Il periodo dell’Umanesimo è oggetto di divergenze
interpretative, che si chiedono: in che rapporto è
l’Umanesimo con il Medioevo, con il Rinascimento, con la
filosofia in generale? Un’opera chiave in merito è quella di Jacob
Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia (1860).
C’è un profondo desiderio di rinnovamento, che ha come obiettivo la
trasformazione dei valori culturali correnti, che sono quelli di una
scienza e di un linguaggio assolutamente formalizzato, astratto e
tecnico, riservato alla classe dei maestri di scuola. Questo
orientamento porterà gli umanisti alla formulazione della
renovatio: un ritorno programmatico alla sapienza e
agli ideali del mondo classico.
Il ritorno si concretizza nel recupero dei testi classici
greco-romani. Ciò si realizza a partire dalle scoperte di
Petrarca alla fine del ’300: inizia un lavoro di ricerca, emendazione, e
poi traduzione dei testi antichi. Nasce, in altre parole, la
filologia. Tra i filologi più importanti
Lorenzo Valla e Angelo Poliziano. I
testi latini vengono recuperate nelle biblioteche dei monasteri italiani
e europei - un esempio su tutti: il De Rerum Natura di
Lucrezio, recuperato da Poggio Bracciolini, i testi
greci si trovano nei mercati di Costantinopoli.
Cambia il rapporto che ha questa nuova figura, quella del
filologo, con il testo: il suo lavoro di ricerca e di
traduzione è un lavoro ermeneutico critico che deve
restituire la storicità dell’opera e inquadrarne i contenuti nel
contesto culturale di riferimento. Ciò in aperta contrapposizione con
ciò che accadeva nel Medioevo, quando le opere classiche disponibili
vennero interpretate in senso cristiano, quindi alla luce di un
significante trascendente dato, e soprattutto astorico e atemporale,
insomma, acritico.
Insis
La rivoluzione ha punto d’inizio: il 1543.
Copernico nel 1543 pubblica Della rivoluzione delle orbite celesti dove viene affermata l’esistenza di un sistema eliostatico, cioè con il sole al centro dell’orbita terrestre - e non dell’universo altrimenti lo avremmo chiamato eliostatico.
Copernico sostiene di essere un riscopritore delle dottrine di Pitagora e Filolao. Sostiene che il pregio del suo sistema sia una maggiore armonia. L’universo di Copernico è finito e sferico: le orbite sono sferiche. Il sole è immobile al centro dell’universo.
La teoria di Copernico viene considerata da molti contemporanei - e dal teologo Osiander in una prefazione al De revolutionibus - era un’ipotesi matematica che salvava i fenomeni.
Verrà sostenuto più avanti - con elementi mistici, pitagorici ed ermetici - da:
I copernicani sono cioè legati a un certo modo di fare filosofia, legato alla tradizione ermetica e esoterica, che susciterà qualche perplessità in figure come Bacone.
Il sistema copernicano nelle università veniva insegnato:
Nella teoria di Brahe (1546-1601):
I movimenti nell’universo di Brahe non sono circolari, ma il cielo è
fluido e libero.
Il sistema ticonico è compatibile con le Scritture - ed è anche
più conveniente in generale, dice che la Terra è immobile e quindi non
deve spiegare fenomeni come la caduta di un grave.
Keplero (1571-1630) è un astronomo ma ha interessi assai variegati, ha scritto di metafisica, numerologia, e molto altro. Le sue teorie sono sempre esposte in quadro platonico-pitagorico e mistico.
L’universo di Keplero è strutturato secondo rapporti armonici che
possono essere indagati con la matematica. Esiste un rapporto tra le
cinque orbite planetarie e i cinque corpi platonici del Timeo (cubo,
tetraedro, ecc.).
Keplero vuole superare Copernico, e cercare le ragioni fisiche e
metafisiche (anche quantitative) del sistema.
Secondo Keplero il Sole si trova al centro
dell’universo ed è la causa motrice che sospinge i corpi. Il
Sole è l’immagine di Dio, e anche i pianeti hanno anime - fino
all’Astronomia nova, dove tutto la causa di tutto il movimento
è ascritta al Sole.
Nell’Astronomia nova (1609), Keplero formula anche la sua
seconda legge (aree uguali in tempi uguali).
Il mondo non è un organismo divino, ma come in un orologio, in esso tutto avviene grazie a una forza magnetica semplice, una forza corporea, ma intesa in termini mistici. Per questi suoi toni mistici Cartesio e Galileo, massimamente diffidenti nei confronti del misticismo - come gli altri moderni - finiranno per ignorare anche le parti più scientifiche del suo sistema, comprese le tre leggi.
Galileo nel 1610 pubblica il Sidereus Nuncius in cui vede la Luna e capisce che non è un corpo perfetto e incorruttibile. + Nel 1612 osserva le macchie solari in Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari. + Nel 1632 pubblica il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, un’opera dialettica il cui obiettivo è confutare attraverso l’esperienza e il ragionamento la visione del cosmo della Fisica aristotelica. + Galileo ignora i risultati raggiunti da Keplero e da Brahe.
