosofia di esprimere la teoria raffigurativa del linguaggio - una teoria sbagliata.
Le parole denominano oggetti…[…] ogni parola ha un significato, ogni significato è legato all’oggetto per cui la parola sta.
Alla teoria raffigurativa del Tractatus Wittgeinstein propone di sostituire un’immagine “pluralistica” - una proposizione può avere senso in tanti modi diversi.
Uno degli esempi che porterà per spiegare questa idea è quello dei giochi linguistici: modi stilizzati in cui un linguaggio può funzionare; c’è una quantità di giochi linguistici reali o immaginari. I giochi seguono regole.
Nel paragrafo 2 Wittgeinstein presenta il primo gioco linguistico denotativo, derivandolo dall’esempio di Agostino - le parole non fanno altro che designare oggetti. Questo è il gioco linguistico dei muratori.
[…]
La prima critica che volge alla teoria agostiniana del linguaggio è la iper-generalizzazione: parte dall’idea vera che alcune parole sono nomi, cioè designano; poi generalizza eccessivamente e dice che tutte le parole sono nomi. A partire dall’idea di un linguaggio primitivo come quello dei muratori, l’errore agostiniano (e dunque anche quello del Tractatus) è di dire che questo linguaggio primitivo è tutto il linguaggio.
Per dire che è un errore Wittgeinstein introduce una famosa immagine (Paragrafo 11-14), quella della cassetta degli attrezzi. Tanto differenti sono le funzioni degli oggetti (in una cassetta) tante sono le funzioni delle parole. Tutti gli strumenti servono a modificare qualche cosa. Ma cosa modificano? La lunghezza di un oggetto, la solidità della cassa…
Dire che poiché alcune parole sono nomi allora tutte le parole sono nomi è come dire che alcuni attrezzi nella scatola degli attrezzi servono a fare qualche cosa, è come dire che tutti gli attrezzi modificano la stessa cosa. Il pentolino della colla modifica il pentolino della colla - le parole hanno usi differenti - cosa ci guadagni a dire che tutte le proposizioni sono dichiarative e descrivono uno stato di cose.
Paragrafo 40: se muore NM, non muore il nome, ma l’oggetto che denota. È dubbio dire se l’oggetto denotato è il significato della parola; perché quando l’oggetto viene meno, il significato NM è ancora lì, come dimostra il fatto che la frase Il signor NM è morto è sensata.
Il concetto che Wittgeinstein critica è quella dell’apprendimento tramite proposizioni ostensive: mostro un paradigma di bianco per mostrare cosa vuol dire bianco. Queste proposizioni non possono essere all’origine dell’apprendimento - per capirla in realtà devo avere con me tanti elementi linguistici, per esempio il concetto di colore.
Quando dico questo è bianco ci serve almeno il concetto di colore, c’è una indeterminatezza [???].
Non c’è l’essenza del linguaggio, ma tanti giochi linguistici diversi che funzionano in modi diversi.
Paragrafo 65: non hai ancora detto cos’è
l’essenziale del gioco linguistico, cioè che cosa sia comune a
tutti questi processi.
Wittgeinstein risponde: invece di mostrare tutto ciò che accomuna, io
dico che questi fenomeni non hanno nulla in comune, ma sono
imparentati in molti modi diversi, per questo li
chiamiamo “concetti”.
Ci sono alcuni concetti che hanno confini rigidi e ben determinati: le
“aree (geometriche) secondo Frege”; ma ci sono anche concetti
sfumati.
Anche con questo tipo di concetti noi ci capiamo perfettamente.
Wittgeinstein introduce la nozione di somiglianza di
famiglia: prendiamo i volti dei membri di una famiglia.
C’è qualcosa come l’essenza della famiglia? No, abbiamo
varie parti del corpo condivise in modo diverso da tutti i parenti.
Abbiamo parentele, intrecci di somiglianze.
Come facciamo a spiegare cosa vuol dire appartenere a quella famiglia? Possiamo mostrare somiglianze e analogie tra i membri di quella famiglia.
Il caso paradigmatico di questi concetti è il concetto di gioco: ci sono vari tipi di giochi. Fra gli scacchi e la dama ci sono alcune somiglianze. Se devo spiegare cos’è un gioco, farò questi esempi concreti. In questo modo ci capiamo perfettamente. Non abbiamo bisogno di migliorare questa situazione. Sappiamo cosa significa gioco e la usiamo per parlare tra di noi.
Per dire cos’è un linguaggio quindi non ragioniamo come le aree di Frege, ma usiamo degli esempi.
A questo punto l’attività filosofica di Wittgeinstein assume un nuovo cardine:
La filosofia si intende così come un’attività puramente concettuale utile non già per risolvere, ma per dissolvere certi problemi filosofici, presentandoli in modo da darne una spiegazione perspicua di questi fatti che fa sì che questo problema si dissolva, cioè scompaia.
Il fatto che Wittgeinstein abbia rinunciato a fornire una teoria generale del linguaggio non significa che gli interessi lo statuto del linguaggio.
Proposizione 43: per una grande classe di casi
in cui ce ne serviamo, la parola significato si può definire così - il
significato di una parola è il suo uso nel linguaggio.
Se proprio Wittgeinstein deve fare una generalizzazione, quella che ora
gli sembra più adeguata è l’idea di significato come
uso.
L’idea pluralistica del linguaggio si trova bene con la teoria degli usi.
Wittgeinstein si accorge che questa identificazione ha anche dei problemi; in particolare gli usi hanno una certa durata nel tempo.
Un lessicografo può studiare il mondo in cui cambia un certo termine nel tempo, mentre il significato viene colto in modo immediato ed istantaneo. Differenza tra significato e uso è una differenza sul piano temporale.
Wittgeinstein sente l’esigenza di raffinare che il significato sia l’uso, che il significato sia la cosa più simile a una regola per l’uso di una parola.
La più significativa conseguenza di questa teoria è un insieme di riflessioni passata alla storia come riflessioni sul tema di seguire una regola (antifondazionalismo), insieme a un celebre argomento anticartesiano, dell’argomento del linguaggio primario (antimentalismo o anticartesianismo).
Il fatto che il significato è legato all’uso di un termine si può riassumere con questa tesi: il significato non è l’immagine mentale. Questa è la tesi di alcune teorie mentaliste nella storia della filosofia; Frege aveva rifiutato questa idea considerando che ognuno ha un’immagine diversa, ma c’è un Sinn oggettivo del terzo regno che permette la comunicazione.
Noi possiamo usare un’immagine mentale di un cubo in tanti modi, con tante regole di proiezione diverse. Secondo un certo metodo di proiezione, potremmo dire che l’immagine di un cubo è l’immagine di un prisma.
Ryle: geografia logica dei concetti mentalisti; l’immagine
agostiniana è sbagliata, non tutte le parole sono nomi.
Non è affatto necessario per parlare della mente pensare cartesianamente
che ci sono dei nomi nell’interiorità.
Il problema non è pensare il rapporto tra i nostri oggetti interiori (in senso cartesiano) e gli oggetti esterni; ma ci sono solo gli oggetti esterni.
Problema epistemologico della filosofia matematica platonistica: se gli oggetti del terzo regno non hanno potere causale, come facciamo a conoscerli visto che la migliore teoria della conoscenza che conosciamo è quella empiristica basata sulle percezioni? La filosofia matematica è un tentativo di rispondere a queste questioni.
Il filosofo wittgeinsteiniano descrive il modo in cui funzionano i concetti matematici e vede che non è affatto detto che è un fatto matematico sia una descrizione di uno stato di cose; gli asserti matematici sono più simili a regole per l’uso delle parole che ad asserti descrittivi.
Il problema del platonismo di spiegare come è possibile la conoscenza matematica, visto che la matematica è in un terzo regno senza relazioni causali, svanisce; perché questi oggetti speciali del terzo regno li abbiamo soltanto se pensiamo che esistano solo nomi, cioè se pensiamo che ogni nome designi semplicemente un fatto.
Wittgeinstein intende grammaticale in un senso
ampio, cioè che riguarda tutte le regole d’uso degli usi
linguistici.
L’antiplatonismo e l’antimentalismo sono due descrizioni grammaticali di
usi linguistici.
Il significato non può essere un’immagine mentale, avevamo detto ieri: un’immagine mentale a sua volta per essere compresa ha bisogno di qualcos’altro, perché diverse immagini mentali potrebbero ancora essere ricondotte a oggetti diverse con regole d’uso diverse.
Se la regola sembra avere un carattere normativo, l’uso
sembra avere un carattere descrittivo; es. la lessicografia descrive gli
usi.
Ma come fa la regola a determinare l’uso? Qual è il rapporto tra la
regola e l’uso?
Su questo tema - nella letteratura si chiamano Considerazioni sul seguire una regola (Soulcreek ha scritto un libro importante negli anni ’80, Regole e Linguaggio Privato) - vogliamo far emergere due aspetti della filosofia di Wittgeinstein:
Innanzitutto Wittgeinstein osserva che si può seguire la regola in modi diversi.
Ci sono tanti esempi, tanti esperimenti mentali.
All’osservazione 185 troviamo una storia che nella letteratura secondaria viene chiamata storia dell’allievo recalcitrante.
*Lo scolaro padroneggia la successione dei numeri naturali, contando “per due”, 2, 4, 6… fino a mille. Ora gli insegniamo a scrivere altre sequenze, come la sequenza n+1. Arrivato a 1000, inizia a contare per 4. Il maestro lo rimprovera, e lui dice: ma non ho fatto bene?
Wittgeinstein ci sta mettendo di fronte alla figura dello
scettico, l’allievo. Ma è uno scettico particolare:
riguarda una parte fondamentale, la nostra capacità di parlare e di
capire ciò che diciamo. L’idea è che noi non abbiamo un modo per “aver
ragione” dello scettico.
