Dal 1755-1770: fase scettica del periodo pre-critico - (scettica nei confronti del dogmatismo)
Appercezione: percezione di stare percependo. Atto riflessivo. Ne sono dotati i corpi umani. Le menti umane hanno numerose percezioni che non vengono appercepite.
Armonia prestabilita: l’esempio è quello di due orologi che sono sincronizzati senza bisogno di alcun intervento, sono perfetti perché sono fatti da un orologiaio perfetto. Non c’è una correlazione causale tra la sincronia - c’è un rapporto armonico che non prevede nessuna correlazione. L’ordine delle cause del mondo fisico è perfettamente armonizzato con l’ordine delle cause del mondo mentale. Tutte le connessioni che leggiamo in termini di causalità sono in realtà sviluppi di un unico ordine pre-determinato da Dio.
Compatibilismo: il determinismo non comporta la necessità degli eventi.
Dio: Dio è l’opposto del Dio volontarista di
Cartesio o del Dio occasionalista di Malebranche, è un Dio che incarna
le leggi della logica. Dio sceglie il mondo migliore possibile, è buono
dunque è moralmente necessitato a scegliere il migliore dei mondi
possibili. Dio ha scelto, prima ancora che secondo una necessità
geometrica, ha una razionalità architettonica morale
che ha come fine intrinseco l’armonia.
Obiettivo di Dio, cioè, è la massima varietà possibile nel massimo
ordine possibile.
Esempio del mulino: la percezione è inesplicabile mediante movimenti meccanici. La ragione della percezione va cercata nella sostanza semplice, cioè nel composto, e non nella macchina. Il pensiero è qualcosa che non si può frammentare, che ha un punto di vista unitario.
Finalismo:
Libertà: la libertà è uno spazio intellettuale, qualcosa che la razionalità può influenzare. Agiamo in base a ragioni ma ragioni che sono incorporate in tendenze.
Monadi: una monade è vis rappresentativa. È un principio psichico, energetico, spirituale. Le monadi:
Materia: monade che ha una capacità appercettiva oscura.
Panpsichismo: ogni cosa è una sostanza individuale.
Percezione: la percezione è l’attività principale della monade, che raccoglie la molteplicità di ciò che percepisce nell’unità del suo punto prospettico.
Possibile: ciò che non implica contraddizione
Principio di ragion sufficiente: principio che afferma che c’è sempre una ragione fondante che determina una cosa a essere.
Principio di identità degli indiscernibili: ciò che è indiscernibile è anche identico.
Rappresentazione: l’attività percettiva della monade è un’attività rappresentativa, cioè riproduce i rapporti che legano le cose. Si possono classificare le monadi in base al grado di chiarezza delle loro percezioni:
Regno della natura e regno dei fini:
Teodicea: dottrina del diritto e della giustizia
di Dio.
Scrive i Saggi di Teodicea contro Pierre Bayle, che aveva
sostenuto l’impossibilità disupporre la bontà di Dio considerato il
male. Il male esiste perché l’uomo è libero, ma il male permesso da Dio
è destinato a essere compensato da un numero maggiore di beni
(ottimismo metafisico). Dio porta l’uomo alla felicità
“a lungo termine”, non facendo miracoli ma servendosi di
meccanismi.
Dio oltre a essere architetto e creatore è il fondatore di una comunità
di spiriti che è il Mondo morale o Regno della
grazia.
Il cristianesimo esprime delle verità morali presenti in tutte le
culture: si può essere giusti senza essere cristiani.
Universalismo. I cinesi possono essere morali.
Verità di fatto: il loro contrario è possibile,
rispondono al principio di ragion sufficiente. es. america scoperta nel
1492. Verità di ragione e verità di fatto sono ugualmente necessitate.
La contingenza è spostata al livello di Dio.
In generale, io sono determinato necessariamente ad agire come agisco
in questo mondo.
Verità di ragione: il loro contrario è impossibile, cioè non risponde al principi di non contraddizione e di identità. Sono necessarie in tutti i mondi possibili.
Studia diritto a Lipsia presso Jacob Thomasius.
La sostanza risponde a un criterio di concepibilità, cioè ai principi logici di:
Le meditationes de cognitione contengono la gerarchia delle percezioni.
Nel Discorso di metafisica del 1686 Leibniz introduce il
concetto di sostanza individuale, che è una sostanza onnimodo
determinata, cioè il cui concetto contiene tutte le determinazioni
dalle quali è possibile ricavare ogni qualità di quella sostanza. È
espressione di un concetto determinato in ogni sua parte ed è sempre un
particolare.
La sostanza individuale ha in sé tutte le ragioni del proprio
sviluppo.
La sostanza risponde a un criterio di concepibilità, cioè ai principi logici.
Le sostanze individuali sono in rapporti tra loro come punti di vista prospettici sull’universo. Le loro relazioni sono esteriori, non si influenzano tra di loro.
Le relazioni tra le sostanze sono modi di percepire le sostanze. Le sostanze individuali sono tra loro in armonia. Si accordano tra di loro non sulla base di interazioni meccaniche, ma sulla base di un finalismo voluto da Dio. (Armonia prestabilita).
Classificazione delle percezioni nelle Meditationes de Cognitione:
Fiducia dell’illuminismo nei confronti dell’umanità: gli esseri umani sono destinati (Beschtimmung) a migliorarsi, il loro destino è un innalzamento in cui trova realizzazione superiore la dignità degli uomini che sarà poi celebrata al massimo dalla filosofia kantiana.
L’illuminismo tedesco è strettamente legato al pietismo
Pietismo: il pietismo è un movimento religioso nato in seno al luteranesimo che vuole riportare all’origine, a una religione interiore. È una religione:
Tre personaggi chiave della cultura sono
Grazie ai contatti con il pietismo, l’illuminismo tedesco instaurerà un costante dibattito con la religione.
Tre fasi illuminismo tedesco:
Nel 1687 Christian Thomasius tiene la prima lezione in tedesco a Lipsia.
La filosofia rivendica una libertà di filosofare, cioè di pronunciarsi sui fondamenti razionali delle istituzioni statali, cioè dei principi elettori che esercitano una forte censura.
Nel 1694 viene fondata l’università di Halle.
Con Thomasius si apre una distinzione tra una filosofia di scuola, quella delle scolastiche del tempo di Cartesio e una filosofia mondana, cioè quella che porta ad una sapienza non certissima, ma che consente un orientamento pratico nella vita mondana. Una filosofia concreta.
Thomasius è autore di una Filosofia aulica; cioè una filosofia per la corte, cioè per il cortile, cioè per la sfera pubblica.
Thomasius avversa una filosofia metafisica e intellettualistica, intesa come sapere tecnico. Darà origina a una fitta scolastica che scrive manuali e opuscoli.
Thomasius avversa una logica intesa in senso aristotelico e come pensiero sistematico che trova gli stessi nessi nella logica e nell’ontologia.
Crusius, un seguace di Thomasius, contesterà l’idea che la filosofia e la matematica debbano procedere allo stesso modo.
La filosofia è intesa come una Weltassheit, una saggezza aperta al mondo, un sapere pragmatico volto a migliorare le condizioni dell’esistenza mondana.
1706: Wolff ottiene una cattedra ad Halle come matematico - gli verrà successivamente esta per poter insegnare anche logica e metafisica.
La filosofia di Thomasius manca di certezza, non va intesa come una filosofia “per la vita”; ma come una scienza.
La filosofia di Wolff è una grande sistematizzazione del pensiero leibniziano.
Wolff impiega un metodo scientifico in filosofia, che prevede:
Così facendo si ottiene una conoscenza filosofica, distinta da una conoscenza storica in quanto è in grado di cogliere in nessi fondanti, spiegando quali sono i nessi che determinano gli enti.
In questo senso la filosofia è scienza del possibile in quanto tale, ossia scienza delle ragioni sufficienti che sono a fondamento dell’esistenza degli enti.
La concepibilità di un ente significa mancanza di contraddizione.