La tradizione magica insegna ai moderni a pensare il sapere non solo come contemplazione pura, ma anche come potenza e sfruttamento delle forze della natura.
Il mago e il sapiente moderno si distinguono però su più punti: se il
linguaggio del mago è oscuro e non può mai essere smentito (l’oggetto è
anche segno di qualcosa di completamente trascendente), quello
del sapiente invece designa oggetti esistenti; il sapere non ha
carattere iniziatico e contribuisce a un patrimonio di conoscenza che
cresce grazie a uno sforzo continuo collettivo. Il linguaggio è chiaro e
comprensibile, e le definizioni rigorose non lasciano spazio ad
ambiguità.
Per il sapiente moderno, se conosciamo le proprietà dei corpi possiamo
renderci padroni della natura. Si può giungere a conoscenze utilissime
alla vita tramite la “messa in comune” delle conoscenze.
Nascono a questo scopo le prime società scientifiche:
H. Oldenburg fonda nel 1665 Philosophical Transactions, la prima rivista a carattere strettamente scientifico: la conoscenza si configura come uno sforzo collettivo per il bene dell’umanità e la perfezione delle scienze.
Si configura così il nuovo sapere dei moderni: non è quello improduttivo delle scuole, né quello occulto dei maghi. Nulla è di per sé inspiegabile. Bisogna superare lo stupore.
1638: Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze: Il lavoro dei filosofi deve tenere in altissima considerazione quello dei meccanici peritissimi. In questo senso l’applicazione del telescopio (tecnologia già esistente ma usata in ambito solo militare) all’osservazione del cielo è paradigmatica, in quanto l’uso di uno strumento tecnico apre nuovi scenari per il pensiero, potremmo dire.
Galileo sa che il sistema di Copernico, affermando che la Terra orbita intorno al Sole, contraddice la Scrittura. Afferma in una lettera che la Scrittura non può errare, e deve esistere una necessaria corrispondenza tra natura e Scrittura in quanto entrambe procedono da Dio - ma non si può dubitare dei risultati scientifici, mentre non siamo completamente sicuri dell’ispirazione di chi ha composto le Scritture. Dobbiamo perciò considerare gli ambiti distinti e approfondire le ricerche sui luoghi più problematici del testo biblico. Tuttavia in altri luoghi cerca di spiegare il famoso passo in cui Giosuè “fa fermare” il Sole in base alla teoria copernicana, contraddicendo la tesi della separazione della teologia-interpretazione della Scrittura dalla filosofia naturale.
Ma il Concilio di Trento aveva vietato di contraddire il principio di autorità sull’interpretazione delle Scritture: si poteva abbracciare, cioè, la dottrina copernicana come un’ipotesi che permetteva di spiegare meglio i fenomeni, ma non accettarla come spiegazione definitiva. Ma Galileo non pensa alle tesi copernicane come ipotesi, ma con grande realismo: i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile.
La matematica in quest’ottica è la struttura oggettiva della
realtà.
La filosofia è scritta nel libro dell’universo in una lingua
matematica. Nelle matematiche si può raggiungere un
intelletto pari a quello di Dio - ciò non extensive, cioè per
tutti i corpi, ma intensive. Cioè, possiamo cogliere le
essenze con assoluta certezza.
Il concetto di materia implica una relazione spaziale con altri corpi. Le qualità della materia non sono corpi, ma nomi. Le qualità sensibili sono, cioè, completamente soggettive. Per esempio, non è che il calore risegga nella materia, ma è una affezione prodotta dal contatto di “una moltitudine di corpicelli” che sono gli atomi, atomi realmente indivisibili. Questa è una specie di reference democritea che mette in discussione l’idea stessa di transustanziazione per l’Eucaristia - il corpo e il sangue sarebbero solo nomi. E sappiamo tutti cosa succede quando affermi che lì non c’è realmente il corpo e il sangue di Cristo: un finimondo.
Nel dialogo Salviati - portavoce di Galileo - loda chi sa anteporre il discorso (il ragionamento) alle sensate esperienze (l’esperienza sensibile). È necessario cioè per lo studio della realtà fare uso in primo luogo dell’astrazione. Bisogna difalcare gli impedimenti della materia. L’esperimento è introdotto solo dopo che la dimostrazione è stata compiuta empiricamente.
In Aristotele c’era un nesso necessario tra i due: alcuni sono mobili, altri no, fin dall’inizio. I moti “violenti” hanno bisogno di una causa esterna; i corpi celesti eterni si muovono invece solo di moto circolare. Movimento è anche l’alterazione delle qualità di un corpo, generazione e corruzione.
