Indice delle opere

Leibniz

Opere

Wolff (? - 1754)

Thomasius

Kant (1724-1804)

Scritti precritici

  1. Pensieri sulla valutazione delle forze vive, 1749
  2. Dissertazioni (fisiche) in latino: Sul fuoco, Monadologia fisica, Nova Dilucidatio, 1755
  3. L’unico argomento possibile per la dimostrazione dell’esistenza di Dio, 1763
  4. Indagine sulla distinzione dei principi della teologia naturale e della morale, 1764
  5. I sogni di un visionario spiegati attraverso i sogni della metafisica, 1766
  6. Dissertazione del ’70, sulla forma e i principi del mondo sensibile e di quello intellegibile, 1770

Dal 1755-1770: fase scettica del periodo pre-critico - (scettica nei confronti del dogmatismo)

Scritti critici

  1. Critica della ragion pura, 1781
  2. Prolegomeni ad ogni futura metafisica che voglia presentarsi come scienza, 1783
  3. Fondazione della metafisica dei costumi, 1785
  4. Critica della ragion pratica, 1788
  5. Critica della facoltà di giudizio, 1790

Scritti tardi

  1. Per la pace perpetua, 1795
  2. Metafisica dei costumi, 1797
  3. Antropologia pragmatica, 1798 (p. 127 app.)

Reinhold (1757-1823)

  1. Saggio per una nuova teoria della facoltà rappresentativa umana, 1789
  2. La filosofia come scienza rigorosa, 1790

Schelling (1775-1854)

  1. Sistema dell’idealismo trascendentale, 1800
  2. Esposizione del
  3. Filosofia dell’arte, 1802-1803

Fichte (1762-1814)

Hegel (1770-1831)

Leibniz

Opere

Glossario

Illuminismo tedesco

Protoilluminismo (1687-1710)

Hochaufklarung (1720-1750): Wolff

Wolff (? - 1754)

Questa suddivisione sarà canonica fino ad Hegel.

Spataufklarung (1750-1781)

Kant (1724-

Opere

Scritti precritici

  1. Pensieri sulla valutazione delle forze vive, 1749
  2. Dissertazioni (fisiche) in latino: Sul fuoco, Monadologia fisica, Nova Dilucidatio, 1755
  3. L’unico argomento possibile per la dimostrazione dell’esistenza di Dio, 1763
  4. Indagine sulla distinzione dei principi della teologia naturale e della morale, 1764
  5. I sogni di un visionario spiegati attraverso i sogni della metafisica, 1766
  6. Dissertazione del ’70, sulla forma e i principi del mondo sensibile e di quello intellegibile, 1770

Dal 1755-1770: fase scettica del periodo pre-critico - (scettica nei confronti del dogmatismo)

Scritti critici

  1. Critica della ragion pura, 1781
  2. Prolegomeni ad ogni futura metafisica che voglia presentarsi come scienza, 1783
  3. Fondazione della metafisica dei costumi, 1785
  4. Critica della ragion pratica, 1788
  5. Critica della facoltà di giudizio, 1790

Scritti tardi

  1. Metafisica dei costumi, 1797
  2. Antropologia pragmatica, 1798

Glossario

Critica della Ragion Pura (1781)

Si dividono in

Categorie matematiche: spiegano la costituzione dei fenomeni

Categorie dinamiche: spiegano le relazioni tra i fenomeni

  1. sede delle forme a priori di ogni essere razionale
  2. ragione in senso stretto, sede della facoltà a cui è dedicata la dialettica:, l’unità superiore dalla quale procedere per spiegare i fenomeni. Facoltà che mi consente di orientare i concetti empirici verso un’idea di totalità. La ragione deriva il particolare dall’universale.

Critica della Ragione Pratica (1788)

Critica della Facoltà di Giudizio

2. Scritti pre-critici

Dal 1755 al 1770 parliamo di fase scettica del periodo pre-critico, scettica nei confronti dei dogmatici si intende.

1. Pensieri sulla valutazione delle forze vive (1755)

Kant prende in esame la nozione leibniziana di forza viva, mettendola in rapporto con le leggi della fisica newtoniana (gravitazione, attrazione dei corpi). Viene contestata la tesi leibniziana per cui la sostanza metafisica è un principio psichico, immateriale fatto di punti di forza. Utilizzo della metafisica come principio esplicativo della fisica.

2. Nova dilucidatio

Contesta le metafisiche della tradizione wolffiana e di Thomasius.

In particolare, contesta:

  1. l’idea che i principi della logica fossero anche i principi dell’essere, cioè valessero anche fuori dalla logica.
  2. l’idea che si possa procedere nella conoscenza tramite una analisi concettuale, cioè in modo analitico.

La realtà è irriducibile al pensiero, ha un elemento di datità che il pensiero non può generare da sé.

3. L’unico argomento possibile per la dimostrazione dell’esistenza di Dio, 1763

Critica alla metafisica wolffiana: l’esistenza effettiva è una posizione assoluta, qualcosa di dato. Le deduzioni razionali non possono farmi uscire dal concetto. Questa idea verrà ripresa nella Ragion pura, con l’esempio dei cento talleri.
Esiste l’ambito del concetto, e poi l’ambito della realtà effettiva. L’unico modo per conoscere la realtà effettiva è appellarsi alla sensibilità.

