Esame di Storia della filosofia medievale

Gabriele Ferri

Modalità di esame

  1. Prima domanda sui famosi 7 paragrafi di introduzione.
  2. Da Agostino a Giovanni Scoto Eriugena
  3. L’XI e XII secolo - fino a Giovanni di Salisbury
  4. Dai pensatori arabi ed ebraici a Tommaso d’Aquino
  5. Il XIII secolo da Roberto Grossatesta a Ruggero Bacone
  6. Sul XIV secolo - Giovanni Duns Scoto e Guglielmo di Ockham

Nota bene: la domanda 4 e la domanda 5 sono “una dentro l’altra”, non è un errore.

Introduzione (p.7-47)

Vera philosophia. La sintesi di fede e ragione.

Il rapporto tra verità e fede è subalterno, ed è un accordo che produce una notio, una verità incontrovertibile

Sana doctrina. Oro degli egiziani e la moneta del re.

La sana doctrina è una rivalutazione sistematica e globale di tutto il reale

Sacra Eloquia. Parola di Dio e sapere umano

Il canone pensiero cristiano costruisce una unanimitas basandosi sull’accordo tra Scrittura e Padri

Divina Dispositio. L’ordine del creato: essenze, idee, numeri, intelligenze

L’ordine del mondo è basato su una distribuzione ordinata voluta da Dio. (Metafisica dell’ordine)

Christiana Institutio. Le due biblioteche: litterae humanae e litterae divinae

Il dato rivelato e l’indagine dei fenomeni naturali sono due percorsi complementari per conoscere Dio

Regula Sermonis e Lex Pulchritudinis. Dal molteplice all’unità: filosofia del linguaggio ed estetica

Attraverso i signa delle parole e delle cose create possiamo apprezzare l’ordine l’ordine dato da Dio al creato.

Lex vitae e Disciplina Morum (disciplina dei costumi). La filosofia pratica nel Medioevo

Il fine della vita umana rimane l’aspirazione al bene.

Agostino (non mio, rubato, da rivedere, fa abbastanza schifo)

Vita e opere

Agostino nasce nel 354 a Tagaste, da madre cristiana e padre pagano. Studia a Madura e a Cartagine, non apprende il greco. Inizialmente legato al manicheismo, religione gnostica dualista, si reca a Milano e si converte al cristianesimo grazie al vescovo Ambrogio. Scrive dialoghi, viene battezzato, torna in Africa, scrive testi sulle arti liberali, nel 395 diventa vescovo di Ippona, si scontra con l’eresia di Donato. Scrive Sulla dottrina cristiana, poi tra il 397 e il 400 le Confessioni, e l’opera in 15 libri De trinitate. Scrive la Città di Dio in 22 libri, poi si scontra con l’eresia di Pelagio, contro cui scrive diverse opere. L’anno della sua morte, il 430, i Vandali conquistano l’Africa del Nord. La sua ultima opera sono le Retractationes, in cui valuta e riformula alcune tesi delle argomentazioni delle sue opere precedenti.

Il problema del male

I manicheisti si sbagliano perché sostengono l’esistenza del bene assoluto, Dio, contrapposto al principio del mal. Ma se Dio è bene perfetto come fa a essere contrapposto al male, di cui dovrebbe subire l’azione? Dio è l’unico principio, e poiché è bene perfetto dev’essere incorruttibile, quindi è immateriale. Esistere è meglio che non esistere, quindi la cosa peggiore, il Male, non può esistere. Il male in sé non esiste, è solo privazione, lontananza dal principio primo perfetto. Le cose create sono tutte buone, ma in misura minore rispetto al Creatore, in quanto possono essere e non essere. L’azione malvagia corrisponde alla scelta del bene terreno, inferiore al Sommo Bene, e se la volontà umana lo sceglie, lo rende un male: la volontà è quindi fonte del male e del peccato, che non danneggia Dio, ma solo chi l’ha compiuto. La libertà è data all’uomo per dargli la possibilità di scegliere tra il bene e il male, e, così facendo, redimersi dal peccato originale. Dio prevede le nostre azioni, ma non come necessarie in senso assoluto, ma necessitate dalla nostra volontà: l’onniscienza divina non influisce sulla nostra libertà.

Ricerca della verità e interiorità

Cristo è il vero filosofo, e i veri filosofi sono cristiani. La felicità viene dalla sapienza, e la sapienza è conseguibile, come dimostrano le indubitabili verità matematiche. Gli scettici si sbagliano, perché c’è una verità indubitabile che è l’esistenza del sé pensante.

La verità non è solo una proprietà delle proposizioni, ma è una e immutabile: è il pensiero di Dio, eterno. L’anima è il luogo della conoscenza, in quanto conosce l’intelligibile, l’unica realtà autonoma, grazie all’insegnamento interiore di Cristo.

Il linguaggio è fatto di parole, che sono segnie non permettono di cogliere con certezza ciò che a loro corrisponde. L’impossibilità di una conoscenza diretta delle cose è conseguenza del peccato originale, ma è risolta dalla Bibbia, che offre una conoscenza diretta della parola. Sulla Bibbia si fonda la dottrina cristiana, ma per comprendere la parola di Dio si possono usare tutti gli strumenti utili della cultura pagana.

Illuminazione e dialogo con Dio

L’anima è una sostanza immortale, indipendente dal corpo, ma non eterna. La verità non proviene dai sensi né è prodotta dall’uomo, o sarebbe effimera come il corpo: la verità è l’illuminazione divina che l’anima trova unicamente dentro di sé. Grazie a questa luce interiore l’anima può recuperare, in un processo di reminescenza, le verità immutabili, le idee e le ragioni delle cose, le “regole eterne”, criteri di verità. Le idee non sussistono autonomamente ma esistono nel Verbo di Dio come modelli della creazione delle cose.

L’illuminazione garantisce verità oggettiva e la possibilità di comunicazione tra gli uomini. Dio è pura unità, ma è anche essere, verità, pensiero. La ricerca è la dimensione propria della condizione umana, che non possiede per natura la verità, ed è guidata da Dio, che è e possiede tale verità. Il pensiero è dialogo tra uomo e Dio (da questa idea nascono le Confessioni). La Scrittura non è un oggetto esterno da interpretare, ma uno dei poli del dialogo tra anima e Dio.

Il problema del tempo

Può sembrare che la creazione sia un atto di Dio in un dato momento, ma la volontà di Dio è tutt’uno con il suo essere, e la sostanza di Dio è immutabile, quindi Dio non può non volere qualcosa per un po’ e poi d’un tratto volerlo. Inoltre la volontà creatrice di Dio è eterna, quindi è eterno ciò che crea. L’eternità di Dio però trascende il tempo, e non conosce passato e futuro: Dio esiste fuori dal tempo e con la creazione crea anche il tempo. Il tempo sembra somma di passato, presente e futuro, ma il passato non è più e il futuro non è ancora, pare quindi che il tempo sia solo presente. Se il presente fosse sempre attuale sarebbe l’eternità, ma in realtà esiste a patto di diventare immediatamente passato e non essere ancora futuro. Il tempo sembra esistere in quanto “tende a non essere”, ma non può essere nulla, dato che lo percepiamo. Gli intervalli di tempo sono divisibili all’infinito, quindi non c’è un non divisibile che possa essere il presente. Il presente è un intervallo senza estensione, e esiste solo il trasformarsi del futuro nel passato. Parlando del passato noi non esponiamo le cose passate, ma le immagini impresse nel nostro animo dalle cose passate nel loro accadere.

La memoria trattiene il passato ed esiste nel presente, ed è quindi il presente del passato. Il futuro è attesa presente di ciò che sarà e il presente attenzione presente a ciò che è. Le tre dimensioni temporali non dipendono da nulla di esterno all’anima: il tempo è un distendersi dell’anima (distensio animi). Quindi se non ci fosse l’anima non ci sarebbe il tempo, ma l’anima rinvia all’unità divina (di cui è immagine), che comprende nell’eternità presente, passato e futuro. Dio è garanzia dell’esistenza del tempo.

L’anima e la Trinità

La verità è l’autorivelazione di Dio, e ricercare la verità significa amare Dio. Amare il prossimo è amare il Sommo Bene attraverso l’altro.

La fede è credere in Dio e quindi amarlo; è pensiero accompagnato dall’assenso della volontà. Tra fede e comprensione razionale dei suoi contenuti non c’è contraddizione. Chi pensa non per forza crede, ma chi crede pensa: l’intelligenza precede la fede, e non potremmo avere la seconda senza la prima, perché non potremmo giudicare buona l’adesione a Dio.

Filosofia e teologia sono un tutt’uno e corrispondono alla ricerca nell’anima, che è divisa in:

Alla quale corrisponde la tripartizione di essere (memoria che la mente ha di sé), sapere (acquisizione dell’intelligenza) e amore (esito del volere). Usare le cose è metterle a disposizione della volontà, come mezzi per raggiungere altre cose o come fini. Agostino distingue tra “usare” e “fruire”: il secondo include il primo con l’aggiunta della gioia per la cosa di cui si fruisce, che diventa il fine stesso della fruizione.

L’unità dell’anima nelle sue tre articolazioni è l’immagine di Dio, uno e trino (l’uomo è creato a sua immagine). La diversità tra le persone divine non deriva dal fatto che hanno tre sostanze, né da accidenti, ma dalle relazioni tra loro. In Dio memoria, intelligenza e volontà non sono separate, ma un’unica sostanza. La creazione del mondo è opera comune delle tre persone.

La predestinazione e la grazia

Inizialmente Agostino vede nella libera volontà la causa del male, ma poi si convince che la volontà umana non è libera. L’agire umano è influenzato dall’abitudine, fondata sul ricordo del piacere. I filosofi pagani sono superbi nel ritenere la ragione capace di garantire la felicità.

L’uomo non è capace di redimersi da sé dal peccato, e ha bisogno della redenzione di Cristo. La chiesa svolge una funzione di mediazione tra l’uomo e Dio: include le grandi masse, e per questo Agostino condanna le sette dei donatisti (che credono che nessun peccatore può far parte della chiesa) e dei pelagiani, che sostenevano che l’uomo ha la possibilità di redimersi, senza bisogno della mediazione della chiesa o del sacrificio di Cristo.

Secondo i donatisti, ogni cristiano dev’essere perfetto: il modello ideale è quello del monaco. Agostino ritiene che anche i peccatori appartengono alla chiesa, e che bisogna vivere con loro per correggerli.

I sacramenti sono validi indipendentemente da chi li compie, perché è Cristo a dar loro efficacia. La fede e la salvezza dell’uomo dipendono dalla grazia concessa da Dio. L’umanità è libera solo di fare il male. Adamo e Eva erano l’intera umanità nel momento del loro peccato, quindi l’umanità, che da loro discende e da loro ha ricevuto l’anima (tramite l’atto sessuale), è colpevole; Cristo è privo di peccato perché è nato da una vergine. L’umanità dopo il peccato necessita di guarigione, e solo la grazia la può concedere. La libertà per Agostino non è la possibilità di scegliere il bene o il male: Adamo prima del peccato era libero di “poter non peccare”, l’uomo dopo il peccato originale ha la libertà di “non poter non peccare”.

La vera libertà è “non poter peccare”, e questo è concesso solo agli eletti dalla grazia divina, che lo sono indipendentemente da alcun merito conosciuto all’uomo (altrimenti la salvezza non dipenderebbe da Dio). La volontà che ha ricevuto la grazia possiede l’amore, la caritas, che fa sì che l’anima preferisca sempre il bene maggiore, che è Dio. Dio prestabilisce chi si salverà e chi no, e non induce a compiere il male, ma chi è privato della sua misericordia non può non peccare. La predestinazione non rende inutili gli sforzi umani: nessuno sa il proprio destino.

Le due città e la storia

Ne La Città di Dio Agostino sostiene che è Dio che fa nascere e cadere gli imperi. Inizialmente Agostino ritiene che il potere politico sia al servizio della religione, ma con il procedere del crollo dell’impero la convinzione diventa solo una speranza.

Agostino ritiene che la storia della Chiesa non sia condizionata dalle vicende umane. Le vicende storiche dipendono dall’ordinamento voluto da Dio. La storia ha una durata limitata e si avvicina alla fine: non c’è eterno ritorno, o non sarebbe possibile essere felici in modo duraturo. La storia ha un fine ultraterreno che dà senso a tutto quanto precede, ma non è un progresso lineare verso la salvezza. La storia dell’umanità è la storia della lotta tra il bene e il male, che costituiscono due regni: storia sacra e storia profana, che coesisteranno fino all’evento finale. La distinzione si traduce in quella tra città divina, retta dall’amore di Dio e abitata dai giusti, e la città terrena, dominata dall’amore di sé, abitata dagli ingiusti: angeli ribelli, diavoli e uomini. L’umanità è divisa in queste due città, e l’appartenenza ad una o l’altra dipende solo dalla grazia divina.

Un popolo si definisce in base a ciò che ama: la città terrena è la società che venera gli dei pagani, ossia i demoni, e si fonda sul desiderio del potere. I membri della città terrena non vedono quanto è effimero ciò che essi hanno creato e sconvolgono l’ordine delle cose. L’ordine è costituito dalle relazioni naturali di dipendenza tra le parti: il rispetto di tali relazioni è l’obbedienza delle parti inferiori verso quelle superiori. L’autorità di un uomo sugli altri (la politica) è necessaria dopo il peccato per impedire violenze reciproche. La città di Dio è la chiesa (vera) di coloro che vivono secondo Dio e sono da lui graziati, non di tutti i membri della chiesa (visibile). Prima del giudizio finale, gli abitanti delle due città sono mescolati, e i membri della città di Dio sono stranieri in terra, e non possono realizzare il loro desiderio di pace. La pace è “tranquillità nell’ordine”, e l’ordine è una “disposizione delle cose simili e dissimili che attribuisce ad ognuna il suo posto”. La resurrezione finale (e la scomparsa della storia) risolverà ogni conflitto, e realizzerà la pace e la libertà di non poter peccare.

Boezio, il padre della scolastica (VI secolo) (p.58-67)

In breve

Opere e traduzioni

Opere:

Traduzioni:

Scrive:

Questo corpus di opere di Boezio è tutto ciò che l’Occidente conoscerà di Aristotele per 6 secoli e mezzo, la Logica Vetus, perchè all’inizio del XIII secolo arriverà la Logica Nova, diversa da quella di Aristotele.

Boezio traduce in latino le opere di un neopitagorico di epoca imperiale, L’istituzione aritmetica e l’Istituzione di musica. L’obiettivo di Boezio è quello di avere in latino dei manuali di discipline su cui Aristotele non ha scritto.

Vita

Opera presso la corte di Teodorico, sovrano in Italia. Vive tra il 480 e il 525, quando viene giustiziato appunto da Teodorico, perchè accusato di aver congiurato contro di lui.

Boezio in carcere scrive La consolazione della filosofia. Qui riflette sulle alterne vicende della sorte umana, che fanno passare gli uomini dal successo alla miseria in poco tempo.

Opera in un momento in cui ormai le scuole neoplatoniche di epoca imperiale hanno consolidato il proprio curriculum di studi incentrato su Platone, ma prima dei 12 dialoghi canonici si dovevano studiare i testi principali di Aristotele. A partire dal III secolo d.C. abbiamo una quantità straordinaria di commenti ad Aristotele, scritti in greco da esponenti delle scuole neoplatoniche, non solo ad Atene, ma anche ad Alessandria e altre scuole minori.

Progetto filosofico

Inoltre Boezio:

  1. Pone la filosofia come strumento fondamentale per riqualificare la cultura dell’Occidente latino.
  2. Crea una strumentazione “tecnica” della filosofia, che neanche Agostino aveva. Vuole ridare alla filosofia uno status disciplinare, che passa attraverso il lessico e la tecnica filosofica.

Organon

Inizia dall’Organon aristotelico, dalla logica. Da quali opere è composto l’Organon?

Ideale culturale di Boezio: la sapientia

La sapienza è il sapere unitario che la civiltà greca ha prodotto, capace di ricondurre in unità i diversi pezzi dello scibile umano. Questo sapere è organizzato e globale. L’ideale di sapientia è in Boezio condizionato da un lato condizionato dalla scuola platonica, dall’altro dal Cristianesimo.

Opuscula Sacra

Scansione dei testi:

  1. De trinitate
  2. Sulle ebdomadi
  3. De fide
  4. Contro Eutiche e Nestorio

Gli Opuscula Sacra dimostrano che Boezio fosse cristiano.

Questo dubbio è stato sciolto solo quando nell’800 sono stati scoperti 4 brevi scritti di argomento teologico, sicuramente Boeziane, che però non avevamo: gli Opuscula Sacra, opere teologiche.

Sulle ebdomadi (III)

La terza di queste opere è stata tramandata col titolo De hebdomadibus.

Questo libro è storicamente fondamentale per tre motivi.

  1. Assiomatizzazione della teologia. Si afferma l’idea che la teologia si debba costituire su un modello geometrico, ponendo all’inizio degli assiomi, cioè proposizioni necessarie autoevidenti. Questo procedimento è costruito sulla deduzione.

Boezio pone all’inizio dell’opera 10 proposizioni dalle quali secondo lui possiamo dedurre le successive verità particolari della teologia. Non solo nel medievo ci sono altri tentativi di assiomizzazione (Leonardo Lullo), ma soprattutto poi nel XVII secolo Spinoza.

  1. Uno dei 10 assiomi è: diversum est esse et id quod est

Sono differenti l’essere e ciò che è.

Significa che da un lato esiste un essere determinato e specifico, dall’altro un essere indeterminato da cui il primo trae la propria origine metafisica. Questo assioma lo vedremo in Gilberto di Poitiers e in Tommaso D’Aquino, e ha aperto la strada all’eterno dilemma tra Platone e Aristotele: in che relazione stanno l’essere determinato e l’essere determinante?

  1. Bontà delle sostanze. Il tema proposto dall’interlocutore di Boezio è: le sostanze sono buone in ciò che sono? Qual è l’origine della bontà delle sostanze? Da un lato la bontà dovrebbe essere intrinseca alle cose (ottimismo metafisico del medioevo - l’ha fatto Dio, l’ha fatto buono), dall’altro se le sostanze fossero buone di per sè , quale sarebbe la loro differenza con Dio? Il “rischio” è sempre il panteismo (osservazione mia: guarda quanto Spinoza c’è).

A questo proposito la tradizione platonica dà una risposta che Boezio trova problematica: la metafisica della partecipazione. Nella tradizione platonica le cose del mondo partecipano dell’essere delle idee. Condividono con le idee una parte del loro essere. Boezio non accetta questa risposta, perchè è una risposta neccesitaristica, cioè che attribuisce alle cose create un carattere di necessitàche ha solo l’essere divino. La metafisica di Platone agli occhi di Boezio viola la trascendenza di Dio: le creature devono essere contingenti.

Per Boezio le creature non sono buone di per sè, ma sono buone per un libero atto del volere di Dio. È Dio che nel crearle le fa essere buone, e quindi questo per Boezio è un modo per dire che la tradizione platonica va integrata e completata.

De Trinitate

L’opera piùimportante è il De Trinitate: Boezio vuole dare una spiegazione razionale della trinità.

Elabora i capisaldi di una teologia razionale: una analisi filosofica del dato teologico. Si cerca per la prima volta di trovare una sintesi tra i due livelli della teologia e la filosofia.

  1. . Sensus, ractio, intellectus In noi ci sono 3 livelli gnoseologici.
  1. Il metodo della teologia è intellectualiter La metafisica deve utilizzare intellectus e ratio, ma se la ratio è perfettamente funzionante nell’ambito dell’umano, mentre il ragionamento su Dio deve passare dall’intellectus. Platonicamente, con l’intellectus si coglie l’intellegibile in maniera totale e immediata.

  2. Pre-scienza e libero arbitrio. Un esempio di ciò lo troviamo nel III libro della Consolatio (pag.64 del manuale). Boezio qui tocca il tema tra la pre-scienza e il libero arbitrio dell’uomo. Nella tradizione cristiana Dio è solo onnipotente, ma anche onnisciente. Riferendosi alla dimensione del tempo, Dio è pre-scente, conosce prima tutto ciò che avverrà; ma è chiaro che questo entra facilmente in conflitto con la sensibilità, che Agostino ha introdotto, per la libertà dell’uomo.

A questo punto viene introdotta la distinzione tra necessità assoluta, necessità conseguente e libertà

Se Dio è pre-sciente, noi siamo forse predestinati? Boezio si pone il tema della libertàumana. Boezio comincia distinguendo due tipi di necessità:

La necessità assoluta è quella di Dio, che non può essere diverso da come è; la necessità conseguente invece è la concatenazione necessarie degli eventi nel mondo contingente, poste determinate condizioni.

Come possiamo conciliare la necessità di Dio, assoluta, la necessità conseguente con la libertà? Dio è su un piano diverso rispetto alla creazione, e anche la sua conoscenza è su un piano diverso. Boezio usa l’immagine: è come se Dio stesse osservando il mondo da un monte altissimo, infinitamente alto. Da qui Dio conosce tutto, ma non per questo necessita tutto.

Lo sguardo con cui dio conosce è su un piano diverso rispetto a quello della nostra libertà di agire, perchè Dio è fuori dal tempo.

  1. Perpetuità ed eternità A questo proposito introduce la distinzione tra perpetuità ed eternità:

Essendo Dio fuori dal tempo, egli vede tutto ciò che per noi avviene nel tempo, ma vede tutto in uno sguardo unico, onnicomprensivo, quindi non ci necessita.

Che cos’è quindi l’eternitàsecondo Boezio? È il possesso pieno e simultaneo di una vita senza fine.

Per noi, gli avvenimenti sono come un film che si svolge nel tempo; per Dio gli stessi avvenimenti sono come una diapositiva di estensione infinita; tutti simultaneamente presenti davanti a lui. Ma Dio è fuori dalla diapositiva: la guarda, non determina quello che c’è dentro. Dio vive in una dimensione totalmente altra.

Ciononostante Dio è comunque provvidente. Dio, che ci ha creati, ci conosce in modo assolutamente dettagliato, quindi sa prima cosa noi faremo in delle date circostanze; ma non significa che ci obblighi a farlo. Dio sa le cose, ma in un modo che non le determinano; sa che scelta faremo ma non la determina.

Boezio respinge l’occasionalismo, cioè l’intervento “occasionale” di Dio, che arriva con la sua mano, “sul momento”, per modificare il corso degli eventi.

La strada di Boezio per conciliare libero arbitrio e Dio è appunto quella di separare temporalità ed eternità: Dio esiste, ma tutto è permesso

  1. Nel De Trinitate Boezio fa un ragionamento storicamente importante su come possiamo usare le categorie aristoteliche quando parliamo di Dio. Le Categorie sono modi di darsi dell’essere, ma anche modi di dire l’essere.

Siccome l’essere di Dio non ha accidenti, proprio in quanto è un essere totalmente necessario, privo di determinazioni accidentali, quando parliamo di Dio tutte le categorie esprimono la sua sostanza. Sono espressioni del nostro uso comune, ma cambiano completamente il loro significato.

Posso dire che Dio è buono, ma quella categoria di qualità è solo una formula del linguaggio umano.

La categoria di relazione rispetto a Dio è sostanziale. Se io dico che Dio è trino, quindi introduco linguisticamente una relazione, ontologicamente sto sempre parlando della sua sostanza.

Definizioni di natura e persona nel De Trinitate

Il terzo dei 5 opuscoli teologici, oltre al De Trinitate è quello Contro Eutiche e Nestorio (pag.67), due eretici. Per risolvere queste eresie Boezio ritiene che si debbano chiarire i significati di due parole fondamentali: natura e persona.

Come persona, si intende una sostanza individuale dotata di una propria intelligenza e volontà.

Gli universali

Boezio fonda la discussione medievale sul problema degli universali, quegli oggetti che possono fungere da predicato in un numero molto grande di proposizioni affermative. Es. linea

Commento all’Isagoge e universali

Porfirio si pone 3 domande a cui Boezio deve rispondere:

Poste queste domande, Porfirio si chiede: ma ha ragione Platone o Aristotele? Nel momento in cui Boezio si trova a rispondere questa domanda deve mettere d’accordo Platone e Aristotele.

C’è quindi una grande divergenza tra Platone e Aristotele.

Teoria dell’astrazione

La risposta che dà Boezio a questa questione è storicamente importantissima, in quanto segna l’inizio di quella che viene chiamata Teoria dell’astrazione.

Boezio fa l’esempio della linea. La linea materialmente è il confine tra due corpi. Nella realtà, la linea si dà in unione con i corpi, direbbe Porfirio. Ma perchè in geometria posso pensare a una linea del tutto autonoma e generale?

Perchè la nostra mente ha la capacità di considerare in maniera autonoma ciò che in realtàè unito, cioè di astrarre. Se devo pensare al confine del tavolo guardando il tavolo, la mia ratio ha la capacità di estrarlo.

Gli universali quindi:

Riforma istituzionale e rinascita culturale e religiosa (p.93-97)

La conquista di Carlo magno della sassonia pagana del 786 fu un episodio che consolidò negli intellettuali, che affiancavano nelle campagne militari il futuro imperatore, il compito di difensori dell’unità spirituale. Carlo impose il battesimo all’intera popolazione sottomessa, ma gli fu suggerito di non imporre ai barbari la fede con la spada. La mossa corretta è invece inviare sapienti che insegnano la filosofia e la scrittura ai pagani: solo attraverso l’educazione e la razionalità è possibile dare vita ad un impero realmente cristiano.
Carlo si impegnò molto a favorire il recupero della tradizione letteraria, filosofica e teologica del passato. Questa rinascita di attività culturale interessava ogni genere letterario antico: da Aristotele alle opere dei padri. Moltissimi manoscritti sacri riempirono le biblioteche dei monasteri e delle abbazie. A questo consolidamento delle conoscenza seguono provvedimenti per assicurare la solidità del sistema, come l’unità linguistica, l’unità grafica con la minuta carolingia e la divulgazione della bibbia nell’unica traduzione latina.

Giovanni Filopono (p.85-87)

Opera ad Alessandria d’Egitto, un contesto più libero dai condizionamenti religiosi e politici (v. chiusura scuola di Atene 529)

È autore di commenti su Aristotele.

Lo ricordiamo per due aspetti importanti:

  1. Confutazione dell’eternità del tempo.

Per Aristotele il mondo è spazialmente finito. Se il mondo infatti fosse infinito spazialmente, non avremmo un centro verso cui la Terra dovrebbe tendere (teoria dei luoghi naturali). Ma visto che noi constatiamo che la Terra tende verso il centro del mondo, è impossibile che sia infinito nello spazio.

Ma il tempo deve essere finito anche nel tempo. Se il mondo è finito nello spazio in quanto la spazialità si genera dalla sua estensione, il tempo corrisponderà alla sua estensione temporale, ovvero alla sua vita stessa.

  1. Ogni moto è riconducibile all’azione di Dio, che fornisce energia motoria, virtus motiva.

Una critica al concetto per cui tutto ciò che si muove è mosso da altro. Ora, questa idea va in palese contraddizione con il moto dei proiettili: il proiettile si muove anche dopo essersi staccato da ciò che lo lancia. Aristotele conosceva il problema, ma aveva risposto che quando il proiettile si stacca, il motore del movimento diventa il mezzo in cui il proiettile si muove. Ma Filippo Philly risponde che se fosse così, muovendo l’aria, dovremmo essere in grado di far muovere dei proiettili.

Nei corpi che si muovono esiste una virtus motiva, capacità motrice, per cui finchè il proiettile è in contatto con la catapulta si muove da solo, poi, viene mosso usando questa virtus motiva, che non è una forza nè un principio di inerzia, ma una proprietà metafisica, una determinazione qualitativa (come se cambiasse colore). Questa virtus motiva sarebbe opera di Dio stesso.

Questa idea di fondo verrà ripresa nel XII secolo da Francesco della Marca e nel XIII da Giovanni Buridano, che su questa base formulerà la teoria dell’impetus.