L’esistenza degli enti è un complementum possibilitatis, dato dalla presenza di una ragione sufficiente che lo fa essere quello che è.
Una filosofia rigorosa* deve essere sistematica** e deve adottare un metodo matematico.
I nessi logici tra i pensieri corrispondono ai nessi ontologici tra gli enti. Concetto di connessione sistematica tra tutte le verità e tra i saperi.
La matematica è lo strumento del sapere ,perché meglio realizza l’applicazione del metodo.
Wolff ha una metafisica dualistica: ci sono sostanze semplici, le anime, e sostanze composte di parti semplici, che vanno supposte.
Argomento del cogitamus: argomento
simil-cartesiano di psicologia empirica, con cui Wolff giustifica
l’esistenza dell’uomo per via deduttiva, a partire dall’esperienza
empirica del pensiero.
Ognuno di noi è consapevole di esser perché pensa. Guardo
dentro di me e con il senso interno vedo che penso, quindi mi colgo come
essere pensante in un’esperienza empirica. Ho la coscienza di pensare, e
quindi (diversamente da Cartesio) sono sicuro che anche tutti gli altri
esseri pensano. Se posso pensare, l’ente che mi fa pensare deve essere
semplice, al fine di poter esercitare l’attività di pensiero.
Conubium rationis-experientia: le conoscenze devono essere verificate dall’esperienza. Se le conclusioni del ragionamento deduttivo violano l’esperienza, c’è un errore. La filosofia deve trovare il nesso che non posso trovare nell’esperienza. L’esperienza può confermare la validità di un procedimento razionale.
Tripartizione della filosofia:
Questa suddivisione sarà canonica fino ad Hegel.
Fa una monumentale opera di diffusione delle sue opere in latino - ma le aveva scritte e insegnate in tedesco, portando avanti un’istanza già sentita da Thomasius.
Dal 1713 al 1723 produce una quantità di Manuale.
1723: Wolff viene cacciato da Halle su richiesta dei pietisti. È accusato di:
Lessing, Mendehlsson, Jacobi hanno la concezione di una filosofia popolare, parlano in tedesco e costruiscono grandi sistemi di filosofia pratica. In questo senso instaurano un dialogo - nuovo in Germania - tra filosofia e religione.
Fino a che punto è ammissibile la componente positiva della religione? La religione positiva ha un valore essenzialmente morale (Tesi espressa nel Nathan di Lessing.
Idea dei tre anelli, delle tre religioni monoteistiche.
L’educazione del genere umano deve passare da un rischiaramento concettuale.
Dal 1755-1770: fase scettica del periodo pre-critico - (scettica nei confronti del dogmatismo)
Autonomia: capacità della ragion di determinare da sé la propria volontà. Appare per la prima volta nella Fondazione della metafisica dei costumi (1785). Il pensiero autonomo, una delle rivendicazioni maggiori dell’illuminismo, significa avere la ragione come unica pietra di paragone della verità delle proprie affermazioni. La nozione di autonomia **presuppone che la ragione sia libera, perché se non fosse libera non potrebbe determinare un bel niente.
Analitica dei principi: dottrina dei principi puri a priori dell’intelletto, in cui viene condotto attraverso le proprie regole alla costituzione dell’oggetto e arriva a conoscere quell’oggetto in modo oggettivo.
Analogie dell’esperienza:
Categorie: concetti puri dell’intelletto. Il concetto è una rappresentazione mediata che funziona come una regola, cioè determina la maniera con cui si guarda alle intuizioni.
Si dividono in
Categorie matematiche: spiegano la costituzione dei fenomeni
Categorie dinamiche: spiegano le relazioni tra i fenomeni
Cultura. Il produrre l’idoneità di un essere razionale a scopi arbitrari in genere, in conseguenza della sua libertà.
Organismo/ente organizzato/essere vivente: ha
una finalità interna. È oggetto di un giudizio
teleologico.
Orologio vs albero: natura intesa in senso meccanicistico vs natura
organizzata. (p. 159 appunti)
L’organismo ha una finalità interna, l’orologio
no.
Il bello:
Facoltà di giudizio: facoltà distinta da sensibilità e intelletto, che emette giudizi riflettenti
Finalità: la finalità è la forma a
priori della facoltà di giudizio, ed è un concetto della
ragione; non dell’intelletto. La finalità non afferma nulla della
natura, ma la interpreta e la “valuta”.
Visto che la finalità è una forma a priori della facoltà di giudizio, il
bello è trascendentale: è soggettivo ma
pretende universalità - mi fa pensare che come si
accordano le mie facoltà si devono accordare anche quelle degli
altri.
Giudizio determinante: giudizio conoscitivo, determino a priori la forma di quell’oggetto. Giudizio detto da Kant costitutivo in quanto procurano conoscenza. I giudizi determinanti sono dall’universale al particolare. L’universale è la categoria. Sono giudizi dell’intelletto (?)
Giudizio riflettente: giudizio non conoscitivo in cui rifletto su oggetti già dati. I giudizi riflettenti sono dal particolare all’universale. L’universale è la finalità. Il giudizio riflettente mi fa cogliere la finalità. È una finalità formale e soggettiva, cioè guardo solo alla forma dell’oggetto e riguarda solo il rapporto che la finalità ha con il soggetto conoscente.
Giudizio estetico: forma immediata di
giudizio riflettente, corrisponde al giudizio di
gusto ed è basata sul sentimento
(piacevole/spiacevole). Giudizio sul bello e sul
sublime. È un giudizio prodotto da un accordo
spontaneo tra immaginazione e
intelletto, ma diverso da ogni schema e
categoria.
Mi fa guardare a un oggetto e mi fa ritrovare in esso la corrispondenza
tra la cooperazione delle due facoltà e la forma di questo
oggetto.
Il giudizio di gusto non dipende dalle proprietà
dell’oggetto, ma dall’esperienza di una finalità
soggettiva, cioè esperita nel rapporto con l’oggetto e resa
possibile dal fatto che la finalità è una forma a priori, cioè che ho
una capacità acquisita con l’esperienza di coglierla.
Corrisponde ad una finalità soggettiva.
Giudizio di gusto: → vedi giudizio estetico
Giudizio teleologico: forma mediata di
giudizio riflettente che passa attraverso il
concetto. È un giudizio che riguarda conformità
a scopi degli oggetti della natura e della
natura intera. Corrisponde ad un’esperienza di
finalità oggettiva.
Il giudizio teleologico si adatta agli esseri viventi,
che sono prodotti organizzati, cioè irriducibili ad una
spiegazione meccanicistica. La natura in questa forma è concepita come
qualcosa che ha in sé in principi della propria attività.
Un essere organizzato:
Immaginazione: facoltà coinvolta nella
determinazione del tempo, produce di una serie di alternative
dell’oggetto contemplato nel giudizio riflettente.
L’intelletto poi la blocca perché riconosce
nell’oggetto una regolarità tale da essere perfettamente alle regole
dell’intelletto. L’immaginazione è libera nelle sue rappresentazioni,
fino a quando non si trova in accordo con l’intelletto.
Inoltre, è:
Libero gioco delle facoltà: accordo dell’intelletto e dell’immaginazione non normato dalle regole delle categorie - a quel punto non ho alcuna buona ragione per pretendere l’universalità, ma il giudizio sul bello la pretende comunque. L’intelletto riconosce una regolarità ma non ne è il legislatore.
Riflettere: significa interpretare un particolare dato, creato dall’intelletto con un →giudizio determinante. Rifletto su un oggetto già formato, già strutturato.
Sublime: esperienza che provoca un conflitto
interiore tra la mia natura sensibile e la mia natura intellegibile.
Forma di ritrovamento di un’armonia conflittuale tra due dimensioni del
soggetto.
Il sublime determina uno scontro tra le facoltà di immaginazione e
intelletto, perché contiene l’elemento dell’infinito, incomprensibile
all’immaginazione.
Sublime dinamico: sentimento di sgomento provocato dall’infinita potenza della natura.