Questo determina una differenza fondamentale tra filosofia e matematica: la matematica costruisce i propri oggetti, la filosofia ha a che fare con oggetti dati.
La matematica, cioè, procede secondo un uso a priori della ragione, mentre la filosofia ha sempre bisogno di un punto di partenza dato.

Non possiamo quindi, come i razionalisti, pensare che la filosofia debba essere costruita seguendo il modello della matematica.

4. I sogni di un visionario spiegati attraverso i sogni della metafisica, 1766

Swedenborg aveva scritto un’opera che si chiamava Arcana Celestia, memorie di esperienze sensoriali.

I dogmatici razionalisti non procedono diversamente dai visionari - le entità di cui parlano non hanno datità reale.

La metafisica ha un doppio compito:

  1. spiegare le proprietà delle cose, i principi ultimi - ma spesso veniamo delusi in questa speranza
  2. qual è il rapporto tra esperienza e giudizi - e questo è un compito più accessibile, più “facile”, che possiamo perseguire

La metafisica va considerata dunque come scienza dei limiti della ragione umana, e questa richiama l’idea humiana di metafisica come scienza dei limtii dell’intelletto.

5. Dissertazione del ’70

I punti fondamentali della Dissertazione sono 2:

  1. Distinzione genetica tra sensibilità e intelletto
  2. Distinzione tra mondo sensibile e mondo intellegibile

I wolffiani consideravano la sensibilità come subordinata all’intelletto, una facoltà che procura rappresentazioni confuse e per questo va emendata. C’è una continuità nelle rappresentazioni, che vanno dalle più confuse alle più distinte. Hanno cioè una distinzione logica, che ha a che fare con la capacità di determinare un maggiore o minore numero di proprietà. Astraendo, si riescono a conoscere proprietà in modo più preciso, ottenendo una rappresentazione chiara.

Anche Baumgartner e Mayer erano su questa linea di chiara matrice leibniziana, ma nella loro Estetica avevano prospettato la possibilità di considerare la sensibilità come una facoltà capace di raggiungere delle perfezioni proprie e in autonomia - rinunciando, tuttavia, a qualsiasi pretesa conoscitiva.

Sensibilità e intelletto hanno infatti principi di utilizzo propri, cioè una differenza genetica: producono le loro rappresentazioni in modo diverso. In particolare, la sensibilità è una facoltà ricettiva che produce intuizioni, mentre l’intelletto è una facoltà spontanea, cioè produce spontaneamente i propri contenuti, i concetti.
La ricettività è diversa dalla passività nella misura in cui è capace di accogliere un dato secondo delle forme a priori e di elaborarlo. La sensibilità non è una tabula rasa o un foglio bianco come in Locke, ma ha nella propria natura le forme a priori, strutture che non derivano dall’esperienza con il quale produce le proprie rappresentazioni.

Le intuizioni sono rappresentazioni immediate, mentre i concetti sono rappresentazioni mediate. La distinzione genetica è volta a sottolineare come si tratti di due facoltà che che hanno una natura diversa, principi di utilizzo paralleli, e producono rappresentazioni fondamentalmente diverse.

Nella Dissertazione del ’70, Kant distingue conoscenza sensibile e intelletto: nella conoscenza sensibile l’oggetto è conosciuto come appare, mentre l’intelletto ha un uso reale, cioè consente di conoscere l’oggetto come esso è, ossia come noumeno.
I principi validi della conoscenza sensibile non devono invadere il dominio dell’intelletto.

Nella conoscenza sensibile l’oggetto è conosciuto come appare, come fenomeno, mentre l’intelletto ha un uso reale e consente di conoscere gli oggetti come sono. Questa tesi verrà abbandonata negli anni successivi alla Dissertazione e può essere interpretata come un retaggio di dogmatismo.

Forma e materia della rappresentazione

La seconda distinzione avanzata nella Dissertazione è quella tra forma e materia della rappresentazione: nel caso della sensibilità, la materia è la sensazione, mentre la forma è ciò che la contraddistingue come prodotto della ricettività, cioè le forme a priori di spazio e tempo.

Spazio e tempo sono intuizioni pure a priori . Non sono concetti, perché non sono prodotti per astrazione, come voleva Hobbes.
Sono intuizioni perché sono le forme della sensibilità, sono pure perché non derivano dall’esperienza (cioè non sono empiriche) e sono a priori perché costituiscono le condizioni di possibilità della sensibilità.
Dopo questa distinzione fatta da Kant, sensibile ed empirico non sono più sinonimi.

Quando l’intuizione pura informa la materia, ho un’intuizione empirica.

I concetti senza intuizioni sono ciechi, i concetti senza intuizioni sono vuoti: significa che la conoscenza è possibile solo attraverso una combinazione di sensibilità e intelletto.