Wittgeinstein sta proponendo un problema scettico, ma fornendo una
soluzione scettica - una risposta come quelle di Hume: di fronte allo
scettico che dubita delle relazioni causali e della nostra capacità di
usare l’induzione, Hume dice che non siamo in grado di giustificare
queste cose, ma non siamo scettici come lui, perché pensiamo che anche
se non c’è questa giustificazione, possiamo continuare ad assumere cose
come il principio della causalità.
Paragrafo 217: quando ho esaurito le giustificazioni, arrivo allo strato di roccia, e la mia vanga si piega. Allora sono portato a dire: ecco, agisco proprio così. Il modo in cui agiamo ha un ruolo nella determinazione delle nostre azioni.
Nella letteratura secondaria c’è un termine che è forme di vita: Wittgeinstein dice che il dato che sta al fondo delle nostre giustificazioni non è il dato autoevidente che vorrebbe avere l’empirista, ma è una forma di vita - un intreccio di azioni e reazioni, è al tempo stesso biologica (prima natura) e culturale (seconda natura, quella dei comportamenti appresi). Può essere intesa anche come una nozione antropologica.
Non c’è cioè una giustificazione ultima del nostro usare le regole, le regole non possono determinare l’uso - questo lo fa la nostra forma di vita. Come Hume, accordiamo allo scettico di aver ragione, ma senza concedergli la possibilità di “aver distrutto tutto”.
Le ultime osservazioni di Wittgeinstein prima di morire erano molto omogenee (messe insieme dai suoi editori) pubblicate con il titolo Sulla certezza, che parla di temi epistemologici e oggi viene molto studiato.
Non ci sono differenze sostanziali con le Ricerche
filosofiche. Lì si discute il tema del fondamento
e lo si fa a partire da una famosa conferenza di G.E. Moore che aveva
provato a confutare lo scetticismo rispetto al problema del mondo
esterno. Aveva risolto in due secondi quello che per Kant era “lo
scandalo della filosofia” cioè che non siamo ancora riusciti a confutare
lo scettico. Ma per Moore ci sono dei motivi così solidi e autofondati
(truismi mooriani: enunciati come questa è una
mano o la terra è esistita per molto tempo prima della mia
nascita)che neanche lo scettico più incallito può metterli in
discussione.
Si tratta per Wittgeinstein di capire come funzionano questi truismi;
l’uso che hanno i truismi mooriani nel nostro sistema epistemico è
affine a regole costitutive della nostra
razionalità.
Cosa vuol dire essere razionali? Pensare per esempio che sia
vero che questa è una mano. Wittgeinstein arriva a pensare che l’intero
sistema non può essere giustificato, ma è dato, si è immersi in questo
sistema.
In Della certezza chiama i truismi
proposizioni cardine. Noi stando dentro questo sistema
“giochiamo il gioco” della razionalità.
Un’altra faccenda interessante che troviamo anche in Sulla Certezza è l’argomento del linguaggio privato. Wittgeinstein è un antifondazionalista perché pensa che alla fine delle nostre giustificazioni la vanga si piega, siamo fatti così; oggi vediamo perché è un anticartesiano. Antifondazionalismo e anticartesianismo erano stati due temi importanti di Essere e tempo, ma a Wittgeinstein non piaceva Heidegger. Questo argomento è stato per anni uno dei più discussi dai filosofi analitici; oggi non è più così e si parla soprattutto di scienze cognitive, un modo che è diventato molto importante.
Questo modo di fare filosofia della mente totalmente a priori non è più il modo di fare filosofia della mente oggi; gli aspetti concettuali oggi vengono integrati con evidenze scientifiche.
Argomento del linguaggio privato: immaginiamo un
individuo che ha una sensazione privata del gusto del caffé che ha
bevuto ieri; questi elementi privati vengono chiamati
qualia aspetti qualitativi ipersoggettivi e perciò
ineffabili nella nostra esperienza mentale. Questa persona dà un nome
(S) alla sensazione che ha avuto. Lo scrivo sul calendario per
ricordarmi di questa sensazione. La differenza tra linguaggio privato e
codice segreto è che il codice segreto è celato solo di fatto, e non in
linea di principio.
Il linguaggio privato è privato in linea di principio: soltanto chi lo
possiede può comprenderlo, è privato logicamente, non
può logicamente essere compreso da qualcun altro.
Quello che Wittgeinstein vuole dimostrare è che un linguaggio privato è impossibile. Si parte da questa considerazione, che ci sia un linguaggio privato, e si arriverà a negarla.
Ieri ho scritto S sulla lavagna; oggi prendo un altro caffè e mi sembra di avere la stessa sensazione; allora scrivo di nuovo S sul calendario. Questa seconda applicazione può essere sbagliata? Può essere scorretta? Posso commettere un errore quando dico che ho di nuovo S? No, è impossibile, non posso sbagliarmi, per come ho costruito l’esperimento. Abbiamo detto che S è privato, non c’è un termine di paragone per cui S potrebbe essere sbagliato; l’autorità ultima in questo contesto è il soggetto, è impossibile sbagliarsi.
Se è impossibile sbagliarsi, allora non si può parlare di corretto o di scorretto nel caso dell’applicazione del termine S. Quando viene meno la possibilità stessa dell’errore, viene meno la possibilità di applicare correttamente le parole, viene meno la possibilità di applicare l’elemento normativo del linguaggio. Se c’è una cosa comune a tutte le forme di linguaggio, è il suo elemento normativo.
Dunque un linguaggio privato che nega la possibilità dell’errore, non normativo, non è affatto un linguaggio, perché non può essere né corretto né scorretto. Quello che diciamo non può essere falso; se io dico di nuovo S, non posso connettere un errore. In questo senso un linguaggio simile è impossibile.
La filosofia della mente wittgeinsteiniana in qualche modo è stata superata, non è più all’ordine del giorno.
La filosofia del secondo Wittgeinstein ha grande successo in Gran
Bretagna (anni ’50-’60), nasce la cosiddetta filosofia del linguaggio
ordinario, tra i cui esponenti Austin.
L’idea fondamentale è l’idea degli usi, fanno filosofia descrivendo gli
usi delle parole secondo la loro geografia logica.
La filosofia analitica che conosciamo oggi non è molto figlia di questa storia, ma è una storia che viene dagli Stati Uniti.
Facciamo un passo indietro: Frege, Russell, il Tractatus. Quando era in Austria non era andato a trovarlo solo Ramsey, ma anche una serie di filosofi e scienziati appartenenti al circolo di Vienna (nato nel 1923). Gli esponenti del circolo di Vienna negli anni ’30 emigrarono negli Stati Uniti.
Nel 1923 c’è questo circolo, circolo non soltanto accademico ma che ha un ruolo anche sociale, si parla di Vienna rossa, alla fine degli anni ’10 c’erano stati vari tentativi di fare la rivoluzione anche in Austria; questo non accadde a Vienna, città che comunque aveva in quegli anni un governo socialdemocratico riformista, cui appartenevano anche alcuni esponenti del circolo di Vienna.
In particolare, Otto Neurath aveva già costituito quegli che gli storici della filosofia chiamava Il primo circolo di Vienna (informale, si incontravano al bar) già dal 1910.
In questo circolo c’erano matematici, come Hans Hahn e K. Menger. Mauritz Schlick a un certo punto diventa professore di filosofia a Vienna, lui diventa animatore di questo circolo, in cui leggono anche Wittgeinstein, poi lo vanno a trovare. Era un gruppo di scienziati-filosofi: filosofi come Carnap erano capaci di parlare alla pari di logica con i logici, e con i fisici come Einstein. Ernst Mach è un esempio di scienziato-filosofo del passato.
Che cosa fare dell’a priori kantiano? Cassirer aveva
introdotto questa nozione di a priori che varia nel tempo, un
a priori uguale per tutti ma che si modifica. Carnap e altri
esponenti del Circolo di Vienna, tra cui Reichenbach (circolo di
Berlino, non era a Vienna), partecipano alla discussione. È di
Reichenbach la distinzione tra a priori costitutivo e
assoluto.
Altri esponenti del circolo hanno idee diverse: Schlick crede che
l’a priori vada concepito in termini convenzionalistici; a
questi dibattiti partecipava anche Albert Einstein.
Parleremo ora di due opere di Carnap e del manifesto del circolo di Vienna, pubblicato da Neurath con la firma di Carnap e Schlick.
L’opera considerata come il grande capolavoro di Rudolf Carnap si
intitola La costruzione logica del mondo (1928). Era già stato
scritto nel 1925.
Il titolo venne suggerito da Schlick; il termine non era in realtà il
più ricorrente nel libro di Carnap. In questo libro si ricostruiva
l’intera conoscenza scientifica a partire da una base fenomenica
ed esperienziale. Questa operazione si faceva usando la logica
di Russell dei Principia Matematica. Si costruisce così
l’edificio, mettendo insieme l’esperienza con le relazioni logiche di
Russell.
Questo è un libro molto ambizioso, una cosa che oggi nessuno potrebbe pensare di fare.
Il termine che veniva usato per parlare di questa operazione non era però costruzione (termine aggiunto successivamente) ma costituzione, una parola kantiana.
Russell in Our knowledge of the external world aveva proposto un sistema simile, proponendo una posizione empirista per rispondere allo scettico. Una risposta non risolutiva, ma sostantiva: faccio vedere allo scettico che la sua conoscenza è fondata su basi talmente solide da non poter essere negata. Si prova a fondare la conoscenza sulla base di un’esperienza immediata assolutamente indubitabile.
Uno obiettivo dunque anti-scettico usando strumenti empiristici.
Costruzione era una parola carica di sfumature politiche e sociali, la ri-costruzione del mondo e di Vienna dopo le macerie della prima guerra mondiale. Questa filosofia, fatta da questi filosofi progressisti ha questa sfumatura.
Ma quello che in realtà fa Carnap non è usare l’empirismo per dare una risposta scettica, era un’altra roba.
I primi due titoli prima del cambio erano stati:
L’operazione che stava facendo Carnap era un’operazione neo-kantiana.
La domanda neokantiana non è se la conoscenza è certa, ma come fa la
conoscenza ad essere oggettiva, come si fa a partire
dall’esperienza ad arrivare all’ordine della realtà, all’esperienza
intersoggettiva e condivisibile?