Sublime matematico: sentimento di sgomento provocato dall’infinita grandezza della natura. L’uomo è umiliato di fronte alle grandezze matematiche.
Dal 1755 al 1770 parliamo di fase scettica del periodo pre-critico, scettica nei confronti dei dogmatici si intende.
Kant prende in esame la nozione leibniziana di forza viva, mettendola in rapporto con le leggi della fisica newtoniana (gravitazione, attrazione dei corpi). Viene contestata la tesi leibniziana per cui la sostanza metafisica è un principio psichico, immateriale fatto di punti di forza. Utilizzo della metafisica come principio esplicativo della fisica.
Contesta le metafisiche della tradizione wolffiana e di Thomasius.
In particolare, contesta:
La realtà è irriducibile al pensiero, ha un elemento di datità che il pensiero non può generare da sé.
Critica alla metafisica wolffiana:
l’esistenza effettiva è una posizione
assoluta, qualcosa di dato. Le deduzioni razionali non possono
farmi uscire dal concetto. Questa idea verrà ripresa nella Ragion
pura, con l’esempio dei cento talleri.
Esiste l’ambito del concetto, e poi l’ambito della realtà effettiva.
L’unico modo per conoscere la realtà effettiva è appellarsi alla
sensibilità.
Questo determina una differenza fondamentale tra filosofia e
matematica: la matematica costruisce i propri
oggetti, la filosofia ha a che fare con oggetti
dati.
La matematica, cioè, procede secondo un uso a priori della ragione,
mentre la filosofia ha sempre bisogno di un punto di partenza dato.
Non possiamo quindi, come i razionalisti, pensare che la filosofia debba essere costruita seguendo il modello della matematica.
Swedenborg aveva scritto un’opera che si chiamava Arcana Celestia, memorie di esperienze sensoriali.
I dogmatici razionalisti non procedono diversamente dai visionari - le entità di cui parlano non hanno datità reale.
La metafisica ha un doppio compito:
La metafisica va considerata dunque come scienza dei limiti della ragione umana, e questa richiama l’idea humiana di metafisica come scienza dei limtii dell’intelletto.
I punti fondamentali della Dissertazione sono 2:
I wolffiani consideravano la sensibilità come subordinata all’intelletto, una facoltà che procura rappresentazioni confuse e per questo va emendata. C’è una continuità nelle rappresentazioni, che vanno dalle più confuse alle più distinte. Hanno cioè una distinzione logica, che ha a che fare con la capacità di determinare un maggiore o minore numero di proprietà. Astraendo, si riescono a conoscere proprietà in modo più preciso, ottenendo una rappresentazione chiara.
Anche Baumgartner e Mayer erano su questa linea di chiara matrice leibniziana, ma nella loro Estetica avevano prospettato la possibilità di considerare la sensibilità come una facoltà capace di raggiungere delle perfezioni proprie e in autonomia - rinunciando, tuttavia, a qualsiasi pretesa conoscitiva.
Sensibilità e intelletto hanno infatti principi di utilizzo
propri, cioè una differenza genetica:
producono le loro rappresentazioni in modo diverso. In
particolare, la sensibilità è una facoltà ricettiva che
produce intuizioni, mentre l’intelletto è una facoltà
spontanea, cioè produce spontaneamente i propri
contenuti, i concetti.
La ricettività è diversa dalla passività nella misura
in cui è capace di accogliere un dato secondo delle forme a priori e di
elaborarlo. La sensibilità non è una tabula rasa o un foglio
bianco come in Locke, ma ha nella propria natura le forme a
priori, strutture che non derivano dall’esperienza con il quale
produce le proprie rappresentazioni.
Le intuizioni sono rappresentazioni immediate, mentre i concetti sono rappresentazioni mediate. La distinzione genetica è volta a sottolineare come si tratti di due facoltà che che hanno una natura diversa, principi di utilizzo paralleli, e producono rappresentazioni fondamentalmente diverse.
Nella Dissertazione del ’70, Kant distingue
conoscenza sensibile e intelletto:
nella conoscenza sensibile l’oggetto è conosciuto come appare, mentre
l’intelletto ha un uso reale, cioè consente di
conoscere l’oggetto come esso è, ossia come noumeno.
I principi validi della conoscenza sensibile non devono invadere il
dominio dell’intelletto.
Nella conoscenza sensibile l’oggetto è conosciuto come appare, come fenomeno, mentre l’intelletto ha un uso reale e consente di conoscere gli oggetti come sono. Questa tesi verrà abbandonata negli anni successivi alla Dissertazione e può essere interpretata come un retaggio di dogmatismo.
La seconda distinzione avanzata nella Dissertazione è quella tra forma e materia della rappresentazione: nel caso della sensibilità, la materia è la sensazione, mentre la forma è ciò che la contraddistingue come prodotto della ricettività, cioè le forme a priori di spazio e tempo.
Spazio e tempo sono intuizioni pure a priori . Non
sono concetti, perché non sono prodotti per astrazione, come voleva
Hobbes.
Sono intuizioni perché sono le forme della sensibilità,
sono pure perché non derivano dall’esperienza (cioè non
sono empiriche) e sono a priori perché costituiscono le
condizioni di possibilità della sensibilità.
Dopo questa distinzione fatta da Kant, sensibile ed empirico non sono
più sinonimi.
Quando l’intuizione pura informa la materia, ho un’intuizione empirica.
I concetti senza intuizioni sono ciechi, i concetti senza intuizioni sono vuoti: significa che la conoscenza è possibile solo attraverso una combinazione di sensibilità e intelletto.
Herdegard (?) accusa Kant di aver risuscitato una forma di innatismo leibniziano, che considerava le idee come disposizioni innate delle monadi. Kant replica spiegando che le forme a priori della sensibilità non sono acquisizioni innate, ma forme costitutive della soggettività che si attivano nel momento in cui il soggetto entra nel processo conoscitivo.
Affronta la questione dei giudizi sintetici a priori. L’oggettività delle scienze è possibile in quanto si fondano su giudizi sintetici a priori.
Kant li chiama ‘concetti’ anche se non si tratta di concetti ma di intuizioni, cioè rappresentazioni immediate.
Spazio e tempo sono intuizioni, cioè rappresentazioni immediate, perché non sono rappresentazioni che contengono le note comuni a più rappresentazioni di oggetti.
Gli spazi e i tempi dati sono concepibili sono come limitazioni
di uno spazio e di un tempo unitari che io presuppongo a fondamento
della rappresentazione degli oggetti.
All’interno di uno spazio unitario, io per limitazione suddivido i
diversi spazi e tempi che si danno nell’esperienza.
La collocazione spaziale non è una determinazione cui riesco a
giungere per via analitica.
Non posso arrivare allo spazio per astrazione, ma solo per
limitazione.
Alla fine dell’estetica trascendentale Kant definisce la propria filosofia un idealismo trascendentale. Le forme a priori, cioè, hanno una validità solo ideale in quanto sono delle rappresentazioni. Lo stesso vale per lo spazio e il tempo (idealismo trascendentale). Ma lo spazio e il tempo sono tuttavia reali nella mia esperienza. Le determinazioni che riconosco alle cose hanno una realtà empirica.
Idealismo trascendentale: le condizioni a priori della mia conoscenza considerate in quanto tali sono solo rappresentazioni, ma riferite agli oggetti dell’esperienza sono reali.
Ecco, in sintesi, i risultati dell’estetica trascendentale:
Perché occorre una logica trascendentale? Perché la logica
generale è una logica formale che si occupa della forma delle operazioni
dell’intelletto, descrive cioè la forma delle operazioni del pensiero.
La correttezza logica di un ragionamento prescinde dal contenuto del
ragionamento.
La logica trascendentale guarda invece anche al
contenuto a cui si rivolgono le operazioni della mente,
in quanto analizza le forme a priori che fanno sì che un oggetto diventi
un oggetto per me.
La logica trascendentale analizza la dotazione originaria della facoltà conoscitiva superiore, e quali strumenti impone.