Herdegard (?) accusa Kant di aver risuscitato una forma di innatismo leibniziano, che considerava le idee come disposizioni innate delle monadi. Kant replica spiegando che le forme a priori della sensibilità non sono acquisizioni innate, ma forme costitutive della soggettività che si attivano nel momento in cui il soggetto entra nel processo conoscitivo.

Prolegomeni ad ogni futura metafisica che voglia presentarsi come scienza

Affronta la questione dei giudizi sintetici a priori. L’oggettività delle scienze è possibile in quanto si fondano su giudizi sintetici a priori.

Critica della ragion pura

Struttura della critica della ragion pura

  1. Dottrina trascendentale degli elementi
    1. analitica trascendentale (o logica della verità) - scienza delle forme a priori dell’intelletto
      • analitica dei concetti - tratta delle categorie
      • analitica dei principi - tratta dello schematismo, dell’immaginazione, dei principi puri dell’intelletto; l’intelletto trascendentale è alla base della fisica pura
    2. dialettica trascendentale (o logica della parvenza) - scienza delle forme a priori della ragione
  2. Dottrina trascendentale del metodo

Estetica trascendentale

Esposizione metafisica dei concetti di spazio e tempo


Ecco, in sintesi, i risultati dell’estetica trascendentale:

Logica trascendentale

Analitica dei concetti

Analitica dei principi

Dialettica trascendentale

Idea di anima

Le tre parti della Dialettica ci fanno vedere come gli stessi procedimenti dei metafisici (Wolff, Cartesio, Leibniz) fossero basati su giudizi sintetici a priori. Credevano che le loro conoscenze circa il cosmo, Dio e l’anima fossero assolutamente certe perché fondate su giudizi analitici, Kant svela che i loro giudizi sono in realtà sintetici, ma utilizzati in maniera inadeguata.

Nella metafisica speciale psicologica i metafisici arrivano a formulare delle tesi in merito alla natura dell’anima:

  1. che ritenevano assolutamente certe
  2. pensavano di potere avere delle conoscenze pari a quelle dei dati intuitivi

Wolff e l’argomento del cogitamus

Il punto di partenza era il cogito, l’intuizione immediata dell’essere pensanti, cioè del pensare. La metafisica e la logica di Wolff iniziano con questa affermazione - ognuno di noi è certo del fatto che pensa, e questo non può essere in dubbio da nessuno che non voglia instaurare un dubbio scettico.
Nella critica di Kant questo argomento di Wolff viene detto argomento del cogitamus, perché se in Cartesio avevamo un procedere individuale e soggettivo - un soggetto che afferma delle cose rispetto a se stesso e poi le allarga per analogia - a rigor di logica le affermazioni di Cartesio riguardano soltanto il soggetto - di cui il problema del solipsismo ecc.

Wolff allarga la prospettiva ad una cornice intersoggettiva - ognuno di noi parte da questa prima certezza, quella del pensare, e da questa derivano del tutto a priori una scienza dell’anima: se io penso deve esserci in me qualcosa che ha la capacità di pensare (questo è un giudizio analitico), e se qualcosa ha la capacità di pensare, allora deve essere fatto in modo da poter essere soggetto di pensiero, cioè deve essere:

  1. una sostanza - perché per esercitare una facoltà deve esserci qualcosa che lo esercita
  2. un ente semplice - semplicità contro composizione perché se il soggetto del pensiero fosse composto bisognerebbe pensare al pensiero come composto di diverse parti, ma questo violerebbe l’unità di coscienza. L’alternativa era attribuire solo a una parte di questa sostanza la capacità di pensiero, e questo ci riporterebbe al punto di partenza.
    Se è semplice, è necessariamente immateriale.
    Se è immateriale, è anche incorruttibile. Corrompersi significa disgregarsi (in pezzi cioè).
    Se è incorruttibile, è immortale.

Queste sono le tesi di ogni metafisica psicologica, che Kant raccoglie in una tavola, in una topica di ogni psicologia razionale. Tutti i metafisici che parlano di anima convengono sulla validità di queste 4 tesi - partono dall’intuizione immediata del pensiero arrivando a dedurne analiticamente gli altri caratteri che abbiamo appena visto.
Ma questi non sono giudizi analitici. Kant mostra che tutte le volte che io predico la sostanzialità di qualcosa, l’unità di qualcosa e così via sto pronunciando dei giudizi sintetici. Queste sono tutte categorie, cose che non mi si danno nell’esperienza, ma modi in cui io organizzo dei dati empirici. Se mi mancano questi dati empirici, le regole di sintesi non sintetizzano nulla e sono concetti vuoti.

La tesi di Kant: le affermazioni della psicologia razionale non sono conoscenze universali e necessarie, perché manca il loro oggetto, che può essere solo dato nell’intuizione.

Nella fattispecie gli psicologi metafisici incappano in questo errore perché sono vittime di un paralogismo - un sillogismo sbagliato - viziato in particolare dal fatto di assumere un medesimo termine con significati diversi. Un’ambiguità del termine medio, che andrebbe eliso per passare dalla premessa maggiore alla conclusione. Il sillogismo funziona quando il termine medio è la funzione sotto la quale io ricomprendo il particolare della premessa minore sotto la regola della premessa minore. Ma se questo termine è ambiguo, il sillogismo è fallace.