L’enfasi era sulle relazioni logiche di Russell, che lui usava per
consolidare l’edificio. Le relazioni logiche così intese erano
strutturali, e ciò che è strutturale è oggettivo. Carnap lavorava nel
solco della tradizione neokantiana.
Nel ’29 per ringraziare Schlick scrivono il Manifesto del circolo di Vienna: La concezione scientifica del mondo. Le caratteristiche fondamentali di questo manifesto
Ci sono delle figure di riferimento, gli dei del pantheon sono
C’è l’idea che la filosofia deve essere amica della scienza, la scienza contemporanea, all’avanguardia, loro per esempio conoscevano bene gli ultimi sviluppi della logica (Wittgeinstein) e gli ultimi sviluppi della fisica (Einstein). Dal punto di vista politico, uno spirito liberale, progressista, non dogmatico.
Dal punto di vista filosofico, difendono una forma di empirismo logico. È un pensiero molto diverso dall’empirismo classico, per cui tutti i dati che non vengono dall’esperienza, dunque la metafisica, non sono validi.
La posizione dei membri del circolo di Vienna è più radicale: la metafisica non è falsa, ma è insensata (empirismo logico). Seguono il Wittgeinstein di un Tractatus ridiscusso con Wittgeinstein, secondo il modo in cui Wittgeinstein rielabora le sue teorie: l’idea semantica fondamentale del Tractatus per cui si conosce una cosa se si sa che cosa succede se essa è vera, ma Wittgeinstein aveva cambiato la sua posizione trasformando la sua teoria in una teoria verificazionista, cioè se una proposizione è sensata, non bisogna solo sapere cosa succede se è vera, ma va anche replicata.
La metafisica non viene criticata solo perché non è verificabile, e dunque insensata, ma anche per ragioni sintattica. Il modo in cui gli empiristi logici parlano di sintassi e analogo al modo in cui in quegli anni Wittgeinstein intende grammatica: le regole d’uso.
Critica logica-sintattica alla metafisica: Carnap muove una critica contro Heidegger. Heidegger aveva scritto che il nulla nulleggia. Carnap critica Heidegger sul piano logico-sintattico.
Il nulla nulleggia. In italiano la parola nulla è un
avverbio, e non un sostantivo. Il “nulleggiare” è un predicato, che
esprima una proprietà. Heidegger sta predicando una proprietà di un
avverbio, e questa cosa non si può fare, a meno che Heidegger non dica
che sta usando la parola Nulla in un modo particolare, nuovo.
Però va spiegato in che modo la stai usando.
Visto che la metafisica espressa da Heidegger non fa questo, si commette
un errore logico, sintattico, grammaticale.
Qui non è gioco una tesi specifica, ma uno stile filosofico. Potremmo dire che Heidegger non ha commesso alcun errore; si potrebbe dire infatti che esistono definizioni esplicite e definizioni implicite; potremmo dire che Heidegger stava fornendo una definizione implicita del termine nulla.
Lo stile causa distanze più grandi che le singole tesi - c’è un incompatibilità di fondo, un modo di intendere i significati in modo diverso.
Carnap va a Praga e scrive La sintassi logica del linguaggio (1934) - la sintassi è l’analogo della nozione di grammatica del secondo Wittgeinstein. Wittgeinstein aveva accusato Carnap di plagio. Neurath non apprezzava Wittgeinstein politicamente; lui frequentava alti borghesi mentre nel Circolo di Vienna secondo Neurath ci dovevano essere anche lavoratori.
Carnap aveva seguito le lezioni di Frege.
La sintassi logica del linguaggio. Carnap in quest’opera affronta due problemi fondamentali:
La sintassi logica è l’insieme di regole d’uso delle espressioni del nostro linguaggio. Su questa base Carnap formula una nozione di analicità (già kantiana) su basi puramente sintattiche. L’idea è che un enunciato è analitico se è vero in virtù delle regole del linguaggio, e non perché descrive il mondo in un certo modo.
Questa argomentazione sembra elegante, ma è falsa perché non tutta la logica è tautologica. La tesi di Wittgeinstein si riferiva esclusivamente alla logica proposizionale. Adolfo Church studia le logiche che non sono tautologie.
Se il progetto logicista poteva avere qualche chance di essere dimostrata non ci si poteva riferire esclusivamente alla logica proposizionale. Nella sintassi logica, con la nuova definizione di analicità, potremo dire che la logica, anche se nonè analogica, è analitica in senso sintattico. Questa cosa è vera per tutti i tipi di logica.
In logica non ci sono morali
Carnap
Quale di questi due sistemi (logica classica o intuizionista, per esempio)? Risposta: nessun disaccordo tra le due, solo la scelta convenzionale e altrettanto legittima di due sistemi di regole differenti.
Con questa nozione di sintassi logica, Carnap è riuscito a risolvere i due problemami
Vediamo che come in Wittgeinstein, come i problemi non vengano risolti, ma dissolti.
La parola “cane” (linguaggio oggetto) ha 4 lettere. Questa frase è metalinguaggio. Questa distinzione è rifiutata da Wittgeinstein nel Tractatus, perché il metalinguaggio cerca di dire ciò che si può soltanto mostrare.
Nel 1936 nella Germania nazista gli autori del circolo di Vienna, di
cui molti erano ebrei, molti erano socialisti, sloggiano in America.
Mauritz Schlick viene ucciso nel 1936 sulle scale dell’università di
Vienna, ma non per motivi politici. Una persona con problemi
psichiatrici uccise Schlick.
Carnap nel 1936 va in America.
Questo coincise con una svolta nel pensiero di Carnap: fino ad allora, aveva sempre parlato del significato in termini del linguaggio, cioè per parlare delle regole d’uso. L’aveva sostenuto, perché le parole squisitamente semantiche, come verità o riferimento (Bedeutung) - Carnap fino ad allora aveva considerato quei termini come resti di metafisica, si era tenuto alla larga.
Da questo momento, le nozioni semantiche possono essere impiegate. Adesso vuole definire la nozione di analicità, così importante per gli empiristi, in termini semantici.
Prende allora la teoria semantica di Frege (per cui tutte le xxx hanno un Sinn e una Bedeutung) - Carnap introduce i concetti di intensione (Sinn) - il valore di verità ed estensione (Bedeutung) - la proposizione espressa da quel significato.
Ogni termine ha un xxx e un concetto come intensione. Una riformulazione della teoria di Frege di Sinn e Bedeutung.
Carnap introduce il concetto di descrizione di stato: una descrizione di stato è un enunciato che per ogni enunciato elementare di L, contiene o p o non-p.
Una descrizione di stato è dunque la descrizione di uno dei singoli modi in cui è fatto il mondo: in termini leibniziani, la descrizione di un mondo possibile.
Carnap fornisce una nuova definizione di enunciato analitico: un enunciato sarà analitico (L-vero è il termine rigoroso). Carnap aveva appena scoperto che l’analiticità è un modo di parlare della necessità. Vero in ogni descrizione di stato significa cioè vero per tutti i mondi possibili.
L’empirismo logico arriva negli stati uniti ed entra in contatto con il pragmatismo americano, alcuni dei quali erano colleghi di Quaine ad Harvard. Negli anni ’50-60 nacque quel modo di fare filosofia analitica che poi è diventato dominante ancora oggi.
Inizia un processo chiamato da Karl Schorske The new rigorism in humanities - una nuova rigorizzazione delle scienze umane, che consiste in questo: in varie discipline umanistiche (non solo in filosofia, ma in scienze sociali e politiche, l’economia, la linguistica, la psicologia) avviene un abbandono di certi modelli metodologichi basati sulla storia per l’adozione di:
Questa rigorizzazione avviene in quegli anni negli Stati Uniti e ha due caratteristiche interessanti:
le cose più interessanti avvengono negli interstizi tra le
discipline: ad Harvard era normale che studiosi di discipline diverse
avessero seminari e momenti in comune. In un seminario si trovano
sistematicamente Quaine, Carnap e Paul Simonon, un importantissimo
economista americano, e Schumpeter.
Si chiama sintesi neoclassica la cosa che loro
proponevano, una forma di marginalismo.
negli stessi anni c’è il maccartismo: questo ebbe un’influenza sulla forma che le discipline umanistiche assunsero, per esempio l’ambizione a essere neutrali.
Il primo fronte riguarda la modalità (es. necessità). Carnap
pensava che necessario, a priori, e analitico fossero nello
stesso dominio.
La necessità è entrata al centro della scena filosofica perché alcuni
filosofi stavano sviluppando la logica modale. Da un lato Quaine critica
la nozione di analiticità; Quaine viene presentato da Carnap come il più
grande di quelli che sbagliano.
L’altro fronte è la critica alla logica modale.
Critica all’analiticità a all’empirismo logico:
È uno dei tre testi principali della tradizione analitica.
I due dogmi dell’empirismo, tesi:
La tesi di analiticità e mal definita. Stile molto positivistico, dice che non va bene questa tesi perché è una nozione oscura.
Il riduzionismo: l’idea per cui ciascun enunciato di una teoria è verificato se viene verificato da esperienze protocollari immediate. Quaine invece aveva parlato di olismo della conferma: di fronte al tribunale dell’esperienza, le teorie non si presentano come singoli enunciati, ma come degli interi.
Venendo meno la distinzione tra concettuale e sintetico, viene meno anche una distinzione netta tra teoria scientifica e linguaggio della teoria. Il risultato, Quaine dice, è una nuova forma di pragmatismo (filosofia analitica). Lui avevastudiato con il pragmatista C.I. Lewis.
Naturalismo metodologico: concezione metafilosofica per cui c’è una continuità tra filosofia e scienza. In tutto Wittgeinstein c’era invece una distinzione netta tra il piano della scienza e il piano della filosofia. La filosofia è attività di chiarimento concettuale. Si possono impiegare i risultati della filosofia nella scienza e viciversa.