La logica trascendentale è divisa in due parti:
L’analitica viene detta anche logica della verità, in quanto conduce a conoscenze oggettive. È divisa in due parti:
La dialettica viene detta anche logica della parvenza, in quanto mi porta a conoscenze che non sono effettivamente tali. L’ambito della ragione è l’ambito di un inganno, l’ambito della metafisica classica.
Tratta delle categorie, che sono i concetti puri dell’intelletto. I concetti sono frutto della spontaneità dell’intelletto, per questo motivo vengono dedotti, e non “esposti”.
La deduzione non è una deduzione logica, ma una deduzione giuridica, cioè la giustificazione di una pretesa, la pretesa che i concetti dell’intelletto siano solo 12, divise in quattro famiglie, di quantità, qualità, relazione e modalità.
Sono 12 perché la logica generale aveva diviso i giudizi in 12 tipi secondo questa scansione.
I concetti puri dell’intelletto funzionano come i giudizi, cioè sono funzioni di sintesi che mettono insieme un soggetto e un predicato secondo quantità, qualità, relazione e modalità. Giudizio e sintesi in base ai concetti puri sono entrambi procedimenti sintetici.
Se nell’applicare un giudizio unisco soggetti e predicati,
nell’applicare un concetto unisco intuizioni sensibili.
La materia è data dalle intuizioni, la
forma dai concetti puri.
Le categorie possono dunque essere pensate come delle
regole che mi dicono come sintetizzare delle
intuizioni della sensibilità.
Schema trascendentale: rappresentazione a priori
applicata dall’immaginazione che determina a priori il rapporto
temporale tra le intuizioni empiriche, secondo la regola delle
categorie.
Cioè, una regola che mi dice in che rapporto temporale devono stare le
diverse intuizioni per essere unificate sotto un particolare concetto.
Ad esempio: la permanenza è lo schema che esprime il
rapporto temporale tra le intuizioni empiriche a cui devo applicare la
categoria di sostanza; la successione
è lo schema che ordina temporalmente le intuizioni quando applico la
categoria di causalità; lo schema della
quantità è il numero. Lo schema della
qualità è il grado.
Principi puri dell’intelletto. A ogni famiglia delle categorie corrispondono dei principi puri.
Quantità: assiomi dell’intuizione. Tutte le intuizioni sono reali nella misura in cui hanno una quantità estensiva.
Qualità: anticipazioni della percezione. In tutti i fenomeni il reale che è oggetto della sensazione ha quantità intensiva, cioè un grado.
Relazione: analogie dell’esperienza. (Tutti i fenomeni sono tra loro in rapporti tali che posso derivare per analogia il terzo membro della serie a partire dal rapporto tra i primi due).
Modalità: postulati del pensiero empirico. Ogni oggetto dell’esperienza deve conformarsi alle condizioni materiali e alle condizioni formali dell’esperienza.
Obiettivo della dialettica è mostrare che quando la ragione procede avvicinandosi ai contenuti che produce con un atteggiamento speculativo, cade inevitabilmente in una illusione, una illusione trascendentale: si distingue dall’illusione dei sensi e delle fallacie logiche nel senso che è una parvenza inemendabile, cioè di fronte alla quale la ragione, pure se avvertita, ci crede sempre.
La dialettica trascendentale:
Critica alla metafisica classica. Le metafisiche
tradizionali nelle loro tre componenti si pretendono scienze certe, cioè
sedi di saperi oggettivi, universali e necessari.
Fine della dialettica è mostrare che dal momento che il sapere certo
oggetto della scienza deve necessariamente procedere a partire da
giudizi sintetici a priori, nel procedere metafisico questi giudizi
vengono stabiliti violando la regola che Kant aveva stabilito nella
deduzione trascendentale, cioè quella che limitava l’uso delle categorie
solo esclusivamente ai dati intuitivi, cioè il materiale della
sensibilità. Se non si riferiscono a questo materiale le categorie sono
concetti vuoti e non possono dirmi nulla sull’oggetto.
La parvenza trascendentale è inemendabile, diversamente dalle parvenze empiriche e logiche, che possono essere emendate. La ragione può cioè riconoscere l’errore ma non può risolverli.
Kant caratterizza la funzione della ragione in modo fortemente psicologico, cioè come qualcosa che non riesce a trattenersi dal provare ad affrontare alcuni problemi.
Viene data una legittimazione di tipo logico dell’incapacità della ragione di sottrarsi ai problemi che si è prodotta da sé stessa.
Se l’intelletto è la facoltà delle regole, la ragione la facoltà dei principi, intesi come cominciamento, come punto di partenza.
La ragione:
Se la sensibilità dispone di intuizioni, l’intelletto dispone dei concetti, regole di sintesi, la ragione dispone di idee, che sono rappresentazioni di totalità incondizionate.
Idee: sono rappresentazioni di totalità incondizionate che non lasciano fuori nulla che le condiziona e comprendono la totalità di tutti i reali e di tutti i possibili. L’idea non è una classe che comprende tutti i membri che appartengono a quella classe, non è una totalità specifica, ma una totalità che non ha nulla fuori di sé.
All’idea platonica Kant si richiama espressamente:
Da Platone, Kant non accetta la realtà ontologica dell’idea: le idee non sussistono autonomamente ma stanno nella mente negli uomini (concezione moderna dell’idea) in forma di rappresentazioni
Kant individua tre specie di idee:
A queste idee corrispondono le tre metafisiche speciali
Non possiamo conoscere queste idee dal momento che la ragione non è una facoltà che produce giudizi sintetici a priori a partire da intuizioni empiriche.
Le conoscenze della ragione, cioè, non hanno valore universale e necessario
Ne deduciamo che:
Ciascun ambito è ricondotto a un particolare tipo di sillogismo:
I metafisici pensano di poter avere una conoscenza dell’anima a causa del paralogismo dell’ambiguità del termine medio, in particolare del termine soggetto.
Le tre parti della Dialettica ci fanno vedere come gli stessi procedimenti dei metafisici (Wolff, Cartesio, Leibniz) fossero basati su giudizi sintetici a priori. Credevano che le loro conoscenze circa il cosmo, Dio e l’anima fossero assolutamente certe perché fondate su giudizi analitici, Kant svela che i loro giudizi sono in realtà sintetici, ma utilizzati in maniera inadeguata.
Nella metafisica speciale psicologica i metafisici arrivano a formulare delle tesi in merito alla natura dell’anima:
Il punto di partenza era il cogito,
l’intuizione immediata dell’essere pensanti, cioè del pensare. La
metafisica e la logica di Wolff iniziano con questa
affermazione - ognuno di noi è certo del fatto che pensa, e questo non
può essere in dubbio da nessuno che non voglia instaurare un dubbio
scettico.
Nella critica di Kant questo argomento di Wolff viene detto
argomento del cogitamus, perché se in Cartesio
avevamo un procedere individuale e soggettivo - un soggetto che afferma
delle cose rispetto a se stesso e poi le allarga per analogia - a rigor
di logica le affermazioni di Cartesio riguardano soltanto il
soggetto - di cui il problema del solipsismo ecc.
Wolff allarga la prospettiva ad una cornice intersoggettiva - ognuno di noi parte da questa prima certezza, quella del pensare, e da questa derivano del tutto a priori una scienza dell’anima: se io penso deve esserci in me qualcosa che ha la capacità di pensare (questo è un giudizio analitico), e se qualcosa ha la capacità di pensare, allora deve essere fatto in modo da poter essere soggetto di pensiero, cioè deve essere:
Queste sono le tesi di ogni metafisica psicologica, che Kant
raccoglie in una tavola, in una topica di ogni psicologia razionale.
Tutti i metafisici che parlano di anima convengono sulla validità di
queste 4 tesi - partono dall’intuizione immediata del pensiero arrivando
a dedurne analiticamente gli altri caratteri che abbiamo appena
visto.