Galileo separa l’idea di movimento da quella di mutamento. Quiete e movimento sono entrambi stati persistenti dei corpi, e il moto richiede sì una causa, ma tanto quanto la quiete. Non è necessario un motore che inizi il movimento e lo conservi: Galileo intuisce che esiste qualcosa di simile all’inerzia, un’inerzia circolare e non rettilinea; i primi a sostenere che il moto inerziale deve essere rettilineo saranno Gassendi e Cartesio, poi Newton associerà l’inerzia alla quantità di materia, cioè alla massa.
È d’accordo però con Aristotele sulla distinzione tra movimenti
violenti e circolari, con i secondi che sono più naturali e
ordinati, mentre i primi implicano disordine; è impossibile il moto
rettilineo infinito.
Galileo è convinto che il cosmo sia ordinato da un’intelligenza sublime
che si è basata sulla figura perfetta del cerchio.
Caratteri fondanti del pensiero di Cartesio:
Ha dei sogni nel 1619. Importante l’incontro con lo scienziato Isaac Beeckman, da cui trae un’impostazione che tende all’applicazione della matematica alla fisica.
Vengono redatte tra il 1625 e il 1629. Contengono il principio fondamentale della sua filosofia, la base del metodo: la filosofia e la scienza devono concentrarsi in primo luogo sulla mente dell’uomo. La conoscenza è il più importante problema filosofico.
La matematica è il modello di un sapere certo su cui fondare il criterio del vero e del falso. In questo senso essa non è solo il modello delle scienze fisiche, come voleva Galileo, ma di ogni scienza. Bisogna cioè estrapolare dalla matematica e universalizzare delle regole metodologiche che permettono di cogliere il vero.
Nelle Regole Cartesio afferma che esistono due strumenti di conoscenza: intuito e deduzione. Con l’intuito la mente coglie le nature semplici senza bisogno di alcun ragionamento. Le nature semplici sono nozioni innate della mente, come estensione, figura, movimento, per i corpi fisici, e cognizione, dubbio, volontà, rispetto alla mente. Vanno considerate nature semplici anche i principi logici basilari.
Cartesio non pubblicò mai queste Regole, e il manoscritto venne ritrovato solo alla sua morte.
Probabilmente, Cartesio abbandona le Regole a causa di una crisi, che lo porta a rivalutare il ruolo della matematica come scienza umana centrale. In alcune lettere al suo amico Marin Mersenne scrive infatti che le verità matematiche non solo tali di per sé, ma sono state create e dipendono da Dio. Potrebbero non sussistere se Dio non le avesse volute.
La matematica non è più il luogo della verità, viene a cadere questo dogma platonico, ma fondativo di tutta la filosofia precedente: nessuno aveva mai pensato che le verità matematiche potessero essere diverse da come sono.
Ammettere che esistono verità che non dipendono da Dio significa limitare la potenza divina, e questo non si può fare. Bisognerà quindi indagare meglio il rapporto tra l’individuo e la conoscenza, senza dare assolutamente niente per certo. Su queste basi Cartesio intraprenderà l’opera di completa rifondazione del suo pensiero.
Nella prima metà degli anni Trenta, Cartesio si dedica alla fisica,
esponendo i suoi studi nell’opera Il Mondo, o Trattato sulla
luce: nella composizione è guidato dalla convinzione che tutto
l’universo possa essere spiegato a partire dal movimento delle
particelle che compongono la luce; si possono ridurre,
cioè, tutti i fenomeni fisici a movimenti di materia.
Si vuole spiegare tutto l’universo in modo sistematico.
L’ultima parte del Mondo verrà separata e pubblicata nel 1664
con il titolo L’Uomo.
Nel Mondo Cartesio non si accontenta, come Galileo, di constatare che il libro della natura è scritto in caratteri matematici, ma bisogna capire perché i corpi possano muoversi in questo modo, comprendere l’origine di questo movimento. L’indagine di Cartesio rispetto all’universo non si presenta quindi solo come una descrizione del presente, ma è soprattutto una ricerca storica delle origini dell’universo. Viene infranto il dogma secondo cui un universo ordinato necessita di un Dio demiurgico e architetto, di un’intelligenza ordinatrice. Cartesio sostiene che la materia abbia assunto la sua attuale disposizione spontaneamente, in maniera indipendente, senza nessun fine e in virtù di nessun ordine. Dio rimane il creatore della materia, e colui che gli ha dato il movimento, che ha fatto assumere alla materia determinate configurazioni.
Cartesio argomenta questa sua teoria a partire da due assunti di fondo della sua fisica:
In rapporto a quest’ultimo punto, le quattro cause aristoteliche vengono ridotte alla causa efficiente. Non c’è né una forma nè un fine. La fisica antica viene quindi superata. La fisica rinascimentale viene rivalutata come contaminata da elementi magici incompatibili con il rigore della nuova scienza.
La materia uguale in tutte le sue parti e sottoposta sempre alle
stesse leggi fondamentali. Viene formulato per la prima volta il
principio di inerzia, che postula la continuità indefinita del movimento
rettilineo e uniforme delle particelle.
Il Mondo comunque Cartesio non lo finisce.