Logiche in cui le proposizioni, oltre ai simboli delle variabili e gli operatori modali (è necessario che [rappresentato da un quadrato], è possibile che…[è possibile che]), hanno anche dei quantificatori (per ogni, esiste un…)
Secondo Quaine in questi sistemi si crea una situazione molto dannosa.
Prendiamo una proposizione in cui sia un operatore modale (è necessario che) e un quantificatore (per ogni).
Necessariamente, ogni scapolo è un adulto non sposato.
Ogni scapolo è necessariamente non sposato
Dice Quaine:
Altro esempio.
Nei sistemi di Ruth Barcan Marcus si potevano dimostrare teoremi come
se a = b, allora necessariamente a = b
se espero = fosforo, allora necessariamente espero = fosforo . Dice Quaine, questo è totalmente sbagliato, diffidate della logica modale.
A quel punto intervenne Kirpke, che fa a Princeton delle lezioni dal nome Naming and necessity, che cambiano la prospettiva della logica modale nella tradizione analitica.
Kripke innanzitutto fornisce una nuova teoria dei nomi propri:
Secondo la teoria fino a quel momento, i nomi propri erano nomi abbreviati per dare descrizioni definite: es. Aristotele è sinonimo di maestro di Alessandro Magno. Kripke critica questa teoria.
Non è vero che i nomi propri sono descrizioni definite.
Prendiamo l’enunciato: se fosse vero che il termine Aristotele è sinonimo della descrizione definita; allora questo enunciato sarebbe analitico - qualunque parlante saprebbe che è vero, ma non è così. Sapere che Aristotele è il maestro di Alessandro Magno non fa parte della competenza linguistica, te lo dice la maestra a scuola. È una verità storica, e non logica.
Quindi Aristotele (il nome) non è sinonimo della descrizione. Kripke propone allora una teoria per cui i nomi sono designatori rigidi, che hanno la funzione di denotare, ma sono rigidi, cioè designano lo stesso individuo che disegnano nel mondo reale, in tutti i mondi possibili (parte integrante dell’apparato concettuale della logica modale).
Il nome Aristotele, per esempio, disegna quella persona lì, quell’autore. Questo vale per tutti i nomi propri. Noi possiamo dire:
*Aristotele avrebbe potuto fare l’imbianchino.
Secondo Kripke, noi usiamo il nome Aristotele come designatore
rigido. Quindi la prima cosa che fa Kripke è sostituire la teoria dei
nomi.
Alla luce della nuova teoria dei nomi, torniamo all’esempio di Ruth
Barcan Marcus.
Poiché Espero = Fosforo in tutti i mondi possibili, allora Espero =
Fosforo necessariamente!
Quando Carnap e gli altri considerano le nozioni di analiticità e
necessità come appartenenti allo stesso dominio, sbagliano.
Bisogna tracciare una separazione tra analiticità (dimensione
semantica), necessario (dimensione metafisica), a priori (dimensione
epistemologica), non avremo nessun problema con l’essenzialismo
aristotelico che tanto dava fastidio a Quaine.
Conseguenza metafilosofica del lavoro di Kripke: aver riabilitato la metafisica. L’enunciato espero = fosforo non è a priori, c’è voluta una scoperta per saperlo, però è necessario. Dunque esiste qualcosa come la necessità a posteriori, cioè legata a come è fatto il mondo. Esistono quindi delle verità necessarie che non sono solo verità concettuali.
C’è un enorme ambito, quello delle necessità a posteriori, che è lì alla nostra portata.
Questo lavoro viene sviluppato grandemente da David Lewis (un allievo
di Quaine), l’autore più influenze della tradizione analitica negli
ultimi 40 anni. David Lewis è un allievo di Quaine che applica
all’ambito metafisico la teoria di Kripke. Scrive negli anni ’80 Of
the plurality of worlds, in cui presenta la tesi per cui esiste
davvero una pluralità di mondi possibili.
La spiegazione: le nostre migliori teorie lo richiedono.
Rapporto tra professionalizzazione della filosofia e specializzazione, c’è un libro che si chiama il mestiere di pensare.
C’è una parte che manca in questa storia, la parte della filosofia della scienza. Alcuni personaggi a contatto con Quaine, tra cui Kuhn, fanno robe. Kuhn scrive La struttura delle rivoluzioni scientifiche; da Kuhn nasce un nuovo modo di fare filosofia nella scienza negli Stati Uniti, con personaggi come Lakatos e Feyerabend. Vedi i miei appunti della suddetta materia su (https://rielefer.xyz/filoscienza/filoscienza.pdf) [https://rielefer.xyz/filoscienza/filoscienza.pdf]
Seconda Internazionale; tentativo di risolvere la contraddizione del pensiero di Marx tra la componente filosofica-hegeliana e quella scientifica-positivistica; questa tensione viene sciolta in favore della svolta scientifica, rappresentata da Kautsky (Leader della SPD, partito guida della Seconda Internazionale, un’associazione di partiti socialisti-democratici e in certi casi rivoluzionari nata dopo l’esperienza della Prima Internazionale, al quale aveva participato Marx stesso e in un certo senso da Engels dopo la morte di Marx.
La scelta positivistica significa sostenere che la teoria di Marx è scientifica, cioè in grado di fare delle previsioni. Non riguarda solo la comprensione del presente e del passato, ma anche di prevedere il futuro.
Genera dibattiti:
All’interno della SPD c’erano anche posizioni che avevano fatto i conti in modo più radicale con l’idea che si dovesse lottare con le singole riforme (tramite l’attività sindacale e parlamentare). Chi aveva tratto conseguenze più radicali erano i revisionisti (Bernstein), che sostenevano che la riforma fosse l’unica strada per cambiare il sistema. Non c’era nessun orizzonte di rivoluzione totale o di crollo del capitalismo. Questo in opposizione alla posizione ortodossa di Kautsky.
Alla seconda Internazionale c’erano anche i rivoluzionari, cioè gli spartachisti, Rosa Luxembourg, questa gente qua. Se noi volessimo un contro-esempio alla scientificità della Rivoluzione come ipotizzata da Marx: la rivoluzione russa avviene in condizioni completamente diverse da quelle che la teoria aveva formulato Marx, per cui la rivoluzione sarebbe arrivata nei paesi occidentali avanzati. Lì il sistema era ricco di contraddizioni insanabili, che avrebbero provocato un crollo del sistema. Questo non è avvenuto in Germania, non è avvenuto in Francia né in Inghilterra, ma in un paese senza borghesia, senza classe dominante borghese.
Lì, grazie alle condizioni storiche della Prima Guerra Mondiale (Milioni di morti e fame) e alla presenza di una avanguardia rivoluzionaria con il suo leader, Lenin - che aveva proposto un recupero della lettura hegeliana di Hegel.
Sul determinismo quindi ci si divide tra deterministi come Kautsky e volontaristi come Bernstein. Questo dibattito filosofico viene risolto dalla Rivoluzione Russa, che sembra segnare un punto per i volontaristi da un lato, e dall’altro mette in discussione la teoria di Marx come una teoria scientifica da leggere in termini positivistici e capace di fare previsioni.
Gramsci scriverà un famoso articolo La rivoluzione contro il Capitale - cioè contro le tesi dello stesso Marx.
Noi abbiamo vista confutazione interessante dell’economicismo fatta da Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo.
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale aveva ha che fare con il fatto che il governo tedesco, alla guida della Seconda Internazionale, era entrato in guerra. Ciò rappresentava un problema, una sorta di contraddizione in termini.
Come viene introdotto il marxismo del ’900?
Autori diversi che non si conoscevano e affrontano questo problema, giungendo a una soluzione comune: quella opposta alla Seconda Internazionale, cioè un recupero di Hegel operato da Gramsci, Korsh, Lukacs.
Lukacs in gioventù è stato un autore importante non marxista, quando
diventa marxista aveva già scritto due libri importanti.
Apparteneva a una famiglia borghese che faceva parte dell’Impero
austro-ungarico. Ha studiato estetica, scrive testi di storia della
letteratura e di critica letteraria, di storia del teatro. Era
considerato un autore importante: aveva scritto una raccolta di saggi,
L’anima e le forme, e una Teoria del romanzo, che
segna il suo passaggio al marxismo. Oggi è fuori da i dipartimenti di
filosofia, ma si trova in corsi di Letterature comparate, per
esempio.
Gli autori che Lukacs legge in questo periodo: il dibattito su scienze della natura e scienze dello spirito, per cui si considera (Dilthay), Zimmel e Max Weber, che tenne sempre Lukacs in grande considerazione, e Thomas Mann. Leggeva Dostoevskij, Kierkegaard, Hegel, ma con una considerazione fichtiana - pensava che fosse valida per il suo tempo la sua epoca come quella della compiuta peccaminosità - culminata nella Prima Guerra Mondiale. Sono pagine di colta disperazione, che legge questi autori tragici ed esistenzialisti. Un libro scritto con uno stile letterario barocco. Un Hegel, dice lui, anche kierkegaardianizzato.
A un certo punto la soluzione diventa per lui la Rivoluzione avvenuta in Russia. Ha una sorta di conversione Lukacs diventa marxista a abbraccia i movimenti internazionali con l’idea di fare ciò che stavano facendo in Russia: tentativi avvengono in Baviera, in Italia, in Ungheria - tutti tentativi senza esito.
In Ungheria però per un anno c’è la Repubblica dei Soviet; Lukacs partecipa a questa esperienza e ha un ruolo nel governo rivoluzionario, come ministro dell’istruzione.
Comincerà a scrivere di filosofia, di letteratura, gli stessi interessi, ma nei suoi scritti inizia a riformulare il marxismo.
La rivoluzione in Ungheria, la repubblica dei Soviet, viene stroncata
militarmente. Lukacs riesce a scappare in modo fortunoso e va a Vienna.
Lì molti dei suoi compagni erano scappati - la Vienna rossa e
socialdemocratico in cui molti trovavano rifugio.