Giovanni Scoto Eriugena (sec. metà del IX secolo) (p.126-146)

È un personaggio che opera alla corte di Carlo il Calvo, successore di Carlo Magno. Viene chiamato dall’Irlanda per insegnare le arti liberali, del Trivio e del Quadrivio. C’è stata la cosiddetta rinascenza carolingia, l’obiettivo di Carlo Magno di far rifiorire gli studi era molto minimale: voleva funzionari capaci e preti capaci di predicare. Questo “grande progetto culturale” consisteva quindi nell’insegnamento del latino e dell’aritmetica di base. Non pensiamo quindi alla rinascenza carolingia come un fiorire di geni o una grande rinascita.

Opere tradotte

Si crea attorno a Carlo Magno un circolo di intellettuali tra cui emerge come vero genio Giovanni Scoto, completamente avulso dal suo tempo in quanto di intelligenza davvero straordinaria. Conosce addirittura il greco, è uno dei pochissimi. Lo sappiamo perchè traduce dal greco in latino alcune opere fondamentali della patristica:

Maestro di arti liberali

È un autore quindi inserito nel medioevo latino, ma con fonti particolari. Questo lo porterà a costruire una filosofia quasi unica nel medioevo. Conosce benissimo un’opera di Marziano Capella, Le nozze di filologia e di Mercurio tardoimperiale latina, un gigantesco compendio di arti liberali. Lo sappiamo perchè abbiamo le sue annotazione, il suo commento all’opera.

Arti liberali come hobby, padri greci come passione: il risultato è spiazzante.

Il libro sulla predestinazione

La sua prima opera si intitola Libro sulla predestinazione. Alcuni vescovi francesi chiedono a Giovanni di scrivere un’opera contro la dottrina della predestinazione proposta da alcuni francesi.

Contraddice quindi questa posizione affermando che l’inferno non esiste. Questo è il primo passo eccentrico ed originale di Giovanni, che per questo subirà una sorta di damnatio per la sua opera principale, il De divisione naturae (in realtà il titolo originale è in greco, perì phuseon).

La natura e le sue divisioni

Il termine più universale del linguaggio umano, per descrivere tutte le cose che sono e quelle che non sono è natura. Non possiamo definire il termine natura, perchè non c’è un genere più alto dentro cui collocare questo concetto.

Per capirla dobbiamo quindi porre una divisione, la discesa dall’universale al particolare. Possiamo dividerlo introducendo delle opposizioni rispetto a ciò da cui la natura deriva, utilizzando il concetto di creazione. Così otteniamo 4 ambiti del termine natura:

  1. La natura che crea e che non è creata. Questa natura è Dio creatore.

  2. La natura che è creata e che crea, ovvero le intelligenze motrici, che però per Giovanni sono anche gli angeli, creati da Dio ma che esercitano sul mondo un’attività creatrice.

  3. La natura che è creata e che non crea, il mondo creato.

  4. La natura che non crea e non è creata. Giovanni dice che questa natura è Dio. Giovanni arriverà a dire che Dio è il nulla.

Questa divisione pur rimanendo razionale ingloba in sè il dato di fede. Questo ci dice come per Giovanni ci sia un isomorfismo perfetto tra la rivelazione e la mia capacità di comprendere. Usa sullo stesso piano il dato rivelato della creazione e il procedimento neoplatonico della divisione.

Una ragione correttamente usata è uno strumento perfettamente sovrapponibile alla Rivelazione, ci spiega il dato rivelato senza conflitti.

Il buon Giovanni propone anche un’ulteriore divisione, meno esaustiva della natura in 5, di tutto ciò che è e tutto ciò che non è.

Giovanni Scoto Eriugena è il penultimo autore (l’ultimo è Anselmo), persuaso dell’isomorfismo tra dato razionale e dato rivelato, uno degli ultimi autori eredi della tradizione patristica, che accoglie, senza problematizzarlo, il problema del rapporto tra ragione e fede. Gli strumenti della riflessione razionale sono adatti alla comprensione del dato di fede.

Conoscibilità e predicabilità di Dio (I Libro)

Il primo libro è dedicato alla natura che non è creata e che crea, cioè Dio.

Ma come si può parlare di Dio? L’opzione di Giovanni è quella dello Pseudo-Dionigi l’Aeropagita, la divisione in teologia affermativa, teologia negativa che la corregge, e teologia superlativa che integra le due dimensioni.

Rimane però un grosso problema, che Pseudo-Dionigi non aveva, ma ce l’ha Giovanni, che conosce le categorie di Aristotele, grazie a Boezio: come possiamo applicare a Dio la griglia delle categorie di Aristotele? La risposta di Giovanni si muove su livelli diversi.

  1. Tutte le proposizioni che seguono l’impianto delle categorie seguono la categoria di sostanza. Dunque non possiamo sapere nulla di Dio.

La prima soluzione è quella proposta già da Boezio nel De trinitate: tutte le categorie dette di Dio in realtà dicono la sua sostanza ; hanno la forma linguistica di predicazioni categoriali in senso aristotelico. Un soggetto fa da sostanza e poi ci sono i predicati. Ma le proposizioni che si riferiscono a Dio sono tutte proposizioni sostanziali: sono tutti modi di dire che Dio è Dio, e quindi se in realtà tutto ciò che noi possiamo dire di Dio è la sua sostanza, in fondo siamo consegnati a quella che Cusano chiamerà divina ignoranza: di Dio non possiamo sapere niente.

  1. Le categorie di Dio si dicono metaforicamente (termine introdotto negli autori latini proprio da Giovanni).

Le proposizioni categoriali vogliono dire qualcos’altro con un’immagine. Ogni volta che diciamo qualcosa di Dio stiamo parlando metaforicamente.

Questo significa che di Dio non possiamo sapere veramente qualcosa, ma dobbiamo usare un linguaggio simbolico. Con questa idea Giovanni coniuga la teologia negativa (di Dio non posso dire nulla) con quella della logica vetus (quella che si basa sulle categorie aristoteliche). Crea un ponte tra Aristotele e la tradizione Platonica.

  1. Spazio e tempo non sono determinazioni del soggetto conosciuti, ma sono modi in cui il soggetto conosce gli oggetti. Possiamo dire che Dio è sempre.

Parlando di queste due categorie, Giovanni dice questo: in realtà noi diciamo che Dio è dappertutto, perchè non è circoscritto da un luogo; e allo stesso tempo, diciamo che Dio è sempre, proprio perchè è al di fuori dal tempo, come dice Boezio. Tuttavia per Giovanni queste due idee ci rivelano due idee molto importanti: che lo spazio e il tempo non sono veramente delle determinazioni delle cose. Se dico che Dio è sempre sembra che gli stia dando una dimensione temporale, ma in realtà sto esprimendo la mia impossibilità di determinare la sua collocazione nel tempo.

Visto che io non so niente delle determinazioni spaziali e temporali di Dio, perchè sono in grado di formulare queste determinazioni? Perchè ha un senso dire che Dio è sempre?

Perchè lo spazio e il tempo esprimono modalità conoscitive del soggetto conoscente, e non dell’oggetto conosciuto.

Giovanni sta unendo Agostino e Boezio: Agostino aveva detto che il tempo è il distendersi della vita dell’anima, aveva riportato il tempo all’individualità. Per Boezio Dio è fuori dal tempo e dallo spazio. La tradizione patristica si fonde con Boezio.

Conoscibilità delle creature: la triade sostanziale (II libro)

Comprende le intelligenze angeliche dello Pseudo-Dionigi, cioè le idee create. Queste sono create da Dio, perchè non sono Dio, ma hanno un ruolo attivo e produttivo nei confronti del mondo.

Nessuna di queste sostanze è realmente conoscibile per noi.

Possiamo conoscere solo le determinazioni accidentali delle cose create

Qui l’intuizione è la stessa di Locke. Che cosa so di questo libro che ho davanti? Che ha un certo numero di pagine, ecc.

Ma tutte queste sono quelle che Aristotele chiama determinazioni accidentali. Vedo un insieme di determinazioni accidentali, e li chiamo sostanza. A rigore quindi non posso conoscere una ipotetica sostanza. Nasce così l’empirismo. La sostanza viene dunque “ricostruita” a posteriori.

Chiamiamo “sostanze” le immagini mentali costruite a partire dalle relazioni

In realtà l’opera creativa di Dio è misteriosa per noi, non sappiamo come Dio ha creato, e non sappiamo neanche cosa ha fatto per creare. Constatiamo che esistono effetti della sua creazione, che per Giovanni sono veramente sostanze, nature create. Ma di queste nature create posso conoscere la rete di relazioni in cui esse sono inserite - ad esempio vedo che il libro si trova su un tavolo, che è un po’ vecchio e quindi è passato un po’ di tempo da quando l’ho comprato. Posso conoscere anche i dati relativi-quantitativi di questo oggetto, come la dimensione in centimetri.

Conosco quindi solo una fantàsia, cioè un’immagine. La mia conoscenza di ciò che chiamo sostanza si costruisce a partire dalla relazioni che essa constata. Si tratta di un’immagine mentale, una mia ricostruzione; una mediazione tra la vera sostanza e il mio essere. Per Giovanni la conoscenza della sostanza va al di là delle mie facoltà conoscitive.

Ogni sostanza va considerata in una triade sostanziale

  1. La natura creata - non solo quella di Dio - ha una dimensione di mistero. La mia facoltà conoscitiva non mi permette di conoscere la realtà, ma mi fa arrivare solo a un certo punto della conoscenza.

  2. Questo senso di mistero che Giovanni trova nella natura lo guida a declinare la dottrina aristotelica nella sostanza in una triade, per cui ogni natura creata non è solo una sostanza, perchè ha un dinamismo. Se tutto ciò che io so della sostanza sono le sue relazioni, allora il concetto aristotelico di sostanza (ciò che è, è sempre stato così, sarà sempre così, fisso e immutabile) non mi basta più. Giovanni sta “sciogliendo” la metafisica aristotelica in una triade di:

L’essere platonico (substantia) è il risultato del dinamismo tra potenza e atto. Es. Il seme è in potenza la pianta, e la pianta è l’atto del seme. La pianta tuttavia non è eterna; è un germoglio che a sua volta ha la potenzialità della pianta. Il germoglio è la potenza dello stelo della pianta formata, ma atto rispetto al seme; è entrambe le cose. La sostanza aristostelica è insieme potenza e atto; apertura a potenzialità ulteriori. Atto e potenza secondo Giovanni rendono conto del dinamismo della realtà; noi non siamo capaci di dire perchè una sostanza è dinamica, ma possiamo constatarlo.

In ogni sostanza dobbiamo quindi porre una triade sostanziale; la sostanza che in ogni momento è (Aristotele) è insieme atto e potenza.

Ogni natura creata è una teofania

In questo dinamismo ogni natura creata è una teofania - un’apparizione di Dio. Ogni creatura è - dirà Cusano - come uno specchio in cui Dio si riflette, è manifestazione del Dio che l’ha creata, dal proprio limitato punto di vista. Non possiamo esaurirla con la nostra conoscenza perchè è appunto una teofania. Con la mia conoscenza non posso esaurire nessuna natura.

Creazione e processio: l’Esamerone eriugeniano (III libro)

In epoca patristica si afferma il genere degli esameroni, le interpretazioni dei racconti dei sei giorni della creazione.

L’opera divina è un doppio processo che si compone di processio (dalle cause agli effetti) e reditus (dalla molteplicità alla causalità divina). Il racconto della creazione è il racconto della processio.

Nel suo terzo libro Giovanni prova a dare una interpretazione di questo racconto: di ogni giorno viene data una particolare intepretazione.

  1. Nel primo giorno la creazione della luce rappresenta la discesa dalle cause agli effetti
  2. Nel secondo la collocazione del firmamento tra acque superiori e inferiori rappresenta la creazione dei 4 elementi e le determinazioni spaziotemporali che dividono esseri spirituali e corporei
  3. Nel terzo la terra arida descrive la composizione delle forme con la materia.
  4. Nel quarto introduce un Sistema geocentrico con i pianeti che ruotano intorno
  5. Nel quinto le specie che si moltiplicano indicano l’apparire dell’accidentalità visibile che nasconde l’ousia.
  6. Antropologia eurigeniana: nella creazione l’uomo ha assoluta centralità- influenza De Opificio Hominis di Gregorio di Nissa. In lui si fondono microcosmo e microcosmo, perchè tutto ciò che è nei mondi superiori (macrocosmo) si ritrova nell’uomo grazie alla sua intelligenza. Nell’intelletto dell’uomo si riflette tutto ciò che Dio ha posto prima di lui nella creazione. Anche il microcosmo - ciò che l’uomo conosce perchè è inferiore a lui è in qualche modo compendiato nell’uomo, che lo assimila.

L’uomo è medietas mundi, punto centrale della creazione, e officina mundi, laboratorio metafisico del mondo dove si ritrovano tutte le vite delle creature, sensibile, immaginativa, razionale, ecc.

Nella mente dell’uomo tutte le creature esistono non come sostanze, ma come nozioni conoscitive; al contrario da Dio vengono colte nella loro entelechìa.

Ecco perchè l’uomo è la più alta teofania: perchè il suo essere immagine di Dio comprende tutta la creazione. Tutto ciò che Dio ha creato si riflette nell’uomo.

Il peccato originale e l’interruzione del processo creativo (IV libro)

L’incidente che è accaduto però è quello del peccato originale. Se tutto nell’uomo si compendia, tutto si compendia male, a causa del peccato originale. Tutto il mondo è precipitato dopo la caduta di Adamo, e non è più completamente teofania. È teofania incompleta, imperfetta.

Dio aveva posto l’uomo nelle condizioni migliori per iniziare il reditus, per conoscere nel paradiso terrestre l’essenza e la vera realtà di tutte le cose. Il peccato originale, cui è dedicato il IV libro, interrompe ed ostacola il progetto divino.

Adamo è il simbolo dell’intellectus, invitato da Dio a contemplare l’essenza delle sostanze ideali eterne, ma che si lascia corrompere da Eva a cogliere il frutto della Scienza del bene e del Male. Questo gesto fa tornare l’uomo a una condizione di confusione conoscitiva che rende imperfetta la scientia degli uomini.

Adamo è condannato a lavorare la terra, cioè ad investigare l’ousìa delle cose, coperta dalle spine dell’apparenza. Ma fino a quando tornerai alla terra dalla quale sei stato tratto: la confusione confusione conoscitiva non può durare per sempre, l’uomo è destinato a risalire.

La redenzione del peccato e il reditus (V libro)

La volontà di Dio è una volontà infinita, nulla di finito la può arrestare o impedire; bisogna che ci sia, neoplatonicamente, un ritorno della creazione a Dio. Il reditus neoplatonico.

Il reditus

Il primo passo per il ritorno a Dio è la risurrezione di Cristo, che permette un riavvicinamento tra il Verbo e la sua creazione.

Con Cristo, che si presenta con una corporeità differente e trasfigurata, si inverte il processo di allontanamento da Dio. La corporeità di Cristo è una anticipazione della corporeità che si avrà nel ritorno a Dio; un corpo materiale e immateriale, che guadagna la perfezione della materia.

Quando alla fine dei tempi tutti i corpi risorgeranno, avranno la natura del corpo di Cristo resuscitato, e questi corpi potranno riunirsi alle loro anime, ripristinando la loro perfezione originaria prima della caduta.

La quarta natura

In questo contesto si inserisce la descrizione della quarta natura, che si realizzerà alla fine dei tempi.

Non crea: perchè non c’è più nulla da creare dopo che tutto è stato creato; non è creato: perchè Dio non è stato creato da nessuno e perchè tutto sarà tornato alle sue cause primordiali, in Dio. L’intera creazione tornerà alla sue origini e tutto si realizzerà nel trionfo della entelechìa.

Anche i peccatori saranno redenti, si trasfigureranno e si riuniranno alle loro anime. (reditus generalis = perfezionamento comune delle capacità naturali) Ma la loro redenzione non sarà completa: nelle loro anime rimarrà la scelta di opporsi a Dio (richiamo di Agostino, la libertà dell’individuo è da quel momento un punto fermo). In qualche modo essi saranno redenti, ma mantenendo nella loro anima il loro distacco da Dio. Saranno ricondotti a Dio, ma ne rimarranno in qualche modo lontane. Questa è la loro risurrezione. Sono condannati a essere distanti da Dio per l’eternità. È un distacco non materiale ma del tutto spirituale.

Per pochi prescelti è previsto anche il reditus specialis, che meritano la partecipazione diretta tra umanità e divinità.

Dio, a cui tutto torna, è il nulla. Dio è il nulla di ciò che è, è il superamento di ciò che c’è stato nella creazione. Nel ritorno a Dio, tutto si trasfigura , ritorna alla propria condizione originaria; che non è quella dell’essere, ma quella perfettamente riflettente, quella completamente teofanica.

Dio è quindi il nulla nel senso che è un superamento dell’Essere, come l’Uno di Plotino, che è appunto al di sopra dell’Essere. L’accusa mossa a Giovanni è quella di nichilismo, di annullare Dio, mentre Giovanni in realtà è molto fedele all’insegnamento dei padri della Chiesa. Dio è il trascendimento dell’essere. Ecco perchè, come aveva detto nel giovanile De predestinatione, l’inferno non esiste. Avremmo il paradosso di qualcosa di creato che è più forte di Dio, qualcosa che si può opporre a Dio, che rimane strutturalmente lontano da Dio.

Oltre la teologia

Alla consapevolezza di questo destino dell’uomo può accedere ogni uomo dotato di ragione, come certezza a un tempo necessaria e incomprensibile.

Nel linguaggio eurigeniano theologia significa Sacra Scrittura, mentre theologi indica i profeti ispirati. Meno sovente theologia viene impiegata per descrivere la più elevata forma di conoscenza filosofica.

La conoscenza teologica così intesa però conosce vari gradi di vicinanza alla vera essenza di tutte le cose.

  1. Livello razionale: per gli uomini, dopo il peccato originale, lo strumento con cui Dio si manifesta è la Scrittura. A un primo livello questa si esprime usando i significati naturali del linguaggio, secondo la ratio dianoetica.
  2. Livello poetico-metaforico: la Scrittura si esprime anche con un linguaggio alogico ricco di metafore e di contraddizioni.
  3. Intelligenze angeliche: al di sopra della fruizione del testo rivelato, c’è la comprensione che hanno del divino le intelligenze angeliche, che conoscono solo con l’intellectus. A questa facoltà l’uomo riesce a partecipare solo a volte e a determinate condizioni.
  4. Giovanni Evangelista: ha trasceso tutte le limitazioni naturali ed è riuscito ad elevarsi alla visione di Dio che contempla se stesso. A conosciuto Dio in Dio. “Il verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.”

Il confine tra arti liberali e teologia

Nell’XI secolo si sviluppano in Italia Settentrionale gli studi giuridici e retorici, che favoriscono le rivendicazioni dei diritti di pratica delle arti liberali. Tra i maestri di arti liberali c’è Anselmo di Besate che vuole vendicarsi del cugino per averlo calunniato, facendolo passare come cultore della magia nera. La scienza da lui messa in pratica è la retorica, che perfeziona la capacità di parlare. In una sua pagina famosa, Anselmo fa un sogno in cui è stato portato in paradiso e le sue spoglie sono contese fra i suoi parenti beati e le arti liberali. Interrompendo il sogno non ha dovuto fare una scelta così difficile. Negli stessi anni in Francia anche Adalberone è un maestro di arti liberali, ma vuole fissare dei limiti di queste rispetto alla fede. Fa un dialogo fra se stesso e il re di Francia in cui descrive le ingiustizie degli uomini. Utilizzando la retorica adalberone non descrive però la realtà, ma la verosimiglianza. Le arti liberali possono mettersi al servizio della teologia se usate nel modo corretto. In questi decenni emerge la tensione tra la fede e la razionalità anche nei monasteri più prestigiosi. Nel monastero di San Gallo opera Labeone che scrive riguardo i limiti del pensiero e del linguaggio umano.

Per avere un dibattito interessante dopo Giovanni Scoto Eriugena arriviamo all’XI secolo. Abbiamo Berengario di Tours e Lanfranco di Pavia, che disputano a lungo tra loro, poi Pierdamiani, e Roscellino di Compiègne, e Anselmo da Aosta.

In queste 4 figure prima di Anselmo, la perfetta identità tra ragione e dato rivelato inizia ad incrinarsi. La domanda è: dove può arrivare la ragione filosofica? In particolare Berengario e Roscellino iniziano a dare una risposta più complessa al problema. Questa disputa viene indicata da manuali meno aggiornati e più imprecisi tra dialettici - che pensano di usare la filosofia in tutta la sua potenza - Berengario di Tours e Roscellino - e quelli che gli si oppongono.

La disputa sull’Eucaristia: Berengario di Tours e Lanfranco di Pavia (p.187-191)

Berengario è un sostenitore dello spiritualismo eucaristico, di stampo platonico per cui l’Eucaristia è solo un sacrum signum. Lanfranco di Pavia sostiene che la ragione non possa indagare questioni che solo il dogma può affrontare. Dio compie un autentico miracolo, per cui la sostanza cambia anche se gli accidenti rimangono tali.

Parole chiave: transustanziazione, spiritualismo eucaristico

Spiritualismo eucaristico di Berengario (Rescriptum contra Lanfrancum)

Il problema che Berengario affronta opponendosi a Lanfranco di Pavia è il problema eucaristico. Più tardi, a partire dal 1214, e tipicamente nella seconda metà del Duecento, questo momento verrà chiamato transustanziazione, cioè cambiamento di sostanza nel permanere negli accidenti. Il pane e il vino diventano il corpo e il sangue di Cristo.

Berengario è un platonico, e adotta la dottrina dello spiritualismo eucaristico: il corpo e il sangue di Cristo non possono essere contenuti in quel pane e in quel vino, che sono corpi mutevoli, finiti, limitati: il vero corpo e il vero sangue di Cristo rimarranno in Dio, nella trinità divina dopo che Cristo è asceso al cielo, e sono veramente rimasti là, immutabili, e caratterizzati da assoluta autoidentità. Sull’altare sono rimasti dei segni (sacra signa) di quella realtà.

In lui vediamo un atteggiamento nuovo, una lettura attraverso la filosofia platonica che porta ad una conclusione che va contro il dato teologico.

La dottrina dello spiritualismo eucaristico porta importanti problemi teologici. Questa dottrina è stata infatti duramente criticata, in quanto riduceva l’eucaristia a un simbolo, una deriva con conseguenze molto pericolose per la dottrina: se si trattasse solo di simboli, i cristiani non si cibano veramente del corpo di Cristo, ma di un simbolo.

Il tema della discussione tra Berengario e Lanfranco diventa: fino a dove posso indagare i misteri della volontà di Dio con la mia ragione? Il tema importante non è tanto lo spiritualismo eucaristico in sè, ma il rapporto tra fede e ragione.

Berengario ritrova uno scritto di argomento eucaristico che gli dà ragione (che crede opera di Giovanni Scoto), e da lì si crea un dibattito con Lanfranco di Pavia, il maestro di Anselmo d’Aosta.

Cosa sostiene Lanfranco (De corpore et Sanguine Domini)

La filosofia non deve esagerare: è giusto usare gli strumenti della ragione, ma questa è limitata e deve fermarsi davanti al mistero; non deve cercare di capire come ha luogo la transustanziazione, ma capire cosa succede, cioè che l’aspetto sensibile accidentale del pane e del vino rimane, mentre cambia la sostanza. Questo evento non ha una spiegazione, e in natura succede il contrario, cioè se cambia la sostanza cambiano anche gli accidenti; tuttavia, davanti ad un evento di origine soprannaturale la ragione non può pretendere di esaurire il mistero; deve ragionare invece in termini di sostanza e accidenti; escludere che ci sia un cambiamento quantitativo/qualitativo; e dopo aver constatato che la ragione non può raggiungere un certo livello, affidarsi al mistero.

Berengario ha invertito la corretta relazione tra ragione e fede.

Pierdamiani (XI sec.) (p.191-195)

Il metodo logico-deduttivo è inadeguato per riflettere sull’operato di Dio

È il portatore di un’esigenza radicale di riforma della chiesa. Si fa portatore di una vita monastica molto rigorosa e ascetica. In questo suo stile di vita osteggia lo studio delle scienze naturali - i monaci non devono occuparsi di grammatica e di latino. Chi vuole sapere troppo ricordi il destino di Adamo ed Eva. Rivendica una pura stoltezza del credere.

Inoltre esprime il massimo disprezzo per la dimensione corporea, una eccezione all’ottimismo antropologico prevalente nel medioevo.

De divina omnipotentia

L’opera principale di Pierdamiani è De divina omnipotentia, un dialogo.

Il pretesto del dialogo è il seguente: Pierdamiani si trova in un pranzo a montecassino, e si leggono testi sacri. Leggono dei testi di Girolamo - autore della Vulgata del IV secolo.

Il problema che Pierdamiani si pone è: Dio ha il potere di annullare un evento passato?

La domanda poi diventa: Dio potrebbe far sì che Roma non sia mai esistita? Che consistenza ontologica ha il passato davanti all’onnipotenza di Dio? Il creato può resistere, in qualche modo, a Dio onnipotente?

La questione è molto importante: si inizia a cogliere che il mondo creato ha una sua consistenza ontologica, e non può essere modificato da Dio completamente a piacere. Se Dio creando ha fatto una cosa buona, può farla diventare cattiva suo piacimento? Dio può violare il principio di non contraddizione?

A questo proposito Pierdamiani afferma che:

  1. La domanda è mal posta, perchè le regole di funzionamento della nostra ragione valgono all’interno del sistema della creazione; è inutile pretendere che Dio ragioni come ragioniamo noi. Tutti i nostri principi logici e di comprensione valgono all’interno della realtà; la domanda su Roma quindi non può essere correttamente riferita a Dio.
  2. Il principio che dobbiamo far valere in Dio è il principio del Bene (da Agostino), e non il principio di non-contraddizione. Dio non obbedisce al principio di non-contraddizione, ma al principio del Bene, tutto quello che fa è buono. Paradossalmente, se Dio volesse qualche cosa che è cattivo, esso diventerebbe buono per il fatto che Dio lo ha voluto.

Dunque, Dio potrebbe far sì che Roma non sia mai esistita. Potrebbe, ma non lo vuole. Nulla argina la sua onnipotenza: solo la sua Bontà.

Ci sono due conclusioni filosofiche importanti:

Questi ragionamenti porteranno nel Tardo Medioevo Giovanni Duns Scoto a distinguere tra potenza assoluta e potenza ordinata. La potenza assoluta è l’Onnipotenza divina prima della creazione, quella che non ha limiti e permette a Dio qualsiasi cosa. Ma con la creazione, Dio stesso ha creato la sua potenza, ha creato un ordine; e, siccome è buono, non lo sovvertirà. L’onnipotenza divina, creando, si è autolimitata: opera dentro le regole della creazione, si è ordinata. La stessa possibilità del miracolo per Scoto conferma l’ordine, perchè è un’eccezione ad una regola.

Dopo queste riflessioni, insomma, i medievali tenderanno a dare sempre più autonomia ontologica al mondo creato.

Roscellino di Compiègne (XII sec.) (p.199-203)

In breve

Critica di Anselmo

Gli viene rimproverato da Anselmo di essere un teologo moderno. (modo=adesso). Essere moderno quindi significherebbe alla moda. La moda sarebbe quella di scardinare la coincidenza tra linguaggio e realtà.

Critiche di Abelardo

Di Roscellino abbiamo soltanto una lettera con cui risponde ad Abelardo, in cui si difende dalla sua dottrina sulla trinità. Secondo Abelardo la concezione puramente nominalista di Roscellino rompe la corrispondenza tra ordo rerum e ordo verbum reclamata dal pensiero altomedievale.

Conseguono due problemi fondamentali:

Tres res

Ma se la corrispondenza tra suono e significato di una parola è una convenzione totale. Ma se non riusciamo a dare un significato neanche ad una parola banale come animale, come facciamo a dare significato alla Trinità?

Roscellino, sollecitato da Anselmo, che lo accusa di essere eretico, afferma di non essere eretico: secondo chi afferma che Dio è morto in croce, allora Dio padre e lo Spirito Santo sono stati crocifissi insieme con Cristo. La sua concezione gli permettere di giustificare che solo Gesù è morto in croce, e non le altre due persone. Ogni entità reale è quindi individuale.