Nel 1632 Galileo viene condannato e Cartesio sa che se continua ad avere idee così geniali farà la stessa fine o una fine peggiore, quindi capisce che deve proporre le sue idee in modo graduale e con attenzione.
Nel 1637 pubblica quindi il Discorso sul Metodo, come introduzione ai saggi scientifici e matematici Diottrica, Meteore e Geometria, in francese.
Il testo è diviso in sei parti.
La prima parte è autobiografica e narra dell’insofferenza di Cartesio verso il sapere sterile e nozionistico impiantatogli dai gesuiti quando era un adolescente. Nasce quindi in Cartesio il desiderio di sviluppare un fondamento unico per la scienza, anche a costo di rimettere in discussione tutti i risultati precedenti. Bisogna dunque stabilire un metodo certo che accompagni e sviluppi questa ricerca.
Il metodo si compone di quattro regole:
Cartesio non vuole essere costretto ad abiurare, né tantomeno essere bruciato sulla pubblica piazza come Bruno. Dopo aver capito i possibili effetti indesiderati (anche gravi, consultare il foglietto illustrativo) dell’applicazione del suo metodo, decide di specificare che questo “non può essere applicato alla religione e alla politica”.
Se infatti si devono accettare solo conoscenze indubitabili, assolutamente chiare e distinte, non si possono accettare le verità delle religioni, o le presunte verità della politica. Questo non può accadere, perché tutte le forme di potere potrebbero essere messe in discussione, quindi Cartesio limita il dominio del metodo con 3 regole, in attesa di chiarire, più avanti, anche le nozioni etiche.
In questo modo viene attenuata la vocazione rivoluzionaria del Discorso sul Metodo. Per scoprire cosa succede se si segue il metodo fino in fondo, vedi Spinoza.
C’è una esposizione sommaria della sua metafisica, che ritornerà nelle Meditazioni.
L’esposizione vuole essere un esempio delle possibilità e dei
risultati del metodo scientifico.
Il corpo umano viene spiegato in termini
meccanicistici, come una macchina capace di svolgere
delle funzioni in virtù della sua organizzazione. In
quest’ottica, l’anima non è necessaria per muoversi, nutrirsi,
riprodursi. Esiste, ma non influisce su questi processi.
Gli animali costituiscono un esempio di come funziona il corpo, in
quanto sono privi di pensiero cosciente e consapevole (dunque di anima),
eppure riescono ad espletare una serie di funzioni del tutto simili a
quelle umane. L’anima è cioè realmente distinta dal
corpo, e può sopravvivere anche senza di essa. Una
posizione che può essere pensata, in senso cristiano, come
concorde alla dottrina dell’immortalità dell’anima.
Il sapere scientifico ha una portata rivoluzionaria non solo per gli
specialisti, ma per l’intera umanità.
Riprendendo la visione baconiana, la scienza diventa il motore
del progresso umano. Tutto può essere spiegato in termini
scientifici, cioè matematici, e l’umanità ha il compito di indagarli
attraverso la scienza.
Questa non ha inoltre una funzione speculativa, ma la funzione
eminentemente pratica di migliorare e “aumentare la potenza” della vita
degli uomini, “superando” i limiti della debolezza impostagli dalla
natura.
Nel 1639 Cartesio inizia la scrittura delle Meditazioni metafisiche o di filosofia prima, mosso dal desiderio di chiarire l’esposizione metafisica della Quarta parte del Discorso sul metodo. È un testo scritto in latino, in prima persona.
Cartesio “ripensa”, ripropone il “genere metafisico” in una forma del tutto nuova: non si preoccupa di segnare una continuità o discontinuità con gli scolastici, o volendo con Aristotele, ma cerca un sapere talmente evidente da non poter essere messo in dubbio.
La questione principale da definire non è neanche quale sia l’oggetto della metafisica, dato che questa parte necessariamente dal soggetto. La metafisica è scienza delle capacità conoscitive umane, in cui si stabiliscono i principi di ogni conoscenza vera.
La Meditazione è rivoluzionaria nella forma e anche nel contenuto. La meditazione si caratterizza infatti come un percorso personale di superamento di ogni dubbio, in una esperienza non priva di irregolarità, imprevisti.
Cosa è veramente certo? Nulla. Su cosa possiamo completamente non avere dubbi? Nulla. Tutto è suscettibile di essere messo in dubbio. Applichiamo alla lettera la seconda regola del metodo.
Nulla sembra poter sfuggire al dubbio: in primis le conoscenze sensibili. I sensi ci ingannano e non sono affidabili, ci ingannano non solo sulle qualità delle cose, ma anche sulla loro esistenza effettiva. I sogni sono il caso paradigmatico che ci fa capire questa cosa: i nostri sensi sono attivi e pensiamo di toccare cose che non esistono, incontriamo persone che non esistono, eccetera.
I sensi non potranno mai darci alcuna certezza.
C’è però la matematica a fornirci verità solide e indubitabili, un triangolo anche in sogno avrà tre lati. Le nature semplici delle cose sono accessibili, forme a priori intrascendibili e indubitabili.