Lukacs si salva grazie a Thomas Mann, firmata da molti intellettuali, in
cui chiedono che non venga instradato. Vive come un rifugiato - non
prende parte alla vita della Vienna del tempo. Lì Lukacs ristudia
seriamente Marx, e pubblica dei saggi sulla rivista Komunismus
(siamo tra la fine degli anni ’10 e l’inizio degli anni ’20).
Questi testi vengono raccolti e pubblicati nel 1923 nel primo testo dove viene proposta un’alternativa hegeliana, post-seconda Internazionale, e questo libro è Storia e coscienza di classe. Questo testo è considerata “l’origine del marxismo occidentale”.
Esistono vari modi di adottare questa espressione, si trova:
in un’opera di Merleau Ponty, Le avventure della dialettica, il termine viene usato per descrivere il marxismo hegeliano di Lukacs, come viene esposto in Storia e coscienza dei classe del 1923 che diventa il punto di riferimento dei vari marxisti nel ’900.
in modo più ampio per descrivere il marxismo che si fa a Ovest (Ovest dell’unione sovietica) - nella Terza Internazionale, a guida stalinista. Quindi un comunismo non stalinista ed eterodosso rispetto alle prerogative della Terza Internazionale. Questa nozione di marxismo occidentale è trattata in un altro testo, pubblicato negli anni ’60 di Perry Anderson, uno storico inglese.
Cerchiamo ora di vedere quale operazione viene fatta da Lukacs per rinnovare il marxismo dando senso alla Rivoluzione Russa e risolvendo a livello teorico i vari problemi emersi nella Seconda Internazionale.
Uno dei saggi di Storia e coscienza di classe si intitola Cosa significa il marxismo ortodosso - lui intendeva la domanda in senso normativo: cosa dovrebbe voler dire marxismo ortodosso? La risposta che fa è totalmente kautskiana, anti-revisionistica, cioè rivoluzionaria. Va cambiata l’accezione di marxismo ortodosso come marxismo scientifico. Risposta: essere marxisti oggi è tutta una questione di metodo. Non c’è una singola tesi di Marx che definisce il marxismo, ma per essere marxisti bisogna adottare il metodo della dialettica hegeliana nell’interpretazione marxiana. Non c’è nessuna tesi di Marx che non si possa mettere in discussione.
Lukacs descrive il metodo come l’assunzione del punto di vista della totalità, rispetto ai singoli fatti. Dal punto di vista epistemologico, è quello delle singole scienze speciali - o l’idea che i fatti si diano soltanto nell’intero.
Abbiamo già visto l’olismo epistemologico in autori come Neurath per esempio.
Il significato di un singolo fatto significa che ogni fatto si comprende solo alla luce delle circostanze sociali e storiche in cui avvengono. I riformisti assumono invece il punto di vista dei singoli fatti, concentradosi su piccole battaglie. Quelli che assumono il punto di vista dei singoli fatti è pensiero borghese.
Il punto di vista hegeliano è quello dialettico che comprende la totalità, e dal lato opposto il pensiero borghese, il quale assume i singoli fatti e nella prassi lotta nelle singole riforme. I bernsteiniani sono rappresentanti del pensiero borghese.
Va bene con Weber e Dilthay la superiorità e l’autonomia delle scienze dello spirito. Pensa che il metodo dialettico debba essere collocato nell’intera totalità - questo si applica soltanto alle scienze dello spirito; il metodo dialettico non si applica alle scienze della natura. La separazione metodologica tra scienze dello spirito e scienze della natura è basata anche sul fatto che, se nelle scienze della natura emergono delle legittime contraddizioni, che portano ad esempio a cambiare teoria, cioè quando “le cose non quadrano” bisogna cambiare teoria, mentre lo statuto delle contraddizioni per come vengono intese dalle scienze dello spirito è differente.
Quando emergono delle contraddizioni in una totalità sociale, non c’è niente che non fa, non c’è nessuna teoria da cambiare. Come sappiamo, nella dialettica emergono delle contraddizioni.
“Ciò che distingue in modo decisivo il marxismo dalla scienza borghese non è il predominio delle motivazioni economiche nella spiegazione della storia, ma è il punto di vista della totalità. La categoria della totalità, il dominio determinante ed onnilaterlae dell’intero sulle parti è l’essenza del metodo che Marx ha assunto da Hegel riformulandolo in modo originale e ponendolo alla base di una scienza interamente nuova”.
G. Lukacs, Rosa Luxembourg marxista, 1921
Lukacs, a differenza di alcuni suoi compagni marxisti, non rinunciò
mai alla sua posizione, rimase sempre dal lato dell’Unione Sovietica,
praticamente.
Famoso per la frase che La peggiore forma di socialismo è meglio
della migliore forma di capitalismo.
Questo ha portato alla rimozione di Lukacs dal canone accademico. Questa
“sanzione” riguarda però soltanto gli scritti del suo periodo marxista,
e non gli scritti di critica letteraria pre-storia e coscienza di
classe, che vengono ancora insegnati nei corsi di letterature
comparate.
Una macchina filatrice di cotone è una macchina per filare il cotone. Soltanto in determinate condizioni essa diventa capitale. Sottratta a queste condizioni, essa non è capitale, allo stesso modo che l’oro in sé e per sé non è denaro e lo zucchero non è il prezzo dello zucchero.
K. Marx, Lavoro salariato e capitale, 1849
Possiamo analizzare a livello semantico l’espressione “macchina
filatrice”. Cioè si sviluppa una discussione a partire dal problema di
qual è il significato della parola macchina filatrice.
Dal punto vista borghese, quello dell’intelletto (Verstand),
cioè che riconosce singoli fatti isolati secondo Hegel, una macchina
filatrice è solo una macchina per filare il cotone.
Se assumessimo il punto di vista disciplinare dell’economia politica
classica è uno strumento per aumentare la produttività del lavoro;
grazie alla macchina filatrice potremmo filare molti capi in più.
I Manoscritti economico-filosofici di Marx vengono introdotte solo negli anni ’30. C’è una rielaborazione di questa idea nel concetto di reificazione (poco usato da Marx). Secondo Marx il feticismo delle merci è parte di un processo molto più ampio che riguarda ogni processo della realtà sociale, che è un processo di reificazione, trattare processi come se fossero cose.
Uno dei lettori Storia e coscienza di classe; il concetto sbagliato di essere come semplice ente, cioè concepito solo come cosa di fronte a noi; questo è in fin dei conti un’interpretazione del concetto di reificazione. Essere e Tempo è del 1927, Storia e coscienza di classe è del ’23. Sartre era stato un lettore di questo testo.
Il punto di vista borghese considera gli eventi come singole “cose” davanti a sé, cioè come semplici presenze: la macchina filatrice, dal punto di vista borghese, non è altro che una macchina per filare il cotone.
Questo punto di vista è associato a una prospettiva contemplativa:
c’è un rapporto tra il soggetto che conosce e i vari oggetti; concezione
che poi Heidegger avrebbe riportato criticando il cartesianismo.
La reificazione è trattare come cose naturali una serie di
processi storici in realtà determinati dalla realtà storica, separandole
in questo modo dal soggetto che conosce, che viene visto come soggetto
che non agisce, e cioè in maniera contemplativa, come se non
fossimo coinvolti noi stessi nelle nostre pratiche sociali con la nostra
macchina filatrice.
La classe borghese assume il punto di vista borghese perché:
Vediamo come interviene il concetto di dialettica e di contraddizione.
La macchina filatrice non è solo una macchina; dipende dal
contesto epistemico, semantico, storico-sociale in cui la collochiamo.
Collocandola in una prospettiva olistica dal punto di vista
semantico, noi pensiamo che la macchina filatrice
dipenda dalle relazioni che essa ha con altri oggetti.
È richiesto di far variare i contesti semantici in maniera dinamica.
Se la macchina filatrice è anche altre cose, cioè se definiamo la macchina filatrice come qualcosa che è ma anche come qualcos’altro, nella realtà stessa c’è una contraddizione (p e non p), e non solo in senso metaforico; la contraddizione è semantica ed è contenuta nella realtà, riguarda la realtà. C’è una determinazione in senso hegeliano per cui la macchina è qualcosa, ma è anche un’altra cosa, quindi c’è una contraddizione che va superata.
Tra le tante cose che la macchina filatrice è, c’è ciò che la macchina filatrice è essenzialmente. C’è un’identità della macchina filatrice, quella che noi possiamo cogliere se assumiamo il punto di vista della totalità sociale entro la quale la macchina filatrice si colloca. Se la macchina filatrice è colta nella realtà sociale di cui fa parte, scopriamo che l’essenza della macchina filatrice è di essere capitale.
Noi possiamo cogliere l’essenza della macchina filatrice, tra tutte le cose che la macchina filatrice è. Tra tutte le cose ciò che la macchina filatrice è essenzialmente è capitale.
A questo punto i discorsi che diventano possibili sono molte altre:
la nozione di reificazione, di accumulazione di capitale, di
sfruttamento di lavori tessile.
La nozione quindi cambia semanticamente a seconda del significato che
attribuiamo alla nozione di macchina.
Quando la classe borghese pensa che il dato immediato sia la realtà più vera - ma commette un errore ingenuo, che può essere corretto se assumiamo il punto di vista della totalità. Se si fa invece interagire dialetticamente questo termine con il suo significato empirico, allora a quel punto questa teoria filosofica ha una reale capacità di emancipazione.
Il pensiero borghese non è il pensiero dei borghesi, ma è il pensiero dell’intelletto nel senso di Hegel, cioè che isola parti isolate della realtà perdendo il significato della totalità.
Per la classe borghese assumere questo punto di vista è naturale, perché costituisce la possibilità per essa di auto-legittimarsi.
Lukacs aveva questa concezione della totalità perché qualcuno nella storia aveva già assunto il punto di vista della totalità.
Per Lukacs c’è un soggetto che in grado di cogliere
la totalità sociale. Attenzione: la totalità non è
l’insieme di tutti i fatti sociali (un cattivo infinito
secondo Hegel). Questo soggetto è il
proletariato.
Il proletariato non è il singolo proletario; non è lui a dover assumere
una prospettiva olistica.