L’esempio che si porta è quello del rombo: se io dico rombo, non capisco se sto parlando della figura geometrica o del pesce.
Il termine medio che la psicologia fraintende è il termine soggetto.

Dialettica trascendentale, B410

  1. Premessa maggiore: ciò che non può essere pensato diversamente che come soggetto, non esiste diversamente che come soggetto, perciò è sostanza.
    L’intuizione del cogito implica la possibilità

  2. Premessa minore: Un essere pensante considerato semplicemente come tale, non può essere pensato che come soggetto.
    Non lo predico di altro, ma predico tutto di quell’essere pensante.

  3. Conclusione. Dunque esso esiste soltanto come tale, quindi come sostanza.

Il termine soggetto compare nella prima premessa, nella seconda premessa, ci conduce alla conclusione che lo identifica con la sostanza.

Ma se nella prima premessa il soggetto è il soggetto empirico. Come arrivo io all’intuizione del cogito con una intuizione empirica, con una introspezione, nella seconda il soggetto è il soggetto trascendentale, che non si dà nell’intuizione altrimenti diventerebbe fenomenico.

Quando concepisco fuori dall’intuizione l’Io penso, penso a qualcosa che deve accompagnare la mia rappresentazione come una rappresentazione logica, non come qualcosa che mi si dà nell’intuizione empirica.

Questa ambiguità vizia la forma di questo sillogismo, rendendolo un paralogismo. Posso legittimamente predicare la sostanzialità del soggetto empirico perché opero sulle percezioni empiriche. Unisco le percezioni secondo la regola dell’unità della categoria della sostanza. Posso cioè parlare del soggetto empirico come se fosse una sostanza.

Quando i metafisici predicavano l’unità, la sostanzialità ecc. non si riferivano certo al soggetto empirico. Questo è qualcosa che è necessariamente legato alle condizioni dell’esperienza, una quantità estensiva che io colgo estensivamente, connesso agli altri fenomeni in un rapporto di necessità. Quando i metafisici parlavano dell’anima come condizione ontologica distinta parlavano di un soggetto puro - ma ciò che è puro non è mai fenomeno.

Per questo motivo il loro procedere argomentativo viola le regole della logica - anche della logica generale che loro assumevano a garanzia della certezza dei loro ragionamenti.
L’idea di anima è una idea della ragione che non può avere un corrispettivo fuori dal soggetto. Non c’è un oggetto a cui questa idea può pretendere di applicarsi. Per questo motivo Kant introduce sì una deduzione delle idee, ma non una deduzione trascendentale. Nel caso delle idee la domanda della deduzione è superflua, perché le idee per definizione non pretendono di riferirsi alla realtà.

Kant vuole svelare la sede dell’illusione. Non è il tentativo di passare sotto lo schiacciasassi tutte le tesi dei metafisici, ma la necessità di mostrare come tutti i fenomeni sono incappati in queste illusioni, che sono inevitabili. In questo senso la critica serve da farmaco, serve a curare una patologia della ragione.

Idea del cosmo

Antinomie matematiche

Queste antinomie riguardano una sotto la categoria della quantità, nella possibilità di concepire il mondo come un qualcosa, una serie di enti collegati.

I Antinomia della quantità

La serie degli enti ha un inizio nello spazio e nel tempo, oppure è una serie che non ha un inizio nello spazio e nel tempo.

II. Antinomia della materia (qualità o quantità estensiva)

il mondo è composto di enti che possono essere ridotti alle loro parti semplici, oppure no. La scomposizione del mondo è senza fine.

Il concetto di composto include il concetto di parte, ma non include il concetto di semplice, quindi l’idea di non è un giudizio analitico, come pensano i metafisici razionalisti, ma un giudizio sintetico fallace.


Queste due prime antinomie sono mosse dalla stessa idea: ho a che fare con una totalità chiusa. Se dico che il mondo ha un inizio significa che c’è un limite, un punto di partenza; oppure una totalità infinita incondizionata perché essendo infinita non lascia nulla fuori di sé.
Kant dice: nel primo caso ho il vero infinito, un infinito chiuso; dall’altro ho un indefinito. Il punto è che non c’è mai nulla che cade fuori dalla serie e possa comprometterne la proprietà di essere una totalità incondizionata.

Le antinomìe matematiche sconfiggono la ragione. Sono entrambe false: sia che io prenda la posizione delle tesi dei razionalisti o dogmatici - il mondo è finito nello spazio e nel tempo, la materia è scomponibile fino a un’unità semplice - sia che assuma la posizione dell’antitesi - il mondo è infinito e scomponibile all’infinito - posizione degli empiristi e degli scettici, dice Kant - mi trovo ad affermare qualcosa circa un oggetto che non si dà nell’intuizione.
Il mondo come totalità non si darà mai nell’intuizione, perché questa esige sempre una condizione che non può essere compresa all’interno della serie.

Nello studio dei fenomeni - e il mondo è la totalità dei fenomeni - io non posso mai illudermi di arrivare a un punto fermo, e non posso mai illudermi che il non arrivare a un punto fermo possa essere considerato il risultato dello studio di un oggetto che posso assumere come una totalità.