Ma la crisi del 1630 obbliga a preservare l’onnipotenza di Dio, relegando la matematica a un rango inferiore, non fondante. La matematica non può fondare in modo autonomo.
Cartesio sostiene che la verità del nostro pensiero non potrà essere stabilita con certezza finché non sapremo chi ci ha creato e ci ha dato la facoltà di concepire pensieri evidenti. Infatti se fossimo stati creati da un Dio ingannatore, le nostre “verità” non sarebbero tali, ma prodotti dell’immaginazione.
L’ipotesi del Dio ingannatore:
Per il motivo 3, tutte le Meditazione provano a confutare questa ipotesi.
Altro spettro che aleggia sulla possibilità di avere conoscenze certe è il genio maligno: fino a che non troviamo un principio della conoscenza certa, non potremo escludere che tutte le nostre percezioni sono prodotti ad arte per ingannarci.
Il fondamento dell’esperienza viene trovato nel cogito - il fatto di pensare è una verità indubitabile e un’esperienza vissuta necessariamente in prima persona (io penso). Per ingannarmi, devo poter pensare. Quindi penso e questo è certo.
Il pensiero è segno dell’essere, il punto di accesso alla realtà.
Il cogito così inteso è il primo principio della metafisica. Prima del cogito non può esserci nulla, perché per conoscerla, devo esistere e pensarla. Chi dubita del pensiero, sta pensando.
Obiettivo: dimostrare che Dio esiste e ci ha dotato di una mente adatta a concepire verità evidenti su se stessa e sul mondo.
Problema del cogito: non mi dice nulla su ciò che è sta fuori di me.
È contemplata, cioè, nel cogito, la possibilità del
solipsismo.
Come facciamo a essere certi anche di ciò che è fuori di noi?
Per dimostrare l’esistenza di Dio, Non possiamo usare la possibilità di Anselmo, perché questa presuppone che la nostra mente possa ragionare su qualcosa che non sia la mente stessa.
La mente umana è capace di concepire le idee, che sono rappresentazioni mentali di oggetti. L’idea rappresenta qualcosa, cioè ci dà l’immagine di un oggetto diverso da noi.
Le idee possono essere:
Ma visto che non sappiamo ancora nulla del mondo fuori di noi, non possiamo classificare le idee in questo modo, cioè da come ci arrivano. Dobbiamo trovare un altro criterio che ci permetta di trovare idee che rappresentano necessariamente qualcosa che esiste fuori di me.
Per fare ciò, dobbiamo distinguere tra realtà formale e realtà oggettiva dell’idea.
La realtà formale è l’idea considerata come ente del mondo, coè come modo di essere della mente. L’idea di albero, di Dio, di forbici sono tutti “stati mentali” (tra mille virgolette!), variazioni di stato della nostra mente.
La realtà oggettiva dell’idea è invece il suo contenuto rappresentativo, cioè ciò che descrive l’oggetto a cui essa si riferisce.
Tra l’idea accessibili alla mente c’è anche quella di Dio, che ha
anche una realtà oggettiva, ossia rappresenta qualcosa, un certo
ente.
Secondo Cartesio questo contenuto non può essere prodotto autonomamente
dalla mente umana (non può essere un’idea fittizia) nè provenire
dall’esterno (idea avventizia).
Questo perché quanto a realtà oggettiva, l’idea di Dio eccede ogni altra idea.
Diò è dotato di infinite perfezioni: infinitamente potente, saggio, ecc.. La mente umana è invece finita e non può rappresentarsi da sé qualcosa che supera il suo grado di esistenza. (no idea fittizia). Per lo stesso motivo non può esserre un’idea avventizia.
Può essere quindi solo innata. L’idea di Dio è innata.
Questa idea deve anche avere una causa adeguata, ciò una causa che abbia un “grado d’esser” sufficiente a produrre quest’idea. L’idea di un Dio infinitamente buono e potente ci può essere stata data solo da un Dio infinitamente buono e potente. In questo modo risolviamo la faccenda del Dio ingannatore - Dio non può essere un ingannatore perché è perfettissimo, quindi buono, quindi non ci inganna.
Per questo motivo l’uomo non si inganna quando dà il suo assenso alle proposizioni della matematica.
Obiettivo: rispondere alla domanda Se siamo creature di un Dio che non ci inganna, perché allora a volte ci inganniamo? L’errore umano è compatibile con un Dio perfettissimo? Perché c’è il male nel mondo?
Cartesio recupera Agostino è afferma che il male è derivato da un cattivo uso della ragione umana. Quando l’uomo dà il suo assenso a proposizioni non evidenti, cade in errore. La garanzia di Dio vale solo per la verità.
L’esperienza conoscitiva è infatti fondata sulla libertà di dare il proprio assenso. L’assenso sorge spontaneamente nel caso dell’evidenza. Dio ci ha dato cioè una capacità conoscitiva perfetta, che però sta a noi usare bene.