La dottrina delle tres res sottolinea l’incapacità di esprimere un giudizio sui misteri teologici, e l’incapacità di esprimere spiegazioni dottrinali, che hanno una funzione sempre relativa e strumentale.

Dio trascende tutte le limitazioni descrittive del linguaggio umano

Moderni e antiqui

La contrapposizione tra Roscellino e Anselmo e Abelardo ben esemplifica il contrasto tra moderni e antiqui:

Anselmo D’Aosta

Aosta 1033-1109 Canterbury

Nel 1076 scrive il suo primo scritto filosofico e lo manda al suo maestro, Lanfranco di Pavia.

Monologion - un’opera che parla di fede senza mai parlare della bibbia, per dimostrare la razionalità del dato di fede. Vuole far vedere che la ragione, se ben usata, può portare agli stessi esiti del dato rivelato. Per Lanfranco questo uso puro della ragione poteva far sembrare che la ragione potesse sostituire la rivelazione.

Rectitudo

La verità del linguaggio e la verità delle cose sono due facce della stessa verità: la rectitudo, cioè l’adeguarsi della cosa e del linguaggio all’idea che Dio ha nella sua mente.

Anselmo prova a dimostrare razionalmente il dogma della reincarnazione, che Dio si sia incarnato in Cristo.

Monologion

Esempio di meditazione sulle ragioni della fede

L’opera prende le mosse da una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio. Il Monologion usa degli argomenti a posteriori, ovvero dal mondo creato risalgono a Dio, che cominciano da ciò che viene dopo, mentre il Proslogion usa argomenti a priori: parte dal concetto di Dio senza riferirsi alla sua creazione.

D’Onofrio sostiene che in realtà anche nel Proslogion gli argomenti sono a priori, ma in realtà gli aspetti del mondo creato vengono usati per confermare ciò che la nostra mente pensa di Dio. Questi elementi vengono usati per confermare la nozione di Dio.

Anselmo trova nella creazione riflessi di una creazione di Dio, e in questo trova una conferma.

Le argomentazioni del Monologion sono 4:

  1. Nozione di bontà: quando noi desideriamo qualcosa, in realtà desideriamo il buono che c’è in quella cosa, l’oggetto reale del nostro desiderio è il buono di quella cosa. Come possiamo cogliere che c’è una bontà in una cosa, senza avere in mente un modello perfetto di bontà? Questo modello perfetto di bontà , questo bene sommo, è Dio.

  2. Nozione di grandezza: tutto ciò che esiste ha una grandezza determinata, ma come faccio a misurare la grandezza di ogni cosa, se non perchè ho l’idea di una grandezza suprema, di una grandezza in sè, una grandezza infinita e illimitata, cioè l’infinità di Dio.

  3. Concetto di essere: si basa sul concetto di essere, che è relativo. Tutto ciò che esiste in qualche modo è, ha un certo essere. Non è di per sè l’essere. Riceve l’essere da qualcos’altro. Ma tutto ciò che riceve l’essere deve mettere capo all’essere, a qualcosa che non c’è l’ha relativamente, ma in forma assoluta. Nota che si tratta di una causalità materiale, non finale od efficiente come in Aristotele.

  4. Gradi di perfezione: tutto ciò che esiste ha dei gradi di perfezione. Io posso dire che un cavallo è più perfetto di un albero, perchè ha una capacità di muoversi. Così, un uomo è più perfetto rispetto ad un cavallo, perchè può pensare. Come posso riconoscere l’esistenza di gradi di perfezione, se non relativamente a una perfezione assoluta? ### Proprietà di Dio (dedotta dalle prove dell’esistenza) pp. 212-213

Un’alternativa alla teologia negativa.

Anselmo è l’unica autore latino che cerca di trovare un’alternativa alla teologia negativa. Anselmo non si può accontentare di un linguaggio che allude; per lui la rectitudo del linguaggio è la stessa correttezza delle cose, ed è radicata in Dio, quindi il linguaggio deve poter parlare di Dio.

Anselmo anche qui costruisce un argomento basato sulle perfezioni di Dio.

Dio ha in se tutte le perfezioni, di lui possiamo dire solo ciò che rappresenta una perfezione; di Dio non potremo dire che è cattivo; ma anche tra le perfezioni non tutte sono di uguale grado. Nelle creature infatti troviamo perfezioni gerarchicamente ordinate: l’essere corpo è una perfezione. Al di sopra del corpo, però, c’è la perfezione del pensiero.

Possiamo dire di Dio non tutte le perfezioni, ma solo quelle più alte in assoluto nelle creature, quelle che non è mai meglio che siano negate.

L’intelletto può avere ad esempio un corpo, ma se non ce l’ha, è meglio, perchè è un’intelligenza angelica. Possiamo dire di Dio solo quelle che è meglio non siano mai negate: vita, conoscenza, verità, beatitudine.

Proslogion

Unum argomentum

Nell’introduzione Anselmo dice che le argomentazioni del Monologion non lo soddisfacevano del tutto. Probabilmente gli sembravano non esaustive. Si era messo così alla ricerca di un unum argomentum, che dimostrasse l’esistenza di Dio senza bisogno di altri argomenti. Anselmo non la chiama mai prova ontologica, ma unum argomentum.

Nel Salmo 51, l’insipiens (colui che nega l’esistenza di Dio) dice in cuor suo che Dio non esiste; per dire ciò l’insipiente deve aver un concetto di Dio; per dire che Dio non esiste deve necessariamente averlo.

L’idea che l’insipiente ha di Dio è l’idea “di ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore”.

Ma se Dio è ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, Dio ha tutte le perfezioni. L’esistenza però è una perfezione, perchè esistere è meglio che non esistere.

Ma se ciò di cui non possiamo pensare nulla di maggiore mancasse di una perfezione, non sarebbe davvero ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, perchè io potrei pensare questo, più una perfezione che gli manca.

Dunque, chi dice che Dio non esiste, si sta contraddicendo in termini. Sta dicendo in realtà: ciò di cui non posso pensare nulla di maggiore manca di una perfezione.

La polemica con Gaunilone

Il primo a criticare Anselmo è Gaunilone, che scrive un Liber pro insipiente.

Gaunilone fa due obiezioni ad Anselmo:

  1. Supponiamo le Isole Beate, un ente con tutte le perfezioni desiderabili. Questo non significa che quell’ente esista.
  2. Come si fa a definire Dio? Nella definizione di Dio, devo usare qualcosa con una estensione significativa maggiore (esempio: definisco l’uomo come un animale). Non posso usare una definizione se nella mia definizione non c’è qualcosa che ingloba in se quello che sto provando a definire). La definizione di Anselmo quindi non funzionerebbe.

Risposta di Anselmo: non ho detto che Dio è ciò che ha tutte le perfezioni, sennò avrei presupposto ciò che avrei dovuto dimostrare, avrei fatto una petizione di principio. Ho detto che Dio è ciò di cui non possiamo pensare nulla di maggiore.

Anselmo si chiede anche perchè Gaunilone, che è un monaco, metta in discussione l’esistenza di Dio. Cosa significa questo storicamente? Che Anselmo non può fare a meno di pensare che Dio sia pensabile, concepibile nel nostro pensiero. Se descrivo logicamente e razionalmente Dio, posso trovarlo.

L’unum argomentum quindi non sarebbe una dimostrazione - Anselmo non pensa veramente che ci sia la possibilità che Dio non esista.

L’obiettivo dell’argomento è dimostrare dunque che Dio è perfettamente razionale.

Cur deus homo

Perchè Dio si è fatto uomo

Ma se tutto era già sistemato, perchè Cristo si è incarnato e si è fatto uomo? Possiamo dimostrarlo razionalmente.

Tutto è cominciato con la caduta dell’Eden causata dal peccato originale. In quella caduta, l’uomo ha perso la sua rectitudo, la sua adeguazione all’idea originaria di Dio.

Gli è diventato radicalmente impossibile recuperarla - l’uomo non può fare nulla che può fare soltanto Dio. Ecco allora che siccome Dio è sommo bene, e non può non volere il bene, non poteva non volere che suo figlio si incarnasse, perchè non poteva non volere il bene dell’uomo, ma questo bene è che il peccato originale venga riparato da un uomo e da Dio insieme:

Bisognare restaurare un patto violato dall’uomo tra uomo e Dio.

Ma quindi Dio non è libero? Dio avrebbe potuto non-realizzare il suo progetto di salvezza? No. Perchè la vera volontà di Dio è di realizzare la sua volontà, che è sempre buona. In Dio dunque non esiste libero arbitrio, ma una volontà buona, che se Dio non realizzasse, perderebbe una perfezione.

Abelardo (XI-XII secolo) (p.235-250)

Con la pubblicazione dell’opera Christiana Theologia (Tractatus de unitate et de trinitate divina), Theologia cambia definitivamente significato: passa da indicare il grado superiore della conoscenza naturale ad indicare la comprensione intellettuale della verità rivelata da Dio. Si apre la possibilità di conoscere la verità come la conosce Dio, cioè in modo perfetto.

Integra i principi gnoseologici del neoplatonismo: l’oggetto si fa conoscere in modi diversi secondo le facoltà di chi conosce. Sempre una è la cosa conosciuta, ma non è conosciuta da tutti allo stesso modo. La ricerca naturale porterà solo ad una conoscenza creaturale del divino; che non è falsa, ma non è ancora vera. La conoscenza vera si realizza solo se ci si affida alla grazia della Rivelazione.

L’indagine dialettica indaga i contenuti della scrittura, per condurre ad una adesione più consapevole alla Rivelazione. L’argomento dialettico è la ratio che produce la fides in qualcosa che è ancora dubbio.

Opere

Gli universali e la verità del conoscere

Segue le lezioni di Guglielmo di Campeaux a Notre-Dame. Poi si allontana e pratica l’insegnamento in altre scuole. Poi riapre la polemica con Guglielmo sulla questione degli universali.

La sua posizione scaturisce dalla lettura dell’Isagoge di Porfirio, in cui vengono affrontate 3 domande fondamentali sugli universali:

È erede di Anselmo nella battaglia contro il nominalismo di Roscellino, che rischia di mettere a repentaglio la corrispondenza tra ordo rerum e ordo verborum, nonchè il valore dell’insegnamento della logica. Disprezza però anche il realismo di Guglielmo, che considerava l’universale come una sostanza reale, una res spirituale, non soggetta agli accidenti, superiore ai corpi nella gerarchia dell’essere.

Secondo Abelardo il realismo è fallace logicamente:

Questa dottrina viola il principio di non contraddizione. Perchè l’animalità che è nel cavallo è la stessa animalità che c’è nell’uomo. Ma l’animalità che c’è nel cavallo è irrazionale, mentre l’animalità che c’è nell’uomo è razionale. Ma se è la stessa animalità, allora succede che della stessa cosa nello stesso tempo io posso attribuire due predicati opposti. Guglielmo prova allora a modificare la propria dottrina per ovviare alle critiche mosse da Abelardo.

Ma in questo modo incorriamo nel problema contrario al precedente. La dottrina del realismo assoluto chiede troppo all’universale; la dottrina dell’indifferenza non ha un criterio per delimitare in che cosa gli individui devono essere non differenti per avere un universale in comune. Un uomo e una pietra condividono entrambi il corpo. Ma dov’è la loro differenza?

Tuttavia, i nominalisti hanno torto: la logica è scienza di qualcosa di effettivamente reale. L’universale è reale ma non nel senso dell’esistenza particolare, come gli individui.

L’universale è la realtà della relazione tra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto, quando essa è vera, cioè quando ciò che viene recepito dall’intelligenza corrisponde ad uno status reale.

La logica è quindi una scienza rigorosa che permette di cogliere con il pensiero le formae in cui si risolvono gli individui.

Gli universali più veri sono quelli delle idee divine, modelli reali eternamente autosussitenti del Verbo.

Veri logici e veri philosophi

Lo studio della logica motiva un interesse verso le questioni teologiche. Le argomentazioni dialettiche possono chiarire i dogmi.

Se la logica è una scienza, ha come oggetto la verità. Anche la fede ha come oggetto la verità è per questo causa scienza. Due verità non possono essere contrarie. Dunque l’uso della dialettica in teologia è fondamentale in quanto permette di incrementare la scienza del divino (che porta al vero e al bene) applicando la scienza della logica.

Abbey Road è il primo autore che avverte la necessità di fondare l’etica non solo sul Vangelo, ma attraverso una adesione sostanziale e non solo formale all’insegnamento di Cristo. Etica, ovvero scito te ipsum: se peccare significa porre il fine delle proprie azioni in se stessi, l’uomo deve imparare a porre il fine delle proprie azioni in Dio. Il peccato non si dà nell’azione, ma solo nell’intenzione: non è un peccato uccidere senza volerlo.

C’è una simmetria tra conoscenza e etica: così come l’enunciato di un intellectus è tanto più è vero quanto si avvicina alla verità oggettiva, così l’azione umana tanto più è vera quanto si avvicina alla perfezione assoluta del Sommo Bene. Ma la comprensione della veritas in sè, che si trova in Dio, sommo principio di ogni perfezione (infatti per favore fammi passare l’esame) deve necessariamente corrispondere alla conoscenza del Bene in sè, anch’esso in Dio: i veri logici sono veri filosofi e veri teologi.

Dal momento in cui la Rivelazione ha rivelato la vera Sapienza, i logici sono stati autorizzati ad indagare la verità della lectio scritturale. L’intellectus* si relaziona alla verità oggettiva della Scrittura e prova a relazionarsi alla sua perfezione irraggiungibile, ma poichè l’oggetto che essa riguarda è di una perfezione inconcepibile per l’uomo, il testo sacro deve esprimersi attraverso metafore e simboli, che alludono alla perfezione della res.

Sic et non è una raccolta di sententiae dei Padri della Chiesa, che esprimono pareri contrastanti in merito al testo scritturale. Con questo accostamento invero singolare Abelardo intende dimostrare la riconducibilità di opinioni umane, dunque necessariamente imperfette rispetto alla perfezione del dato rivelato, ad una opinione unica e vera, grazie all’intelletto. La ratio dialettica è dunque un elemento determinante e un metodo oggettivo per valutare la corretta interpretazione del testo sacro.

La logica della Trinità

La razionalità viene introdotta nella teologia come strumento di consolidamento della fede.

Per riabilitare la connessione, negata da Roscellino, tra capacità umana di parlare Dio e Dio stesso, con particolare riferimento al mistero trinitario, Abelardo si impegna in una dimostrazione razionale della trinità.

L’obiettivo è dimostrare alla ragione umana, attraverso la ragione stessa, la possibilità di una pluralità di relazione nell’assoluta purezza della divinità.

Se i platonici avevano tentanto di comprende una notio Dei (Dio è potenza, sapienza e bontà) che si manifestava nella natura, Abelardo vuole portare questa notio Dei filosofica in accordo con la Scrittura. I censori di Abelardo avevano visto in questo recupero della filosofia degli antichi da un lato il pericolo del modalismo, per cui le 3 persone sono 3 modi di apparire di Dio, dall’altro quello del subordinazionismo, che frammenta l’unità della sostanza in 3 persone distinte.

Ma la divisione in tre persone non indica determinazioni “relazionali” esterne, ma proprietà della sostanza, che non ne viene determinata dall’esterno.

Potenza, sapienza e bontà sono 3 voces comprensibili solo nel contesto dell’unica sostanza. Ciascuna corrisponde a un diverso status della Trinità, quindi ciascuna ha una definizione propria ma ne esprime anche la realtà unitaria.

Abelardo sposta la discussione del problema trinitario dal piano della logica del termine (il Padre è Dio, il Figlio è Dio, ecc.) a quello della logica proposizionale (ciò che è il Padre è il Figlio), perchè l’ambito semantico della seconda opzione è quello dell’unica sostanza, mentre l’ambito semantico di “Padre” e “Figlio” è quello delle loro rispettive definizioni, che ne individuano diverse proprietà. Quindi è vero che Dio è Sapienza, Dio è Bontà, Dio èPotenza, perchè sono 3 predicati della sostanza, e non delle persone divine, 3 status di una unica sostanza divina.

Lo status non è mai una res, in quanto non può essere principio di divisione dell’unica semplice res.

Il sigillo di bronzo (la Trinità) ha tre status: l’essere bronzo, l’essere capace di sigillare, essere un sigillo in atto.Questi tre concetti sono 3 intellectus distinti che consentono una migliore comprensione di un unico oggetto. E l’essere capace di sigillare deriva dall’essere bronzo, e l’essere sigillo in atto dall’essere sigillo in potenza, in una relazione interna che è indissolubile.

L’anima mundi è il concetto più vicino alla Trinità mai elaborato dalla sola teologia razionale: l’Uno procede per la mediazione del Nous distribuita nella materia attraverso l’anima mundi.

Cose che Corbini ritiene di dover aggiungere

Il dato di base della sua filosofia è la dialettica, intesa come logica. Abelardo è il logico più brillante del XII secolo. Vedremo insieme solo un aspetto della sua logica, il dibattito sugli universali con Guglielmo di Campeaux.

Soluzione di Abelardo: il sermo

  1. L’universale è un termine, non è una cosa in se. È frutto di una relazione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, quando l’intellectus corrisponde allo status, cioè ad una data situazione reale.
  2. Non è una vox, bensì un sermo. La differenza è che la vox è un termine senza considerazione del suo significato - cioè non vuol dire niente, mentre il sermo è significativo.
  3. L’universale è un’immagine mentale, una rappresentazione che si costituisce dalla ripetuta considerazione di tanti individui. Abelardo la chiama confusa imago multorum, un’immagine confusa di molte cose. È confusa nel senso che l’immagine concreta di ciò che vedo davanti a me è concreta è vivida. Quando rivedo 500 altre immagine simili, queste mantengono determinate caratteristiche, ma le immagini perodono in dettaglio e acquistano genericità.
  4. Il sermo fonda un’immagine effettivamente universale perchè le caratteristiche che resistono a questa perdita di dettaglio sono giustificate da uno status, ovvero una situazione reale delle cose che conosco, che fonda insieme l’universalità e la veridicità del concetto universale.

Lo status evita il possibile arbitrio di un concetto universale, una fictio. L’universale è un sermo perchè ha un radicamento in qualche cosa di reale.

Il passo successivo rispetto all’opposizione tra nominalisti e realisti sarà Guglielmo di Ockham che dirà: l’universale è un termine, ma dà significato ai singoli individui, senza mediazioni concettuali/rappresentative.

Logica della trinità

Trinità

Lo scontro con Guglielmo di Campeaux corrisponde ad un altro dibattito che avrà nella seconda parte della sua vita e che lo porterà poi alla condanna dottrinale.

3 caratteristiche di Dio

Secondo Abelardo, già la tradizione platonica aveva colto 3 caratteri fondamentali di Dio.

Quando poi negli anni 30 Abelardo prova a parlare della trinità, prova a definirla secondo questi tre caratteri:

Accusa di modalismo

Gli viene però mossa un’accusa di modalismo - la stessa accusa che verrà mossa ai modi di Spinoza - Abelardo ridurrebbe la Trinità a tre uniche manifestazioni, tre caratteristiche, della medesima sostanza, non considerandole tre persone distinte.

Le 3 persone della trinità sono 3 status di Dio

La risposta di Abelardo è geniale e recupera la sua dottrina logica. Potenza, Sapienza e Bontà sono 3 status di Dio, non tre modi di un Dio monolitico. In qualche modo sono sue caratteristiche effettivamente esistenti e distinte tra loro, al punto da poter fondare le tre diverse persone della trinità.

Dio lo possiamo definire con 3 diversi concetti, anche se la sua essenza è unica.

Osservazioni

La dottrina abelardiana utilizza forse in modo troppo spregiudicato per i suoi tempi la dialettica applicata alla teologia.

Sic et non

Abelardo scrive un’opera che si chiama Sic et non, Sì e no. Un’opera del 1126 - ha da poco iniziato ad insegnare teologia, e inizia a compilare una piccola antologia di citazioni patristiche in contrasto tra loro. Inizia a raggruppare per temi passi dei padri della chiesa che dicono cose diverse sullo stesso argomento. Vuole dimostrare che quando c’è un contrasto, esso deve essere risolto dalla filosofia: prima verificando qual è la ragione della contraddizione, poi risolvendola.

Il modello del sic et non sarà il modello per un libro importantissimo: le Sententiae di Pietro Lombardo, scritte 30 anni dopo Abelardo. Le Sententiae sono la riproposizione delle teorie di Abelardo, svuotate della loro carica eversiva.

Le Sententiae diventeranno il manuale di teologia alla nascita dell’università di Parigi nel 1200.

Etica

Abelardo è l’autore del primo trattato di Etica del medioevo - il secondo della storia dopo l’Etica Nicomachea: Etica - sive scito te ipsum - Etica ovvero conosci te stesso. Etica che peraltro era stata essenzialmente ai margini dalla tradizione neoplatonica.

L’opera doveva essere in due libri - uno sui libri uno sulla virtù- ma è stata interrotta probabilmente dalla morte di Abelardo. Noi abbiamo solo quello sui vizi.

I vizi del corpo non hanno nessun rilievo morale

La prima divisione che stabilisce è quella tra i vizi del corpo e i vizi dell’animo. Stabilisce che i vizi dell’animo non avevano nessun rilievo morale, cosa per nulla scontata per i suoi tempi.

Vizio

Ma che cos’è il vizio? Si tratta di un’inclinazione ad operare male; ma come dice il termine l’inclinazione è qualcosa di naturale, non volontario. Per natura le cose tendono ad andare così.

Per esempio, perchè la gola è un vizio? Perchè naturalmente qualcuno è inclinato a mangiare oltre le necessità del corpo. Ma è una colpa esser golosi? No, perchè il vizio nasce da una complessione del corpo. Ognuno di noi è costituito in un certo modo, che non è uguale per tutti; per qualcuno il piacere del cibo è particolarmente vivo.

Il piacere

Il piacere non è dunque peccaminoso: è un dato di realtà legato al nostro corpo, che non ha rilievo morale. Può comunque portarci al peccato.

Ma se il vizio rientra nella sfera della natura, allora cos’è il peccato? Il peccato rientra invece nella sfera della volontà, perchè si sceglie: si sceglie di acconsentire alle proprie inclinazioni naturali.

Il peccato è acconsentire alle proprie inclinazioni in un modo che va contro al comando divino.

Abelardo qui esagera e verrà sicuramente censurato

Questa visione ha delle conseguenze super eversive:

  1. Non c’è l’ascetismo, se il piacere non è peccato.
  2. Interiorizzazione del peccato: il peccato è un consenso che io do nella mia interiorità, non un’azione. Le azioni sono moralmente indifferenti.
  3. Le azioni esterne non possono essere valutate moralmente - ma devono essere valutate invece nel diritto. Se però l’ambito della moralità è l’ambito del consenso interiore, non è vero che l’etica abelardiana sia un’etica dell’intenzione, perchè il consenso è dato dalla volontà divina, viene da Dio.

Il criterio del bene o del male normale è oggettivo, è uguale per tutti. Ma solo io posso giudicare moralmente le mie azioni: le azioni esteriori non contano. Dio non è offeso dalle azioni, ma dal mio disprezzo per lui: se conoscono un comando divino dentro di me e decido di ignorarlo, offendo Dio, perchè come ci insegna Agostino Dio tiene alla mia libertà.

La scuola di San Vittore (Parigi, XII secolo) (p. 253-259)

Scuola monastica fondata nel 1108 da Guglielmo di Campeaux. La possano frequentare anche i laici. Apre alla sintesi tra competenze profane e spiritualismo biblico ascetico.

I maestri di San Vittore sono diversi, ma noi ci occupiamo solo di Ugo di San Vittore e Riccardo di San Vittore.

Ugo di San Vittore (XII secolo)

Come Abelardo è convinto che i grandi pensatori dell’antichità hanno intuito i misteri della trinità solo grazie alla ragione.

Omnia disce

Le sue opere sono talmente influenti che lo chiamano alter Agostinus, il secondo Agostino. Il motto che Ugo di San Vittore enuncia nel suo Didaskalion è omnia disce: impara tutto, dopo imparerai che nulla sarà stato superfluo. In quest’opera rivaluta le arti meccaniche..

La filosofia è lo strumento dell’uomo

Dopo il peccato originale l’uomo si è ritrovato bisognoso di tutto, e ha dovuto imparare tutto. La filosofia è lo strumento che Dio ha dato all’uomo per affrontare i suoi problemi e si divide in 3 ambiti fondamentali:

Le scienze profane sono propedeutiche alla comprensione della verità divina.

Theologia mundana e divina

L’apertura alle scienze meccaniche inaugura una rivalutazione delle conoscenze scientifiche empiriche che sarà molto importante nel XIII sec.

Il punto di partenza della theologia è sempre uno studio della littera della bibbia.

Le res studiate dalle scienze empiriche devono diventare signa dell’invisibile. Queste vengono studiate dalla parte più alta della filosofia teoretica, che è la theologia mundana. Ma il passaggio all’invisibile si può compiere soltanto grazie alla Rivelazione, entrando nel campo della theologia divina

L’uomo è sacramentum, cioè manifestazione del divino

Altro aspetto molto rilevante è che l’uomo viene chiamato sacramentum: Ugo fa una grande enciclopedia teologica, il De sacramentis, iniziando a canonizzare che i sacramenti sono 7, e il principale sacramento è l’uomo, in quanto è la prima manifestazione del divino.

L’immaginazione

Esiste una facoltà intermedia tra corpo e anima razionale, la facoltà dove si formano le immagini a partire dai sensi, e si acquisisce autocoscienza di sè (cognitio sui). Quello che so di me non lo so tutto immediatamente, alcune cose le so mediatamente, ovvero mi rappresento a me stesso. Questa rappresentazione del sè si trova nell’immaginazione.

Riccardo di San Vittore

Allievo di Ugo di San Vittore.

Una gerarchizzazione delle scienze è il punto di partenza per realizzare l’intelligenza della fede. Privilegia una lettura allegorica-spirituale della Scrittura, non sostituisce la lettura letterale ma è un completamento di essa. Scrive anche delle opere di teologia mistica.

Se Dio esiste gli deve essere attribuito ciò che di più alto hanno le creature: l’anima. Ma se Dio ha un’anima, ama.

Formula delle argomentazioni che impongono alla mente umana di ammettere l’esistenza di Dio Formula delle argomentazioni a posteriori per dimostrare l’esistenza di Dio.

Ma la capacità umana di comprendere e definire meno deve venir meno nel momento super-conoscitivo di estasi mistica in cui ne conosciamo la vera natura.

Gilberto di Poitiers (p. 265-275)

Un commento dialettico alla teologia boeziana

Boezio è un auctor, scrittore di cose sacre la cui auctoritas è inferiore al profeta, ma si basa sulla sua verità, dunque è altrettanto inoppugnabile. Gilberto si pone come obiettivo il completamento dell’opera avviata da Boezio: vuole essere un vero interpres, che chiarisca e approfondisca i contenuti della sua dottrina, senza ripeterli in modo meccanico. Bisogna spiegare e sviluppare il difficile linguaggio di Boezio.

Il metodo di questa indagine è la questio, cioè la risoluzione della contradictio attraverso argomenti pro e contra. Quando due tesi entrano in contraddizione, necessariamente una e vera e l’altra falsa: bisogna capire quale è l’ambiguità semantica ed eliminarla.

Attraverso questo metodo si può sottoporre ad esame scientifico qualsiasi testo: un primo passo verso la teologia concepita come scienza.

Il metodo della transumptio teologica

Se il metodo individuato per l’analisi del testo boeziano è assimilabile alla dialettica, bisogna tenere conto delle specificità della teologia, sapere superiore ad ogni altra realtà. Bisogna individuare nelle verità rivelate i cambiamenti di significato delle parole.

Per questo motivo ad esempio si può affermare che Padre, Figlio e Spirito Santo sono tre personae senza indicare che si tratta di tre individualità che sussistono separatmente: il significato teologico è diverso dal significato ordinario. Il termine utilizzato nell’accezione comune è semplicemente quello che si avvicina di più al significato desiderato.