Nello studio dei fenomeni naturali io passo sempre da una causa a un effetto, e questo è il modo di procedere dell’intelletto, che non può mai pensare di arrivare a un punto in cui si rompe il rapporto di causalità / di condizionamento.

L’intelletto non può neanche percepire la totalità dei fenomeni come incondizionata. L’incondizionato è qualcosa che mi richiede sempre di uscire dal fenomeno. I fenomeni stanno sempre in una condizione necessaria con altri fenomeni. Nonostante la ragione si illuda e abbia delle buoni psicologiche per preferire la tesi o l’antitesi, questa deve essere consapevole che questo non è altro che il germe dell’illusione che si trova nella sua stessa natura.

Deve quindi tenere in una mano l’arma della critica, che le deve ricordare che tutte le volte che si illude di poter trovare un punto fermo nella totalità dei fenomeni si sta illudendo, si sta rendendo vittima di un vizio logico - applicare le categorie a qualcosa che non è fenomeno.

Tra le due prospettive - quella dei dogmatici dei razionalisti e quella degli scettici - andrebbe preferita quella degli scettici. Lo scetticismo è sì la morte della filosofia, ma è una morte dolce della filosofia, una eutanasia. Ma gli scettici si trasformano in dogmatici e in questo commettono un errore.
Hume per esempio: la causalità è un modo per ordinare l’esperienza. Hume poi però afferma che la sostanza, la causalità e le altre determinazioni metafisiche che attribuiamo agli enti non esistono, cioè non hanno una realtà empirica nei fenomeni.
Questo è ciò che Kant riesce a dire: in quanto tali sono mie rappresentazioni, ma in quanto forme della mia esperienza si danno realmente nel mondo: idealismo trascendentale e realismo empirico. Hume era partito bene, mantenendosi attaccato all’esperienza - poi però affermando la non sussistenza reale delle categorie ha fatto un’affermazione metafisica: non esistono sostanze.

Tesi e antitesi sono entrambe false, perché sono entrambi tentativi di predicare qualcosa del mondo come totalità incondizionata, cosa che nell’esperienza non si dà.

Antinomie dinamiche

L’ambiguità in questo caso è costituita dal termine mondo: parliamo del mondo fenomenico o del mondo noumenico?

III antinomia: Libertà

Nel mondo c’è una causalità libera, oppure esiste solo la necessità incondizionata della natura.
Libertà significa la possibilità di iniziare nuove serie causali. Secondo gli empiristi come Locke e Hume ci illudiamo da avere una causalità libera ma anche il nostro agire è determinato da altri elementi che hanno su di noi un potere causale.

IV antinomia: Contingenza

Il mondo è una serie di contingenti con a capo un elemento necessario, oppure i contingenti possono seguire questa serie di dipendenza all’infinito (scettici).

La IV antinomia ci porta nelle braccia della teologia: l’essere necessario è un modo per parlare di Dio. L’essere necessario è un’idea della ragione - la ragione, che sta stretta nel mondo dei fenomeni e ha bisogno di andare oltre la pur fertile pianura dell’esperienza, ha bisogno di pensare che tutti questi fenomeni siano specificazioni di un’unica realtà, che Kant con un linguaggio un po’ immaginifico chiama il substratum dei fenomeni.

I fenomeni sono tutti contingenti: c’è bisogno di qualcosa da cui farli derivare. Dal punto di vista trascendentale significa necessità di poter pensare qualcosa che contiene tutte le possibilità dell’esperienza. Questa possibilità è Dio.

Per questo Kant dice che le religioni monoteistiche sono più conformi a ragione di quelle politeistiche - la ragione, nel tentativo di condurre all’unità, arriva all’unità. La ragione con le prove di Anselmo, Tommaso, ecc. presuppone sempre l’argomento ontologico: che Debba esistere qualcosa che renda la realtà quella che è. In termini trascendentali, che io debba considerare come condizione pura ciò che è, ciò che è dato.

La ragione antropomorfizza questa idea, che ha già trasformato in ideale, individualizzandola - ma già composta in un concetto completo (termini leibniziani) cioè una sostanza individuale. L’idea di Dio è ciò un ideale, ossia con l’idea di Dio io procedo a determinare completamente quella rappresentazione, e così determinandola ne faccio una sostanza individuale.

Kant chiama l’idea di individuo un ideale perché l’idea completamente determinata, perché contiene tutte le condizioni possibili e si pone alla nostra ragione come un archetipo, nella fattispecie un archetipo morale.
Quando io penso a Dio penso a un’idea della ragione onnimodo determinata, quindi una sostanza immateriale dove sono tutti i fini a cui la ragione tende. L’archetipo morale in noi, Dio, è qualcosa che io non posso conoscere ma legittimamente concepisco nella consapevolezza che non ci sarà mai un oggetto esterno alla ragione che gli corrisponde.


Tutti questi fenomeni parlano del mondo in maniera ambigua.

In generale, per le antinomie:

Idea di Dio

Dio è la totalità incondizionata di ogni pensabile in generale.