La libertà dell’uomo (in generale) è infinitamente, un potere assoluto di dire di sì o di no di fronte a una percezione che si presenta nella mente. Dio ci ha dato l’unica libertà che si può concepire, elevandoci a lui.
Le ultime due meditazioni rispondono ai 4 problemi fondamentali della metafisica cartesiana:
Questi quesiti erano estranei al dibattito metafisico medievale, che cercava di definire la categoria di sostanza e le sostanze spirituali (Dio e l’anima).
Secondo Cartesio, la metafisica ha il compito di fondare la
scienza (umana). In questo senso, si può affermare che
la metafisica cartesiana è una epistemologia. La
scienza umana così individuata e fondata secondo i presupposti che
andremo a esporre si divide in fisica (scienza della
natura) e scienza dell’uomo.
Il Dio dimostrato dalla metafisica non è un Dio
misericordioso a cui rivolgersi in preghiera, ma semplicemente il
garante della scienza e del sapere. Alcune questioni,
come l’immortalità dell’anima, non sono oggetto di scienza, ma solo di
fede, in quanto dipendono esclusivamente dalla volontà di Dio.
La scienza della natura è anzitutto scienza dei corpi. A questo punto la metafisica deve stabilire:
I corpi sono riconducibili a enti matematici. L’essenza della materia
è l’estensione. Ma come arriviamo a questa idea? Perché la
mente umana è portata a concepire facilmente lo spazio geometrico? Il
percorso seguito è lo stesso della II Meditazione, quella sull’idea di
Dio.
Dell’estensione non si può avere né un’idea
artificiale, dato che le nozioni geometriche si impongono al
nostro intelletto con necessità, nè un’idea avventizia,
cioè proveniente dalle cose fuori di noi, perché possiamo immaginarci
alcune figure geometriche (e spazi geometrici) che non esistono in
natura (es. mio: geometrie non euclidee). Ne consegue che l’idea
dello spazio geometrico può solo essere innata.
Emerge così la concezione innatistica della matematica di Cartesio, di stampo platonico. Inoltre, se la materia è una estensione spaziale di cui tutti i corpi sono parte, essa non necessita di nessuna forma, che le dia una compiutezza o, appunto, una forma . La forma è inutile. Le diverse configurazioni della materia dipendono soltanto dal movimento, effetto del potere creativo di Dio.
Quindi, la natura è interpretabile matematicamente. Questo è possibile:
Rimangono ancora due domande:
Ci occupiamo della prima questione, che era rimasta appesa dalla I Meditazione. Dobbiamo dimostrare con certezza che il mondo esiste. Non possiamo accontentarci di una probabilità. Bisogna dimostrare che il mondo materiale esiste, e allora facciamolo.
Anzitutto occorre distinguere due facoltà
conoscitive: l’intelletto e
l’immaginazione.
L’intelletto ci permette di avere un’idea chiara e
distinta della materia, di conoscerne l’essenza: cioè
che si identifica con lo spazio geometrico - ma non ci dice nulla sulla
sua effettiva esistenza.
La conoscenza intellettuale è a priori, oltre che innata, è
cioè totalmente indipendente dall’esperienza, e non ci mette in contatto
con i corpi.
Dall’intelletto si passa all’immaginazione, la facoltà di formare delle rappresentazioni mentali, diciamo grafiche. Questa facoltà ha però dei limiti evidenti: non possiamo formarci rappresentazioni, per esempio, di un poligono di mille lati. Emerge cioè l’idea che la facoltà immaginativa abbia qualche limite fisico.
Nel proseguire l’indagine dobbiamo quindi rivolgerci alle
facoltà sensibili.
I sensi, in quanto parte della natura dell’uomo, creata da Dio,
devono avere una funzione. Se ci inganniamo è perché li
utlizziamo in modo scorretto, cioè per conoscere l’essenza delle cose
materiali, che è invece competenza del solo intelletto.
I sensi invece sono molto importanti: ci
permettono in primo luogo di essere in contatto con il mondo dei corpi e
con il nostro corpo in particolare; e attraverso le sensazioni,
ci orientano nella vita di tutti i giorni. Permettono di distinguere ciò
che è utile e ciò che è dannoso.
Grazie ai sensi L’io scopre così di non essere soltanto una mente, ma di essere legato a qualcosa di materiale, che può anche essere passivo . Dio ci ingannerebbe se non facesse corrispondesse alle nostre sensazioni corporee le giuste esperienze mentali.
Nella II meditazione, Cartesio aveva definito la mente una cosa che pensa, senza chiarire la relazione con il corpo.
La mente è il corpo sono realmente distinti, sono due res diverse: res cogitans, cui appartengono le sostanze dotate di estensione e res extensa, cui appartengono le sostanze pensati, ognuna dotata di una individualità coscienziale.
Si dà il caso secondo Cartesio che noi abbiamo idee chiare e distinte, ma anche molto nettamente separate, della mente e del corpo. Dio ci ingannerebbe se ci facesse sentire così, cioè due sostanze che possono esistere indipendentemente, mentre in realtà avrebbe creato una sostanza unica. Dio non ci inganna. Corpo e mente sono separati.