La filosofia teoretica viene divisa in naturalis, mathematica e theologia, che indagano rispettivamente la realtà naturale, le forme immutabili non separate dei corpi e Dio, forma immobile e separata. Ciascuna scienza ha le sue specificità e una sua ratio, nonchè strumenti di indagine differenti. Ma se la theologia non dispone della strumentazione adeguata, deve ricorrere a quella delle scienze inferiori, ma sottoponendoli ad una transumptio (alterazione) dei loro significati originari.

Chi cade nell’eresia non applica la transumptio applica solo la ratio a verità di Fede, che vanno invece indagate secondo questo altro metodo. Il linguaggio teologico quindi non è univoco rispetto al pensiero dell’uomo, come aveva sostenuto Anselmo, ma il secondo deve adattarsi al primo attraverso un adeguamento dei suoi significati/contenuti.

La realtà del singolare e la composizione ontologica

La concezione della scienza tripartita impone di verificare comparativamente la realtà, indagando ogni singola scienza e verificandone l’omogeneità nei contenuti.

L’universale è considerato un vero e proprio modo di essere di un ente reale. L’oggetto di ogni scienza teoretica, dell’universale, e dell’individuo ha una propria autonoma sussistenza; e possiamo conoscerlo secondo i procedimenti logici ad essi adeguati.

Tutto ciò che esiste di reale è qualcosa di singolare: non soltanto gli individui, ma anche gli universali, e sono conoscibili in quanto tali. In questo modo la sostanza viene divisa in substantia simplex, che è divisibile, e sostanza individuale, indivisibile, che nel caso di una sostanza razionale è una persona.

Caratteristiche della sostanza individuale (id quod est):

Ciò che gli permette di essere ciò che è è la forma, il quo est, una realtà conforme ad altro, cioè a tutti gli individui che forma., una realtà conforme ad altro, cioè a tutti gli individui che forma.

Caratteristiche del quo est:

Il quo est ha una sussistenza perchè è una forma nativa, modello incorruttibile dell’essere ricavato dal Timeo (idea) , intermedie tra le idee divine pensate da Dio (universali eterni) e le entità individuali. Le formae nativae riproducono forme superiori ma sono loro stesse modelli.

Tutto ciò è un tentativo di esplicitare la differenza (molto sintetica) stabilita da Boezio tra id quod est e esse. La tripartizione delle scienze teoretiche prende coscienza delle diversità tra sostanze individuali:

La distinctio trinitaria

L’obiettivo della teologia è comprendere la natura di Dio, attingendo, per necessità, al linguaggio scientifico delle scienze inferiori (es. i concetti di natura o qualità dalla fisica), cambiandone i significati.

Dio è un individuo (id quod est), assolutamente semplice, cioè identica al quo est. Il termine Deus è quindi diverso da deitas, cioè che lo fa essere Dio, ma la distinzione è solo “per noi”, in lui le due cose sono indistinguibili. Questa distinzione è del tutto strumentale al linguaggio teologico e non individua due sostanze distinte in Dio - così Joao Gilberto si difende dall’accusa di eresia.

I modi in cui ci sforziamo di capire corrispondo ai modi in cui chiamiamo Dio, ma non corrispondono a cambiamenti nella sostanza divina, che rimane tale. Tuttavia diversamente da Roscellino questo processo non si risolve in una totale rottura del rapporto tra discorso su Dio e linguaggio umano: Gilberto arriva comunque a qualificazioni necessarie e rigorose della realtà divina.

L’attribuzione del predicato esiste al soggetto Dio nell’espressione Dio esiste equivale a dire che Dio esiste per la sua essenza, in quanto in lui id quod est ed esse coincidono. Tutte le altre distinctiones attribuite a Dio dall’intelletto umano, come la bontà, la sapienza, ecc. corrispondo ad una realtà indistinta nell’oggetto (Dio) e valgono solo per il soggetto (noi stupidi umani).

La più importante tra le distinctiones è la predicazione trinitaria: nelle tre personae la sostanza divina è unica ed è la medesima.

Scuola di Chartres (p. 277-291)

Nel XII secolo si sviluppa un filone di indagine che vede la natura come l’altro libro messo a disposizione di Dio oltre alla Scrittura.

Non viene cercata una corrispondenza dell’ordo verborum con ordo rerum e ordo idearum contemporaneamente, ma viene data particolare attenzione all’ordo rerum, che va indagata con le scienze del quadrivio, su tutte la matematica.

L’intelligenza umana deve cercare di penetrare le apparenze sensibili, ricorrendo alle forme quantitative eterne della matematica. La rimozione di questo velo (integumentum) è il presupposto della vera philosophia, la verità ultima delle cose.

Lo stesso velo che nasconde la natura è quello che rende il linguaggio con cui Dio si è rivelato, quello del testo sacro, allusivo, simbolico, e difficilmente comprensibile. La stessa difficoltà è presente nello studio e nell’intepretazione dei testi antichi: su tutti il Timeo (nella traduzione e commento di Calcidio) è il testo che meglio rappresenta le vette dove può arrivare il pensiero degli antichi senza Rivelazione. Il credente informato della Rivelazione potrà trovare nel Timeo l’opera di Dio, per poi passare all’indagine della Genesi, e svelare l’altro integumentum.

Ma anche i testi di Virgilio e Ovidio e degli altri autori antichi contengono in qualche misura la verità divina.

Questa ermeneutica cristiana facilita l’accordo tra la parola di Dio è la philosophia mundi, la sapienza pagana, e consolida la possibilità per il filosofo cristiano di indagare la natura, un sistema di signa.

Bernardo di Chartres e le formae nativae

Bernardo, basandosi sul fatto che nel Timeo di Calcidio le idee vengono indicate sia con il termine exemplum che con exemplar, e considerando la difficoltà di ammettere che Dio possa entrare in contatto con la silva/ule (la materia) è il primo ad ammettere la differenza tra idee divine increate e idee create, non del tutto identiche al divino. Trova nella traduzione di Calcidio l’espressione formae nativae e la usa per designare i principi ideali intermedi tra quelli divini e la materia.

Con una brillante metafora sessuale poi spiega i rapporti tra potenza, atto e materia, in senso linguistico.

Questa distinzione porta a considerazioni di natura linguistica.

Questa distinzione consente di preservare la creazione da parte di Dio senza comprometterne immutabilità e trascendenza. In questa prospettiva il reale è inteso come un divenire nella materia della potenzialità originale della forma, che però resta incontaminata e non muta la propria natura.

In questa prospettiva, ogni creatura è dunque un involucrum di una realtà superiore nascosta, cui si può accedere attraverso le arti liberali. Con la suggestione della biga alata del Fedro, vengono individuate tre diverse specie di ingegno umano:

Umanesimo dei chartriani: gli intellettuali sono come nani sulle spalle dei giganti, che sono in grado di vedere più lontano, ma perchè sono innalzati dalla loro grandezza.

Guglielmo di Conches e la philosophia mundi

Guglielmo è un allievo di Bernardo Cerca una continuità con gli autori pagani antichi. Viene accusato di accostare in maniera indebita paganismo naturalistico e verità di fede.

Scrive tre trattati sistematici, il più importante dei quali è la Philosophia Mundi, e varie glosse e commenti agli autori antichi, soprattutto alla Consolatio di Boezio e al Timeo. Obiettivo programmatico è decifrare il mito platonico per raggiungere una spiegazione scientifica dell’origine del cosmo e accordarla con il Genesi. Si tratta quindi di armonizzare il pensiero dei filosofi con le parole dei profeti.

Strumento di questa ricerca sono le arti liberali, in particolare quelle del quadrivio, appresi dal De institutione arithmetica e De institutione musica di Boezio. In questi testi viene affermata l’esistenza di realtà prime e immutabili, eterne. Guglielmo chiarisce che oggetto della razionalità filosofica non possono essere queste ultime, ma le cause seconde, corrispondenti alle formae nativae**: strutture matematiche che hanno efficacia sulle cose fisiche.

La funzione delle cause seconde è portare a compimento l’opus naturae, subordinato all’opus Dei. La natura è quindi autonoma nella sua funzionalità causativa, derivante da quella divina ma da essa autonoma. L’immagine anima mundi del Timeo rappresenta questa autonomia causale.

È essenziale a questo proposito distinguere tra Creatore (anima mundi) e natura creata e i suoi principi interni. Viene introdotta la distinzione tra aeternitas e perpetuitas per distinguere Dio, increato, e la natura, che ha un inizio causale.

Tra philosophi mundi e teologia c’è solo armonia e continuità. La conoscenza della natura è esplicitamente rivolta a produrre una intelligenza del divino da poter confrontare con la Rivelazione. Nella volontà di accompagnare l’intelligere nel credere è evidente l’influenza di Anselmo.

Così: - la persona del Padre è causa efficiente; - il Figlio è l’insieme delle idee divine, cioè causa formale; - lo Spirito Santo è causa finale: senza alterare la propria immutabilità rende efficaci le formae nativae. - i quattro elementi sono invece causa materiale di tutti i corpi.

Teodorico di Chartres e la physica della creazione

La filosofia naturale (quadrivio) è l’unico metodo corretto per capire il rapporto tra la creazione e il Creatore. Questo stimolo lo porta a interessarsi alle fonti antiche, testi magico-astrologici, trattati scientifici.

Questo rapporto spregiudicato con i testi del passato è giustificato dal fatto che secondo Teodorico la sapienza umana è la somma di tutti i saperi precedenti, e la sua conoscenza è il presupposto per avvicinarsi al vero significato della Rivelazione.

Nel commento al De Trinitate riprende la boeziana distinzione delle scienze. Tende a ridurre le differenze tra le discipline, che sono tutte subordinate a un unico procedimento argomentativo. Il metodo delle scienze si può divide in due percorsi simmetrici:

Le scienze non sono quindi modi diversi di accostarsi alla verità, ma gradi successivi di un unico percorso conoscitivo. La loro articolazione è relativa ai gradi in cui il loro oggetto si manifesta:

  1. fisica nelle cose divisibili e corporee
  2. matematica nelle forme superiori
  3. teologia nella riconduzione della molteplicità all’Uno

L’obiettivo finale della ragione, vista l’impossibilità di conoscere il principio divino in sè, è risalire alle rationes primordiali, cause formali di tutto il reale*.

Dato che Dio è forma veritatis, bisogna averne una conoscenza solida e coerente. Dimostrazione matematica dell’esistenza di Dio. Come il molteplice presuppone il semplice e i numeri presuppongono l’unità, tutto l’universo rimanda a Dio, principio primo infinito. Tutte le cose sono in Dio come unità.

Teologia e spiritualità cistercense: Bernardo di Clairvaux (XII secolo)

La sua influenza è così grande che viene chiamato il secondo papa. La fede è una tensione disinteressata verso il divino.

Per raggiungere la sintesi di amore e fede tutti i saperi devono essere ricondotti alla pietà religiosa, unico tramite verso la verità. Tutto ciò che non è necessario per la salvezza (arti liberali) può danneggiare l’animo se distrae dalla vera scientia, quella della Bibbia e dei Padri.

La ragione non deve indagare il dato rivelato, ma solo per chiarirlo. Le questioni teologiche sottili possono essere risolte guardando ai Padri, perchè “non siamo certo più saggi di loro”.

È un intellettuale molto competente, ma ha una familiarità con la Scrittura del tutto interiore e spirituale: la sua ricerca è animata da un insopprimibile amore per la verità della fede. Un campo di suo grande interesse è la mariologia: l’amore di Maria per suo figlio, e la sua verginità, è il risultato incomprensibile e insolubile di contraddizioni, come verginità e maternità, fragilità e forza, ecc. Maria rappresenta l’esempio più perfetto di vita monastica.

La conoscenza teologica consiste in una contemplazione mistica che solo la fede può far comprendere fino in fondo e far vivere nell’anima di chi crede. Al termine di un percorso di vari gradi di perfezionamento interiore, che coincidono con le varie virtù della vita monastica, l’anima ha la possibilità di fondersi con l’oggetto amato, venendo così deificata.

Giovanni di Salisbury (XII secolo)

Il revival del probabilismo accademico di Cicerone

Approfondimento della parte etico-pratica della filosofia: scrive il Polycratus, un manuale per la riforma dei principi terreni, con una concezione etico-politica che rimanda alle fondamenta della filosofia pratica cristiana. Il fine della riflessione filosofia è il perfezionamento pratico. Questa sua attenzione per l’etica rimanda al suo studio dei testi Ciceroniani, a cui si rifà anche per lo stile.

Scrive il Metalogicon, il libro in difesa della logica. La logica è propedeutica a tutte le altre forme di sapere, perchè consente di distinguere il vero dal falso; tuttavia la logica deve riconoscere i propri confini e subordinarsi al principio che regola la sapienza pratica: il Sommo Bene, che non può essere racchiuso in definizioni e strumenti rigorosi quali sono quelli della logica.

La logica non può assicurare conoscenze incontrovertibili, ma hanno il compito di avvicinarsi alla probabilitas, una dimostrabilità verosimile che però non può mai essere confermata in modo incontrovertibile.

Motivo della sua riforma del sapere logico è lo scontro con Cornificio (pseudonimo; era un calunniatore di Virgilio) e i suoi seguaci, che sostenevano un formalismo verbale, rompendo la corrispondenza tra parole e significato, in un atteggiamento che rimanda al nominalismo di Roscellino e dei suoi amici moderni. Mettono a repentaglio quindi la possibilità della moralità umana e della convivenza, basata sulla possibilità di una comprensione reciproca.

Difendere questa corrispondenza attraverso tale rielaborazione della logica significa difendere l’intera filosofia intesa come ricerca della verità. La logica in primo luogo riguarda lo studio del termine significante e la costruzione delle preposizioni.

Gli antichi hanno impropriamente esteso il nome dialectica tutta la logica; Giovanni di Salisbury intende recuperare invece il significato originale di dialectica, così come lo aveva inteso Aristotele. Aristotele divideva la logica in tre:

Secondo Giovanni, la dialettica è probabilis, e l’apodittica è demonstrativa, si dà cioè nel campo delle indagini matematiche. La dialettica è quindi una argomentazione probabile, che tende al vero ma non può raggiungerlo in forma definitiva. È interessante per Giovanni notare come per secoli con questo termine sia stata designata la totalità delle ars disputandi, che regolano cioè l’organizzazione del pensiero nel linguaggio e nel pensiero linguistico: dunque, tutte le ricerche umane sulla verità della res, che sia creaturale o divina, saranno caratterizzate da un certo grado di incertezza, senza mai raggiungere la comprensione assoluta.

La scienza del reale è sempre scienza della probabilità. Addirittura il confronto tra le numerosissime letture date dai suoi contemporanei del problema degli universali indica che si tratta di un falso problema, dato che risulta un atto di arroganza umana introdurre un ente metafisico che corrisponda ad un atto della mente con cui ci sforziamo di accostarci ad una verità.

La dialettica è il solo strumento che consente di fondare la scienza teologica. Tutte le domande sulla realtà soprasensibile non possono che avere risposte provvisorie. La fides cristiana dà vita ad una forma di conoscenza intermedia tra l’imperfetta scientia umana e la perfetta scientia divina. Platonicamente, solo lasciandosi guidare dalla fede l’intelligenza umana può passare dalla ratio alla contemplazione diretta delle rationes divinae di tutte le cose in Dio.

Incontro con pensiero greco-arabo ed ebraico

Nel 529, dopo la chiusura della scuola di Atene, Damascio e i suoi amici neoplatonici vanno a Harran, in Mesopotamia. Nel secolo VII gli arabi conquistano la Siria e la Persia ed entrano in contatto con questo patrimonio culturale. A Bagdad viene fondata la Casa della Sapienza, un grande centro di traduzione e trascrizione di libri, importati dai territori bizantini.

Questo complesso di conoscenze si diffonde in tutto il mondo islamico, fino alla Spagna, nelle mani di una élite culturale. La ricerca razionale nel mondo islamico mantiene una sua autonomia e non si intreccia alla fede; questo segna una radicale differenza con il pensiero latino, in cui tanta parte della ricerca teologica è dominata dall’indagine tra credere ed intelligere, da Agostino in poi.

Teologia islamica o Kalam

La religione di Maometto alle origini è una sapienza accessibile a tutti e con dei principi non contestabili. Non è una fede complicata con dei misteri che possano suscitare dubbi o perplessità. Il kalam è una esposizione apologetica della verità rivelata che ha come oggetto la comprensione dell’unità divina, principio fondante della fede islamica. Il kalam quindi si sviluppa inizialmente come forma autonoma di sapere.

Già dai primi tempi subisce l’influenza delle altre due religioni monoteistiche, il cristianesimo e l’ebraismo. Cristiani e ebrei sono le Genti del Libro, depositari delle scritture precedenti e imperfette, ma comunque superiori ai politeisti. Lo stato musulmano ha una relativa tolleranza nei loro confronti, a patto che accettino di essere subordinati a livello giuridico ed economico e non facciano proselitismo, cosa che rende gli ebrei particolarmente compatibili. Di fatto però per i cristiani si tratta nei primi secoli di vere e proprie conversioni di massa. Durante il periodo omayyade la componente islamica prevale a livello culturale e politico ma molti personaggi illustri sono ebrei e cristiani.

La necessità di fare fronte alle speculazioni teologiche dei filosofi cristiani spinge a ricercare una elaborazione sistematica e argomentata del kalam. Il passaggio alla dinastia Abbaside dell’VIII secolo, con lo spostamento della capitale da Damasco a Bagdad, segna la nascita di una civiltà multietnica fondata sulla uguaglianza dei credenti di tutte le fedi. Aumenta quindi l’influenza e la suggestione dei teologi cristiani verso quelli arabi.

Mu’taziliti

Emerge il movimento culturale dei Mu’taziliti, che si servono di strumenti intellettuali provenienti da altre discipline per sistematizzare e dare spessore filosofico al kalam. Il nucleo fondamentale del kalam risulta essere l’unità e la trascendenza assoluta di Dio: tutti gli attributi antropomorfizzanti vengono rimossi o perlomeno intesi in modo simbolico. I Mu’taziliti sono rigidi e intransigenti, ed entrano in aspro contrasto con i sostenitori di una lettura letterale del Corano. La corrente poi si estingue a causa di queste tensioni con i loro avversari.

al-Ash’ari

È Il vero fondatore dell’Islam ortodosso - compie una mediazione tra il letteralismo e le rigidità teoretiche e morali dei Mu’taziliti. Il kalam diventa una illustrazione apologetica, ma moderatamente razionalizzata, del dato rivelato. Il suo pensiero si diffonde nel X e nell’XI secolo.

al-Baqillani

Introduce la dottrina atomista nel mondo arabo, ma corretta alla luce del dogma della creazione, per spiegare l’efficacia e l’assoluta libertà di Dio - viene negata efficacia alle cause seconde e tutto viene ricondotto alla causa prima, Dio.

al-Ghazali (XII secolo)

Il più rappresentativo esponente del pensiero teologico medievale arabo. Il fine ultimo della ricerca umana è la contemplazione estatica.

Per al-Ghazali la conoscenza che ha per oggetto Dio - non è la fede, che è sufficiente alla salvezza, ma è necessaria per coloro che sono credenti ma hanno difficoltà per l’insorgere di dubbi; non per i semplici credenti, cui è sufficiente la fede. Il pensiero teologico ha dunque un carattere curativo, come una medicina contro i dubbi e le perplessità.

al-Ghazali dà forma a un pensiero religioso organizzato e dogmatico, che ha una sua autonomia intellettuale. La parte più importante dei questo pensiero è lo svelamento, la conoscenza dell’oggetto divino nella contemplazione mistica, che non è comunicabile o insegnabile ma è l’esito di un processo di personale evoluzione alla ricerca della verità. Un’impostazione troppo razionalizzante di questa ricerca rischia di dare luogo a dubbi o problemi inutili e superficiali, che non dicono nulla di Dio.

Per il teologo la razionalità deve essere solo un supporto per una difesa delle verità di fede.

Autodistruzione dei filosofi: quando la filosofia pretende di essere l’unico strumento della conoscenza, porta a conclusioni inconciliabili con la verità di fede. La prova di questa incosistenza del sapere filosofico come sapere autonomo, non supportato dalla fede, è data dal fatto che le tesi dei filosofi, poste a confronto tra loro, si annullano a vicenda: secondo un principio giuridico islamico, una esposizione con dei dati contraddittori al suo interno è necessariamente falsa.

I filosofi quindi non possono giudicare razionalmente l’operato di Dio: il linguaggio umano è inadeguato a descrivere la verità prima di Dio, raggiungibile solo basandosi sulla propria analisi intima non descrittiva del testo sacro, e sulla viva esperienza.

La filosofia araba

Formazione della falsafa, da Al-Kindi ad Al-Farabi

La sintesi neoplatonica del sapere si era fondata sulla concordia fra i filosofi, in particolare tra Platone e Aristotele. Come abbiamo visto al-Ghazali mirava proprio a scardinare questa concordia.

I testi classici diffusi nel mondo arabo nel IX secolo sono molti; tra di essi le Enneadi, gli Elementi di Teologia di Proclo, il Timeo. In particolare il Timeo contribuisce a diffondere nel mondo arabo una dicotomia tra il mondo visibile e imperfetto quello perfetto intelligibile.

al-Kindi (IX secolo)

Le traduzioni e i testi neoplatonici diffusi nel mondo arabo derivano dal ‘circolo’ di studiosi guidato da Al-Kindi (IX secolo), un importante maestro attivo a Bagdad. In questo circolo nascono due opere attribuite ad Aristotele che saranno molto influenti: la Teologia, che è una parafrasi di 3 libri delle Enneadi, e il Liber de Causis.

al-Kindi scrive la Filosofia prima che si apre con una apologia della falsafa (filosofia), caratterizzata come sapere unitario, orientato all’indagine della verità soprasensibile. La causa prima è il principio immobile di tutto l’universo. Il primo movimento degli esseri è quello dall’essere al non-essere, quindi il principio è un principio creatore (influenza Giovanni Filopono). Dato che sono mossi, gli esseri causati-creati sono molteplici e non unitari. Il primo essere causato è il principio intellettuale, che contiene in sè i principi di tutte le cose.

al-Farabi (IX secolo)

Compie una sintesi tra razionalità filosofica e creazionismo. Prosegue il lavoro di ricerca della concordia perseguito dagli antichi scrivendo Sull’accordo tra le opinioni dei due sapienti, il divino Platone e Aristotele.

È un sostenitore della lettura letterale del Timeo, quindi crede che l’universo abbia avuto un inizio temporale: ma deve armonizzare questa tesi con quella del De Caelo di Aristotele, in cui afferma l’impossibilità di un inizio temporale del movimento. al-Farabi sostiene che tempo e mondo siano entrambi derivati e abbiano avuto inizio insieme. La filosofia greca viene dunque recepita in modo sincretistico. Al-Farabi tiene conto anche della aristostelica suddivisione delle discipline filosofiche nel Catalogo delle scienze.

Il suo capolavoro è Opinioni degli abitanti della città perfetta, una rilettura della Repubblica ma adattata alla concezione politico-religiosa dell’Islam. È la descrizione di una città ideale fondata sulla distribuzione armonica delle funzioni produttive che consentono agli uomini di emulare le Intelligenze separate.

L’insegnamento dei falsafa, dei filosofi, parte dal presupposto che la Causa Prima è il principio di tutto ciò che esiste. Bisogna però spiegare come gli esseri derivano dall’unità, senza compromettere l’immutabilità del principio.

Come fa il molteplice a derivare da un principio assolutamente unitario e semplice?

Aristotele afferma che la caratteristica fondamentale del divino è l’intellegibilità, in quanto è privo di materia. Ma se è intellegibile è intellegibile in atto, dunque è anche un atto puro di intellezione, cioè è intelligente.

Il Dio-pensiero di Aristotele si fonda con il Dio-Uno dei neoplatonici: è autosufficiente, è pensiero della sua propria essenza. L’essenza di Dio in quanto tale è interamente esistente in atto, mentre tutti gli altri esseri realizzano in atto solo parte della propria essenza. Questa è storicamente la prima distinzione tra essenza ed esistenza.

La prima realtà creata secondo al-Farabi è l’Intelletto primo, la sostanza immateriale che può accogliere cioè che è altro da sè, cioè la possibilità del molteplice. Ogni intelligenza nel pensare se stessa pensa Dio, ma in quanto pensa Dio il suo stesso pensiero diventa principio di emanazione che dà origine ad un ulteriore sostanza intellegibile. Anche gli intelletti inferiori endono ad imitare dio nella sua opera di emanazione; pensando, muovono in ultima istanza i corpi, che sono il risultato della loro capacità produttiva.

L’intelligenza umana è similmente sottoposta a questa riduzione progressiva di efficacia. L’anima intellettiva si distingue in:

Il funzionamento organico di queste tre parti è assicurato dall’esistenza di un Intelletto attivo separato, che agisce su tutte le anima come causa efficiente del loro conoscere. Ciò garantisce l’oggettività della conoscenza acquisita dalle anime.

Metafisica e teologia: Avicenna (Ibn Sina) (X secolo)

La sua opera principale è il Libro della guarigione.

Come può ciò che è scaturire dal non essere, se la causa prima è essenzialmente e necessariamente causatrice?

Dio è essere necessario, in quanto il suo essere è l’essere della necessità dell’essere, cioè Dio è necessariamente in atto. Al contrario le altre creature acquisiscono il loro essere da altro. Ogni essere creato da Dio è un essere possibile che passa dalla condizione di potenzialità all’atto per effetto della creazione, e diventa necessario, cioè è necessariamente così come è in atto.

Essenza: quiddità-possibile (potenza)

Esistenza: esistere-necessario (atto) (per le creature: necessitato da Dio);Tutto ciò che non è necessario è possibile.

L’essenza di Dio è l’unica che esiste necessariamente. In Dio essenza ed esistenza coincidono: questo gli dà semplicita e ne determina l’impredicabilità: nn ha un genere maggiore di cui possa essere predicato e non rientra in nessuna categoria. Si può parlare di Dio solo negando ogni somiglianza con le creature.

Dio è puro atto di pensiero perchè atto puro (privo di materia). È causa prima dell’universo attirando l’universo come termine del desiderio. Differenza con Aristotele: il principio primo conosce tutte le cose in virtù della propria necessità, sotto il modo dell’universalità(cioè come universali), mentre il Dio aristostelico è disinteressato.

Dio non ha deciso di creare come fruto di una scelta, ma era necessitato a farlo. La libertà di Dio consiste nella sua azione necessaria.

La prima creazione del principio primo è l’Intelletto primo, puro e separato dalla materia. Guardando a Dio che lo fa essere necessario, si conosce come tale e genera un secondo Intelletto, che dal primo trae la necessità del proprio essere, ma guardando a sè come creato, cioè possibile, si riconosce capace di rendere atto qualcosa fuori di sè, dunque genera l’Anima prima, che anima l’oggetto della sua intellezione. All’Anima è sottoposto un corpo celeste che si muove di movimento perfetto. C’è una classificazioni di dieci intelletti successivi che generano ciascuno un’Anima e un corpo, fino all’ultima emanazione, che governa il cielo della Luna. L’ultima emanazione è l’intelletto agente, che attualizza i pensieri umani.

L’accordo di filosofia e religione: Averroè

Avicenna è il bersaglio dell’Autodistruzione dei filosofi di Al-Ghazali, perchè accosta (in modo indebito a suo dire) la ragione al dato di fede. Da questo momento l’indagine dei filosofi si renderà autonoma da quella teologica.

La filosofia di Averroè si inserisce in questa discussione: è un sostenitore di un accordo tra religione e filosofia. Replica ad al-Ghazali con l’Autodistruzione dell’Autodistruzione.

Traduce e commenta l’intero corpus aristostelico, che vuole epurare da tutte le contaminazioni platoniche e neoplatoniche, recuperando lo spirito originario dell’aristostelismo. Il pensiero di Avicenna è un tipico esempio di contaminazione indebita tra Platone ed Aristotele; inoltre non rispetta la reciproca limitazione tra teologia e filosofia.