Il proletariato è in grado anche dal punto di vista teorico di assumere il punto di vista della totalità. Qui Lukacs va oltre Marx; che pensava che i proletari, il proletario come soggetto universale, non avesse altro da perdere che le proprie catene, e sono liberi di creare una società diversa per tutti.
Lukacs spiega perché proprio il proletariato è il soggetto
in grado di cogliere la totalità sociale nei suoi aspetti
essenziali, comprendendo la contraddizione principale,
conoscendo se stesso, ossia diventando consapevole di
sé e assumendo una coscienza di classe.
Io sono quella classe sociale che ha il ruolo di classe sfruttata.
Comprendendo se stesso come classe, il proletario comprende anche i
meccanismi fondamentali alla base della produzione capitalistica.
Comprendere la propria identità
Il proletariato ha un privilegio epistemico in quanto è in grado, conoscendo se stesso, di conoscere la realtà sociale, nella sua contraddizione principale, all’interno di cui si colloca. Così facendo, riconosce (termine hegeliano) se stesso.
Lukacs chiamava opportunismo il revisionismo bernsteiniano. Il termine tecnico usato dagli hegeliani è unità di soggetto e oggetto nella storia.
Assumendo questo punto di vista, il proletariato riconoscerà che nella macchina filatrice è essenzialmente capitale. La prassi ha un doppio ruolo:
nella storia del proletariato: spiega perché nella storia il proletariato ha un accesso epistemico privilegiato.
nella storia del femminismo: nei testi di Sandra Harding sulla standing theory femminista c’è un esplicito riferimento a questi testi di Lukacs.
Che cos’è il soggetto della storia? Lukacs si riferisce esplicitamente agli ideal-tipi di Weber, cioè delle descrizioni in cui prendiamo in considerazione alcuni aspetti, che poi usiamo come definizioni.
Per molti aspetti il proletariato di cui parla Lukacs, soggetto epistemico privilegiato in questo racconto, è un idealtipo hegeliano. Una delle ragioni fondamentali per cui Weber introduceva gli idealtipi, era questo: la realtà è così multiforme e contraddittoria che abbiamo bisogno di semplificare per rendere i concetti non contraddittori.
Un marxista hegeliano però non sarebbe d’accordo con questa
decisione, non si possono far sparire così facilmente le
contraddizioni.
Probabilmente questo è un problema più teorico che pratico; anche se
nella teoria coincidono, nella pratica Lukacs è più weberiano di ciò che
si pensi, e Weber è più dialettico.
Adottando il punto di vista hegeliano della totalità, Lukacs risolve una serie di problemi:
Rispetto a Weber, la differenza fondamentale sta nel concetto di avalutatività: per una filosofia come quella di Lukacs in cui la teoria e la prassi si mescolano, e la teoria è prodotta dalla prassi (il riconoscimento del proletariato di sé stesso in rapporto alla totalità), il concetto di avalutatività non esiste.
Il proletariato può cambiare l’intero sistema con la prassi.
Lukacs risolve il problema dell’economicismo - spiegazione unilaterale della storia in termini economici; la relazione esplicativa è quella tra il tutto sociale di cui il proletariato fa parte; in questo senso il marxismo non è economicista; non c’è una parte ce viene spiegata solo nei termini di un’altra parte.
Prende poi posizione assumendo una posizione weberiana nella disputa scienze della natura scienze dello spirito; riguardano l’ambito sociale e non le scienze della natura; se troviamo una contraddizione nelle scienze della natura dobbiamo cambiare teoria; è invece naturale trovare una contraddizione nelle scienze storico-sociali.
La distanza da Weber è invece molto profonda sul tema della avalutatività; la teoria di Lukacs per cui puoi avere conoscenza dell’intero se assumi un certo punto di vista che è quello della tua identità e dalla prassi con cui tu agisci nel mondo, non può esserci nessuna avalutatività. I fatti, cioè, sono sempre incrociati ai valori.
Storia e coscienza di classe viene totalmente condannato dalla Terza Internazionale, l’internazionale comunista o comintern, che va aventi fino al ’43 ed è a guida sovietica.
Jinovief (???) per nome del comintern condanna il testo come un testo idealista e non materialista, dunque contrario all’ortodossia.
In un certo senso era vera perché metteva al centro il metodo di Hegel. Negli anni ’30 Lukacs si sposta a Mosca, sono gli anni delle purghe staliniane. Lukacs sopravvive cambiando anche i suoi interessi intellettuali fondamentali; scrive cose di filosofia che verranno pubblicate più tardi, come Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, ma le cose che vengono pubblicate sono testi di letteratura che evitano argomenti scomodi.
Thomas Nagel, Point of view from nowhere
Dopo la guerra torna in Ungheria; Stalin muore nel 1953, c’è la destabilizzazione e il XX Congresso del partito comunista, con la denuncia di alcuni crimini di Stalin. In Ungheria nel ’56 c’è un tentativo di rivolta a cui Lukacs partecipa - il tentativo finisce con i carri armati che arrivano in Ungheria. Lukacs viene deportato in Ungheria.
Nel ’67 gli verrà concesso di tornare in patria a patto di non assumere ruoli pubblici. Prima di morire scrive L’ontologia dell’essere sociale (1971), considerato il suo capolavoro.
Lukacs non cambierà mai idea sul suo riferimento hegeliano, sull’idea di totalità.
Nell’ontologia dlel’essere sociale si parla della totalità come complesso di complessi, un modo che Lukacs ha per parlare della totalità sociale, sottolineando in modo particolare l’esistenza di sotto-totalità parzialmente autonome.
Questa autonomia diventa sempre più importante quando Lukacs si pone il problema di cosa è successo in Unione Sovietica; c’è un modo giusto e uno sbagliato per rapportarsi alla totalità:
quello giusto è il modo dialettico, che è in rapporto con le varie sotto parti di cui la totalità è composta, e vede parziali spazi di autonomia.
il modo sbagliato di rapportarsi alla totalità è quello di
correlare in maniera diretta e immediata il fenomeno o processo che
stiamo indagando con la totalità sociale di cui fa parte.
Lukacs chiama settarismo questo modo sbagliato di
operare.
Thomas Mann e altri autori come Balzac e Tolstoj hanno la capacità di
darci il punto di vista della totalità - in modo analogo al
proletariato, ma per ragione diverse, non tramite una
auto-conoscenza.
Hanno una capacità di narrare e non di descrivere - autori come
Zola sono bravissimi a descrivere, in Germinal Zola si inventa
dei personaggi e li colloca in un teatro che ha descritto.
Ma narrare è qualcosa di più di descrivere; il rapporto
che c’è tra i personaggi che si muovono è un rapporto molto più stretto;
quei personaggi sono l’incarnazione di quel contesto, è
una storia davvero realistica - queste sono le
migliori forme di realismo secondo Lukacs - ci fanno
vedere gli aspetti essenziali della realtà sociale che descrivono.
Lukacs ha in mente I Buddenbrook quando dice che quello è un
esempio perfetto del narrare e non del
descrivere.
Comunque, essere settari significa considerare in modo , significherebbe non leggere Thomas Mann perché è un autore borghese, oppure criticarlo, censurarlo, perché da un punto di vista ortodosso marxista, è un autore borghese, allora non leggiamolo.
La mediazione è la chiave metodologica fondamentale per considerare gli eventi.
Lukacs continua a scrivere così anche quando l’ortodossia marxista non è più quello che viene detto “volgare” materialismo (il marxismo della II Internazionale), ma il marxismo dialettico sovietico, in cui la dialettica non si applica solo alla storia ma anche alla scienza.
Lukacs verrà quindi messo da parte dai suoi, e anche dai suoi avversari.
Questo stesso processo, hegelizzazione del marxismo, è successo in luoghi diversi, senza particolari contatti tra gli autori. In Italia c’era stata l’esperienza del biennio rosso e i consigli di fabbrica, e questa esperienza viene vissuta in prima persona da Antonio Gramsci.
Attenzione: questa riflessione su Hegel non avviene in tutti paesi,
per esempio in Inghilterra non avviene questa cancellazione del marxismo
scientifico della II Internazionale in favore di una lettura
hegeliana.
È importante sottolineare come ci sia una tendenza
generale alla lettura hegeliana di Marx.
Quando Gramsci prende la borsa di studio nel 1911 c’era con lui anche
Palmiro Togliatti, che divenne successivamente a capo del partito
comunista, e andò poi in esilio a Mosca.
Gramsci invece nel 1926 viene incarcerato, fino al 1937, anno in cui
morì.
Dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare per i prossimi 20 anni
Accade esattamente l’opposto. Grazie all’amico Sraffa che gli apre un conto in una libreria di Milano Gramsci viene messo nelle condizioni di leggere e di scrivere.
Scrive i Quaderni dal carcere, di cui abbiamo
L’operazione di pubblicazione dei quaderni da parte di Togliatti fu un’operazione non solo culturale, ma politica. pubblicare i quaderni di Gramsci significava:
L’espressione marxismo non si trova nei Quaderni a causa della censura; Gramsci usa il termine - è interessante vedere come Gramsci cerca le parole adatte per evadere la censura - si trova l’espressione filosofia della prassi, con cui si intende il materialismo storico.
Il termine filosofia della prassi è un termine che ha un suo senso, un suo valore nel pensiero di Gramsci.
Da dove arrivava questo richiamo all’idealismo e a Hegel? Gli arrivava dal grande idealismo italiano, cioè Benedetto Croce e Giovanni Gentile, i grandi maestri dell’idealismo in Italia. I due si dividono con l’avvento del fascismo, Croce firma il manifesto degli intellettuali antifascisti, mentre Gentile
Giovanni Gentile aveva scritto un libro su Marx, La filosofia di
Marx, (apprezzato da Lenin stesso), del cui pensiero fornisce una
lettura idealistica (collega Marx a Hegel e sostiene che la nozione di
materia in Marx è una sostanzialmente una metafora per
parlare di relazioni sociali) e soggettiva.