Anche se sono separate, le due sostanze sono tuttavia strettamente unite. L’unione tra mente e corpo che si dà nell’uomo è incontrovertibile, quindi non ha senso metterla in discussione. L’interazione tra le due parti avviene tramite il cervello, in particolare attraverso la ghiandola pineale, che è la sede dell’anima. Infatti l’anima non deve essere in contatto con tutto il corpo (come pensavano gli antichi: l’anima è la forma del corpo, quindi è più o meno diffusa in ogni sua parte (vedi Aristotele, Stoici), ma le due parti entrano in contatto appunto nella ghiandola pineale.
Si tratta di un Q&A tra Cartesio e i più grandi filosofi del Seicento. Mersenne aveva fatto avere il manoscritto dell’opera a Caterus, un prete belga, Hobbes e Gassendi, e ad Arnauld, un teologo giansenista, oltre che, dalla seconda edizione, a Bourdin. Lui stesso scrisse delle obiezioni. Tutto questo dialogo intellettuale ha consegnato ai posteri un sacco di materiale.
Caterus: Dio non può essere causa della presenza dell’idea di lui in noi solo per il suo contenuto rappresentativo. Le idee infatti non sono qualcosa di reale e non hanno bisogno di alcuna causa. L’idea non aggiunge nulla al pensiero e non modifica la realtà della mente. Per dimostrare che Dio esiste bisogna partire da qualcosa di realmente esistente - impostazione tomistica.
Cartesio: La prova dell’esistenza di Dio a partire dalla sua idea i noi è vantaggiosa in quanto è l’unica che dimostra non l’esistenza di un dio generico, ma quella di un essere infinitamente perfetto. Partendo dalla prove tomistiche “concrete”; potremo dimostrare solo l’esistenza di Dio in generale.
Le Meditazioni non riescono a dimostrare una volta per tutte l’immortalità dell’anima, cioè non riescono a specificare in modo adeguato la relazione tra anima e corpo. Il cogito fonda la conoscenza umana, ma non dice che la mente è soltanto pensiero e che la materia non possa esprimere una mente pensante. Un pensiero può determinarsi come una configurazione del cervello? Dio, essendo onnipotente, non potrebbe aver prodotto una materia cui è possibile pensare?
Non è il cogito di per sé a dimostrare la reale distinzione tra anima e corpo - ciò sarà possibile solo nella IV Meditazione, dopo aver spiegato la veracità di Dio.
Propone allora una definizione chiara di pensiero e una chiara di
idea.
Il pensiero è la coscienza delle proprie percezioni. Le idee sono i
contenuti delle nostre esperienze delle cose - compresi stati d’animo,
volontà e passioni.
Il pensiero è accessibile attraverso il cogito, il corpo attraverso l’estensione spaziale.
Quindi il corpo è solo estensione spaziale - a cui abbiamo accesso attraverso il cogito - si tratta di sostanza diverse e incompatibili tra loro che neppure Dio potrebbe fondere, perché ciò sarebbe contraddittorio con le idee chiare e distinte che di esse ci ha dato.
Cartesio vs* materialismo seicentesco*
Hobbes attacca:
cioè
Cartesio e Hobbes partono da due posizioni opposte; per il primo, il cogito è il dato di partenza e l’unico punto certo; per il secondo, la materia è il sostrato di ogni oggetto esistente.
Cartesio e religione cristiana.
Le Meditazioni possono fornire un fondamento a:
Pone il problema della transustanziazione in relazione alla distinzione cartesiana tra qualità oggettive e qualità soggettive. Se la materia è solo estensione spaziale, e tutto ciò che crediamo di percepire con i sensi è illusione, la transustanziazione sembra diventare impossibile.
Cartesio risponde che il miracolo consiste nel tramutare l’estensione di cui sono fatti il pane e il vino in quella del corpo di Crisi, ma lasciando inalterato l’effetto per l’osservatore umano, che percepirà sempre lo stesso pane e lo stesso vino. In questo mondo si guadagna un posto nell’indice dei libri proibiti fino al 1966.
Cartesio e atomismo, corporeità dell’anima, origine sensibile delle conoscenze.
Pensiero ispirato all’epicureismo antico.
Se l’anima non è corpo, e gli animali non hanno anima, com’è possibile che abbiano una forma di sensibilità?
Come possono anima e corpo essere unite, se non hanno nulla in comune? Come possono incontrarsi? La mente per incontrarsi con il corpo deve essere in un luogo.
I Principi di filosofia sono un’esposizione scolastica e trattatistica del suo pensiero.
Sono divisi in quattro parti:
Metafora della filosofia come albero:
Il fine ultimo della filosofia è di proporre dottrine meccaniche e morali in grado di far progredire il mondo. Meccanica e medicina hanno limite pratico legato alla complessità del reale. In ogni caso con Cartesio nasce la scienza moderna, in cui convergono scienza, tecnica e medicina.