Fede e ragione sono entrambe valide vie di accesso alla verità se consideriamo la distinzione dei loro campi d’azione. Ha ragione al-Ghazali quando rimprovera quei filosofi che vogliono indagare con la ragione i misteri divini; gli uomini non hanno alcuna possibilità o competenza per dedurre logicamente la via della salvezza, che è prerogativa di chi segue la Parola divina. Il principio fondamentale dell’Islam è l’assoluta unitàe alterità di Dio rispetto al mondo.

Ci sono tre classi di uomini:

I teologi, dialettici, partono da premesse la cui necessità è confermata dall’esterno - dal punto di vista strettamente logico quindi non possono raggiungere la certezza, ma solo la probabilità.

Le argomentazioni dei filosofi sono sempre necessarie perchè partono da premesse universalmente note (principi primi di cui parlano gli Analitici Secondi). Tuttavia i filosofi, anche se offrono le argomentazioni più solide, non possono esprimere giudizi sul destino ultimo dell’uomo; i teologi allo stesso modo errano se pretendono si esprimono circa le verità naturali, cui solo la razionalità può pervenire con più certezza. Teologia e filosofia devono dunque rispettare i loro ambiti di competenza.

Tuttavia il ruolo dei teologi è più limitato: presumono di potere comprendere in quanto credono, ed abusano dell’esegesi allegorica del testo sacro per piegare la rivelazione alle loro aspirazioni, senza poterle tradurre in certezze scientifiche salde, come invece fanno i filosofi. Ma ancora più importante: il tentativo dei teologi di piegare al loro volere la rivelazione denota la inevitabile opinabilità del vero, fonte di tutti i mali e superstizioni, come le guerre di religione.

Aristotele ha avuto un ruolo chiave nel sistematizzare la scienza - tuttavia ha espresso 2 verità che contraddicono il dogma:

  1. L’affermazione dell’eternità del mondo
  2. Negazione dell’immortalità individuale: la conoscenza individuale (intelletto acquisito, somma di intelletto agente + intelletto passivo), è mortale. Essendo in contatto con l’intelletto attivo (e in questo contatto si verifica la beatitudine e la felicità umana), l’intelletto passivo diventa immortale e non più individuale, ma “collettivo”. Se l’anima fosse immortale, dovrebbero esistere infinite anime e si realizzerebbe l’infinito in atto, cosa impossibile.

Averroè sostiene la verità di queste affermazioni, e allo stesso tempo non rifiuta il dato rivelato. Sostiene quindi due verità contraddittorie. Come è evidente dalla distinzione tra le tre classi di uomini, la scissione tra ragione e fede non significa che esistano due verità alternative. La vera verità è nota soltanto a Dio, e può essere espressa e interpretata dalla razionalità in modi diversi. Le verità scientifiche possono contrastare con la Rivelazione perchè Dio ha una conoscenza infinitamente superiore a quella degli uomini.

La scienza umana è sempre perfettibile, e non è detto che raggiungerà mai l’identità con una Intelligenza superiore. Quello che gli uomini conoscono, o credono di conoscere, è relativo alla loro condizione conoscitiva.

Dove non arriva la ragione, deve intervenire la Fede.

Il pensiero teologico e filosofico ebraico

Nei paesi arabi ci sono scuole rabbiniche delle comunità ebraiche, che sono centri di studio.

La solidità della cultura rabbinica assicura la sopravvivenza della cultura ebraica nonostante la diaspora. In particolare viene conservata la Legge o Torah.

Dal III secolo d.C si diffonde il Talmud, una illustrazione della Torah nelle sue applicazioni quotidiane. Il Talmud è un riferimento costante per tutti i teologi Ebrei medievali.

In una prima fase la sapienza talmudica non si esprime sul divino, ma predilige aspetti giuridici e narrativi della Scrittura. Un esempio di questa impostazione, che cerca di armonizzare razionalità e Rivelazione, ci viene dato dal Libro della creazione, un opuscolo con influenze gnostiche e matematizzanti composto tra il II e il V secolo. Vi sono descritte le 32 Vie della sapienza, principi che traducono in operatività l’atto creativo di Dio. Sono le 22 lettere dell’alfabeto più i 10 numeri corrispondenti alle prime azione compiute da Dio nella creazione. Il testo della Bibbia è composto da lettere e numeri, e tutto il cosmo è governato da questi principi. In questi segni si può cogliere Dio.

Uno dei primi commentatori del Libro della creazione è Saadyah Gaon, che subisce l’influsso dei Mu’taziliti nel suo essere dogmatico rispetto a principi cardinali della religione ebraica.

Isacco Giudeo invece si ispira al neoplatonismo dei falasifa, in particolare al-Kindi.

Avicebron

Vive nell’XI secolo a Saragozza.

Ma il platonismo teologico ebraico ha il suo culmine nel Libro della fonte della Vita, attribuito ad Avicebron. Detto tra noi, la fonte della vita è Dio.

Avicebron è prima di tutto un poeta religioso; ma il Libro della fonte della Vita si propone come una riflessione su Dio è sul creato di ordine puramente filosofico, parallelo e distinto dalla glorificazione di Dio della Fede. Elemento più rilevante dell’opera è l’ilemorfismo universale: ogni sostanza diversa da quella divina non è semplice, ma composta da una materia e da una pluralità di forme. Anche le sostanze intellegibili sono costituite di materia sottile e forma.

La materia universale e la forma universale sono le due creature più vicine alla perfezione e semplicità di Dio, che è **fonte della vita*.

Dalla mescolanza di questi due elementi nascono tutte le realtà composte:

Le cose corporee derivano dall’incontro tra le sostanze spirituali e le 9 determinazioni accidentali delle categorie.

L’anima dell’uomo deve risalire questa gerarchia attraverso la conoscenza, che è un’opera di riconoscimento delle composizioni, fino alla comprensione della materia e della forma universali, la più alta possibile. La percezione al di là di esse è la ricongiunzione con Dio.

Nell’uomo sono presenti molte anime, che in base a quanto sono illuminate hanno una conoscenza degli oggetti relativa.

Altri matti

Stessa impostazione ha Giuda Levita, l’autore del Kuzari, un dialogo tra un filosofo, un cristiano, un islamico e un rabbino, interrogati dal re dei Khazari, che alla fine sceglie l’ebraismo come verità più alta.

In Spagna nasce anche Mosè Maimonide, che vive nell’XI in Marocco.

È l’autore della Guida dei perplessi, cioè colore che oscillano tra l’incredulità del dato rivelato e l’eccessivo letteralismo. Gli argomneti filosofici a cui Maimonide ricorre per esplicitare la comprensione dei comandamenti divini non potranno mai assicurare una comprensione/giustificazione della volontà di Dio. La premessa indimostrabile di ogni pensiero umano è che la Torah è un dono certo e libero di Dio. Questo è il presupposto di ogni riflessione filosofica. Il vero filosofo è colui che fa scaturire la verità filosofica dalla Rivelazione. Il filosofo non sbaglia mai finchè opera nell’ambito del sensibili.

Informata dalla Bibbia della sua inadeguatezza davanti alla verità, la ragione deve accettare i propri limiti. Ogni determinazione degli attributi di Dio può avvenire solo attraverso teologia negativa. Questo atteggiamento viene criticato nel XIV secolo da Lewi Ben Gershom, che sostiene aristotelicamente un recupero di una teologia affermativa.

C’è quindi una distinzione molto netta tra filosofia e teologia, come in Averroè: l’unica differenza è che la teologia è superiore alla fede nella gerarchia delle conoscenze umane. La teologia è in grado di arrivare ad intuire la coincidenza di ogni pensiero umano con il fondamento stesso della fede: l’esistenza dell’Essere primo dà esistenza a tutto ciò che esiste.

La Qabbalah è un elemento determinante nella speculazione ebraica e nell’influenza che ebbe nei secoli. Le sue origini sono da ricercarsi nello stesso Libro della creazione. La tradizione passa attraverso numerose mediazioni gnostico-magiche. Il modello classico della Qabbalah è documentato nel Libro dello splendore (inizio XIV sec.), un commento mistico al pentateuco, dove emerge il carattere non sistematico e non intellettualistico del pensiero cabbalistico, concentrato sul simbolismo della Bibbia e l’ordine che Dio infonde attraverso le Sefirot (le prime parole della creazione) al Creato.

Addenda Corbini (integrare nel testo)

La teologica islamica (Kalam)

Averroè

Sostiene la necessità di ritornare ad una lettura ortodossa di Aristotele, in opposizione alle infiltrazioni neoplatoniche che a partire dalla fondazione della scuola siriaca del VI secolo avevano toccato la dottrina aristoteliche.

Averroè è messo da Dante all’inferno, condannato ad una condanna terribile. Questo è legato al fatto che alla fine del XIII secolo l’averroismo è stata una corrente eretica che ha portato a delle condanne assai sanguinose. Dante quindi lamenta ad Averroè di aver distrutto l’accordo tra dato rivelato e filosofia razionale.

Interessante che nella realtà Averroè abbia scritto un’opera denominata Il trattato decisivo sull’accordo tra la religione e la filosofia. Curiosamente infatti Averroè è convinto dell’accordo tra queste due realtà; semplicemente, è portatore di una visione aristocratica della filosofia: soltanto una filosofia usata male può portare al contrasto tra i due. Averroè infatti adotta una tripartizione degli uomini in 3 grandi gruppi:

La filosofia appare dunque come un sapere superiore a quello teologico. Ma nel mondo arabo la filosofia è da intendere come un sapere esplicativo, non come un’elaborazione razionale. L’unica filosofia che si può legittimamente utilizzare in questa integrazione tra filosofia e religione è Aristotele, che secondo me è il sapere perfetto, il modello, al quale tutta l’umanità può aspirare.

Secondo lui, Aristotele ha saputo portare il sapere razionale alla sua massima ampiezza, per cui quando Aristotele è arrivato ad una conclusione, questa è incontrovertibile.

Per Averroè ci sono solo 2 ambiti nei quali la filosofia aristotelica ha errato - in quanto va in contrasto con la rivelazione coranica:

  1. La dottrina dell’eternità del mondo: Aristotele postula questa teoria perchè se il mondo avesse avuto un inizio, avrebbe avuto un inizio anche l’attività motrice che Dio imprime a tutto ciò che esiste. Questo avrebbe causato un movimento in Dio, che invece è atto puro e non può essere soggetto a nessun tipo di mutamento.

In questo secondo Averroè Aristotele ha sbagliato in quanto ha un’idea sbagliata di atto e potenza.

  1. La mortalità individuale: Aristotele postula la mortalità individuale nel De Anima, e questa definizione fa parte dell’ambito della fisica, perchè l’anima è la forma di un corpo vivente organico che ha la vita in potenza.

Cosa vuol dire che l’anima è forma del corpo? Che, come tutte le forme, non è realmente distinta dalla materia. Le forme sono la strutturazione della materia, che le permettono di diventare una determinata sostanza.

Se il corpo è vivente, è perchè è un’anima, se non è vivente è perchè non ha un’anima.

Per Averroè invece la nostra anima intellettiva deve essere immortale. Noi abbiamo un intelletto agente, separato e unico, come aveva già detto Avicenna - che esercita la funziona attiva ed effettivamente pensante.

Quando l’intelletto agente si unisce al singolo individuo e dà luogo al pensiero, si crea un intelletto speculativo. Questo intelletto speculativo in quanto è unito al corpo muore con il corpo, ma in quanto è speculativo contempla delle verità superiori che gli fanno comprendere la propria immortalità.

Per un altro errore intepretativo, in Averroè nel mondo latino viene attribuita una dottrina diversa: in Alberto Magno ad esempio, la lettura che viene data è che l’intelletto potenziale sia unico e separato. Non solo l’intelligenza agente, ma anche quello passivo. Pensare è un’azione completamente esterna all’individuo, dunque.

ylemorfismo universale: tutto ciò che esiste è costituito di una materia e di una forma.

Secondo Avicebron non esiste una unica materia; questa si specifica in tanti diversi livelli, non necessariamente concreti. In fondo Avicebron con materia intende il principio di potenzialità, non la materia in senso proprio. I latini gli attribuiscono quindi la dottrina di una materia spirituale, una sorta di contraddizione, qualcosa di filosoficamente problematico.

Ma si tratta di una intepretazione sbagliata: Avicebron intende un principio potenziale spirituale

Questa teoria si coniuga con quella che è la pluralità delle forme. Se il principio di ogni sostanza è uno solo, la pluralità delle forme rende molto semplice spiegare che la forma che ha l’anima unita al corpo non è la stessa che ha quando si stacca dal corpo (un’idea chiave del cristianesimo).

Tommaso d’Aquino criticherà questa teoria, leggendo correttamente Aristotele, in quanto l’unità ontologica dell’individuo in questo modo si perderebbe.

La civiltà dell’universitas studiorum (p.383-390)

Nascita delle università(p. 383-387)

All’inizio del XIII secolo nascono in Europa le università. L’università deriva dalla confluenza di più istituti in un unico organismo giuridico.

L’insegnamento si svolge attraverso la lectura di un testo fondamentale per la materia insegnata. Il testo viene affrontato attraverso la disputatio tra respondens e opponens su una quaestio, un tema che viene dibattuto con tesi pro e contra.

Le facoltà sono:

A parte Bologna, il sito in cui tutti questi elementi si mostrano in modo abbastanza organico è organizzato è Parigi, con la nascita ufficiale che tramite l’approvazione, da parte del cardinale di Parigi, dei primi statuti ufficiali possiamo far risalire al 1215. L’università è legata al potere ecclesiastico.

Napoli è la prima università fondata dal potere civile, nel 1224.

La lingua ufficiale per l’insegnamento e per tutte le comunicazioni interne era il latino, in un contesto sempre più internazionale.

Si entrava all’Università a 14-15 anni, si era costretti a frequentare per almeno 4 anni la facoltà delle Arti. Alla fine dei quattro anni si era baccalaureatus, cioè baccelliere. Dopo si poteva diventare magister. Una carriera diversa e più complessa era seguita da chi sceglieva Teologia come facoltà.

Philosophi e theologi (p. 387-390)

Molto presto filosofi e teologi entrano in polemica sui loro reciproci campi di competenza. Il curriculum di studio delle Arti si sposta pesantemente verso una ricerca logica e di indagine naturali, dando grandissima centralità ad Aristotele.

Dopo il passaggio nel mondo arabo, la filosofia aveva acquisito una sua omogeneità interna, ed era una scienza forte ed organizzata, sempre attorno ad Aristotele. I teologi vedono questo ritorno come un’invasione, in particolare nell’ambiente universitario, in cui ovviamente gli studi filosofici godevano di grandissimo successo.

Una prima condanna di Aristotele si ha nel 1210. Già dal 1215 a Parigi vengono esclusi dal curriculum di studi la Metafisica di Aristotele e i testi naturali. Nel 1228 Gregorio IX richiama coloro che tentano di oltrepassare i confini segnati dai Padri. Nel 1231 consente l’accesso ai libri naturali di Aristotele, ma emendati da una apposita commissione dottrinale.

Condanne di Aristotele:

Questa tensione rende evidente come a fronte di una sempre maggiore solidità e organizzazione delle Arti liberali, la teologia deve a maggior ragione riorganizzarsi e definire i propri ambiti di competenza, se vuole essere al vertice della gerarchia degli studi e una guida per essi.

Soprattutto a Parigi svolgeranno questa opera di rifondazione della christiana doctrina basandosi su 3 idee ereditate dalla riflessione teologica del secolo precedente:

  1. La centralità della lectio biblica (ripresa dalla Scuola di San Vittore)
  2. L’idea che per essere considerata scienza, la teologia debba applicare ai propri contenuti una transumptio, un trasferimento del linguaggio naturale adatto ai contenuti della Rivelazione. (riconducibile a Gilberto di Poitiers)
  3. L’idea che i contenuti della fede possano essere organizzati in modo sistematico (riconducibile ad Abelardo)

I maestri secolari (p.398-400)

I maestri secolari sono i maestri delle università laici, i veri fondatori dell’Università di Parigi. Entrano in contrasto con i mendicanti, che tendevano nel loro insegnamento a ridisegnare la teologia in base ai principi che avevano ispirato la loro forma vitae (scelta di vita?). Per far fronte alla crisi culturale di quegli anni, i maestri secolari decidono di porre come presupposto del loro insegnamento la sintesi di razionalità e fede, specificando la superiorità della teologia.

Recuperano in particolare la concezione per cui è la fede che genera razionalità e non viceversa (discorso in linea con Anselmo), e utilizzano questo principio come base per le sfide teologiche del nuovo secolo.

La teoria dei trascendentali (p. 402-403)

L’espressione trascendentale è in realtà postuma, in quanto i medievali parlano di condizioni concomitanti con l’essere - una condizione che teorizza che cosa c’è tutte le volte che qualche cosa è.

I trascendentali si definiscono come le nozione prime che consentono alla mente di accedere alla comprensibilità di ciò che significa l’essere. Portano la mente umana al limite della trascendenza, oltre il quale queste nozioni scompaiono in quanto tutto è in una unità.

I trascendentali sono

  1. uno

  2. vero

  3. buono

  4. (solo in alcuni autori) il bello questo è interessante in quanto non si tratta di una determinazione estetica, ma essenzialmente ontologica - più una cosa è, più è bella. All’inizio del 1200 questa idea inizia a strutturarsi di più.

I maestri francescani: Roberto Grossatesta (p.413-419)

Per i francescani in Inghilterra:

È molto accentuato quindi il ruolo conoscitivo dell’esperienza e ci sono interessi naturalistico-scientifici: discipline del Quadrivio. Visto che la mente umana non può scrutare la realtà invisibile, si rivolge allo studio di quella visibile. Il creato diventa testimonianza dell’opera di Dio - viene contrastato il razionalismo metafisico sistematico della filosofia araba.

Un testo particolarmente importante per questo contesto sono gli Analitici Secondi. Roberto Grossatesta compone il primo commento in latino di questo testo. In questo testo vengono codificate le condizioni di un sapere scientifico:

Nel suo commento Robertino ci fa notare alcune cose:

  1. Oltre alla conoscenza individuale basata sui sensi, l’Intelletto divino possiede conoscenza eterna di tutte le cose (influenza neoplatonica)

Per questo motivo per ogni intelligenza finita è sempre possibile ricevere la conoscenza da una fonte superiore (divina) di verità. Poichè ogni sapere certo è universale, tutte le informazioni proveniente dal sensibile devono essere astratte in termini universali, per essere purificati.

Tuttavia, l’astrazione dei dati empirici è subordinata all’illuminazione divina. Dunque la verità di ogni nozione scientifica dipenderà dalla partecipazione alla Verità divina in sè, cioè dagli esemplari eterni della creazione che si trovano nella mente di Dio.

  1. Se la scienza è conoscenza delle cause, come è possibile astrarre gli universali dai particolari, e farli entrare così in contatto con le idee divine? La matematica è il tramite conoscitivo che ci permette di assimilare i dati empirici all’universale. È un livello astrattivo, informativo della vera natura delle res, rigoroso, necessario.

La matematica è l’unica scienza che rispetta perfettamente il principio della conoscenza per causas, in quanto evidenzia perfettamente i rapporti di causa-effetto. Solo nella conoscenza matematica l’oggetto è veramente colto come risultato della conoscenza sperimentale sensitiva e illuminazione divina. Ogni conoscenza scientifica deve essere ricondotta ad una formulazione matematica.

Particolare universale = Naturale matematico

Ascesa conoscitiva (5 livelli degli universali)

Questa ascesa all’universale è il livello più alto nella scala conoscitiva boeziana, composta da sensus, imaginatio, ratio (cioè la dialettica), aggiungendo intelligentia (conoscenza degli universali) e potentia superscientialis, completa illuminazione.

Ottica

L’ottica è il paradigma del metodo scientifico.

Scrive un trattato De Luce.

Il movimento necessario alla conoscenza dal naturale al matematico trova la sua paradigmatica realizzazione nello studio dell’ottica, che studia la trasmissione della luce, dato puramente empirico, usando regole matematiche. Si evidenzia così una simmetria tra illuminazione informativa (ab intra) del dato sensibile - che valida la matematica - e illuminazione formativa (ab extra) che viene da Dio.

Questa idea può essere inserita nella tradizione esamerale: la luce è prima forma di tutte le cose, principio di verità e dell’essere. La creazione della luce da parte di Dio, al primo posto nell’ordine della creazione, in questo senso è paradigmatica.

Questi tratti evidenziano una compenetrazione tra matematica e teologia, imposta dalla natura stessa della luce.

Rilettura dello Pseudo-Dionigi: poichè tutte le creature conoscono la verità, partecipando della luce divina nel creato, allora anche Dio è conoscibile come luce. Comprendendo la luce si può comprendere Dio.

Experimentum

Roberto fa un esempio rispetto a un’erba che chiama la Scammonea. Partiamo da un’esperienza: quando una persona assume questa erba, emette bile di colore rosso. La mia esperienza mi fa formulare un’ipotesi, cioè che ci sia un nesso causale tra l’assunzione di Scammonea e l’emissione di bil e rossa. Quello che constato all’inizio non è una causalità, ma una concomitanza. Devo quindi indagare tutte le altre possibili cause, per poterle escludere. A questo punto occorre replicare questa esperienza in condizioni controllate: fare altre esperienze in cui provo a isolare le concomitanze esistenti, cioè che ci sia solo una concomitanza per volta, per capire quali concomitanze hanno a che fare con l’emissione di colore rosso. Procedo a verificare tutte le concomitanze per scoprire qual è quella che causa l’emissione di bile. Questo procedimento induttivo dà luogo ad un universale complexum experimentale - una proposizione universale derivata dall’esperienza. Questa definizione denota un’attitudine già empiristica del pensiero inglese.

Alberto Magno

Filosofia aristotelica e teologia cristiana

Vuole rendere Aristotele intellegibile ai latini, con il sogno di commentare e tradurre l’intero corpus. È il primo studioso che intende Aristotele non come un deposito di idee, ma l’espressione di un sapere organico e sistematico rivolto ad ogni campo del sapere.

Il pregio fondamentale di Aristotele è proprio la sistematicità.

Tiene lezioni sul corpus aeropagiticum. Lui è prima di tutto un teologo, che poi si dedica alla filosofia nella seconda parte della sua vita. Il sapere naturale delle artes viene rivalutato come introduttivo e propedeutico alla teologica.

Negli ultimi anni della sua vita torna allo studio della teologia e scrive la Summa Theologiae, incompiuta.

Il sistema filosofico della realtà

La metafisica e la logica sono entrambe scienze dei principi primi: la logica li pone come premesse mentre la metafisica li fa conoscere alla ragione come principi che governano l’ordine naturale. Questo consente alla filosofia di essere una scientia autonoma e indipendente dal confronto con la fede.

In linea con la concezione di Averroè, siamo costretti necessariamente ad ammettere che, nonostante la fede, generazione e corruzione e movimento, secondo le leggi della natura, non avranno mai fine. Nessun movimento è mosso dal nulla; ma Aristotele non conosce la rivelazione cristiana; noi cristiani, appellandoci a questo superiore livello di verità, possiamo correggere Aristotele. Aristotele ha sbagliato ma è stato coerente sui propri principi. Il filosofo deve tenere in considerazione solo il discorso scientifico-dimostrativo.

Alberto riprende l’impostazione di fondo di Gilberto di Poitiers, quella della distinzione netta tra i due ambiti, descritta dall’ espressione loquens ut naturalis, cioè parlando da filosofo naturale, o parlando naturalmente.

Io se sto facendo il filosofo non sto facendo allo stesso tempo il teologo. Come filosofo devo basarmi sul modello aristotelico; ciò non toglie che la verità rivelata sia superiore alla filosofia; ma questa concezione accresce di molto l’importanza della filosofia naturale.

La filosofia può essere autonoma perchè riconosce i propri limiti e ammette che la volontà divina può interrompere l’ordine naturale e porre termine all’universo. Riconosce la possibilità del miracolo, di una interruzione esterna alla regolarità da parte di Dio.

La filosofia quindi ora può scegliere nella filosofia antica tra insegnamenti giusti e sbagliati, confrontandone i contenuti in modo razionale con il sistema teologico cristiano. Si può correggere la filosofia quando sbaglia.

Alberto Magno è Doctor Universalis in quanto il suo sitema filosofico è multidisciplinare e articolato in una quantità di trattati su molte discipline diverse, come psicologica, botanica, mineralogia, metafisica ecc.

Al vertice della gerarchia del suo sistema abbiamo un Dio in cui esse = quod est, puro intelletto e libera volontà. La sua causalità prima viene trasmessa da una gerarchia ordinata di cause seconde, enti celesti assolutamente immateriali, intellegibili e intelligenti, che trasmettono la forma alle realtà inferiori, facendole apparire come quod est circostanziati.

Inchoatio formae

Questa influenza formale non cambia la natura del causante ma solo quella del causato è data dalla inchoatio formae: la disponibilità, da parte di ogni potenzialità, ad essere formata. Tutta la natura è indirizzata a realizzare le forme.

Dio è Intelligenza pura che contiene tutte le forme esemplari: per questo motivo tutte le forme particolare delle creature tendono a lui con un attrazione irresistibile. In questo modo tutto dipende dalla causalità prima, che agisce in assoluta libertà.

Gli influssi formali delle cause superiori sono in sè necessari, ma la materialità li rende efficaci in modo contingente e imprevedibile: allo stesso modo con cui l’influenza del sole dà origine al germogliare imprevedibile delle piante.

Alberto è convinto che il Liber de causis sia di Aristotele (si scoprirà poi che è di Proclo) - allora considera Dio come il primo intelletto da cui tutto deriva, come la causa prima della realtà, che opera attraverso le cause seconde, che da essa derivano. - Cioè le intelligenze motrici.

Quindi Dio esercita sul mondo la sua azione causale mediante le intelligenze motrici - Alberto Magno ha un’angelologia molto importante. Questo sistema universale di cause può essere detto fatum.

L’antropologia e l’ascesa della conoscenza

L’uomo è gettato in questo sistema di relazioni causali. Anche l’anima, e non solo il corpo dell’uomo, è in parte determinata da queste relazioni. Ma la funzione intellettiva può conoscere e agire liberamente, indipendentemente da questo sistema causale. La sua formazione in atto avviene direttamente grazie all’Intelletto primo, che irradia la sua luce in esso.

L’anima umana conosce gli universali in modo oggettivo. Produce quindi, grazie alle intelligenze superiori, delle forme, che gli permettono di comprendere la realtà (intelletto agente di Aristotele). Tuttavia l’anima è legata al corpo, e non può contemplare le forme direttamente come fanno le intelligenze superiori. L’intelletto attivo sarebbe universale secondo Aristotele, ma bisogna attenersi al dogma, per cui è parte dell’anima individuale.

La tensione verso le Intelligenze superiori contiene anche una indicazione etica: il desiderio di sapere tipico della filosofia si arresterà solo quando l’intelletto si libera e della corporeità e si assimila a quello agente, vera sostanza dell’uomo, intelletto in quanto intelletto. Il desiderio di sapere tipico della filosofia sia arresta solo quando si esaurisce la risalita prima verso le Intelligenze superiori, fino alla contemplazione dell’Intellegibile puro (copulatio dell’anima con Dio).

Il vertice della contemplazione intellettuale descritta da Aristotele coincide sorprendentemente con gli esisti dell’estasi mistica neoplatonica.

Il sistema della verità teologica

Albi subisce l’influenza dello Pseudo-Dionigi Aeropagita. Commenta i Nomi Divini, descrivendo le tappe dell’ascesa verso la conoscenza della verità, pone l’adesione alla Rivelazione al vertice come completamento delle indagini naturali.

La fede è immobile principium, cioè principio fondativo e regolativo di qualsiasi approfondamento razionale della teologia.

Ciò posto, come possiamo arrivare a definire la teologia una scienza, se questa ha il proprio principium a priori nella verità trascendente e non comunicabile della Rivelazione?