Ma questi non sono giudizi analitici. Kant mostra che
tutte le volte che io predico la sostanzialità di qualcosa,
l’unità di qualcosa e così via sto pronunciando dei giudizi
sintetici. Queste sono tutte categorie, cose che non mi si
danno nell’esperienza, ma modi in cui io organizzo dei dati
empirici. Se mi mancano questi dati empirici, le regole di
sintesi non sintetizzano nulla e sono concetti
vuoti.
La tesi di Kant: le affermazioni della psicologia razionale non sono conoscenze universali e necessarie, perché manca il loro oggetto, che può essere solo dato nell’intuizione.
Nella fattispecie gli psicologi metafisici incappano in questo errore perché sono vittime di un paralogismo - un sillogismo sbagliato - viziato in particolare dal fatto di assumere un medesimo termine con significati diversi. Un’ambiguità del termine medio, che andrebbe eliso per passare dalla premessa maggiore alla conclusione. Il sillogismo funziona quando il termine medio è la funzione sotto la quale io ricomprendo il particolare della premessa minore sotto la regola della premessa minore. Ma se questo termine è ambiguo, il sillogismo è fallace.
L’esempio che si porta è quello del rombo: se io dico rombo, non
capisco se sto parlando della figura geometrica o del pesce.
Il termine medio che la psicologia fraintende è il termine
soggetto.
Premessa maggiore: ciò che non può essere pensato
diversamente che come soggetto, non esiste diversamente che come
soggetto, perciò è sostanza.
L’intuizione del cogito implica la possibilità
Premessa minore: Un essere pensante considerato
semplicemente come tale, non può essere pensato che come soggetto.
Non lo predico di altro, ma predico tutto di quell’essere
pensante.
Conclusione. Dunque esso esiste soltanto come tale, quindi come sostanza.
Il termine soggetto compare nella prima premessa, nella seconda premessa, ci conduce alla conclusione che lo identifica con la sostanza.
Ma se nella prima premessa il soggetto è il soggetto empirico. Come arrivo io all’intuizione del cogito con una intuizione empirica, con una introspezione, nella seconda il soggetto è il soggetto trascendentale, che non si dà nell’intuizione altrimenti diventerebbe fenomenico.
Quando concepisco fuori dall’intuizione l’Io penso, penso a qualcosa che deve accompagnare la mia rappresentazione come una rappresentazione logica, non come qualcosa che mi si dà nell’intuizione empirica.
Questa ambiguità vizia la forma di questo sillogismo, rendendolo un paralogismo. Posso legittimamente predicare la sostanzialità del soggetto empirico perché opero sulle percezioni empiriche. Unisco le percezioni secondo la regola dell’unità della categoria della sostanza. Posso cioè parlare del soggetto empirico come se fosse una sostanza.
Quando i metafisici predicavano l’unità, la sostanzialità ecc. non si riferivano certo al soggetto empirico. Questo è qualcosa che è necessariamente legato alle condizioni dell’esperienza, una quantità estensiva che io colgo estensivamente, connesso agli altri fenomeni in un rapporto di necessità. Quando i metafisici parlavano dell’anima come condizione ontologica distinta parlavano di un soggetto puro - ma ciò che è puro non è mai fenomeno.
Per questo motivo il loro procedere argomentativo viola le regole
della logica - anche della logica generale che loro assumevano a
garanzia della certezza dei loro ragionamenti.
L’idea di anima è una idea della ragione che non può avere un
corrispettivo fuori dal soggetto. Non c’è un oggetto a cui
questa idea può pretendere di applicarsi. Per questo motivo Kant
introduce sì una deduzione delle idee, ma non
una deduzione trascendentale. Nel caso delle idee la domanda
della deduzione è superflua, perché le idee per definizione non
pretendono di riferirsi alla realtà.
Kant vuole svelare la sede dell’illusione. Non è il tentativo di passare sotto lo schiacciasassi tutte le tesi dei metafisici, ma la necessità di mostrare come tutti i fenomeni sono incappati in queste illusioni, che sono inevitabili. In questo senso la critica serve da farmaco, serve a curare una patologia della ragione.
Idea del cosmo: porta alla formulazione di antinomie, cioè affermazioni contraddittorie rispetto alla quale la ragione non sa decidersi. La ragione è in una condizione di laceramento intellettuale.
Ci sono 4 tipi di antinomie, sulla base della suddivisione delle categorie
Queste antinomie riguardano una sotto la categoria della quantità, nella possibilità di concepire il mondo come un qualcosa, una serie di enti collegati.
La serie degli enti ha un inizio nello spazio e nel tempo, oppure è una serie che non ha un inizio nello spazio e nel tempo.
il mondo è composto di enti che possono essere ridotti alle loro parti semplici, oppure no. La scomposizione del mondo è senza fine.
Il concetto di composto include il concetto di parte, ma non include il concetto di semplice, quindi l’idea di non è un giudizio analitico, come pensano i metafisici razionalisti, ma un giudizio sintetico fallace.
Queste due prime antinomie sono mosse dalla stessa idea: ho a che
fare con una totalità chiusa. Se dico che il mondo ha
un inizio significa che c’è un limite, un punto di
partenza; oppure una totalità infinita
incondizionata perché essendo infinita non lascia nulla fuori
di sé.
Kant dice: nel primo caso ho il vero infinito, un
infinito chiuso; dall’altro ho un indefinito. Il punto
è che non c’è mai nulla che cade fuori dalla serie e possa
comprometterne la proprietà di essere una totalità incondizionata.
Le antinomìe matematiche sconfiggono la ragione.
Sono entrambe false: sia che io prenda la posizione delle tesi dei
razionalisti o dogmatici - il mondo è finito nello spazio e nel tempo,
la materia è scomponibile fino a un’unità semplice - sia che assuma la
posizione dell’antitesi - il mondo è infinito e scomponibile
all’infinito - posizione degli empiristi e degli scettici, dice Kant -
mi trovo ad affermare qualcosa circa un oggetto che non si dà
nell’intuizione.
Il mondo come totalità non si darà mai nell’intuizione,
perché questa esige sempre una condizione che non può essere
compresa all’interno della serie.
Nello studio dei fenomeni - e il mondo è la totalità dei fenomeni - io non posso mai illudermi di arrivare a un punto fermo, e non posso mai illudermi che il non arrivare a un punto fermo possa essere considerato il risultato dello studio di un oggetto che posso assumere come una totalità.
Nello studio dei fenomeni naturali io passo sempre da una causa a un effetto, e questo è il modo di procedere dell’intelletto, che non può mai pensare di arrivare a un punto in cui si rompe il rapporto di causalità / di condizionamento.
L’intelletto non può neanche percepire la totalità dei fenomeni come incondizionata. L’incondizionato è qualcosa che mi richiede sempre di uscire dal fenomeno. I fenomeni stanno sempre in una condizione necessaria con altri fenomeni. Nonostante la ragione si illuda e abbia delle buoni psicologiche per preferire la tesi o l’antitesi, questa deve essere consapevole che questo non è altro che il germe dell’illusione che si trova nella sua stessa natura.
Deve quindi tenere in una mano l’arma della critica, che le deve ricordare che tutte le volte che si illude di poter trovare un punto fermo nella totalità dei fenomeni si sta illudendo, si sta rendendo vittima di un vizio logico - applicare le categorie a qualcosa che non è fenomeno.
Tra le due prospettive - quella dei dogmatici dei razionalisti e
quella degli scettici - andrebbe preferita quella degli
scettici. Lo scetticismo è sì la morte della filosofia, ma è
una morte dolce della filosofia, una eutanasia. Ma gli
scettici si trasformano in dogmatici e in questo commettono un
errore.
Hume per esempio: la causalità è un modo per ordinare l’esperienza. Hume
poi però afferma che la sostanza, la causalità e le altre determinazioni
metafisiche che attribuiamo agli enti non esistono, cioè
non hanno una realtà empirica nei fenomeni.