Secondo Gentile la materia è l’insieme delle relazioni sociali. Materia
è una metafora per Spirito in senso hegeliano.
In Gentile Gramsci trova l’espressione filosofia della prassi. Il suo
marxismo è inoltre soggettivo, in quanto Gentile inizia
a parlare del ruolo degli esseri umani, dei singoli soggetti nella
storia - e questo interessava molto a Lenin.
Gramsci prende da Gentile l’espressione filosofia della prassi e il
riferimento fortemente idealistico e hegeliano.
La seconda grande influenza è Benedetto Croce, anche lui idealista ma non hegeliano se la dialettica è definitoria dell’essere hegeliano
Croce fu per Gramsci ciò che Weber fu per Lukacs, cioè rappresentò la
critica giusta all’economicismo. Croce parlava come gli idealisti dello
spirito, ma tendeva a sottolineare che ci sono varie parti, varie
dimensioni dello spirito. Il punto filosofico fondamentale di Benedetto
Croce è l’assoluta autonomia e indipendenza di tutte queste
sfere; quindi la lettura unilaterale del materialismo storico
della II Internazionale è sbagliata, perché se vogliamo prendere per
esempio un testo letterario, questo non può essere ridotto al contesto
economico in cui viene scritto. Per Croce l’opera letteraria va
considerata in modo puramente estetico.
Il materialismo per Croce non è dunque certo una filosofia della storia,
un racconto teleologico, ma, come per Weber, un interessante strumento
per indagare la storia. In Weber c’è tutto sommato un’enfasi maggiore
sulla descrizione economica, Weber sostiene che ci sia in fondo una
predominanza della struttura economica.
Croce invece insiste molto sull’indipendenza e la divisione tra le varie
sfere.
Da entrambi prende l’idea di uno storicismo assoluto, l’idea che tutta la realtà è costruita dagli esseri umani sulla base delle loro relazioni sociali.
Fallimento teorico ma anche pratico del determinismo della Seconda Internazionale. È sbagliato vedere la Rivoluzione Russa come un contro-esempio della teoria scientifica di Marx, ma la teoria di Marx va intesa come una teoria filosofica hegeliana.
Troviamo nei Quaderni una teoria della totalità sociale simile a quella di Lukacs, secondo cui dipende dalla relazione con processi storici che vanno considerati dal punto di vista dell’intero, globale, dell’Assoluto hegeliano.
Quali sono i legami con la teoria di Lukacs?
Nei Quaderni noi troviamo cose come: come ha detto il signor Lukacs, e l’esigenza di leggere meglio Lukacs. Gramsci aveva cioè sentito parlare di Lukacs ma non aveva avuto modo di approfondirlo.
Quali sono le differenze con la teoria di Lukacs?
Gramsci è consapevole del fatto che per il cambiamento politico che a lui interessa serva una combinazione virtuosa di questi due modelli. Per Gramsci “l’alto e il basso si devono mescolare”.
“Ogni uomo è filosofo”, scrive Gramsci nei quaderni.
Cosa significa egemonia culturale? Spieghiamolo riferendoci al concetto di default - un’opzione che viene scelta in modo automatico, una scelta di base. In termini non gramsciani, un pensiero è egemonico quando “rappresenta” l’opzione di default.
Un pezzo di cultura è egemonico quando noi la diamo per scontato. Lì dentro c’è l’egemonia culturale di un pensiero ideologico.
Egemonia culturale è diversa dal dominio, l’egemonia culturale sta sul piano del pensiero e delle idee. Cionondimeno, l’egemonia culturale è legata al dominio. Il caso tipico è infatti che il pensiero dominante è il pensiero della classe dominante - questo si trova già in Marx.
Se si vuole fare lotta di classe, non si può fare altro che fare lotta per l’egemonia; è impossibile fare lotta per il dominio.
Pensiamo a due momenti della storia in cui applicare questo: durante il fascismo, gli oppositori del fascismo son o morti o esiliati o al confino. In una situazione simile si può spostare il focus della lotta di classe, trasformandolo in una lotta per l’egemonia culturale.
Pensare, leggere e scrivere è una forma di lotta di classe.
Esempio di lotta per l’egemonia di cui parla Gramsci: nella
situazione dell’Italia del tempo, l’Italia era post-unificazione era
divisa tra Nord e Sud, che avevano condizioni economiche fortemente
diverse.
Gli attori sociali coinvolti nella lotta di classe al Nord erano la
classe borghese dominante (borghesi) e il proletariato (classe
oppressa); al Sud i latifondisti (classe dominante) e i contadini
(classe oppressa).
Gramsci fa due operazioni:
Perché queste mosse sono lotte per l’egemonia?
Abbiamo visto l’hegelo-marxismo di Lukacs e di Gramsci.
Nel 1923 è nato un importante gruppo di ricerca: il Circolo di
Vienna. Nello stesso anno a Francoforte nasce un altro gruppo di ricerca
detto istituto ella ricerca sociale a Francoforte sul
Meno. Hanno una rivista, Rivista per la ricerca sociale.
Come nasce? Anche i suoi membri saranno costretti ad emigrare in
America, quando l’istituto venne chiuso dalla polizia.
Karl Grunberg fu il primo direttore, ma quello che impresse una svolta e divenne una figura centrale fu Max Horkeimer, filosofo e scienziato sociale. Altri componenti erano Theodor W. Adorno, musicologo e filosofo, ed Herbert Marcuse. Esistono varie generazioni della Scuola di Francoforte, non è un’esperienza che termina con l’esilio; l’esperienza continuò negli Stati Uniti e ancora oggi esistono filosofi che vengono riconosciuti come Francofortesi - anche Habermas veniva riconosciuto come appartenente a questa corrente.
Come nasce questa esperienza? L’istituto per la ricerca sociale nasce nel 1923. C’era stato un incontro informale ad Hilmenau l’anno precedente, e a questo incontro erano presenti anche Lukacs e Karl Korsh - uno dei riscopritori di Hegel. Lukacs nel ’22 aveva già scritto diversi dei saggi che sarebbero entrati in storia e coscienza di classe.
Questi filosofi vengono a contatto con questa nuova forma di marxismo; c’è una fase in cui questo istituto per la ricerca sociale fa “solo” ricerca sociale, sono a contatto con l’ehegelo-marxismo ma senza esserne parte; poi una seconda fase in cui diventano marxisti in senso lukacsiano; una terza fase in cui gli autori vanno negli Stati Uniti, e questo ha delle conseguenze, cioè cercano di difendere un marxismo con caratteri diversi.
Nel primo periodo della Scuola, quella delle scienze sociali, capitò che ci fossero dei contrasti tra i due circoli. Quando negli anni ’30 i due circoli vengono chiusi, ci fu un contatto molto interessante e una proposta di collaborazione: un contatto tra Max Horkeimer e Otto Neurath, una delle figure principali del Circolo di Vienna insieme a Schlick e a Carnap. Si incontrano all’Aja, a New York, e alla metà egli anni ’30 Neurath deve scrivere un articolo per i francofortesi. Come va a finire questa storia: c’era la possibilità che la filosofia andasse in una direzione diversa, ma non andò così. Horkeimer non voleva davvero collaborare con Neurath, ma collaborare con lui per poi criticarlo.
Quando nel 1937 esce il numero della rivista che contiene quell’articolo - articolo sugli standard di vita della classe operaia a Vienna - contiene anche un articolo molto importante di Horkeimer intitolato I più recenti attacchi alla metafisica, in cui Horkeimer attacca in maniera veemente il positivismo logico. Neurath chiede il diritto di replica, Horkeimer glielo nega.
Sul piano delle idee filosofiche, ciò che era successo è che Horkeimer aveva letto in quegli anni molto Lukacs, molto Hegel, molto Marx - aveva scoperto che voleva portare avanti un marxismo hegeliano; dunque critica i positivisti logici sulla base dell’armamentario concettuale hegeliano ritornato in auge con Lukacs.
I saggi di Horkeimer di quel periodo vengono raccolti in un volume intitolato Teoria critica - una critica in questo senso: la totalità, il rifiuto del pensiero borghese, i positivisti accettano il dato del fatto. Analogia tra cose che dice Mussolini e cose dette dai positivisti logici, un attacco violento.
Teoria critica: applicazione della ragione contro l’analisi intellettuale (nel senso di Hegel), la ragione strumentale (nel senso di Weber), una marxismo non determinastico e non economicista. Con Teoria Critica di Horkeimer inizia il periodo più importante.
L’istituto per la ricerca sociale si sposta a New York.
Parleremo di :
Punto di partenza: perché la barbarie del ’900? Karl Polanyi
(fratello di Mikel Polanyi), studioso di antropologia economica, scrive
nel ’43 La grande trasformazione, un testo nel quale vuole
rispondere alla stessa domanda: perché la barbarie del XX secolo?
Un modello di risposta a una domanda simile, perché c’è stata la
prima guerra mondiale? era stata fornita da Lenin in
L’imperialismo fase suprema del capitalismo - la prima guerra
mondiale c’è stata perché nel capitalismo moderno c’è una tendenza al
monopolio, le competizioni diventano competizioni tra un numero limitato
di soggetti, legati agli Stati, quindi il capitalismo porta a una lotta
non solo economica, ma ad una guerra effettiva.
La risposta data da Polanyi è che la Prima guerra mondiale è frutto del processo di globalizzazione dal 1870 al 1915. Una concezione esplicativa opposta a quella della Belle Epoque; ciò che è successo è figlio di quel periodo, in cui il capitalismo liberale diventa totalizzante, ossia domina tutti i rapporti sociali.
Nel periodo precedente, c’erano ancora aspetti della vita umana, non economici, che avevano una loro autonomia. In quel periodo, tutto viene governato da una razionalità economica, e la mercificazione di tutto è totale. Diventano parte della logica del capitalismo tre aspetti fondamentali:
Il mercato libero diventa totalizzante: distrugge le comunità locali e distrugge alcuni aspetti della vita di singole persone. In un pezzo del libro Polanyi fa un salto indietro e parla del ’700 e dell’800 (vedi Marx capitolo XXIV del I libro del Capitale sull’accumulazione originaria); i singoli soggetti sono costretti a mollare la terra con la violenza.