  1. Subiectum: Distinguiamo le altre scientiae dalla teologia in quanto esse hanno un differente subiectum, cioè diverso contenuto. Il subiectum della teologia è Dio.
  2. Subiectum specialiter: In secondo luogo, in un senso più ampio, la teologia ha come subiectum tutto ciò che è oggetto del credere, come le proprietà di Dio.
  3. Subiectum generaliter: in un senso ancora più ampio, la teologia si occupa di tutto ciò che esprime le verità di fede, le res e i signa della Rivelazione - cioè primariamente la Scrittura.

Tuttavia, nonostante i suoi contenuti abbiano questi 3 sensi diversi, la teologia è scientia una, una scienza unica, in quanto Dio è causa unica.

La verità di Dio è sia causa efficiente che causa finale: dio è sia Creatore sia termine dell’Universo (coincidenza con Agostino, con Giovanni Scoto)

La conoscenza della fede è principio di una logica della verità, che consente ai credenti di essere veri philosophi e theologi, il cui fine è congiungere il logos umano (intellectus) con quello divino.

Dio come subiectum e sapere pratico

Ma il fatto che Dio sia subiectum come fine universale, e non sia mai oggetto di un sapere razionalmente evidente, la teologia sarà scienza pratica, e non speculativa.

La teologia può condurre l’intelligenza fino ad immergersi nel gaudium che è frutto di un incontro contemplativo mistico con Dio, in un congiungimento che coinvolge il credente in modo totale.

Bonaventura di Bagnoregio (p.441-460)

Dobbiamo metterci nell’ottica di un pensatore francescano. È un contemporaneo di Tommaso. Nel 1257 diventa Generale dell’Ordine Francescano.

Vuole radicare profondamente la filosofia nella teologia, ma questo è un binario morto della storia della filosofia.

Una novità del ’200 è infatti l’affermarsi degli ordini mendicanti (domenicani e francescani), nati nel secolo precedente, ma che hanno in questo secolo una espansione incredibile.

Quando nel 1253 Bonaventura e Tommaso diventano maestri di teologia non possono prendere la cattedra, perchè all’Università di Parigi c’è una protesta dei maestri di teologia secolari (interni alla chiesa) contro gli ordini mendicanti, che accusano di aver usurpato le cattedre di teologia.

Questa disputa non si risolve fino al 1256 con la vittoria politica degli ordini mendicanti. Bonaventura e Tommaso diventano maestri di teologia nel 1256, uno sulla cattedra francescana e uno sulla cattedra domenicana. Bonaventura verrà reclamato come generale dei francescani dopo soli 6 mesi, e uscirà per sempre fuori dall’insegnamento universitario.

Tommaso rimarrà invece sempre all’interno del mondo dell’insegnamento, a contatto con la studio della filosofia, fino alla sua morte.

Bonaventura scrive opere in cui emerge il suo francescanesimo, quella particolare visione del mondo che vede Dio in tutte le cose del mondo.

La conoscenza della filosofia in Bonaventura è una conoscenza giovanile. La filosofia rimane un ambito subordinato.

Il pensiero di Bonaventura è quindi quello essenzialmente di un teologo, che ha grande rispetto della filosofia ma non riesce a concepirla come indipendente dalla teologia.

Riconduzione delle arti alla teologia

Il titolo della prima opera che andiamo ad analizzare rappresenta l’idea centrale del pensiero bonaventuriano. Solo la teologia può essere un sapere unitario. La filosofia, con la sua grande varietà di opinioni e di dottrine, è caduca, non è per sempre. L’unico sapere che è per sempre è la sapienza di Cristo. Solo il Vangelo ci dà un sapere unitario e quindi vero.

La filosofia, nel suo proliferare di dottrine, rischia di diventare falsa.

Una filosofia, per essere tale, deve essere vera. Per essere vera deve stare sotto, e dentro, alla teologia. Anche Bonaventura parla del subiectum della teologia - ma in altri termini. Dio è subiectum secondo la sostanza - ma nella forma di un Dio trinitario.

Programma della scienza teologica: nel Prologo del Breviloquium Bonaventura afferma di trarre sempre il fondamento di ogni dimostrazione dal principio primo, per mostrare che la verità della Sacra Scrittura è da Dio, è su Dio, è secondo Dio, e ha Dio come fine.

La teologia è:

Deve dimostrare che la ratio di ogni tema teologico è riconducibile al principio primo, cioè Dio. In Dio si trovano le quattro cause della metafisica aristotelica: agente (a Deo), materiale (de Deo), formale (secundum Deo), e finale (propter Deum).

La teologia è solo in quanto è scientia divina; inoltre è:

Nell’esporre cosa sia la teologia, chiarisce cos’èla verità per il cristiano: è la verità in sè, cioè Dio.

La scienza teologica come reductio ad unum e il suo fondamento scritturale

Bonaventura teme che la dissensio della filosofia antica possa tornare tra i credenti; la teologia deve assicurare l’unità di tutte le opinioni sulla verità. L’unico modo per farlo è uniformarsi alla perfetta sapienza di Cristo.

La teologia è uno strumento per avvicinare gli uomini alla verità. L’unico supporto in questa missione è la Scrittura, fonte inesauribile di sapienza, che racchiude tutto l’universo secondo le quattro dimensioni della croce:

Qual è il subiectum della Scrittura? Come insegna lo Pseudo-Dionigi recepito da Giovanni Scoto ogni sostanza può essere scomposta in sostanza, potenza e atto. Il subiectum della Scrittura (e della teologia) è Dio secondo la sostanza, Cristo secondo la potenza, e l’opera di redenzione secondo l’atto. Questo non è altro che un modo per descrivere la trinità.

Vediamo quindi come la fonte della riflessione di Bonaventura sia data da una vera e propria riflessione sull’immagine della morte di Cristo: la Trinità (3 nature) su 4 bracci (della croce).

Questo schematismo intriso di simbolismo biblico, numerologia sacra eccetera eccetera non è solo un connotato formale del pensiero di Bonaventura, ma un vero e proprio metodo.

Teologia come determinatio distrahens

La vera teologia è la scientia Christi (o sapientia), la scienza che si ha di Cristo, che può unificare ragione e scrittura. La lettura del testo biblico è il punto di partenza per acquisirla.

Durante l’attività di baccelliere all’università, formula una serie di quaestiones in merito al Vangelo di Luca, all’Ecclesiaste, ecc. Poi rielabora formalmente le riflessioni tenute nelle sue lezioni e redige il suo Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo. In quest’opera si verifica il passaggio dallo studio della scrittura alla comprensione teologica della Rivelazione.

Questo passaggio è la determinazione “che conduce altrove”, cioè trasforma per opera della grazia il credibile in un oggetto di determinazione intellettuale e scientifica, in un intelligibile e quindi in un oggetto di attrazione della volontà. Nel primo caso invece, senza rivelazione, era solo una chiarificazione con cui poter condividere con i credenti la rivelazione - ci trovavamo nel dominio del credibile.

Tuttavia la Rivelazione vale ancora di più della teologia. La ragione è quindi un elemento che mette a punto la Rivelazione.

Ciò che è oggetto di quaestio diventa oggetto di consideratio.

Dalla teologia alla sapienza

Le scienze umane pretendono di poter essere autonome nella loro ricerca, introducono così un errore, e sono costrette ad una conoscenza incompleta. La filosofia abbandonata a se stessa è causa di errore.

Se Adamo poteva cogliere in modo diretto la forma della verità, dopo il peccato originale gli uomini sono condannati ad una conoscenza indiretta e frammentaria, quella delle scienze naturali. Ma la consapevolezza di questa condizione impone all’uomo di non accettare questa condizione e realizzare quella conoscenza promessa con la beatitudine. Quindi il non fermarsi alla filosofia è naturale per l’uomo intelligente.

Bonaventura tiene varie Collationes, prediche ufficiali di fronte al corpo studente e docente in cui invita a risolvere definitivamente la ricerca umana nella adesione alla Rivelazione; e in cui denuncia con amarezza i teologi universitari che hanno voluto invertire l’ordine della verità. È lecito invece adoperare gli strumenti tecnici elaborati dai pensatori pagani per inquadrare o spiegare meglio la dottrina di Cristo:

In conclusione, la filosofia è portatrice di verità nella misura in cui è subordinata alla verità unitaria e superiore della teologia.

La teologia speculativa

Scrive delle Quaestiones sulla Trinità in cui sostiene la complementarità indispensabile di dimostrazione e fede secondo il modello anselmiano; la ricerca delle rationes necessariae del dogma.

Ogni quaestio è divisa in due articoli, uno è una riflessione razionale, l’altro esplicità la credibilità del dogma.

Nella prima quaestio il primo articolo sottolinea la necessità razionale dell’esistenza di Dio (celebre sintesi dell’argomento anselmiano: si Deus est Deus, Deus est, l’altro sostiene la credibilità del dogma trinitario.

Fondamentale il concetto di primitas divina: l’esistenza dell’essere che non si può pensare che non sia ciò che è. La sua esistenza è dimostrata dal riconoscimento del principio dell’essere come identità di esse ed esse aliquid. È il principio indubitabile di ogni certezza teologica, fisica e conoscitiva. Il principio per cui possiamo conoscere qualcosa che è solo perchè partecipa di qualcosa che è in modo perfetto.

Nella sua primitas, il principio divino è necessariamente divino. Nella sua opera creativa si attuano la conoscenza del produrre (Verbo) e l’amore del produrre (Spirito Santo). Nella primalità si giustificano le altre proprietà di Dio, di unità, semplicità, infinità, eternità, immutabilità, necessità.

Al dato razionale, il liber naturae, e quello rivelato, il liber scripturae, nell’esperienza del credente si aggiunge un terzo elemento divino: il liber vitae, in cui si riconosce che il divino è una forza vivente che non cessa mai. Il liber vitae è la sintesi di intelletto e perfezione di volontà.

Reductio teologica della filosofia e itinerarium della teologia

In un sermone Bonaventura descrive la conoscenza filosofica come un percorso storico dell’intelligenza umana verso la verità. Questo percorso si articola in nove gradi, che sono le scienze particolari, divise in tre triadi: morali, razionali, e naturali. L’esito di questa prospettiva verticale è il passaggio alla theologia, decimo livello conoscitivo, al di sopra di ogni altro sapere umano.

Ora due citazioni molto interessanti di Bonnie Bon Jovi.

  1. La scienza filosofica è la via ad ogni altra scienza, ma chi vuole trattenersi in essa cade nelle tenebre.
  2. Nella descensio alla filosofia è il massimo pericolo.

Chi si trattiene nella filosofia rischia di cadere nella molteplicità e in generale nei casini.

Scrive due opuscoli:

  1. Riconduzione delle arti alla teologia: la riduzione delle arti è l’inverso della descensio ad philosophiam. Non è una limitazione delle capacità umane, ma una esaltazione delle possibilità conoscitive umane, con l’uomo messo nelle condizioni di tornare alla condizione conoscitiva di Adamo. Le varie scienze sono solo diversi riflessi di luce della verità divina, che nella creazione si realizza nella molteplicità, per consentire alle creature di indagarla per poi risalire e trovare la Verità in sè, e non solo quella particolare. In questa faticosa opera di ricerca l’anima è confortata dalla presenza della verità nella Scrittura e nella natura.

Quando inizia questa conoscenza le luci iniziano a riordinarsi:

  1. Itinerario della mente verso Dio L’esempio da seguire per risalire nel progresso della conoscenza è quello di San Francesco. Questa cosa gli è apparsa in una visione mistica.

L’itinerarium è la narrazione del percorso che compie l’intelligenza verso la deiformitas, verso il transitus a una vita beata. Ci sono vari livelli di conoscenza di Dio: sensus, imaginatio, ratio, intellectus, intelligentia, ec... Al settimo grado c’è il rapimento mistico dell’anima.

Tommaso d’Aquino (1224/25-12?)(p. 461-497)

Opere

Periodo a Parigi:

1256-1259:

1261:

1265-1268:

Magister in sacra pagina

Nasce nel 1224/25 a Roccasecca, tra Lazio e Campania. Il suo maestro a Parigi è Alberto Magno. Lo segue anche a Colonia tra il 1248 e il 1252. Di questo periodo le prime glosse e i primi commenti. Scrive un commento sul libro di Giobbe, un commento ai Salmi, lettura su Vangeli di Matteo e Giovanni, commento alle Epistole paoline, una Glossa continua sui Vangeli.

Ha una conoscenza vastissima dei testi sacri e su questo basa tutta la sua ricerca filosofica. La cultura biblica di Tommaso è la ragione stessa della scienza teologica. Questa impostazione caratterizzava tutte le produzioni universitarie degli Ordini Mendicanti. Attribuisce una grandissima importanza alla lettura letterale della Bibbia. La prima comprensione teologica della Rivelazione deve basarsi sul dato letterale. Senza sminuire gli altri due aspetti ovviamente.

La lettura della Bibbia è funzionale alla teologia per le 4 cause:

Nel 1252 grazie alla raccomandazione di Alberto Magno diventa baccelliere sentenziario.

Sancti e philosophi

La prima grande sintesi teologica di Thomas è lo Scriptum super Sententiis, lo scritto sopra il Liber Sententiarum di Pietro Lombardo. In varie quaestiones viene presentato per la prima volta in modo organico il sistema teologico di Tommaso.

L’elemento di maggiore novità è l’utilizzo di autorità filosofiche: non possono esserci contraddizioni tra manifestazioni distinte dell’unica verità. Queste contraddizioni vanno appianate nella costruzione di un sistema che tenga conto delle posizioni in primis di Aristotele, ma anche dell’elaborazione greco-araba della sua filosofia. Questa sintesi deve però sempre avvenire tenendo in grande considerazione il pensiero sia dei padri che dei contemporanei, su tutti Alberto ma anche Bonaventura.

Le Sentenze di Pietro Lombardo offrono un vero e proprio sistema teologico, articolato in quattro sezioni:

Secondo l’intepretazione di Talking Tom, il proposito del Lombardo è offrire una proposta teologica unitaria centrata sulla nozione di Dio. Ci sarebbe quindi un forte legame tra il tema della trinità e l’opera creatrice di Dio: nella generazione del Verbo, con cui Dio progetta la creazione, si può leggere il ritorno delle creature a Dio per opera della Grazia alla fine dei tempi. Questo processo si può leggere in termini neoplatonici-avicenniani, cioè come descensio dall’Uno e reversio dell’Uno dal molteplice. Una verità data dalla Rivelazione e accettabili in quanto tale può essere quindi sostenuta e spiegata in termini razionali per approfondire appunto il dato rivelato. Il patrimonio filosofico non ha più una funzione solo organizzativa, ma può offrire un apporto originale nella risoluzioni di questioni teologiche, sempre in riferimento all’ambizione di costruire un sistema che sciolga ogni dubbio.

I filosofi diventano una fonte di pensiero legittima, accanto ai Santi.

L’appropriazione del patrimonio filosofico non è solo episodica , ma contribuisce ad una nuova fondazione della metafisica che assicuri la solidità di un sistema organico di verità inquisite razionalmente, ma che sono profondamente radicate in una verità più alta cui il cristiano sa di poter fare riferimento.

La metafisica deve trovare una sintesi a tutte le incompiutezze che hanno caratterizzato le filosofie antiche e i loro interpreti, nel loro pur valido tentativo di avvicinarsi alla verità.

I principi della metafisica: essere ed essenza

Allo stesso periodo del commento alle Sentenze appartengono il De principiis naturae e il De ente et essentia

Appurato che queste divisioni complicano parecchio la concezione dell’essere, bisogna trovare una descrizione anteriore e più diretta, rivolgendosi ad Avicenna - troveremo quindi verosimilmente qualcosa che è in relazione all’Uno.

Essentia: è la verità di ciò di cui si predica l’essere e coincide sempre con una definizione vera. L’esse è ciò di cui si predica la definizione. Si predica di un ens.

Ens: è tutto ciò di cui si predica correttamente l’essere, cioè esiste ed è qualcosa. È l’esse (esistenza) come atto.

L’essentia corrisponde a ciò che l’ens è in atto, in un modo per cui è qualcosa e non è qualcos’altro.

Divisione tra sostanze composte e sostanze separate:

  1. Sostanze composte: sono composte da forma e materia, cioè la loro essentia comprende la forma e la materia. La combinazione di materia e forma produce un individuo (ens) solo quando quando una determinata quantità di materia (quando la materia è signata quantitate), componendosi nella forma, dà luogo a un ens.

Socrate è un individuo perchè la forma uomo si compone con una quantità signata (finita) di materia. Ma nell’uomo la forma uomo si compone con una quantità non signata di materia. Dunque entrambi sono una essentia (perchè esistono e ne possiamo dare una definizione), ma solo Socrate è un essentia (o quiddità) determinata in atto, cioè un ens.

  1. Sostanze separate: secondo Avicebron anche nell’anima e nelle intelligenze separate c’è una composizione di forma e materia. Questo non può valere per Tommaso, in quanto se l’anima fosse composta anche da materia, non potrebbe cogliere l’universalità. Tuttavia è necessario riconoscere anche nell’anima una composizione, altrimenti essa sarebbe identica alla causa prima, massimamente semplice.

Dissolto il corpo, l’anima mantiene la sua individualità perchè è stata formata all’essere in modo determinato.

Filosofia e teologia: dai commenti a Boezio alla Summa contra Gentiles

Nel periodo tra il 1256 e il 1259 scrive un commento al boeziano De Trinitate e uno al De hebdomadibus

La teologia può essere o filosofica o basata sulla fede.

La metafisica (o teologia filosofica) ha come subiectum l’ente in quanto ente. Questa non deve trattare la realtà divina in quanto tale (perchè il suo essere semplice e uguale alla sua essenza la rende inconoscibile razionalmente), ma come realtà con cui l’intelletto creato può cogliere i principi primi della verità, a partire dai loro effetti.

Invece la teologia considera i principi primi in sè, e non nei loro effetti.

La teologia si occupa secondo Boezio di ciò che è separato ed immobile: questo vale per entrambi, ma la metafisica realizza ciò considerando i suoi principi come separabili, cioè che si mostrano nei loro effetti, perchè Dio in sè non può essere colto solo dalla fede; l’altra conosce Dio in sè.

La teologia è una scienza, in quanto ha un oggetto peculiare: ma il suo diritto ad essere una scienza le spetta non più perchè è fondata sulla fede, ma nonostante sia fondata sulla fede.


Nel 1259 lascia Parigi e si reca a Valenciennes, per discutere con altri intellettuali domenicani di promuovere gli studi nell’ordine e imporre lo studio delle arti liberali. Rientra nel 1261 ad Orvieto, come rettore del convento. In questo contesto scrive la Summa contra Gentiles.

Summa contra Gentiles:

Questo proposito già era stato definito nel commento al De Trinitate: infatti ci sono 3 modi in cui si può utilizzare la filosofia nell’ambito della sana doctrina:

I preamboli della fede sono le verità teologiche conoscibili con la teologia. Sono per questo condivisibili da tutte le intelligenze umane e sono veramente preparatorie per tutti a convertirsi.

La filosofia nel programma dei domenicani ha quindi un ruolo centrale: chi non è filosofo può accostarsi alle verità della ragione accogliendele come credibilia dalla fede, allo stesso modo il teologo può evidenziare le stesse verità come intelligibilia, per dialogare con chi non ha la fede ma ha un cervello funzionante - verità necessarie.

L’obiettivo, anche se sicuramente razionalizzante, è esplicitamente quello di rendere manifesta la verità che proclama la fede cattolica, eliminando gli errori contrari.

Tornando alla Summa contra Gentiles: - la verità delle cose divine (per come viene conosciuta dall’uomo) è duplice (la verità in sè è una) : c’è la verità dimostrata razionalmente, utile a convincere gli avversari, e la verità cui si arriva solo con la fede.

  1. I libro: Dio in se stesso \ Dimostrazione dell’esistenza di Dio che verrà ripresa nelle cinque vie. A partire dall’esistenza di Dio e dal riconoscimento del suo essere primum ens vengono dedotte tutte le altre sue proprietà: se è motore è immobile, se è immobile è eterno, quindi è esente da potenzialità, quindi è esente da materia, quindi è puro spirito, privo di composizione, passività, corporeità. In Dio non c’è alcun accidente, non rientra in nessun genere ed è assoluta perfezione: è la sua essenza.
  2. II libro: relazione tra Dio e creato
  3. III libro: relazione tra Dio come Bene e la vita morale
  4. IV libro: misteri della Rivelazione - che possono essere trattati solo come probabili

Se nei primi 3 libri la ragione ha prevalso, nell’ultimo si lascia condurre dalla fede.


La teologia adopera l’analogia: La premessa che ci permette di affermare che i risultati della teologia razionale e della teologia di fede sono concordi è il principio per cui tutto ciò che si predica di Dio è esprimibile solo per via negativa. La predicazione teologica non può essere nè univoca (cioè che diciamo di Dio è 100% vero) nè equivoca (i nomi sono solo nomi e non significano nulla), ma dovrà essere analogica. L’analogia permette di parlare della perfezione divino.

Tra Roma e Parigi, aristotelismo contro averroismo: angiologia e antropologia

Nel 1265 a Valenciennes viene incaricato di dirigere uno studium teologico a Roma. Ci rimane fino al 1268. Inizia a comporre la Summa Theologiae.

Contro gli averroisti pubblica nel 1270 il De unitate intellectus. Bisogna risolvere la concezione da loro proposta che vede l’intelletto come sostanza del tutto separata: così viene vanificata la dottrina (scritturale) dell’immortalità dell’anima. Spiega questo sia nel De unitate che nel commento (corretto) al De Anima, il testo su cui gli averroisti avevano costruito la loro intepretazione erronea.

Nuova dottrina antropologica fondata sui pilastri della sua metafisica: - materia signata come principium individuationis - rifiuto dell’ilemorfismo universale - composizione universale di esistenza e atto di esistere.

Esposizione della Summa Theologiae: Prima esposizione (sistematica, perchè non legata a nessun commento) di questa dottrina nella Summa theologiae: partendo dai sei giorni della creazione. Poichè il progetto divino ha come fine l’assimilazione delle creature al Creatore, questa si deve realizzare in tutte le possibili attuazioni. Poichè l’intelligenza non è una funzione del corpo, devono esistere delle creature che realizzano l’assimilazione in modo del tutto spirituale: gli angeli, pure sostanze spirituali esenti da corporeità.

Nel commentare il De causis, di cui riconosce la noin autenticità, si dice convinto che la natura degli angeli sia la prova della volontà di Dio di stabilire una gerarchia nella creazione per creare tutte le possibili forme di partecipazione alla sua perfezione.

Polemica contro ilemorfismo universale - Avicebron privilegia la causa materiale, che esprime particolarità e indeterminatezza, rispetto alla causa formale, simbolo di perfezione, capovolgendo gli obiettivi di Aristotele. Gli angeli non sono sottoposti a nessun tipo di imperfezione o accidentalità perchè sono composti di essenza ed esistenza: li percepiamo come visibili solo per una affezione della nostra capacità immaginativa. Non sono sottoposti al principium individuationis è sono distinti tra loro solo per specie.

L’anima dell’uomo è una sostanza intellettiva e spirituale come gli angeli - svolge con il pensiero funzioni vitali come la conoscenza. Queste funzioni non sono legate alla corporeità, come gli universali, oggetto della loro conoscenza. Quindi, come gli angeli, anche l’anima è una forma sussistente. Questo è deducibile solo dalla sua caratteristica propria di essere intellettiva, conseguenza del suo essere forma sussistente.

L’anima è forma perchè conosce come sostanza intellettiva: è incorruttibile, dotata di volontà e intelletto, determinata dalla composizione di essenza ed esistenza. Dato che ogni sostanza celeste è una specie diversa, le anime umane sono di un’altra specie rispetto agli angeli. Anche le modalità di conoscenza di ogni anima sono diverse, cambiano da individuo a individuo. Per questo è necessario che ogni anima entri in composizione con un solo corpo. Per questo sbagliano gli averroisti che affermano che l’intelletto è unico per tutta l’umanità: se fosse così, dato che la conoscenza intellettuale è ciò che rende l’uomo uomo, dandogli l’intelletto, con un solo intelletto, sussisterebbe un solo uomo.

L’anima è la forma sostanziale dell’uomo in quanto è un individuo.

Forma sostanziale (individuale) - la sostanza deriva dalla forma: negli esseri corporei c’è una progressiva ascesa verso la forma, nella materia: prima gli elementi, poi gli esseri non viventi, poi i vegetali, gli animali, gli uomini, ecc. Le varie qualità dei viventi non sono l’esito casuale di una sovrapposizione di forme diverse che ineriscono ad una unica materia, perchè questo darebbe luogo a molte individualità in una sola sostanza individuale. La forma sostanziale è unica, che forma la materia di ciascun individuo. Anima e corpo non sono uniti accidentalmente e non possono esistere separate in atto, sono principi costitutivi dell’unica sostanza individuale esistente in atto.

Le diverse capacità dell’anima (intellettiva, vegetativa, ecc.) sono potenze di una sola forma, e quelle superior comprendono tutte le perfezioni di quelle inferiori. C’è una distribuzione gerarchica delle forme che conferma.

Dall’anima intellettiva il corpo trae anche il suo essere sensibile, il suo essere sostanza ed ente. La possibilità di pensare l’intelletto come forma svincolata dalle determinazioni del corpo permette anche di preservare il libero arbitrio. Questo non causa un determinismo: la volontà è conforme all’intelligenza, ma non sempre subordinata. L’unico oggetto di conoscenza che ci costirnge ad agire in modo confermo ad essa è il Sommo Bene.

In ultimo, dalla forma sostanziale deriva anche l’immortalità dell’anima: quando l’anima si separa dal corpo, continua a conoscere secondo le specie del mondo intellegibile, cosa che fino a quel momento non poteva fare perchè legata al corpo. Dopo la morte del corpo quindi l’anima rimane una forma, cioè la capacità di dare vita, movimento e conoscenza ad un corpo.

Ma dato che l’anima tra le sue capacità ha anche quella di formare il corpo, la separazione tra corpo e anima è innaturale ed è destinata ad annullarsi nella Risurrezione dei corpi: il dogma è spiegato a partire da premsse puramente metafisiche.

Summa Theologiae e la ‘teologia dell’Esodo’

La ragione ha però dei limiti nell’interazione con la fede: ci sono alcuni eventi che non possono nemmeno essere concepiti dalla mente dell’uomo ma la cui veridicità è assicurata dalla Rivelazione. Un esempio è la creazione: la ragione non riesce a considerare evidente che il mondo abbia avuto un inizio. Su questo problema gli averroisti hanno rivendicato l’autonomia tra ragione e fede.

Tommaso si esprime a proposito di tale questione nell’opuscolo De eternitate mundi (1271). Qui esprime una posizione neutra, in cui stabilisce che la ragione può pervenire ale sue verità, ma senza mai pretendere di prevalere sulla fede. Per quanto riguarda i preamboli della fede, essi possono essere oggetto di fede per i credenti ma oggetto di intelligenza per chi possono comprenderne razionalmente i contenuti.

La Summa Theologiae:

Struttura:

Lo sviluppo dell’argomentazione è rigoroso e completo rispetto alla disputatio: quaestio, obiectiones alla questio, reponsio che esprime la dottrina corretta.

Le prime questioni riguardano la natura di Dio in sè. I preamboli della fede e l’esistenza di Dio sono esposti con una grande chiarezza argomentativa che li rende chiari ed evidenti a chiunque.

La necessità dell’esistenza di Dio scaturisce dall’esperienza: noi conosciamo le creature sempre come risultato di qualcosa. Dato che non possiamo percepire il risultato di qualcosa come assoluto, è necessario riconoscere che esiste un principio primo, per non incorrere in una catena di infinite causalità.

Ci sono 5 percorsi che ci indicano l’esistenza di Dio: (p.488-489)

  1. Motus (la più evidente)
  2. Causa efficiente
  3. Dal possibile e necessario
  4. Dai gradi delle cose
  5. Del governo delle cose (finalismo)

Dio (trovato solo razionalmente, finora) è dunque una potenza assoluta, motrice, ordinatrice, governatrice della realtà. Queste caratteristiche possono essere integrate con quelle descritte nelle Scritture: privo di ogni composizione, dunque semplice, buono e infinito, esistente in tutte le cose non come parte della loro essentia ma come causa; essendo come la causa negli effetti, è uno per realizzazione della sua natura perfetta.