Questo è ciò che Kant riesce a dire: in quanto tali sono mie
rappresentazioni, ma in quanto forme della mia
esperienza si danno realmente nel mondo: idealismo
trascendentale e realismo empirico. Hume era partito bene, mantenendosi
attaccato all’esperienza - poi però affermando la non sussistenza reale
delle categorie ha fatto un’affermazione metafisica: non esistono
sostanze.
Tesi e antitesi sono entrambe false, perché sono entrambi tentativi di predicare qualcosa del mondo come totalità incondizionata, cosa che nell’esperienza non si dà.
L’ambiguità in questo caso è costituita dal termine mondo: parliamo del mondo fenomenico o del mondo noumenico?
Nel mondo c’è una causalità libera, oppure
esiste solo la necessità incondizionata della natura.
Libertà significa la possibilità di iniziare nuove serie causali.
Secondo gli empiristi come Locke e Hume ci illudiamo da avere una
causalità libera ma anche il nostro agire è determinato da altri
elementi che hanno su di noi un potere causale.
Il mondo è una serie di contingenti con a capo un elemento necessario, oppure i contingenti possono seguire questa serie di dipendenza all’infinito (scettici).
La IV antinomia ci porta nelle braccia della teologia: l’essere necessario è un modo per parlare di Dio. L’essere necessario è un’idea della ragione - la ragione, che sta stretta nel mondo dei fenomeni e ha bisogno di andare oltre la pur fertile pianura dell’esperienza, ha bisogno di pensare che tutti questi fenomeni siano specificazioni di un’unica realtà, che Kant con un linguaggio un po’ immaginifico chiama il substratum dei fenomeni.
I fenomeni sono tutti contingenti: c’è bisogno di qualcosa da cui farli derivare. Dal punto di vista trascendentale significa necessità di poter pensare qualcosa che contiene tutte le possibilità dell’esperienza. Questa possibilità è Dio.
Per questo Kant dice che le religioni monoteistiche sono più conformi a ragione di quelle politeistiche - la ragione, nel tentativo di condurre all’unità, arriva all’unità. La ragione con le prove di Anselmo, Tommaso, ecc. presuppone sempre l’argomento ontologico: che Debba esistere qualcosa che renda la realtà quella che è. In termini trascendentali, che io debba considerare come condizione pura ciò che è, ciò che è dato.
La ragione antropomorfizza questa idea, che ha già trasformato in ideale, individualizzandola - ma già composta in un concetto completo (termini leibniziani) cioè una sostanza individuale. L’idea di Dio è ciò un ideale, ossia con l’idea di Dio io procedo a determinare completamente quella rappresentazione, e così determinandola ne faccio una sostanza individuale.
Kant chiama l’idea di individuo un ideale perché
l’idea completamente determinata, perché contiene tutte
le condizioni possibili e si pone alla nostra ragione come un
archetipo, nella fattispecie un archetipo morale.
Quando io penso a Dio penso a un’idea della ragione onnimodo
determinata, quindi una sostanza immateriale dove sono tutti i fini
a cui la ragione tende. L’archetipo morale in noi, Dio,
è qualcosa che io non posso conoscere ma legittimamente concepisco nella
consapevolezza che non ci sarà mai un oggetto esterno alla ragione che
gli corrisponde.
Tutti questi fenomeni parlano del mondo in maniera ambigua.
Quando io dico come fa lo scettico che nel mondo non
posso arrivare a un elemento che si sottrae alla serie della
causalità, cioè a un elemento che è a sua volta legato a un
altro come suo effetto, o che nella serie delle contingenze non possono
arrivare a un ente che non è più contingente ma necessario, costoro
stanno parlando del mondo fenomenico, nel mondo naturale come si
dà nella nostra intuizione.
Ossia, della natura materialiter spectata, il mondo come appare
una volta applicate le regole dell’io legislatore.
E la natura deve prevedere una serie di enti reciprocamente
dipendenti, che non può ammettere un inizio della serie.
Quindi se io parlo del mondo dei fenomeni, sono vere le
antitesi.
Ma il mondo fenomenico è l’unico modo che noi abbiamo per
intendere il mondo? No. C’è l’esperienza della
libertà.
Se io non limito il mio concetto di mondo al mondo fenomenico e penso a
una compatibilità non contraddittoria tra mondo sensibile e mondo
intellegibile, posso introdurre una causalità che non viola la causalità
naturale ma si determina con principi che non violano la
causalità.
Gli esseri umani hanno una duplice natura, e ne sono consapevoli: sono dei corpi che rispondono alle leggi dei corpi, ma sono anche cittadini del mondo intellegibile, un mondo in cui non vige la causalità efficiente, meccanicistica, dei corpi, ma in cui c’è un principio di autodeterminazione, quello che Kant nella Fondazione della metafisica dei costumi, 1785, chiamerà autonomia.
Autonomia e pensar da sè. Il principio sulla base del quale la mia volontà viene determinata dalla ragione. Il soggetto si determina da sé ed è norma a se stesso. Questo è l’omologo sul piano pratico di ciò che la critica, il pensar da sé, è sul piano speculativo. Sul piano pratico, questo principio di riferimento della ragione a se stessa è l’autonomia**, la capacità della ragione di determinare da sé sola la propria volontà.
La scoperta della libertà che ognuno di noi fa nella sua esistenza, non me la fa conoscere - la conoscenza è di pertinenza della scienza e richiedere di attenersi ai fenomeni. Io ho una certezza morale e pratica della libertà, perché ognuno di noi esperisce in se la capacità di determinarsi secondo fini - la capacità di fare una cosa anziché un’altra, e di farla secondo un comando, un vincolo, un imperativo. Questo vincolo ci rivela che siamo liberi: nessun vincolo è tale se non lascia la possibilità alternativa.
Le antinomie, soprattutto quelle dinamiche, sono il punto in cui Kant introduce la duplicità di regni di cui partecipa l’essere umano, che non è solo soggetto fenomenico, ma anche soggetto noumenico: che si sa come soggetto che conosce, che può avere una conoscenza oggettiva del mondo - ma anche come soggetto pratico, che agisce nel mondo.
La ragione si configura cioè come principio speculativo e come principio pratico, nel momento in cui diventa per il soggetto intellegibile l’occasione di conoscere la libertà.
La libertà è la ratio essendi, la ragione di essere, della moralità. Se non fossi libero non potrei obbedire all’imperativo. La moralità è la ratio cognoscendi, la ragione che mi consente di conoscere (sempre in modo non speculativo) che sono libero.
Il soggetto può fare della ragione un uso speculativo, ma anche un uso pratico. Quando mi penso come soggetto intellegibile, mi muovo nello spazio della libertà, lo spazio in cui prendono forma i fini essenziali che rappresentano il punto verso il quale inevitabilmente la ragione tende; ragione che ha un bisogno, una tendenza insopprimibile, un sentimento a muovere verso qualcosa che va oltre il fenomeno. Questo qualcos’altro è qualcosa a cui la ragione ha accesso quando smette i panni della ragione speculativa, in cui incontra un sacco di fallimenti - e capisce che il suo uso proprio è un uso pratico. E qui entriamo nella critica della ragion pratica.
Il ruolo regolativo delle idee in ambito speculativo esprime la natura architettonica e teleologica della ragione, procede cioè per fini, mentre l’intelletto procede per cause efficienti.
In generale, per le antinomie:
Dio è la totalità incondizionata di ogni pensabile in generale.
Il sillogismo che mostra il procedimento della ragione nella teologia è quello disgiuntivo. Questo procedimento è utile alla determinazione completa di un concetto, che mi fa comprendere quel concetto come individuo.
La ragione concepisce Dio come ente in cui si danno tutte le possibili determinazioni.
Dio è sostrato trascendentale o substantia phenomenon
Quindi la certezza che io ho nei confronti della natura non-chimerica di queste mie rappresentazioni di un’anima, di una libertà e di Dio sta nel fatto che sono il risultato di una attività trascendentale della ragione. Quando la ragione muove in queste direzioni, deve abbandonare qualsiasi pretesa conoscitiva - qualsiasi pretesa di dire qualcosa di qualcosa che non sia una sua idea.