Dottrina del metodo

Quindi la certezza che io ho nei confronti della natura non-chimerica di queste mie rappresentazioni di un’anima, di una libertà e di Dio sta nel fatto che sono il risultato di una attività trascendentale della ragione. Quando la ragione muove in queste direzioni, deve abbandonare qualsiasi pretesa conoscitiva - qualsiasi pretesa di dire qualcosa di qualcosa che non sia una sua idea.

Qual è il fondamento epistemico alla base dell’assenso che do a queste idee, che:

Siamo sul piano trascendentale, possiedo l’idea di Dio come possiedo la categoria di sostanza.
Il fondamento epistemico di questo assenso è la fede. Non è la devozione. Kant distingue tre gradi dell’assenso (tener per vero - gli epistemologi oggi dicono hold to be true):

Fede e sapere sarà il primo scritto dell’Hegel maturo (1802-1803), a Jena. Hegel la chiamerà così pensando proprio a questa suddivisione kantiana fatta nella Dottrina nel metodo. I fondamenti dell’assenso possono essere ragioni oggettive o soggettive.

Quando mi muovo nello spazio dell’opinare non ho abbastanza ragioni oggettive/soggettive per determinare il mio senso nella direzione del sapere o della fede. L’opinare può evolvere il sapere - possono ritenere qualcosa di vero sulla base di un’opinione e poi quella cosa è davvero vera. Oppure posso accorgermi che mi sbagliavo.

Agli antipodi dell’opinare sta il sapere. Il fondamento del sapere è o la percezione sensibile attuale o la dimostrazione. C’è un motivo non riconducibile al soggetto molto forte, che chiama il soggetto alla persuasione. In questo modo al motivo oggettivo si aggiunge quello soggettivo, il convincimento.

Nella fede io non ho motivi oggettivi, dimostrazioni o fatti. Ho dei forti motivi soggettivi, degli elementi di persuasione che mi portano a dare l’assenso a qualcosa anziché ad altro. Nel caso delle tre idee della ragione - l’anima, la libertà e Dio - io non posso sapere perché mi mancano le intuizioni; non possono avere opinioni perché sono sul piano trascendentale - ma ho fortissimi motivi soggettivi: il bisogno della ragione.

La ragione ha un bisogno insopprimibile (trascendentale nel senso che le è connaturato) di affermare queste idee. Questa si chiama fede razionale pura: nasce dalla ragione come assenso fondato dal bisogno ed è pura perché non ha alcun elemento empirico.
Ma perché ha questo bisogno? Perché i fini essenziali verso cui la ragione tende richiedono come ingrediente fondamentale le idee. La ragione guarda ad un fine essenziale - gli uomini tendono per natura al loro appagamento, a esprimere la loro piena natura - sono la realizzazione del sommo bene sulla terra. Significa vivere in un mondo in cui gli uomini realizzano a pieno la loro dignità di esseri umani.

Ciò verso cui noi tendiamo è un ideale di un posto in cui vivremo bene, in cui ciascuno ha perfezionato la propria natura secondo le possibilità intrinseche di quella natura.
Il sommo bene è un mondo in cui si è artefici della propria felicità, cioè il proprio benessere - chi si comporta bene è felice, chi si comporta male non è felice.

Ma il sommo bene, il regno dei fini, è un concetto limite. È irraggiungibile, ma è ciò che ci muove.

L’immortalità dell’anima, la libertà e Dio sono 3 ingredienti fondamentali del sommo bene. Non posso pensarmi come soggetto destinato a realizzare la propria dignità se in questo mio percorso non ammetto che la mia anima sia immortale - che il mio cammino possa proseguire al di là di questa vita, in un compito mai finito - se non penso che non ci sia un Dio che ricompensa i virtuosi, e soprattutto se non penso di poter agire secondo un principio di autodeterminazione.

Diventano 3 ingredienti fondamentali della realizzazione da parte della ragione del suo bisogno. Se non ammettessi questi tre principi, mi renderei indegno della mia umanità. Se rinuncio ai fini essenziali non vivo come un essere umano.

Non si tratta di andare a cercare la compatibilità tra ragione e fede, o quella zona di sovrapposizione in cui la ragione ammette delle cose che può riconoscere. Non è in questo senso la religione, ma nel senso che i contenuti della religione hanno un’origine razionale. È la ragione stessa che come risposta a un suo bisogno escogita queste idee, che non hanno una realtà empirica, ma una realtà pratica. Questo significa che io le ammetto non come chimere: la loro realtà è quella di essere prodotti della ragione rispetto ai quali essa sa benissimo che non potrà mai trovare fuori da se stessa.

Giudicherò la religione senza bisogno di miracoli o altre sollecitazioni empiriche, ma solo in base a quell’archetipo morale, che è Dio, prodotto dalla mia ragione come una sua esigenza. La fonte dell’informazione quanto alla realtà pratica di Dio è la ragione.