Queste qualificazioni vanno comunque intese in senso analogico, anche se gli attribuiamo caratteri umani: nessun concetto relativo a ciò che è visibile può essere veramente applicato a ciò che è invisibile.

Si parla di teologia dell’Esodo perchè nell’Esodo Dio presentandosi dice: “ego sum qui sum”, “io sono quello che sono”. Questa formla mette in evidenza l’assoluta semplicità di Dio, privo di determinazioni in quanto assolutamente esistente. Dio esiste assolutamente in atto , e di lui si può dire solo che est. Tutto ciò che viene detto in teologia si basa su questo unico principio fondante.

Ci sono 3 ragioni per cui qui est è l’unico nome adatto a Dio.

  1. Significa l’essere stesso, senza determinazioni
  2. Nome universale, che non aggiunge nulla al significato di Dio.
  3. Significa l’essere nel presente, in quanto Dio è nel presente

Per quanto consideriamo Dio secondo diversi aspetti, corrisponde sempre a una sola res.

La teologia come scienza

La teologia è scientia in quanto conoscenza di vera res. Ma è possibile una scientia del credibile?

–> Presupposti degli analitici secondi

Conoscendo gli Analitici Secondi, Tommaso sa che: - il sapere scientifico riguardaa la comprensione di verità universali - le premesse devono essere sempre dimostrate - i principi delle dimostrazioni devono essere i principi primi, e le proposizioni formulate con i principi devono essere per se notae - la verità delle premesse è data dal fatto che il predicato è contenuto nel soggetto es. tutti gli uomini sono animali

Ma questo ideale di scienza è realizzabile solo dalla matematica pura e la logica - nelle altre scienze bisogna introdurre necessariamente dati deducibili dall’esperienza, in cui i nessi causali sono meno evidenti. Anche per la teologia è inevitabile alterare quindi rigidi criteri epistemologici.

–> Concetto di teologia:

riformula la domanda se la teologia sia una scientia o meno: la sacra doctrina possiede in una delle sue modalità le caratteristiche di un sapere scientifico?

Vediamo se risponde quindi ai prerequisiti individuati da Aristotele:

–>Teoria della subalternazione:

Allo stesso modo il teologo crede ai principi rivelati da Dio.

–> Metodo della teologia:

La distinzione tra teologia sacra e filosofica è che hanno entrambe per oggetto Dio, ma in due modi diversi (stesso subiectum, diverso obiectum): - la teologia filosofica non parte dai presupposti della fede - la teologia sacra è fondata sulla rivelazione, e può raggiungere l’obiectum della Salvezza

Il subiectum della sacra doctrina è Dio. L’intera storia della teologia, con le sue acquisizioni, è rivolta all’obiectum.

In questo modo la teologia intuisce i propri limiti, definisce il proprio scopo e comprende l’inesauribilità del suo compito. Inoltre deve essere pronta ad ammettere eccezioni alle leggi di natura per ammetterne diverse applicazioni.

Una perfetta applicazione di questo principio è il procedimento della transustanziazione, per cui viene accettato il miracolo del cambiamento della sostanza con il permanere degli accidenti.

Enrico di Gand e i maestri secolari (m.1293) (p.501)

I fondamenti teologici del pensiero di Enrico di Gand

Si oppone: - alla concezione della teologia come scienza subordinata (Tommaso): la teologia non ha bisogno di fondare la sua certezza su argomentazioni. L’incrocio di fede e ragione può provocare dubbi e tentennamenti nei fedeli, in merito a verità altrimenti certe. - alla concezione francescana della teologia come sapientia superiore all’ambito scientifico

La teologia non può essere fatta dipendere dalla filosofia, in quanto si fonda principio assolutamente vero, il pensiero con cui Dio pensa se stesso e al tempo si fa conoscere. È soggetto e oggetto della teologia. La teologia anzi ha la capacità di orientare tutte le altre discipline. Le scienze non si risolvono nella teologia, come vogliono i francescani, in un’ottica di superamento: rimangono sempre inferiori. Il problema principale è portare la teologia, intesa come conoscenza di Dio, al livello degli uomini.

Composizione intenzionale dell’essere

Pensiero dei primi secoli vede una divisione dell’esse per sè ed esse per aliud; Tommaso ha poi corretto questa impostazione distinguendo essentia ed ens, cioè essenza di sè ed essenza esistente in atto. Enrico teme che questa divisione possa essere interpretata come due differenti res, una esistenze di per sè, l’essenza, l’altra, derivata dall’essenza, l’ens. Dio sarebbe quindi pura necessità e le creature sarebbero invece effetto di una emanazione.

Tommaso avrebbe teorizzato un necessitarismo deterministico; le cose esistenti devo invece avere dignità ontologica ed essere considerate res del tutto autonome, risultato della volontà di Dio onnipotente.

L’essere va concepito come la distinzione concettuale di due maniere autentiche di essere: l’essere di DIo, essere in sè, ed essere delle creature.

Ciò che fa esistere la res creata è il fatto che la res increata e necessaria (Dio) la fa esistere.

In ogni creatura essenza ed esistenza non sono due res, ma una separazione di ordine conoscitivo, o separazione intenzionale. Dio crea solo una res individuale esistente in modo autonomo - essenza ed esistente sono pensate nella mente di Dio come due intentiones distinte. In particolare prima pensa all’essenza poi porta l’atto all’esistente.

Visto che pensa le essenze, Dio è causa formale delle esistenze. (ratio essendi)

La dottrina della conoscenza e illustratio specialis

–> Il principio divino è anche ratio intelligendi. Per conoscere la verità delle cose, l’intelletto deve cogliere la corrispondenza tra la loro essenza e l’idea divina da cui derivano. Questa conoscenza sarà sempre superiore alla conoscenza naturale. Per conoscere la verità ci vuole un intervento dall’alto con cui Dio evidenzia la veridicità del dato conoscitivo con l’idea divina che è in lui.

Così l’illuminazione sarà la condizione della conoscenza. Questa consiste in una congiunzione dell’anima con la parola, concessa da Dio. L’illustratio specialis è questo gesto con cui Dio consente la nostra conoscenza. È un principio a priori della conoscenza, qualcosa dal quale dobbiamo necessariamente passare per conoscere.

Ogni scientia è tale nella misura in cui Dio ci concede liberamente questa illustratio per ciascuna disciplina armonizzandola agli universali divini.

La scienza teologia e la nuova epistemologia cristiana

La illustratio specialis dimostra l’inadeguatezza dei criteri epistemologici aristotelici, fondati sull’astrazione e adatti solo alle scienze naturali. La scienza aperta (e garantita da Dio) è la scienza aperta dall’illuminazione di Dio, non indagabile con la scientificità naturale.

Nell’ambito della scienza teologica, la scrittura (elemento sperimentabile, a posteriori) della parola divina, e la rivelazione di Dio a se stesso (soggetto e oggetto del conoscere), sono due elementi perfettamente coincidenti - la coerenza tra il dato scritturale e la realtà divina è assoluta e certa. Il subiectum della teologia coincide con il suo obiectum.

La verità della teologia è talmente sicura da estendersi a tutte le altre scienze. La teologica della fede è inoltre superiore alla stessa fede perchè aggiunge al credere l’intelligere.

A un livello più basso, quindi, le scienze dei gradi inferiori vengono orientate dalla teologia, ma con un movimento opposto dalla e fede e dalle scienze inferiori la mente è portata a risalire verso la teologia, che ha il compito di ritenere i credibilia intelligibilia.

Quindi la teologia equivale alla scienza, nella misura in cui è un sapere certo che dà all’uomo la possibilità di partecipare della verità di Dio.

Egidio Romano, maestro degli agostiniani

Opera una correzione dell’aristotelismo, rendendo il pensiero teologico solido grazie alla ragione filosofica. Vuole allontanarsi sia dal misticismo dei francescani che dall’aristotelismo esasperato degli averroisti. La nuova teologia agostiniana deve fondarsi sulla convergenza di credere e intelligere.

I due elementi di cui è composta una creatura sono due res autonome, congiunte per accidens, in cui non si produce una effettiva unità.

L’atto creativo infatti coincide con la immediata concessione dell’esistenza alle essenze.

Viene accentuata la tommasiana corrispondenza tra essenza come potenzialità e esistenza come attuazione della potenzialità. L’essenza non è autosufficiente, in quanto fa parte di una creatura mortale, in composizione con l’esistenza.

–> Gnoseologia

La conoscenza vera consiste nel corretto giudizio sulla composizione reale di essenza ed esistenza. Solo Dio conosce in modo perfetto la composizione - l’uomo invece conosce sempre attraverso i sensi e non può mai cogliere la composizione effettiva di esistenza e essenza in una res, ma solo rappresentarne diversi gradi di manifestazione, con molti livelli diversi di approccio conoscitivo.

La concezione della conoscenza è platonico-agostiniana: ci sono varie facoltà conoscitive, ognuna delle quali si rivolge all’oggetto con una diversa capacità. Ogni facoltà dell’anima si volge all’oggetto secondo le sue possibilità. Le facoltà sono vegetativa, sensitiva, intellettiva. Ogni facoltà esprime un giudizio peculiare sulla composizione dell’essere. La veridicità del giudizio è relativa rispetto all’ambito in cui viene espresso.

Ogni atto di conoscenza coglie aspetti diversi aspetti dell’essenza nell’esistenza, nonostante la realtà sia uguale per tutti. L’anima è totalmente ricettiva e non ha come obiettivo e punto d’arrivo la verità attuale dell’ens. Non c’è nessun elemento innato e nessuna grazia divina.

Il medesimo oggetto appare in forme diverse a diverse facoltà conoscitive; appare nella sua pura realtà solo nella contemplazione dell’Intelletto divino.

Metafisica e teologia si occupano entrambe di Dio, ma metafisica si occupa di DIo come causa universale degli enti, la seconda come principio di glorificazione dell’umanità. Nè metafisica nè teologia possono ambire a conoscere l’attualità della res divina, neanche i beati, che ne avranno sempre una conoscenza relativa alle proprie capacità intellettive e di avvicinamento a Dio. La conoscenza di Dio si compie solo nell’assimilazione all’oggetto supremo.

Dio non può essere il subiectum della scienza teologica, in quanto non è una res conoscibile. Dio è il fine irraggiungibile di uno sforzo di conoscenza e desiderio. La teologia è dunque una scientia affectiva, pratica quanto speculativa, una speculatio volta alla operatio, con il fine della dilectio (amore).

Contro Enrico di Gand, rivendica l’imperfezione di ogni scienza umana. La scientia affectiva comunque rende il quadro escatologico , in quanto solo nell’amore (dilectio) per Dio si possono raggiungere i limiti della conoscenza.

Aristotelismo degli artistae e la condanna del 1277

Il dibattito e le condanne

Tra gli anni 60 e 70 del XIII secolo ci sono molte polemiche tra i maestri di Teologia contro i Maestri delle Arti, che sostengono dottrine incompatibili con la rivelazione, come:

I maestri delle arti rivendicano la libertà di filosofare e in questo senso difendono le loro dottrine aristoteliche-averroiste.

I particolare, nel 1266 un tale Sigieri (sic) di Bramante lancia la provocazione di uno scritto in cui sostiene la riconducibilità della parte intellettiva dell’anima all’Intelletto Attivo generale e comune, non individuale, in quanto esso è capace di astrarre le forme universali nei particolari. Questo sfigato (!!!) propone le sue tesi come necessarie, per puro spirito di provocazione, e non si preoccupa che ciò che dice farà incazzare di brutto i maestri di Teologia.

Nel 1270 il vescovo di Parigi mana un decreto in cui vieta l’insegnamento di 13 tesi averroistiche-aristoteliche, che riguardano:

Insomma, la chiesa prende provvedimenti seri nei confronti degli artistae, sia per rimetterli a posto che per scoraggiare i religiosi ad aprirsi troppo all’indagine razionale, nel sempiterno dibattito tra fede e ragione.

Il sistema di pensiero degli aristotelici delle Arti

Il buon Sigieri era stato convocato dall’Inquisizione, allora se l’era data a gambe ed era fuggito. Si ritrova a Orvieto ma viene ammazzato da un prete pazzo. Nei suoi scritti comunque ritroviamo tracce di molte delle tesi condannate.

Il programma di Sigieri di Brabante è di recuperare Aristotele, senza preoccuparsi di subordinarlo a nessuna verità di fede o supposta tale.

Boezio di Dacia è un amico suo, associato a lui in alcuni scritti. È uno dei modistae, che studiano relazione tra grammatica, logica e metafisica.

La ‘doppia verità’ e le distinzioni epistemologiche degli artistae

Non si può dire che fede e ragione, qualora arrivino a sostenere tesi opposte, siano contraddittorie, in quanto le conclusioni di ciascuna scienza sono relative all’oggetto di cui si occupano. Ci sono due ordini di verità diversi, che dunque non potranno mai essere in contraddizione.

Le conclusioni raggiunte dalla ragione sono autonome in quanto indipendenti, ma non possono mai sostituirsi alla verità di Fede. La verità di fede non può mentire: nel dubbio sempre giusto aderire solo alla fede, sempre superiore alla ragione.

Il fedele deve consentire che le cause naturali vengano studiate per quello che sono e secondo specifiche modalità d’indagine.

C’è quindi una volontà di far corrispondere le due verità, in un concordismo che però **vuole porre una chiara distinzione tra gli oggetti di indagine di scientia naturale e teologia.

Ruggero Bacone (p.555-564)

  1. auctoritas - serve a nascondere la propria ignoranza
  2. traditio - solleva l’individuo dall’impegno di una ricerca personale e approfondita
  3. communis opio - l’opinione comune abbracciata solo perchè la accettano tutti

La riforma del sapere vuole dunque essere completa e riprendere la natura del vero Aristotele, cui gli interpreti arabi hanno attribuito a torto la costruzione di un sapere deduttivo che fonda un pensiero del tutto astratto della realtà e da essa svincolato.

La vera scienza è la scientia experimentalis: solo la possibilitàdell’immediata verifica delle condizioni conoscitive permette una conoscenza certa. Ha 3 principali prerogative:

  1. intuitiva
  2. perchè intuitiva, può determinare i principi primi
  3. autonoma, perchè ha in sè i principi della propria verificabilità

Questa prospettiva avvicina Bacone ai maestri francescani di Oxford, tra cui Roberto Grossatesta e Pietro di Maricourt, cui dobbiamo una Epistola de magnete, dove si applica il metodo induttivo per indagare le proprietà del magnetismo - a fine ’200.

In questa prospettiva il pensiero, per essere rilevante, deve essere utile. Un sapere che si nutre soltanto di sè è uno sterile esercizio di scuola.

In una epistola de secretis operibus artis Bacone si immagina barche capaci di andare senza remi, i sommergibili, strumenti che aiutano a sollevare i pesi, in un’epoca lontanissima dalla scienza sperimentale.

La realizzabilità pratica degli effetti della tecnica è l’unico fine che giustifica gli sforzi necessari per acquisirla: deve migliorare le condizioni dell’uomo, avviando la società umana alla vita eterna/salvezza.

La scienza sperimentale è dunque un ambito di conoscenza e anche un metodo.

Questa scienza si identica con la matematica, la scienza più generale che mette l’intelligenza in contatto con le pure forme, in un confronto solo quantitativo. Sulla matematica si basano tutte le altre scienze:

  1. L’ottica, come insegna Grossatesta, che studia la luce, la condizione più universale del mondo fisico
  2. La magia e l’astronomia, possono aiutare gli uomini a leggere i segreti nascosti nella natura.
  3. L’etica, che ha come oggetto la felicità– l’acquisizione più alta della matematica non può essere solo speculativa, ma deve articolarsi anche nel sapere etico-pratico. La Bibbia deve orientare le condotte degli uomini.
  4. Teologia: L’etica pone la ragione di fronte ai suoi limiti, facendole comprendere che senza Dio non si può raggiungere la vera felicità. L’unica fonte di vera gioia può essere solo la Scrittura. La teologia è la più compiuta forma di scientia experimentalis, perchè la conoscenza che si ha di Dio è la più vera e la più intuitiva.

La teologia non va intesa come una scienza astratta, ma deve tornare ad essere pensata come una sapienza.

Proprio perchè Dio e la creazione non sono a noi conoscibili direttamente, ci viene data la facoltà di coglierli intuitivamente nell’atto di fede. Questo richiede che la teologia venga concepita non come una scienza, ma come una sapienza. La sapienza è un sapere pratico e affettivo, un sapere che ci induce all’azione e nasce da un moto volontario; la scienza è un sapere teoretico e speculativo.

La fede è coinvolta nel processo conoscitivo sperimentale. Se qualcuno dice che il magnete attrae il ferro, io per prima cosa devo credere nella sua testimonianza. La fede è preparatoria alla conoscenza sperimentale, in quanto anticipa la sua verità. In questo senso Anselmo è stato il primo a teorizzare la fede come experientia diretta del vero, più completa di quella sensibile. La teologia è la forma più completa di scientia experimentalis, intesa come conoscenza del vero diretta e intuitiva.

L’oggetto principale della scienza teologica è Dio, che ha una conoscenza immediata e diretta di sè e di tutto ciò che ha creato. Noi non possiamo avere nelle nostre naturali capacità conoscitive una simile conoscenza diretta di Dio e della creazione, ma anche quando facciamo delle esperienze guidate in ambito naturale. Dobbiamo allora avere fede in chi prima di noi ha indicato una concomitanza negli effetti, ad esempio negli effetti di un’erba. La tradizione va discussa, ma quando noi partiamo dalla tradizione dobbiamo avere fede in quello che gli altri hanno fatto. La fede è il fondamento della conoscenza sperimentale. Tuttavia, la conoscenza precedente va verificata**.

Giovanni Duns Scoto (p. 582-600)

Theologia in se e theologia in nobis

La teologia, se è vera conoscenza, deve avere una considerazione completa del suo oggetto. Dato che tutte le verità si trovano in Dio, Dio è l’oggetto di questo conoscere. Ma nessun essere creato finito può accostarsi alla verità infinita di Dio. È una questione di proporzioni. L’essenza divina è conoscibile solo dall’intelletto divino.

Duns Scoto distingue tra:

La theologia in nobis si orienta verso Dio, come ens infinitum, il concetto limite che gode di tutte le perfezioni, estrema purezza e semplicità, in termini pienamente concepibili dal nostro intelletto. L’intelligenza umana presuppone di far corrispondere questo concetto in nobis con l’oggetto della teologia in se, dunque come reale e necessario - in questo modo è possibile operare in modo epistemologicamente corretto e permettere lo sviluppo della conoscenza.

Dato però che conosciamo questi due diversi oggetti, Dio in se e Dio per noi, secondo modalità diverse, una in modo evidente e intuitivo, l’altra in modo indiretto, astratto e negativo, questa corrispondenza è accettabile nella misura in cui attribuiamo al Dio per noi la massima estensione possibile della sua pensabilità - cioè lo pensiamo nel modo più completo possibile, così come ci viene descritto dalla Sacra Scrittura. La ragione quindi viene informata dalla Rivelazione, non può cogliere in modo intuitivo la natura di Dio, allora con il presupposto della Rivelazione si sforza di coglierlo in modo dimostrativo, alimentata dalla fede.

Teologia e filosofia

La seconda distinzione è fra teologia e filosofia.

Teologia e metafisica hanno lo stesso oggetto, ma condizioni conoscitive diverse.

Le ragioni che portano i filosofi a rigettare la verità rivelata sono proprio le stesse che impongono alla teologia di superare i parametri naturali che la limitano, per aprirsi a informazioni ricevute gratuitamente da Dio.

La Rivelazione funziona dunque come potentia oboedientialis, cioè come una illuminazione dell’intelletto passivo umano che mette inatto la potenza passiva dell’intelletto con una informazione attuativa soprannaturale: l’uomo acquisisce così la capacità di divenire cioè che Dio vuole che essa diventi.

Lo statuto scientifico della teologia

Le informazioni della Rivelazione sono sempre in forma di complexiones, cioè proposizioni come Dio è trino. L’intelletto umano non potrà mai avere una conoscenza diretta di queste proposizioni, ma può cogliere i significati dei singoli concetti (Dio, trino).

La teologia nostra consiste nell’analisi dei contenuti di ogni complexum formulato dalla Rivelazione, svolto con le Categorie. La conoscenza portata dalla Rivelazione quindi amplia le possibilità logiche dell’uomo, dandogli una comprensione a cui altrimenti non potrebbe mai giungere.

Questo incremento di conoscenze portato da Dio è in linea di principio inesauribile - l’unico limite è costituito dalla limitatezza del nostro intelletto. I beati, che godono del più alto grado di conoscenza possibile, avranno questo limite pur avendo raggiunto la beatitudine. La teologia dei beati è la più perfetta possibile per delle creature.

La teologia ha una conoscenza dell’essere divino completamente superiore a quella della metafisica, vincolata al mondo naturale.

Livelli epistemologici:

Cosa può essere considerato scienza:

Il problema può essere risolto distinguendo due diverse definizioni di scientia date da Aristotele:

  1. Analitici Secondi: conoscenza del necessario caratterizzata da certezza ed evidenza e procedente per via deduttiva, non possiamo considerare la teologia come scienza a tutti gli effetti
  2. Etica Nicomachea: un sapere vero contrapposto all’opinione: possiamo considerare la teologia come scienza, cioè dobbiamo accogliere la conoscenza dei contingenti a priori, come una verità di fede.

Si ripropone il problema della scissione del piano naturale e teologico. Non si può essere aristotelici in teologia: l’acquisizione compiuta della verità si realizza solo grazie ad una realtà soprannaturale.

Non c’è più subordinazione nè ancillarità: nessuna verità che non sia quella rivelata può condizionare o indirizzare la verità della teologia.

La caratteristica principale della teologia è la sua natura pratica e soteriologica: dato che la prassi è un prodotto della volontà che segue un giudizio dell’intelletto, un’azione retta è necessariamente conforme all’azione retta, dunque non c’è differenza, a livello etico, tra azione pratica e intelletto.

Allora nella teologia non c’è differenza tra il significato teoretico e quello pratico: la conoscenza del Sommo Bene orienta immediatamente l’azione a quel fine.

La teologia umana è più sapienziale che scientifica, sintesi di teoria e pratica: la conoscenza del Sommo Bene orienta immediatamente l’azione a quel fine.

Metafisica e ontologia: univocità dell’essere

Stabilite le differenze con la teologia, e l’impossibilità da parte della metafisica di esprimersi in merito a questioni ultraterrene, qual è l’oggetto della metafisica? Sicuramente come abbiamo appena visto è autonoma dalla teologia.

Se la teologia quindi si occupa dell’essere infinito a partire dalla verità rivelata, la metafisica si occupa dello stesso essere infinito, in quanto essere e senza altre determinazioni. Potrà anche parlare di Dio ma senza essere vincolata da presupposti di fede o preamboli. Potrà dire su Dio tutto ciò che si può razionalmente indicare come proprio dell’essere primo, perfetto e infinito.

L’oggetto della metafisica è sempre immediatamente noto all’intelletto. Ma se tutto ciò che è intellegibile è anche una res, perchè è effettivamente qualcosa, l’essere è coestensivo alla ragione: tutto ciò che la ragione conosce è essere. La ragione può anche conoscere tutto ciò che è: quindi l’essere è univoco.

In che senso?Tommaso con l’analogia fondava la possibilità di predicare attributi riferibili agli esseri creati a Dio. Scoto nega che questo procedimento sia valido, in quanto l’analogia è possibile solo se si ha una conoscenza certa dell’analogato. Ma poichè l’essere di Dio è superiore a quello delle creature, predicare in modo analogico delle sue qualità significherebbe introdurre in lui delle imperfezioni. Inoltre l’analogia non consente il sillogismo in quanto fa assumere al termine medio un significato non univoco ma equivoco.

L’essere, principio primo dell’intelletto è colto come concetto unitario e univoco, che sostiene l’affermazione e la negazione del suo significato. Comprende l’essere finito ed infinito. L’univocità (metafisica) si manifesta allo stesso modo nella realtà fisica e logica, in quanto si tratta di un essere privo di qualsiasi determinazione.

L’essere infinito

L’indagine metafisica sugli attributi di Dio dovrà partire dalla considderazione dell’ens infinitum come tale. L’essere infatti si può pensare solo a partire dall’essere.

L’esistenza di Dio, conseguenza della sua infinità, è dimostrabile proprio a partire da questa sua caratteristica.

La dimostrazione dell’esistenza di Dio si articolerà in 3 passaggi logici:

  1. Concepibilità del concetto di essere infinito
  2. Possibilità dell’esistenza dell’essere infinito
  3. Necessità dell’esistenza delle’essere infinito

  1. L’essere infinito è tale nel senso che in esso coincidono tutte le possibili predicazioni positive. Dio trascende totalmente tutti questi attributi. I trascendentali (buono, uno, vero) descrivono la trascendenza di Dio, e sono presenti in lui in modo infinito. L’esssere infinito diventa così l’intellegibile più perfetto.

  2. Pensare l’ente infinito come intellegibile significa pensarlo come causa efficiente, causa finale e somma perfezione di ogni cosa finita.

Dal riconoscimento di queste 3 cose parte un processo che ci porta a dover subordinare ogni essere infinito alla pensabilità assoluta dell’essere infinito. Ogni essere finito è producibile, cioè ha una causa, e pensare ad una causa prima ci permette di non andare di causa in causa all’infinito. Stesso discorso per i nostri “piccoli” fini, che rimandano evidentemente a un fine ultimo. Stesso discorso per le perfezioni finite.

L’essere infinito può quindi essere considerato causa, fine e perfezione di ogni cosa.

  1. Tale essere infinito esiste necessariamente?

Provare a dimostrare come i Tomisti che è esso è necessario come causa prima efficiente significherebbe riportare l’essere infinito che abbiamo acquisito nel mondo fisico, degradandolo e abbandonando la dimensione metafisica, costringendo la sua onnipotenza a un mondo solo finito, quando Dio potrebbe essere causa di infiniti effetti inimmaginabili per noi.

Procediamo invece per viam eminentiae: pensando all’infinita verità degli intellegibili trovati dal nostro intelletto nel processo di conoscenza, ci rendiamo conto che sono veri perchè sono pensati in un intelletto perfetto e infinito.

Pensando all’infinità verità dei nostri fini, e all’infinità verità delle perfezioni constatabili nell’essere infinito, per comprendere che c’è una perfezione assoluta che le contiene.

Evidente l’influenza di Anselmo: ciò di cui non può essere pensato nulla di maggiore esiste se può essere considerato senza contraddizione; cioè se è infinito. Perchè solo di ciò che è infinito non può essere veramente pensato nulla di maggiore.

Questa è la dimostrazione dell’infinità di Dio: ma visto che è infinito, non sarebbe pensabile se non avesse anche la perfezione dell’esistenza.

Il volontarismo divino e le sue conseguenze: realtà e conoscibilità dell’essere finito

Se l’essere infinito è dimostrato, la realtà dell’essere finito è evidente e indeducibile, appare chiara a tutti.

La causa divina, se è infinita, è estremamente libera. Solo questa causa unica può portare le cose a passare dalla loro pensabilità nell’intelletto divino alla loro effettiva esistenza, secondo la sua liberissima volontà.

Ci sono due tipi di leggi nell’universo:

Volontarismo radicale: tutto ciò che è dipende quindi esclusivamente dalla volontà assoluta di Dio di determinarla, e da nient’altro.

Due conseguenze: - L’unica determinazione di un essere finito è il suo stesso essere finito (non l’esistenza che si aggiunge all’essenza, ecc.) È la sua stessa esistenza che si svolge in un determinato modo a determinarlo come essere nel modo in cui è. - Superiorità della conoscenza intuitiva alla conoscenza astrattiva. La prima è quella che ci fa cogliere le cose direttamente come esistenti, la seconda l’intelletto tenta di cogliere una natura comune delle cose, allontanadosi artificiosamente dal reale.

Se l’evidenza migliore è quella intuitiva, la scienza diventa sperimentale, con una concezione probabilistica dei fenomeni, che rinuncia ad una ricostruzione oggettiva della realtà.