Cartesio invece non arriverà mai a una morale scientifica. La morale non ha a che vedere solo con oggetti perfettamente comprensibili, ma anche con l’uomo, inteso come unione di un o sensibile e di una materia organizzata.
La passione è il momento fondamentale dell’interazione tra mente e corpo - inizia a indagarla a partire dal 1643. Il risultato di questa ricerca è il Trattato sulle passioni dell’anima, pubblicato nel 1649.
Parlerà delle passioni, dice in una lettera, come un fisico, cioè non biasimarle o lodarle, ma per spiegarle. Le passioni vengono intese come fenomeni naturali che possono essere considerati attraverso le idee chiare e distinte del corpo e della mente.
La passione è un fatto psicofisico, così articolato.
A questo punto, sia la mente che il corpo reagiscono contemporaneamente allo stimolo. La mente ha la percezione “rappresentativa” dell’oggetto che le si presenta; il cervello codifica l’immagine assumendo una certa configurazione fisica. La percezione non è ancora passione in quanto tale - ha solo una valore conoscitivo.
La prima passione che articoliamo è la meraviglia, cui fanno seguito amore oppure odio, oppure paura. Paura si ha quando la ghiandola pineale determina un flusso di spiriti animali verso il cuore.
Le passioni si dividono in passioni primitive e
passioni composte
Quelle primitive sono amore, odio, desiderio, meraviglia, gioia,
tristezza. Quelle composte sono prodotte per composizione da queste.
Quelle composte sono prodotte per composizione da queste.
Le passioni dell’anima non hanno un elenco di norme morali - la morale è una sfida che riguarda ogni singolo essere umano.
I seguaci di Cartesio tendono a sviluppare solo alcune parti della sua produzione filosofica, tra l’altro in direzioni diverse, facendo perdere l’unità del suo sistema di pensiero. Dalle Province Unite, luogo preferito da Cartesio, il suo pensiero viene recepito in modi diversi: in Francia, Svizzera e negli Stati Tedeschi avverrà più facilmente. In Inghilterra arriverà con delle mediazioni e contaminazioni, in Italia sarà più complicato dagli interventi dell’Inquisizione. L’Olanda invece fu il terreno più fertile per lo sviluppo delle sue idee: la (relativa) libertà di espressione, la presenza di una consistente comunità francofona (Ugonotti francesi espulsi nel 1685 e una cultura volta al commercio e agli usi pratici e tecnici della scienza (anche questi parte della cultura protestante).
Il primo continuatore del pensiero di Cartesio è Henricus Regius (1598-1679) un medico e scienziato, affascinato dalla concezione cartesiana del corpo come macchina materiale. La sua è la prima interpretazione completamente materialistica del pensiero di Cartesio: se i meccanismi fisici hanno un fondamento puramente materiale, non c’è bisogno di ricorrere a entità spirituali per spiegare i fenomeni naturali. La fisica cartesiana si rende autonoma dalla metafisica. La mente è un principio interno corporeo. Dio è escluso dalla rcierca filosofica in quanto ente sovrannaturale.
Le sue tesi sono esposti nel 1646 nei Fondamenti della fisica. Nel 1648 Cartesio risponde con le Note su un certo programma, in cui si dissocia completamente e critica pesantemente l’allievo.
I cartesiani delle Province Unite rivolgono tutta la loro attenzione alla metafisica e a Dio, iniziando un discorso che sostanzialmente si concluderà con Spinoza. Il loro obiettivo è costruire una nuova teologia spiritualistica fondata sulla teologia cartesiana. C’è il tentativo di conciliare il pensiero di Cartesio con quello biblico. Il libro più importante prodotto da questo orientamento è la Filosofia interprete della Sacra Scrittura di Lodewijk Meyer(1666), oltre al Trattato Teologico-Politico di Spinoza (1670).
Il pensiero di Cartesio gode di grande popolarità nelle università, in particolare in quelle di Teologia. I più importantirappresentati di questa corrente sono Frans Burman (1628-1679) e Christoff Wittich (1625-1687). Sostengono gli aspetti del pensiero di Cartesio che più si prestano ad rinforzare la teologia calvinista. Dio è una potenza creatrice delle verità eterne, e il ruolo della libertà umana è molto ridimensionato.
Cartesio associava la logica al mondo aristotelico, e non gli diede
nessuno sviluppo specifico. Gli avversari del cartesianismo
consideravano la mancanza di una nuova logica un grave difetto
all’interno del pensiero di Cartesio, mentre i cartesiani sentivano
invece la mancanza di un apparato logico forte per sostenere la loro
impalcatura filosofica.
In questo contesto, nel 1654 Johannes Clauberg, uno dei primi cartesiani
tedeschi, pubblica Logica antica e moderna, un testo eclettico
in cui riunisce elementi scolastici con altri di origine cartesiana.
Prendere in considerazione l’aspetto mentale delle proposizioni. Un’arte di pensare Opera divisa in quattro