La psicologia, lo studio dell’insieme dei fenomeni del senso interno, va studiata come se l’anima fosse una totalità. Nella formulazione della scienza le idee sono i fuochi immaginari, punti prospettici che mi consentono di proiettare la singolarità sulla molteplicità. Natura architettonica della ragione: dispone un ordine trovando delle omogeneità che le consentono di costruire delle unità più alte che consentono però di mantenere le specificità dei singoli elementi. Questa struttura viene imposta dalla ragione alle nostre conoscenze, e l’intelletto ha il compito di riempirle. È proprio questa struttura architettonica della ragione a caratterizzare la scienza come un sistema. Non si dà sistema senza un’idea.
Non ho un sapere organico senza architettura, avrei solo una giustapposizione di elementi. Quando invece il sapere è pensato in maniera organica, come fosse un organismo, in cui le parti crescono potenziandosi, in un sapere così considerato la struttura deve essere stabilita a priori dalla ragione che dispone le idee.

3. Critica della ragion pura e metafisica [manuale]

Sono possibili due concezioni antitetiche della filosofia:

La scienza presuppone un esame preliminare delle possibilità della ragione.

Qual è lo statuto delle scienze empiriche?

La matematica, la fisica e le scienze empiriche, che di per sé hanno valore in vista di fini contingenti, possono avere valore anche in vista di fini essenziali, ma solo con la mediazione della metafisica, cioè la conoscenza razionale che muove da semplici concetti.

La metafisica riguarda il rapporto tra le varie forme di sapere, che è legato in ultima istanza ai fini dell’uomo.

4. Il concetto e l’intuizione [manuale]

È possibile la metafisica come scienza? La scienza è un genere di conoscenza, quindi dobbiamo chiederci: come è possibile la conoscenza?

L’unità di base della conoscenza è il concetto, una rappresentazione generale che può riferirsi a una pluralità di oggetti (albero può riferirsi tutti gli alberi).

I concetti sono solo rappresentazioni e non sono fondati in una essenza esterna delle cose. Il legame tra soggetto e predicato è fondato solo nel pensiero. Ci sono due tipi di giudizi:

La metafisica dovrà contenere giudizi sintetici se vuole essere acquisizione di conoscenza. Questi principi dovranno essere a priori, in quanto la metafisica è scienza di ciò che oltrepassa l’esperienza.

Matematica e fisica pura sono scienze sintetiche a priori.

La metafisica come ontologia, cioè scienza dell’ente in generale, metafisica generale, è possibile limitatamente all’oggetto dell’esperienza.
La metafisica come metafisica speciale che riguarda Dio, anima e mondo (articolata in teologia, psicologia, cosmologia) non è possibile come conoscenza, ma deve esistere in altra forma.

L’intuizione è un’altra forma di rappresentazione, che non è generale, ma singolare, riferendosi a una singola cosa immediatamente. L’intuizione e concetti si riferiscono a due facoltà diverse: l’una alla sensibilità, l’altro all’intelletto.

La sensibilità è ricettiva e riceve le impressioni dai sensi, mentre l’intelletto è attivo e produce le sue rappresentazione. La conoscenza deriva dall’unione di queste due facoltà.

Categorie

I concetti puri dell’intelletto, cioè le categorie, sono contenuti originariamente acquisiti, ossia non nascono con l’esperienza, ma dall’esperienza.
Le categorie sono regole presupposte da ogni esperienza.

Esistono 4 gruppi di categorie. Ogni gruppo di categorie si riferisce a un principio:

  1. quantità: tutte le le intuizioni sono quantità estensive

  2. qualità: in tutti i fenomeni il reale oggetto della sensazione ha una quantità intensiva, ossia un grado

  3. relazione: l’esperienza è possibile solo mediante la rappresentazione di una connessione necessaria delle rappresentazioni

  4. modalità: 3 analogie dell’esperienza:

    1. permanenza della sostanza: in ogni cambiamento dei fenomeni, la sostanza permane e il quantum di essa nella natura non viene né accresciuto né diminuito
    2. causalità: tutti i mutamenti accadono secondo la legge della connessione di causa ed effetto
    3. azione reciproca: tutte le sostanza, in quanto percepibili come simultanee, si trova tra loro in azione reciproca universale

Deduzione trascendentale delle categorie

In che senso possiedo le categorie come concetti puri?

Gli oggetti dell’esperienza non sono sostanze la cui natura è determinata da un’essenza concettuale, ma la loro unità è garantita dalle regole dell’atto compositivo.
Gli oggetti dell’esperienza sono un insieme di relazioni regolate. L’unità dell’esperienza nasce da un processo attivo di composizione che il soggetto delle operazioni intellettuali, l’io penso (o appercezione trascendentale, o autocoscienza trascendentale), compie grazie all’intelletto.

L’io penso è una funzione di unificazione che non corrisponde a un individuo psicologico o alla sua identità.

5. La filosofia trascendentale

Estetica trascendentale è scienza degli elementi a priori della sensibilità, mentre la logica trascendentale è una scienza degli elementi a priori dell’intelletto.