Qual è il fondamento epistemico alla base dell’assenso che do a queste idee, che:
Siamo sul piano trascendentale, possiedo l’idea di Dio come possiedo
la categoria di sostanza.
Il fondamento epistemico di questo assenso è la
fede. Non è la devozione. Kant distingue tre
gradi dell’assenso (tener per vero - gli epistemologi
oggi dicono hold to be true):
Fede e sapere sarà il primo scritto dell’Hegel maturo (1802-1803), a Jena. Hegel la chiamerà così pensando proprio a questa suddivisione kantiana fatta nella Dottrina nel metodo. I fondamenti dell’assenso possono essere ragioni oggettive o soggettive.
Quando mi muovo nello spazio dell’opinare non ho abbastanza ragioni oggettive/soggettive per determinare il mio senso nella direzione del sapere o della fede. L’opinare può evolvere il sapere - possono ritenere qualcosa di vero sulla base di un’opinione e poi quella cosa è davvero vera. Oppure posso accorgermi che mi sbagliavo.
Agli antipodi dell’opinare sta il sapere. Il fondamento del sapere è o la percezione sensibile attuale o la dimostrazione. C’è un motivo non riconducibile al soggetto molto forte, che chiama il soggetto alla persuasione. In questo modo al motivo oggettivo si aggiunge quello soggettivo, il convincimento.
Nella fede io non ho motivi oggettivi, dimostrazioni o fatti. Ho dei forti motivi soggettivi, degli elementi di persuasione che mi portano a dare l’assenso a qualcosa anziché ad altro. Nel caso delle tre idee della ragione - l’anima, la libertà e Dio - io non posso sapere perché mi mancano le intuizioni; non possono avere opinioni perché sono sul piano trascendentale - ma ho fortissimi motivi soggettivi: il bisogno della ragione.
La ragione ha un bisogno insopprimibile
(trascendentale nel senso che le è
connaturato) di affermare queste idee. Questa si chiama
fede razionale pura: nasce dalla ragione come assenso
fondato dal bisogno ed è pura perché non ha alcun elemento
empirico.
Ma perché ha questo bisogno? Perché i fini essenziali
verso cui la ragione tende richiedono come ingrediente fondamentale le
idee. La ragione guarda ad un fine essenziale - gli uomini tendono per
natura al loro appagamento, a esprimere la loro piena natura - sono la
realizzazione del sommo bene sulla terra. Significa
vivere in un mondo in cui gli uomini realizzano a pieno la loro
dignità di esseri umani.
Ciò verso cui noi tendiamo è un ideale di un posto in cui
vivremo bene, in cui ciascuno ha perfezionato la propria natura
secondo le possibilità intrinseche di quella natura.
Il sommo bene è un mondo in cui si è artefici della propria felicità,
cioè il proprio benessere - chi si comporta bene è felice, chi si
comporta male non è felice.
Ma il sommo bene, il regno dei fini, è un concetto limite. È irraggiungibile, ma è ciò che ci muove.
L’immortalità dell’anima, la libertà e Dio sono 3 ingredienti fondamentali del sommo bene. Non posso pensarmi come soggetto destinato a realizzare la propria dignità se in questo mio percorso non ammetto che la mia anima sia immortale - che il mio cammino possa proseguire al di là di questa vita, in un compito mai finito - se non penso che non ci sia un Dio che ricompensa i virtuosi, e soprattutto se non penso di poter agire secondo un principio di autodeterminazione.
Diventano 3 ingredienti fondamentali della realizzazione da parte della ragione del suo bisogno. Se non ammettessi questi tre principi, mi renderei indegno della mia umanità. Se rinuncio ai fini essenziali non vivo come un essere umano.
Non si tratta di andare a cercare la compatibilità tra ragione e fede, o quella zona di sovrapposizione in cui la ragione ammette delle cose che può riconoscere. Non è in questo senso la religione, ma nel senso che i contenuti della religione hanno un’origine razionale. È la ragione stessa che come risposta a un suo bisogno escogita queste idee, che non hanno una realtà empirica, ma una realtà pratica. Questo significa che io le ammetto non come chimere: la loro realtà è quella di essere prodotti della ragione rispetto ai quali essa sa benissimo che non potrà mai trovare fuori da se stessa.
Giudicherò la religione senza bisogno di miracoli o altre sollecitazioni empiriche, ma solo in base a quell’archetipo morale, che è Dio, prodotto dalla mia ragione come una sua esigenza. La fonte dell’informazione quanto alla realtà pratica di Dio è la ragione.
Nella Critica della Ragion Pratica (1788) Kant dirà che
questi sono i postulati della Ragion Pratica -
delle verità che io ammetto per non invalidare qualcosa che è
assolutamente vero. Kant introduce i postulati perché se si
negassero i postulati, bisognerebbe negare anche la
morale.
Ma i postulati, così come comparivano nella Ragion Pura, non
sono ingredienti essenziali della moralità, ma il portato necessario
della nostra natura morale. La morale - qualcosa fondato solo nella
religione - ci conduce alla soglia della religione.
Le idee della ragione hanno pertanto un valore
regolativo, sia dal punto di vista pratico che da quello
speculativo perché rappresentano dei punti di orientamento del nostro
tendere alla nostra realizzazione come esseri noumenici.
Infatti, se le idee non sono mai rappresentazioni di oggetti di
conoscenza, le idee forniscono allo studioso della natura dei punti
di orientamento, ossia lo studio dei fenomeni va condotto come se
il mondo fosse una totalità, cioè come se nel mondo ci fosse una serie
causale che vale per ogni termine della serie. Ma io devo sapere che non
arriverò mai alla totalità della serie.
La psicologia, lo studio dell’insieme dei fenomeni del senso interno,
va studiata come se l’anima fosse una totalità. Nella
formulazione della scienza le idee sono i fuochi immaginari, punti
prospettici che mi consentono di proiettare la singolarità sulla
molteplicità. Natura architettonica della ragione: dispone un ordine
trovando delle omogeneità che le consentono di costruire delle unità più
alte che consentono però di mantenere le specificità dei singoli
elementi. Questa struttura viene imposta dalla ragione alle nostre
conoscenze, e l’intelletto ha il compito di riempirle. È proprio questa
struttura architettonica della ragione a caratterizzare
la scienza come un sistema. Non si dà sistema senza un’idea.
Non ho un sapere organico senza architettura, avrei solo una
giustapposizione di elementi. Quando invece il sapere è pensato in
maniera organica, come fosse un organismo, in cui le parti crescono
potenziandosi, in un sapere così considerato la struttura deve essere
stabilita a priori dalla ragione che dispone le idee.
Sono possibili due concezioni antitetiche della filosofia:
La scienza presuppone un esame preliminare delle possibilità della ragione.
Qual è lo statuto delle scienze empiriche?
La matematica, la fisica e le scienze empiriche, che di per sé hanno valore in vista di fini contingenti, possono avere valore anche in vista di fini essenziali, ma solo con la mediazione della metafisica, cioè la conoscenza razionale che muove da semplici concetti.
La metafisica riguarda il rapporto tra le varie forme di sapere, che è legato in ultima istanza ai fini dell’uomo.
È possibile la metafisica come scienza? La scienza è un genere di conoscenza, quindi dobbiamo chiederci: come è possibile la conoscenza?
L’unità di base della conoscenza è il concetto, una rappresentazione generale che può riferirsi a una pluralità di oggetti (albero può riferirsi tutti gli alberi).
I concetti sono solo rappresentazioni e non sono fondati in una essenza esterna delle cose. Il legame tra soggetto e predicato è fondato solo nel pensiero. Ci sono due tipi di giudizi:
La metafisica dovrà contenere giudizi sintetici se vuole essere acquisizione di conoscenza. Questi principi dovranno essere a priori, in quanto la metafisica è scienza di ciò che oltrepassa l’esperienza.
Matematica e fisica pura sono scienze sintetiche a priori.