In questa concezione, la materia è predisposta ad essere formata da tutte le possibili forme, che includono in sè forme inferiori, le quali entrano in composizione con la materia per dare luogo a quella determinazione univoca e intuibile caratteristica della cosa finita.

Gli elementi costitutivi di ogni res non sono realmente diversi, ma sono diversi a livello formale. Esiste cioè una distinctio formalis.

La distinctio formalis e le sue conseguenze: l’eterna predestinazione di Cristo

Dio è una sola realtà, comunque possiamo considerarlo sotto le sue varie perfezioni, le sue varie forme, e questo non compromette in alcun modo la sua unità.

La distinzione formale può essere applicata ad operazioni divine ad intra (rapporti della creazione) e ad extra verso la creazione.

La venuta di Cristo in terra è l’atto della prima cosa soggetta a predestinazione. Gesù infatti si differenzia dalle altre due persone divine perchè caratterizzato dal perfetto relazionarsi ad extra con l’amore divino.

La volontà umana e la sua libertà

L’uomo ha come fine raggiungere Dio, il Sommo Bene, e la sua volontà agisce in modo completamente libero sulla base delle informazioni conoscitive fornite dall’intelletto.

L’atto di volontà è il moto razionale di una potenza capace di scegliere fra oggetti distinti. In ciò non è necessariamente guidata dall’intelletto, in quanto l’intelletto non può comprendere il Bene Supremo in quanto infinito. La volontà è dunque libera di specificare il proprio atto di scelta nel suo tendere al fine ultimo.

Nel fare ciò è guidato dalla Rivelazione, che può guidare l’intelligenza verso la comprensione teologica della verità, dalla legge naturale (corrispondente alla potentia ordinata di Dio) e la legge divina suprema, che corrisponde alla sua potentia absoluta.

Gugliemo di Ockham (p. 627-644)

Il venerabilis inceptor

Nasce nel 1280. Ad Avignone si converte alla povertà apostolica.

Opere: - Summae Logicae - Commento alle Sentenze (Ordinatio) - Commento all’Organon - Commento alla Fisica

Teoria della verità: notitia intuitiva e notitia abstractiva, termine incomplexum e complexum proposizionale

Lo studio della logica parte dei termini, e ogni termine viene fatto corrispondere ad una res. I termini costituiscono le proposizioni e le dimostrazioni.

La notitia intuitiva viene riconosciuta come superiore, e può essere considerata come apprensione un esistente concreto. Ma questa capacità intuitiva non è solo la percezione di un oggetto esterno, con il corpo che incontra le realtà corporee. Con l’intuizione possono essere colti anche gli atti interiori, le operazioni intellettuali e i moti dell’anima.

In particolare i principi primi vengono colti in questo modo. L’evidenza intuitiva copre sia le verità logiche fondamentali che la realtà esterna concreta.

Conoscenza intuitiva: ogni apprensione semplice di uno stato di cose, attraverso cui si può sapere se la cosa esiste o non esiste.

Conoscenza astrattiva: una conoscenza che prescinde dall’esistenza o non esistenza dell’oggetto e dalle altre condizioni contingenti che ineriscono alla cosa

La conoscenza astrattiva è causata da quella intuitiva. Non esiste una specie o natura comune che i sensi trasmettono all’intelletto (Scoto) - non esistono gli universali colti in questo modo. TUTTO QUELLO CHE ESISTE È CONOSCIBILE PER VIA INTUITIVA. I due tipi di conoscenza hanno lo stesso oggetto. Sono solo due modalità conoscitive differenti.

Ciò che determina il conoscere non è la presenza dell’oggetto, ma dal modo di cogliere l’oggetto del soggetto. Dio potrebbe far cogliere all’intuizione un oggetto non esistente (p. 632).

Alla conoscenza intuitiva e quella astrattiva corrispondono dei termini logici, detti incomplexa, fondamenti di tutta la logica. Incomplexum significa “non congiunto”: da solo non è sufficiente a documentare l’esistenza della res da esso significata (“uomo” non significa “esiste un uomo” ma definisce solo il concetto).

Il giudizio di verità e l’assenso sulla esistenza o non esistenza della cosa (conoscenza complessa) si articola attraverso la proposizione, che stabilisce una corrispondenza tra soggetto e predicato. Se dell’incomplexum si ha solo apprensione, il complexum richiede anche l’assenso dell’intelletto.

In conclusione, una proposizione è vera quando è confermata dalla corrispondenza con la realtà esterna.

Sono vere:

Sono false:

La dottrina della suppositio e il nominalismo

Vediamo come si può formulare un discorso scientifico. I logici medievali del XIII secolo avevano codificato la teoria della suppositio, per cui una parola (un termine categorematico, cioè portatore di significato compiuto) cambia significato rispetto alla sua posizione relativa agli altri termini. Ogni volta che inseriamo un termine categorematico in una frase, siamo tenuti a specificare quale cose esso debba significare. Ad esempio, la stessa parola uomo può essere usata per descrivere cose molto diverse in diverse frasi.

Ci sono quindi avri tipi di suppositiones. Se alcuni avevano sostenuto l’esistenza di una supposizione naturale, che caratterizza il termine anche quando non si trova in una proposizione, Gugliemo di Ockham abbraccia la teoria della supposizione formale, per cui la supposizione è una proprietà del termine quando entra nel discorso.

Ci sono 3 tipi di suppositiones proprie:

Passando dalla suppositio simplex a quella personalis si passa dalla rappresentazione universale mentale alla realtà concreta che corrisponde a delle res reali.

L’universale è tale soltanto nell’anima, mentre fuori dall’anima non ha realtà. L’universale è solo un atto con cui la mente tende verso l’oggetto nel significarlo, una intentio che orienta il conoscente nella somiglianza tra cose; non corrisponde mai ad una realtà extramentale.

La conseguenza di tale concezione del reale è la negazione di qualsiasi realtà universale. tutto ciò che è è individuale e finito, non c’è nulla che possa essere considerato eterno o immutabile.

Il primato dell’individualità e i rasoi di Ockham

L’analisi logica del pensiero è uno strumento pratico che enuncia l’essere reale dell’individuo - è lo strumento per conoscere l’opera di Dio.

Dato che la logica può conoscere solo la realtà del singolare, e tutte le res esistenti sono individuali, conteingenti, l’onnipotenza di Dio non può essere considerata in termini schematici o astratti.

Questo tipo di logica porta ai cosiddetti rasoi di Ockham, cioè “formule” che rielaborando questo concetto permettono di distruggere i fondamenti metafisici, scientifici e religiosi su cui l’uomo aveva creduto di poter fondare il proprio pensiero.

I rasoi di Ockham eliminano tutto ciò che è superfluo, nell’ottica di un metodico riduzionismo, basandosi su due principi:

Gli enti non devono essere moltiplicati se non è necessario.

La nuova concezione della scienza

Come si costruisce alla luce di questi principi un sapere scientifico?

La scienza diventa la formulazione di un discorso sulla verità delle proposizioni.

Verità e falsità derivano dalla corrispondenza con lo stato di cose a cui si riferiscono.

La scienza nasce dall’assenso alla verità di una preposizione.

La scienza non considera i singolari come mutevoli, ma le intenzioni dell’anima che “riconducono” ai particolari, cioè gli universali.

Tuttavia GLI UNIVERSALI ESISTONO SOLO COME PRODOTTI DELLA MENTE.

Distinguiamo allora tra le scienze reali, come la fisica, che si riferiscono a proposizioni con termini che hanno realtà extramentali (secondo suppositio personalis, quindi concrete res effettivamente esistenti) e le scienze mentali, come la logica, che ha come oggetto le proposizioni che possono essere formate su oggetti mentali.

La fisica è scienza di cose reali; ma dato che la scienza deve avere carattere di necessità, non è scienza di oggetti naturali, che possono essere corruttibili e contingenti, ma delle proposizioni che possono essere formate su di essi.

La teologia come sapienza

Una conoscenza certa può essere trovata, oltre che nella teologia e nella metafisica, nella fede. La teologia è un sapere composito, ma anche una sapienza profondamente unitaria, in quanto si riassume tutta nella considerazione della simplicitas Dei.

È un ambito valido solo per il credente, ma si possono trovare delle verità necessarie in essa, per considerarla scienza?

Sicuramente non possiamo considerare una scienza reale la theologia in se proposta da Duns Scoto. Tutto ciò che possiamo dire su di essa significherebbe ridurla a theologia in nobis.

Per quanto riguarda la visione teologica dei beati, possiamo solo dire che è possibile ma non possiamo dire nulla su un rapporto con Dio non mediato dalla Rivelazione.

La conoscenza scientifica è data da proposizioni evidenti o necessarie. Le verità comunicate dalla Rivelazione non sono evidenti nè per se nè attraverso l’esperienza.

La teologia dell’uomo non potrà mai essere una scienza, ma solo una conoscenza fondata sul credibile.

Ma ci sono delle conoscenze necessarie su Dio, che corrispondo alle sue proprietà essenziali, posto che esiste (per fede) che ci fanno capire i suoi attributi, e sono evidenti perchè corrispondono al termine logico corrispondente. Es. Dio è buono, dio è sapiente, è evidente in quanto il significato di Dio comprende tutte queste cose.

Sono vere non perchè sono evidenti, ma perchè dicono qualcosa di deducibile dal concetto di Dio che ci può essere nella ragione.

Questo sviluppo del dato di fede ci fa capire che la teologia ha una natura composita, nel senso che le verità relative a Dio sono molte: alcune essenziali, altre contingenti, altre oggetto di un sapere scientifico, altre no.

Anche il subiectum della teologia è duplice; è Dio in sè, ma è anche il termine che dice qualcosa su Dio.

La teologia dunque è qualcosa in più della scienza, è una sapienza, comunque unitaria in quanto si riassume tutta nella simplicitas Dei: nella assoluta perfezione, Dio può essere slo semplice indistinto. Il nome Dio di Dio è uno dei nomi della sua unica essenza, Dio, che esprime la sua assoluta semplicita e perfezione.

Dio è assoluta e unica perfezione: per questo non è conoscibile dagli uomini.

La libertà della fede

Al volontarismo teologico corrisponde un volontarismo etico, per cui l’uomo è il centro dell’universo, e ha una volontà incondizionabile che orienta i suoi atti e le sue determinazioni che gli vengono indicate da una fede libera.

La libertà della fede vuole svincolare la chiesa da tutti i condizionamenti terreni e richiama la povertà francescana come gesto di libertà assoluta di cui l’uomo deve godere.

Il potere imperiale viene giustificato sulla base di Cristo che dice che il suo regno non è di questo mondo, ma di un altro. Il potere pontificio è quindi un potere supremo, che deve guidare il genere umano verso la redenzione.

In base al principio di economia, ogni struttura falsa degli uomini viene demolita: l’ordine del cosmo non dipende dall’uomo, ma dalla volontà di Dio.


Addenda Corbiniana

Il mito di Tommaso D’Aquino

Leone XIII con l’enciclica Eterni Patris costruisce il mito di Tommaso d’Aquino, per scacciare gli spettri del positivismo. Propone un ritorno netto a Tommaso. Dà inizio a un movimento chiamato neotomismo, che evolverà poi nel tomismo analitico, la rilettura del tomismo in termini analitici.

Con Tommaso D’Aquino il pensiero medievale va in crisi: il suo è un pensiero criticatissimo dai contemporanei.

Alberto Magno

Nel 1250, nel prologo del commento alla Fisica, si pone il progetto culturale di rendere Aristotele intellegibile ai latini. Aristotele non è più un nemico, bisogna spiegarlo. Ha l’ideale di Aristotele come il più grande filosofo che sia mai esistito.

Tuttavia, Alberto Magno è anche molto legato alla tradizione neoplatonica: è il primo autore latino a commentare tutte le grandi opere della tradizione neoplatonica: Pseudo-Dionigi l’Aeropagita e il Liber De Causis.

Al primo posto rimane dunque Aristotele, ma tutta la tradizione filosofica ha qualcosa di buono da dirci.

3 punti chiave della sua filosofia (paragrafo b e d)

  1. Inchoatio Formae

Questo sarà uno dei marchi di fabbrica degli autori che si richiameranno ad Alberto nel ’300 e ’400.

Inco significa inizio. Dato che l’efficacia causale di Dio si comunica a livelli gerarchici, la forma è l’ultimo gradino dell’efficacia causale con cui Dio opera nel mondo.

Alberto si pone questa domanda, che ha molto senso nel sincretismo aristotelico-platonico che propone.

Perchè una certa materia viene informata da una certa forma e non da un’altra? Questa domanda in Aristotele non avrebbe senso, perchè non si pone il problema.

Nella materia c’è una specie di spunto che porta ad avere una determinata forma: l’Inchoatio Formae. La materia ha una determinata predisposizione ad avere una determinata forma. Non è pura indeterminazione! Nella materia c’è uno spunto di attualità.

  1. Dottrina dell’anima in senso metafisico - la relazione tra anima e corpo Veniamo all’antropologia di Alberto. Si tratta di conciliare la psicologia di Aristotele con l’immortalità dell’anima cristiana.

Se guardiamo l’anima da un punto di vista naturalistico, ha ragione Aristotele. Quando un corpo non vive più, è perchè non c’è più l’anima. Ma teologicamente parlando, ha ragione Platone! Siccome la teologia è un sapere superiore, questo deve essere vero. Ma non può succedere che questa sia una verità inconciliabile con la filosofia.

La strada che Alberto percorre è quella della libertà dell’agire umano:

Se l’anima umana fosse soltanto forma del corpo, non si spiegherebbe la libertà del suo agire. In sostanza, anche la libertà intellettiva teorizzata da Aristotele sarebbe una funzione organica. Ma la constatazione che la nostra libertà non è completamente determinata dal corpo, ma dalla scelta, ci deve portare a ricercare una soluzione filosofica e razionale a tutto ciò.

Nel seme maschile c’è la virtus inchoativa della potenza vegetativa: il seme maschile genera un embrione che fin da subito esplica le proprie funzioni fondamentali.

Poi l’embrione si sviluppa e diventa capace di sentire esplica le funzioni dell’anima sensitiva.

Ma invece l’anima intellettiva è infusa da Dio.

  1. Il rifiuto della dottrina araba dell’unicità dell’intelletto

Su ciò Alberto si pone come nemico di Averroè, perchè lo fraintende. Alberto intende che anche Averroè abbia detto che anche l’intelletto passivo sia comune a tutti gli uomini.

Per Alberto questo è incompatibile con la teoria cristiana della salvezza eterna e anche con la responsabilità individuale, però corbini se stai leggendo questi appunti stai andando veramente troppo veloce. Regolati.

  1. Ascesa mistica a Dio

Per le sue influenze neoplatonica è l’iniziatore della mistica renana. Copulatio dell’anima con Dio.

Alberto prospetta una risalita del nostro intelletto fino a Dio, fino ad un livello di unione intima dell’intelletto stesso con Dio. In qualche modo il compimento più alto delle nostre facoltà conoscitive è annullarsi in Dio.

  1. Idee sulla teologia come disciplina

Siccome Alberto conosce bene Aristotele, sa che per definire lo statuto epistemologico di una disciplina occorre determinare quale sia il suo subiectum, cioè il perno concettuale intorno a cui si costituisce una disciplina. È anche ciò che le conferisce le sue unità.

Qual è il subiectum della teologia? Dio, perchè tutto ciò che la teologia enuncia riguarda Dio. Ma questo è il suo subiectum speciale, nel senso più specifico e proprio possibile - si allarga subito ai credibilia, cioè ai contenuti della fede.

Ma questo subiectum si può allargare ancora, in quanto contiene i segni dell’azione di Dio del mondo. In realtà quindi la teologia ha un subiectum sempre più grande, più procediamo nell’analisi.

Questo significa, dice Alberto, che la teologia non può essere una scienza speculativa. Con Aristotele infatti una scienza speculativa deve poter conoscere completamente il suo subiectum.

Questo nel caso di Dio non si dà, la nostra capacità conoscitiva non è in grado di esaurire ciò che Dio. Per questo motivo, la teologia non potrà essere una scienza speculativa, ma una scienza affettiva o pratica.

Tommaso

lezione persa

lezione persa

Dopo Tommaso: Enrico di Gand ed Egidio Romano

Mitigano l’aristotelismo di Tommaso e lo rendono più compatibile con la rivelazione cristiana, provando a cercare strade intermedie rea la tradizione platonico-agostiniana e l’aristotelismo intransigente di Tommaso.

Oggi ci occupiamo anche dell’aristotelismo latino.

Enrico di Gand

È un maestro secolare, cioè non fa parte di un ordine religioso. Fa parte di diverse commissioni istituite dal Papa per dirimere le controversie di quegli anni.

La sua produzione filosofica appartiene al genere letterario delle questioni quodlibetali. Quodlibet in latino vuol dire qualsiasi cosa. In accademia al mattino si faceva lezione e si leggevano i testi, al pomeriggio invece gli studenti si occupavano delle questioni ordinarie, cioè affrontavano i punti più ardui e le questioni. Nei momenti di festa dell’anno liturgico ci si occupava di queste questioni quodlibetali, in cui l’argomento non era proposto dal maestro, ma invece dagli studenti.

Coglievano quindi l’ occasione per discutere dei temi scottanti del momento. Possiamo immaginare, quando vediamo che un maestro compone delle questioni quodlibetali, che siano qualcosa di arduo.

Il progetto culturale e teologico di Enrico

Secondo Enrico, gli aristotelici radicali del mondo latino si sono sbagliati, in quanto hanno imposto alla teologia un ordine epistemologico artificiale; non si tratta di far entrare la teologia nell’ordinamento aristotelico delle scienze, ma di tornare all’idea di Bonaventura per cui la scienza deve prende i credibilia, i dati di fede, e trasformarli in intellegibilia, cioè dati di elaborazione razionale.

La teologia allora non deve neanche essere una forma di sapientia - bisogna trovare il modo in cui la teologia sia una scienza, ma senza essere scienza secondo la definizione aristoteliche.

Bisogna ritrovare una originaria sistemazione della teologia, senza che Aristotele debba avere per forza ragione. Non si tratta di obbligare la teologia ad essere aristotelica.

Un caso classico in cui la teologia viene fatta rientrare a forza nello schema aristotelico è la dottrina di Tommaso di distinzione tra essenza ed essere. Tommaso sarebbe troppo Avicenniano in questa distinzione tra essenza ed essere.

Per questo motivo Enrico intende l’essenza come una entità necessaria, emanata o derivata dalla necessità di Dio.
L’essenza sarebbe dunque necessaria. Ma nella soluzione di Tommaso, anche l’esistenza diverrebbe necessaria, perchè in un sistema emanazionstico non c’è spazio per la libertà di Dio.

Nel sistema di Enrico, l’esistenza è una derivazione dell’essenza. E questo è sbagliato.

Secondo Enrico, la distinzione di Tommaso tra essenza ed essere non va intesa in senso letterale, ma in senso intenzionale, con una distinzione di ragione.

Ci sono infatti, dice Enrico, due modi veri di essere:

  1. L’essere di Dio, o essere in sè, lo stesso essere.
  2. L’essere delle creature, cioè l’essere di ciò in cui proviene l’essere dal di fuori

Esiste un essere unico e indiviso creato. La differenza è tra l’essere che è essere, e le creature che ricevono l’essere. Questa composizione è razionale, di ragione, e non corrisponde a come stanno veramente le cose.

Illustratio specialis

Una ri-traduzione che Enrico fa della dottrina agostiniana dell’illuminazione. Per Agostino, l’illuminaizione ci sorregge nel cogliere la certezza delle verità matematiche, poi per gli autori francescani l’illuminazione è diventata una garanzia di verità che Dio dà alla nostra conoscenza.

Per Enrico invece l’Illustratio Specialis è la spiegazione di come Dio sia costitutivamente presente alla nostra conoscenza. Orienta strutturalmente la nostra conoscenza al vero.

Noi siamo capaci di verità perchè Dio stesso ci orienta ad essa.

Questa dottrina è molto importante per capire ciò che Enrico afferma in merito alla teologia.

La teologia

La teologia è possibile proprio perchè Dio orienta la nostra mente alla suprema verità che lui è. Non è conoscibile infatti con gli strumenti naturali della ragione - cioè con la filosofia - ma, grazie al sostegno e al supporto che Dio dà alla nostra ragione, la teologia diventa la scienza più alta.

Infatti nella teologia noi acquisiamo il dato rivelato attraverso la nostra facoltà di conoscere naturale, ma leggiamo e comprendiamo la scrittura alla luce dell’idea che Dio ha di se stesso e che comunica alla nostra ragione. Dunque la teologia è scienza perchè Dio stesso ci dà la capacità di cogliere la sua verità. Non per questo però è una scienza in senso aristotelico, nella quale Dio non c’entra nulla.

La perfezione della teologia è data da Dio alla nostra mente, rendendola capace di cogliere la verità teologica. La teologia non è una sapienza, perchè Dio rende la nostra mente orientata ad una verità certa, non ad una verità imperfetta da migliorare nel tempo; è scienza perchè ci porta ad una verità assoluta ed incontrovertibile.

Egidio Romano

È un maestro dell’ordine degli agostiniani, nato da poco (nel 1256).

Forse fu allievo di Tommaso, ne conosce comunque bene le tesi fondamentali. Il suo intento è quello di correggere l’aristotelismo di Tommaso con la lezione di Agostino.

Compie questa operazione anche grazie alla conoscenza degli elementi di teologia di Proclo (tardo neoplatonismo).

Rispetto al problema della composizione tra essenza ed essere, si colloca dal lato opposto rispetto ad Enrico di Gand: secondo Egidio Romano la distinzione non è di ragione, ma reale. Secondo Egidio essenza ed essere sono due res, due cose reali che si sommano l’una all’altra per dare luogo alla singola creatura.

Per Egidio l’unità ontologica della sostanza è una unità fatta di composizione reale: solo Dio è perfettamente semplice; tutte le altre creature sono invece ontologicamente composte dai due elementi distinti di essenza ed esistenza.

Gnoseologia

Secondo Egidio bisogna lasciar perdere la concezione aristotelica dell’anima per tornare alla concezione platonico-agostiniana.

L’anima è forma del corpo - su questo Egidio concorda - che attua, e dunque realizza, le potenzialità conoscitive dell’uomo. Queste facoltà conoscitive sono tuttavia più varie ed articolate di quanto pensasse Aristotele.

Ma non dobbiamo pensare che queste diverse facoltà scompongano in qualche modo l’oggetto conosciuto; l’oggetto resta unitario, nella conoscenza, ma si presenta alle diverse facoltà conoscitive con forme diverse. C’è nel conoscibile una molteplicità di oggetti conoscibile che si realizzano e si mostrano nelle diverse facoltà conoscitive.

Due aspetti interessanti:

Teologia

Ogni oggetto conoscibile viene conosciuto sulla base delle capacità del soggetto conoscente. Ecco allora che Dio non può essere il soggetto della teologia, in quanto non ha proporzione possibile con la nostra facoltà conoscitiva. Dunque Dio non potrà essere il subiectum della teologia, che andrà intesa come una conoscenza affettiva: per certi versi è una scienza teoretica, cioè mira a conoscere Dio, ma per altri è una conoscenza pratica, che ha lo scopo di farci amare Dio e portarci ad agire come lui vuole.

Questa scienza affettiva è una via di mezzo tra scienza pratica e scienza teoretica.

Condanna del 1276

Negli anni 70 abbiamo un’arroventarsi della polemica attorno ad Aristotele; nel mondo latino si sta diffondendo la teoria dell’intelletto unico e separato per tutta la specie umana; si inizia a confutare la dottrina dell’eternità del mondo di Aristotele; si inizia a rivendicare che la beatitudine non si può avere in questa vita.

Queste sono le 3 dottrine tipiche della corrente che chiamiamo Aristotelismo radicale.

La situazione si incasina quando Sigeri di Bramante diffonde le sue questioni sul III libro del De Anima. In quest’opera Sigeri afferma che la filosofia di Aristotele dice in maniera necessaria ed inequivocabile che l’intelletto possibile non è forma del corpo. Se lo fosse, sarebbe il senso, sarebbe confinato all’ambito delle immagini sensibili. Se il nostro intelletto è in grado di astrarre dai sensi, di dare luogo a una conoscenza generale e universale, questo vuol dire che deve essere separato dal corpo.

Questa dottrina è problematica, ed è problematico anche che Sigeri parli dell’uomo in modo esclusivamente filosofico, senza appellarsi a scritture, padri della chiesa, e simile.

I dottoroni della chiesa vedono allora il pericolo che lo studio di Aristotele dia luogo a un sapere superiore alla teologia. Nel 1270 così, il vescovo di Parigi, Stephane Tempiere, emana una prima condanna dottrinale di 13 tesi.

Nel 1272 vengono emanati dei nuovi statuti della facoltà delle arti, dove viene proibito esplicitamente ai maestri delle arti (come era Sigeri - che non era un teologo) di determinare e discutere questioni teologiche.

Nel 1276 Sigeri scrive una seconda opera, il De Anima Intellectiva, nella quale si vede un certo avvicinamento di Sigeri a Tommaso.

Nel 1277 papa Giovanni XXI - un filosofo, che scrive importanti opere di logica - chiede al vescovo di Parigi un nuovo intervento di censura. Il vescovo nomina una commissione di 13 filosofi, tra cui Enrico di Gand, incaricati di cogliere gli aspetti eretici della facoltà delle arti.

Il 7 marzo del 1277 viene emanata la più grande condanna dottrinale del medioevo, che riguarda 219 proposizioni. Il 7 marzo è una data molto simbolica, perchè era il compleanno di Tommaso, che aveva una parte importante in queste condanne. gg

La condanna è di fatto una diffida dall’insegnamento.

Ma cerchiamo di capire cosa vogliono dire veramente Sigeri ed Enrico di Gand.

Punto sulla dottrina di Sigeri

Sigeri, a leggere le sue opere, è un personaggio veramente controverso, con dottrine persino forse provocatorie; per esempio, Sigeri manifesta una concezione emanazionistica della creazione.

Soprattutto in questa gerarchia di emanazione, Dio agirebbe solo sulla prima intelligenza emanata dal lui, mentre al di sotto della prima intelligenza l’azione di Dio sarebbe mediata: come se Dio non potesse agire direttamente nel mondo.

Nel suo commento al Liber de causis sembra accettare che la facoltà intellettiva sia a pieno titolo individuale.

Boezio di Dacia

La sua opera più completa e matura si chiama De Eternitate Mundi: la più grave accusa mossa agli aristotelici radicali era quella di sostenere una “doppia verità”: su alcuni temi teologia e filosofia arrivano a due verità in contrasto inconciliabile. Il de eternitate mundi ci dice che questo fu in realtà un fraintendimento, in una posizione di pluralismo epistemologico.

Si parte da una distinzione tra assoluto e relativamente. Ci sono verità vere in assoluto e verità che sono vere, ma relativamente a qualcos’altro, secondum quid, per dirla con Aristotele, cioè secondo un certo punto di vista.

Boezio parte da questa distinzione. Come dice Boezio, ogni disciplina ha il suo subiectum; ma intorno al subiectum di ogni disciplina sono collocati i sui principi. I principi delimitano l’ambito di verità di quella disciplina.

Ogni disciplina determina un ambito di verità; non sono contraddittorie o esclusive una rispetto all’altra; sono invece complementari. Non si escludono a vicenda.

L’errore si ha infatti quando una disciplina vuole invadere il campo di un’altra.

Il filosofo naturale considera il mondo materiale e le leggi del suo movimento, che sono vere nel loro ambito, rispetto al mondo creato. In quell’ambito, è vero che non ci può essere un primo motore, che tutto ciò che si muove è mosso da altro, e non posso arrivare ad un inizio del tempo.

La teologia mi dice che Dio crea nel tempo. In definitiva, la verità della filosofia è vera; ma è relativa al mondo naturale; la teologia possiede invece la verità assoluta. Filosofo e teologo hanno dunque entrambi ragione, ma riguardano ambiti di verità diversi. Ci sono tante verità.