Spazio e tempo sono intuizioni sensibili ma pure, cioè prive di componenti empiriche. Sono intuizioni in quanto rappresentazioni di una singolarità.
Sono forme attraverso cui ordiniamo rappresentazioni sensibili. Non posso percepire nulla fuori di essi. Sono condizioni della sensibilità; e sono ideali perché non si trovano nelle cose, e oggettivi perché le relazioni che istituiscono valgono necessariamente per gli oggetti della sensibilità, gli unici che possiamo conoscere.

Lo spazio è a fondamento della geometria, che ha carattere sintetico in quanto si riferisce all’intuizione a priori dello spazio; il tempo è invece condizione del mutamento, ed è condizione a priori di tutti i fenomeni in generale.

Riprendendo la distinzione fra fenomeni e noumeni della Dissertazione del ’70, Kant spiega che è possibile una conoscenza sintetica a priori solo nell’ambito dei fenomeni. Bisogna considerare il ruolo dell’intelletto nel processo conoscitivo, dato che le intuizioni da sole non forniscono conoscenze.
Rivoluzione copernicana, cioè il soggetto diventa il centro della ricerca metafisica, sono gli oggetti a doversi regolare sulle forme del soggetto. Questo sembra plausibile per le forme della sensibilità, ma dobbiamo capire come può valere anche per i concetti puri dell’intelletto, ossia le categorie.

Al giudizio come unificazione di concetti corrisponde l’intuizione come unificazione delle rappresentazioni. Queste unioni danno luogo a una tavola dei giudizi, che contiene tutte e sole le 12 funzioni logiche dell’intelletto da cui possiamo derivare una tavola dei concetti puri dell’intelletto o categorie.

Le categorie sono concetti di un oggetto in generale, per mezzo dei quali si considera l’intuizione di un oggetto in quanto determinata rispetto alle funzioni logiche da giudicare.
Le categorie non sono innate, ma originariamente acquisite in quanto nascono con l’esperienza.
Sono regole presupposte da ogni esperienza. Le categorie sono divise in quattro gruppi, cioè secondo quantità, qualità, relazione e modalità.

A ciascun gruppo di categorie corrispondono dei principi, che si chiamano principi puri dell’intelletto. Questi sono:

  1. quantità: tutte le intuizioni sono qualità estensive
  2. qualità: in tutti i fenomeni il reale che è oggetto della sensazione ha una quantità intensiva, cioè un grado
  3. relazione: analogie dell’esperienza: permanenza della sostanza, causalità e azione reciproca.
  4. modalità: non contribuiscono a prefigurare un oggettom ma indicano solo il rapporto che l’oggetto dell’esperienza ha con il soggetto conoscente, cioè come possibile, reale o necessario.

La conoscenza è un composto di ciò che riceviamo con le impressioni e ciò che la nostra facoltà conoscitiva apporta da se stessa.

Per dimostrare che siamo in possesso di conoscenze sintetiche a priori come concetti puri, e che sono solo quelle 12, Kant fa una deduzione trascendentale delle categorie. L’unità dei fenomeni può essere data solo da un’operazione di composizione attiva da parte del soggetto, in particolare dell’intelletto.

Il soggetto delle operazioni intellettuali è l’io penso, che è una funzione di unificazione.

6. Smarrimento e trasfigurazione nella metafisica [manuale]

Se la conoscenza a priori è possibile solo nell’esperienza, sono escluse da essa i temi tipici della metafisica del tempo: Dio, l’anima, il mondo.

Dato che le cose del mondo sono fenomeni, non possono valere per esse le condizioni riferite dalla ragione alle cose in sé.

Tuttavia ogni ragione è sempre portata a cercare una roccia, cioè un fondamento assolutamente necessario. Questa pretesa si traduce in tre forme di argomentazione:

  1. prova fisico-teologica: dimostrazione dell’esistenza di una causa suprema a partire dal mondo fisico
  2. prova cosmologica: dimostrazione dell’esistenza di un ente necessario in base a qualunque esistenza
  3. prova ontologica: dimostrazione dell’esistenza in base al concetto

La prova ontologica è particolarmente criticata, in quanto il predicato dell’esistenza non può essere compreso nel concetto, cioè si aggiunge in modo sintetico ad esso. Cento talleri reali sono diversi da cento talleri possibili.

La ricerca di unità della ragione produce un presupposto trascendentale, l’unità sistematica della natura.
La ragione ha un carattere teleologico, cioè procede secondo fini e ha la natura di un progetto.

Critica della ragione pratica (1788)

Critica del giudizio (1790)

Introduzione alla seconda edizione della Ragion Pura (1787)

Schelling

Opere

Fichte

Opere

Hegel

Opere

Glossario

Struttura Enciclopedia

Logica

Struttura Fenomenologia dello spirito - non commentata

Nella fenomenologia dello spirito, vediamo il percorso dal punto di vista della coscienza individuale.

Struttura Fenomenologia dello spirito - commentata

Nella fenomenologia dello spirito, vediamo il percorso dal punto di vista della coscienza individuale.

Struttura Enciclopedia - non commentata

Dal punto di vista dell’assoluto, cioè dal punto di vista dell’idea.

Struttura Enciclopedia - commentata

Dal punto di vista dell’assoluto, cioè dal punto di vista dell’idea.