La metafisica come ontologia, cioè scienza dell’ente in generale,
metafisica generale, è possibile limitatamente
all’oggetto dell’esperienza.
La metafisica come metafisica speciale che riguarda
Dio, anima e mondo (articolata in teologia, psicologia,
cosmologia) non è possibile come conoscenza, ma deve esistere
in altra forma.
L’intuizione è un’altra forma di rappresentazione, che non è generale, ma singolare, riferendosi a una singola cosa immediatamente. L’intuizione e concetti si riferiscono a due facoltà diverse: l’una alla sensibilità, l’altro all’intelletto.
La sensibilità è ricettiva e riceve le impressioni dai sensi, mentre l’intelletto è attivo e produce le sue rappresentazione. La conoscenza deriva dall’unione di queste due facoltà.
I concetti puri dell’intelletto, cioè le categorie,
sono contenuti originariamente acquisiti, ossia non nascono con
l’esperienza, ma dall’esperienza.
Le categorie sono regole presupposte da ogni esperienza.
Esistono 4 gruppi di categorie. Ogni gruppo di categorie si riferisce a un principio:
quantità: tutte le le intuizioni sono quantità estensive
qualità: in tutti i fenomeni il reale oggetto della sensazione ha una quantità intensiva, ossia un grado
relazione: l’esperienza è possibile solo mediante la rappresentazione di una connessione necessaria delle rappresentazioni
modalità: 3 analogie dell’esperienza:
In che senso possiedo le categorie come concetti puri?
Gli oggetti dell’esperienza non sono sostanze la cui natura è
determinata da un’essenza concettuale, ma la loro unità è
garantita dalle regole dell’atto compositivo.
Gli oggetti dell’esperienza sono un insieme di relazioni
regolate. L’unità dell’esperienza nasce da un processo
attivo di composizione che il soggetto delle operazioni
intellettuali, l’io penso (o appercezione
trascendentale, o autocoscienza trascendentale), compie grazie
all’intelletto.
L’io penso è una funzione di unificazione che non corrisponde a un individuo psicologico o alla sua identità.
Estetica trascendentale è scienza degli elementi a priori della sensibilità, mentre la logica trascendentale è una scienza degli elementi a priori dell’intelletto.
Spazio e tempo sono intuizioni sensibili ma pure,
cioè prive di componenti empiriche. Sono intuizioni in quanto
rappresentazioni di una singolarità.
Sono forme attraverso cui ordiniamo rappresentazioni sensibili. Non
posso percepire nulla fuori di essi. Sono condizioni della sensibilità;
e sono ideali perché non si trovano nelle cose, e oggettivi perché le
relazioni che istituiscono valgono necessariamente per gli oggetti della
sensibilità, gli unici che possiamo conoscere.
Lo spazio è a fondamento della geometria, che ha carattere sintetico in quanto si riferisce all’intuizione a priori dello spazio; il tempo è invece condizione del mutamento, ed è condizione a priori di tutti i fenomeni in generale.
Riprendendo la distinzione fra fenomeni e noumeni della
Dissertazione del ’70, Kant spiega che è possibile una
conoscenza sintetica a priori solo nell’ambito dei fenomeni. Bisogna
considerare il ruolo dell’intelletto nel processo conoscitivo, dato che
le intuizioni da sole non forniscono conoscenze.
Rivoluzione copernicana, cioè il soggetto diventa il
centro della ricerca metafisica, sono gli oggetti a doversi regolare
sulle forme del soggetto. Questo sembra plausibile per le forme della
sensibilità, ma dobbiamo capire come può valere anche per i concetti
puri dell’intelletto, ossia le categorie.
Al giudizio come unificazione di concetti corrisponde l’intuizione come unificazione delle rappresentazioni. Queste unioni danno luogo a una tavola dei giudizi, che contiene tutte e sole le 12 funzioni logiche dell’intelletto da cui possiamo derivare una tavola dei concetti puri dell’intelletto o categorie.
Le categorie sono concetti di un oggetto in
generale, per mezzo dei quali si considera l’intuizione di un oggetto in
quanto determinata rispetto alle funzioni logiche da
giudicare.
Le categorie non sono innate, ma originariamente acquisite in quanto
nascono con l’esperienza.
Sono regole presupposte da ogni esperienza. Le categorie sono divise in
quattro gruppi, cioè secondo quantità, qualità, relazione e
modalità.
A ciascun gruppo di categorie corrispondono dei principi, che si chiamano principi puri dell’intelletto. Questi sono:
La conoscenza è un composto di ciò che riceviamo con le impressioni e ciò che la nostra facoltà conoscitiva apporta da se stessa.
Per dimostrare che siamo in possesso di conoscenze sintetiche a priori come concetti puri, e che sono solo quelle 12, Kant fa una deduzione trascendentale delle categorie. L’unità dei fenomeni può essere data solo da un’operazione di composizione attiva da parte del soggetto, in particolare dell’intelletto.
Il soggetto delle operazioni intellettuali è l’io penso, che è una funzione di unificazione.
Se la conoscenza a priori è possibile solo nell’esperienza, sono escluse da essa i temi tipici della metafisica del tempo: Dio, l’anima, il mondo.
Dato che le cose del mondo sono fenomeni, non possono valere per esse le condizioni riferite dalla ragione alle cose in sé.
Tuttavia ogni ragione è sempre portata a cercare una roccia, cioè un fondamento assolutamente necessario. Questa pretesa si traduce in tre forme di argomentazione:
La prova ontologica è particolarmente criticata, in quanto il predicato dell’esistenza non può essere compreso nel concetto, cioè si aggiunge in modo sintetico ad esso. Cento talleri reali sono diversi da cento talleri possibili.
La ricerca di unità della ragione produce un presupposto
trascendentale, l’unità sistematica della natura.
La ragione ha un carattere teleologico, cioè procede secondo fini e ha
la natura di un progetto.
La Critica del giudizio ha una funzione sistematica, in quanto consente al soggetto di realizzare il suo compito morale all’interno di un mondo governato dalla necessità.
Il giudizio è una facoltà irriducibile alla sensibilità e all’intelletto.
Emette giudizi di tipo differente che si chiamano giudizi riflettenti, giudizi di tipo non conoscitivo.
Nella definizione del giudizio come facoltà specifica e autonoma, Kant si rifà allo schema tripartito di Wurzer (tradizione baumgarteniana) che prevedeva facoltà conoscitiva, appetitiva e il sentimento del bello - un’idea di diretta ascendenza della scuola britannica e scozzese (Hutcheson).
La finalità concilia il dualismo delle prime due critiche. Perchè? Trovare una finalità della natura introduce nella natura uno spazio di libertà, nella giudizio riflettente è esclusa una considerazione meccanicistica della natura, la natura viene considerata come oggetto non di conoscenza ma di interpretazione, nella quale posso trovare un elemento di libertà.
Per apprezzare la bellezza della natura, devo guardare ad essa non con una categoria dell’intelletto, ma attraverso il concetto puro a priori della finalità.
Nella contemplazione della finalità in un essere vivente l’uomo
si chiede se la finalità sia in tutta la natura, allora la natura tende
a uno scopo? È uno scopo interno alla catena dei fini della natura, o ne
cade fuori?
L’uomo si percepisce come essere che è all’apice della natura, e questa
sua natura può realizzarsi in due modi:
La cultura che si realizza nell’uomo è il fine ultimo della natura, e in questo senso l’uomo è il signore della natura, l’apice della natura.
Prova etica-teologica: cogliendo la natura come il prodotto di un’intelligenza superiore, dimostro che Dio esiste. Qui si chiude la Critica del Giudizio.
Nella fenomenologia dello spirito, vediamo il percorso dal punto di vista della coscienza individuale.
Nella fenomenologia dello spirito, vediamo il percorso dal punto di vista della coscienza individuale.
Dal punto di vista dell’assoluto, cioè dal punto di vista dell’idea.
Dal punto di vista dell’assoluto, cioè dal punto di vista dell’idea.