Questi sono gli effetti di questo primo periodo di grande globalizzazione.
Effetto Polanyi: come una società reagisce a un capitalismo lasciato andare senza regole. Secondo certi storici, il fascismo è parte dell’effetto Polanyi, una spiegazione storica che salvava il capitalismo. La reazione che la società ha a questo sistema, che avrebbe distrutto tutte le basi fondamentali dell’esperienza umana.
Per rispondere alla domanda perché la barbarie del ’900,
Lukacs scrive La distruzione della ragione, una storia della
filosofia tedesca dell’800. Lettura volgare e superficiale: Lukacs dice
che c’è una forma di razionalismo che attraversa la cultura tedesca
dell’800, e a forza i razionalismo arriva l’irrazionalismo con Hitler.
Autori ebrei come Edmund Husserl avrebbero una “responsabilità morale”
per l’avvento del nazismo.
Lettura più consapevole: Lukacs nelle sue storie delle letteratura aveva
visto che alcuni autori potevano diventare espressione del punto di
vista della totalità (es. de I Buddenbrook per capire la
società borghese - i personaggi incarnano il periodo storico narrato,
che non è uno sfondo). Secondo Lukacs, per alcuni grandi filosofi vale
la stessa cosa che per gli autori della letteratura - inserisce gli
autori tedeschi dell’800 tra coloro che esprimono una totalità sociale.
Anche Lukacs con Polanyi pensa che le grandi barbarie del ’900 sono
figlie della storia sociale tedesca del ’900. Lukacs e
Polanyi sono d’accordo nella sostanza; ma Lukacs usa strumenti diversi,
più sofisticati (la storia della filosofia); ma se la storia della
filosofia è uno dei modi che abbiamo per cogliere la totalità sociale,
la storia della filosofia può spiegare perché le cose sono andate in un
certo modo nella storia; non è idealismo.
Quella di Horkeimer adorno in Dialettica dell’illuminismo, (1947) è ancora diversa.
Illuminismo: la parola illuminismo è intesa in senso molto ampio, non l’illuminismo storico della Francia. L’illuminismo è inteso come un certo tipo di razionalità, di cui l’illuminismo è una delle realizzazioni fondamentali; illuminismo come razionalità strumentale che considera il rapporto tra i mezzi e i fini, senza decidere in base a una determinazione dei valori e degli scopi. Il trionfo della ragione strumentale, non solo attraverso la tecnologia e dell’industria, dicono loro, porta ad Auschwitz.
Dialettica: la dialettica è intesa in senso hegeliano, ma manca il momento della sintesi; c’è un’enfasi sul momento negativo della dialettica.
Il libro si esprime attraverso allegorie: Ulisse vuole ascoltare le sirene, ma sa che se ascolta le sirene finirà divorato; fa sì che i suoi compagni si tappano le orecchie e lui si fa legare. Ulisse fa lavorare gli altri per lui. Così funziona la ragione strumentale: si sfruttano gli altri per i propri scopi - Horkeimer e Adorno mostrano che così funziona in alcuni totalitarismi novecenteschi.
Quindi quali sono le differenze rispetto
all’hegelo-marxismo delle origini?
Un grande storico polacco, Leslev Kolakowski, ha
scritto un importante testo di storia del marxismo, History of
Western Marxism - scritto da un autore non marxismo.
In questo suo libro, Lukacs definisce la scuola di Francoforte come
Lukacs, ma senza il proletariato. Se in Lukacs il proletariato
aveva un ruolo centrale in quanto era il soggetto epistemicamente
privilegiato che attraverso la prassi era in grado di cogliere il punto
di vista della totalità, arrivando all’essenza del mondo sociale di cui
faceva parte.
Ma perché senza il proletariato? Perché quando questi autori erano maturi, negli anni successivi, dal loro punto di vista, New York, critica di tutti i totalitarismi (compresa la società capitalistica liberale), non credono più che esista un soggetto rivoluzionario ed epistemicamente privilegiato - esiste tuttavia come classe sociale.
Lukacs, ricordiamo, stava dando una giustificazione epistemologica della rivoluzione russa. Se sia in Lukacs che in Gramsci c’è l’unità di teoria e prassi, questa unità viene meno; il concetto di intellettuale rielaborato dai francofortesi è un concetto pre-lukacsiano, pre-gramsciano.
Karl Mannheim scrive Ideologia e utopia, proponendo una nozione di intellettuale che essendo scientifica, riesce ad essere davvero critico (diverso da Lukacs e dall’idea di intellettuale organico di Gramsci).
I francofortesi separano anche teoria e prassi; dal punto di vista della prassi sono pessimisti, senza speranza. Come Lukacs prima di convertirsi al marxismo aveva parlato di un’epoca di una (???). In delle pagine famose, Lukacs nella Distruzione della Ragione parlava di Schopenauer, del Grand Hotel Abisso. I francofortesi, dice Lukacs, ora che stanno a New York sono andati ad abitare lì.
La critica diventa unico elemento di resistenza - ma puramente negativo - che l’intellettuale può portare.
Adorno, 1966 scrive la Dialettica negativa. Dice: in
filosofia ci troviamo di fronte a coppie concettuali; soggetto-oggetto,
generale-particolare, ecc.
Bene, ogni volta che si prende posizione a favore di una di queste
coppie e si applica la razionalità strumentale per difenderla, si
finisce comunque ad avere una concezione totalitaria, totalizzante, che
cancella i diritti dell’altra parte. Quindi che cosa dobbiamo fare?
Negare, negare risolutamente. Di fronte a due
scelte teoriche, negatele entrambe. Adorno dice che c’è anche
un altro modo per fare la stessa operazione di musica: la musica atonale
di Schonberg, per esempio, e altre forme culturalmente avanzate,
permette di sfuggire alla razionalità strumentale, in quanto si
riferisce alla dimensione emotiva. La musica a cui si riferisce Adorno
non è quella dell’industria culturale. La musica può essere un elemento
critico di rifiuto di un sistema che si presenta come razionale.
In Minima moralia; Adorno scrive due aforismi che ci fanno capire i toni del suo discorso:
La scheggia nell’occhio è la migliore lente di
ingrandimento
> Il meglio che possiamo fare è mettere una scheggia, mettere in
dubbio.
L’intero è il falso
> Un completo sovvertimento del presupposti lukacsiano da cui anche i
francofortesi erano partiti
Il secondo testo che vediamo è L’uomo ad una dimensione
(196) di Herbert Marcuse. La filosofia analitica commette l’errore di
applicare l’analisi:
L’oggetto dell’analisi di questi filosofi è rimosso dal medium
universale in cui i concetti vengono formati.
es. il gatto è nero e cose simili, rappresentano uno stile
filosofico.
Nella filosofia analitica, si perde il contesto maggiore di
esperienza in cui siamo immersi, si perde un reale
mondo empirico. Parlate del gatto sul tappeto e state
escludendo dalla filosofia le cose veramente importanti.
In generale, nel testo viene espressa l’idea per cui nella società manca la dimensione dialettica e critica, c’è un appiattimento nella società.
Nell’Uomo ad una dimensione, Marcuse afferma: c’è la possibilità in questo periodo che gli estremi storici possano incontrarsi ancora una volta, la teoria critica della società non possiede concetti che possano collegare il presente e il futuro […] blablabla…Il Grande Rifiuto.
Cosa può fare il soggetto senza che esiste più il soggetto rivoluzionario? Come dice Benjamin: è solo a favore dei disperati che c’è data la speranza.
In realtà in Marcuse il pessimismo non è l’ultima parola. Marcuse aveva scritto anche Eros e Civiltà, del 1955. In questo testo Marcuse parte dal Disagio della civiltà di Freud e lo aveva criticato:
Eros e civiltà rappresenta un’eccezione al pessimismo che caratterizza la produzione della Scuola di Francoforte.
Linee filosofiche principali:
Marcuse aveva studiato con Heidegger, è uno di quelli che stando politicamente e geograficamente da un’altra parte rispetto ad Heidegger, aveva aspettato una parola da Heidegger, in cui lui prendesse le distanze dal nazismo.
Era stata una delle principali allieve di Heidegger, ed era scappata
prima degli altri negli Stati Uniti.
Scrive nel 1951 Le origini del totalitarismo, in tre parti.
La nozione di totalitarismo è una nozione della Guerra Fredda, perché impiegandola metti sullo stesso piano Hitler e Stalin.
Nel totalitarismo non c’è un popolo composto da individui con una
identità personale, ma una massa in cui le singole identità si sciolgono
l’una nell’altra.
Gli individui perdono la loro natura e la loro libertà. L’autorità del
singolo individua viene recuperata attraverso la relazione diretta con
il capo.
Un individuo perde la sua capacità di giudizio individuale.
Lyotard, gli viene chiesto di fare un indagine sociologica dallo Stato del Quebec, il risultato è la condizione postmoderna (1979), caratterizzata dalla fine delle grandi meta-narrzione, come l’illuminismo e il marxismo, ideologia in cui lui stesso aveva limitato.
La fine delle grandi narrazione coincide con l’avvento dello stato neoliberale con la crisi petrolifera degli anni ’70. Cosa resta? Lyotard usa la nozione di gioco linguistico: ciò che resta è una grande quantità di giochi linguistici infondati. Il pensiero debole è un pezzo di questa storia.
Heidegger scriverà La questione della tecnica, si passa dalla Storia (Geschickt) al Destino (*Geschickten).
Intervista di Heidegger a Der Spiegel. L’uomo singolo può ancora avere un’influenza nella società schiacciata dentro la tecnica, o la filosofia può influenzarlo?
La filosofia non potrà produrre nessuna modificazione immediata; solo un Dio ormai, può salvarci Preparare nel pensiero e nella poesia l’arrivo di un Dio.
Tramontare al cospetto del Dio assente.
Lezioni mancanti: