Filosofia Teoretica II - Derrida

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Gabriele Ferri

Lezione 1: 11 Novembre

I testi del corso sono tra i suoi primi scritti, tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70.

Anziché essere scritta différence è scritto différance; è un neologismo di Derrida, ma a livello fonetico le due cose sono indistinguibili.

Questo corso prenderà le mosse dal testo La différance.

Biografia (1930 - 2004)

È un francese di origine algerina e ebrea. Non è mai stato un praticante ebreo, ma la cultura ebraica ha influito sulla sua filosofia, in particolare sugli aspetti etico-politici della sua filosofia, in particolare con l’idea di un messianismo deserto.

Spettri di Marx (1993), con riferimento a La fine dell’uomo di Fukuyama. Derrida riprende il pensiero di Marx, sostenendo che la filosofia di Marx è l’istanza di un messianismo, come qualcosa che deve ancora realizzarsi. Secondo Derrida ciò che scrive Fukuyama è la realizzazione di una buona novella del liberalismo; ma non è vero, sostiene Derrida, il messia non è ancora arrivato, e la giustizia deve ancora realizzarsi. Messianismo deserto: cioè la giustizia deve ancor arrivare.

Viene cacciato dal suo liceo in Francia a causa delle leggi razziali.

In generale, anche rispetto alle sue origini biografiche, potremmo dire che la sua filosofia tematizza una Unheimlichkeit, uno spaesamento.

Decostruzione

Il suo nome è legato all’introduzione dell’idea decostruzione in filosofia. Nella decostruzione si cerca di smontare (de-costruire) qualcosa che è costruito.

Un primo riferimento a questo concetto è presente in Essere Tempo (1927).
Derrida afferma che nessuna delle risposte della decostruzione sarebbe stata possibile senza l’apertura delle domande heideggeriane.

Al paragrafo 6 di Essere e Tempo, Heidegger ripropone la domanda sul senso dell’essere in generale. Questo è un primo riferimento che può essere citato per identificare il concetto di decostruzione. Heidegger sostiene che l’essere sia caduto nell’oblio, a partire da Platone. Non sappiamo più che cosa significa to on, l’ente. Dobbiamo allora esaminare il problema dell’essere.

Platone nel sofista contrappone i monisti e i dualisti, e dà una delle definizioni di ciò che è l’essere (un hapax legomenon, si trova soltanto in quel luogo di Platone e da nessun’altra parte): dobbiamo pensare all’essere come dynamis, ossia come dinamicità.

Heidegger pone questo brano del Sofista di Platone in esergo a Essere e Tempo. Heidegger dice che bisogna indagare i certificati di nascita dei concetti filosofici, facendone una genealogia (Adbauen), rendendosi conto di come si sono costruiti geneticamente questi concetti. Un metodo simile a quello fenomenologico della genesi e a quello nietzschiano della genealogia.

Derrida estende l’applicabilità di questo metodo da Heidegger a qualsiasi concetto. Si tratterebbe di un metodo “indisciplinato”, in quanto:

  1. va fuori da un discorso sistematico.
  2. non rispetta i territori disciplinari. C’è una contaminazione nel senso che spesso Derrida esamina non testi filosofici quanto letterari (psicanalitici), intrecciando tutti questi discorsi, per esempio leggendo un testo filosofico in modo psicanalitico e un testo psicanalitico in modo filosofico. Tutti questi testi si intrecciano tra di loro, in un modo che possiamo chiamare testo generale: non c’è una delimitazione specifica delle discipline, ma tutte si intrecciano nell’ambito del testo generale.

Anche dal punto di vista stilistico, non solo troviamo riferimenti variegati, ma anche nel modo in cui i testi sono costruiti - non rispettano, cioè, la forma canonica del testo filosofico, e sono in un certo avanguardistici e provocatori nell’esposizione.

Derrida parla a proposito dei suoi testi di labirinto.
Un altro testo di Derrida, Glas, è ancora più illeggibile, il testo del libro si presenta come un insieme incrociato di testi disposti variamente all’interno della pagina da.

Un intreccio di voci ed elementi quindi, il cui obiettivo è quello di contestare un aspetto: la dimensione lineare del significato. Contesta l’idea cioè che il significante si sviluppi in maniera lineare; il significato si sviluppa invece come una rete sincronica attraverso vari riferimenti.

Secondo il figlio di Levinas, Glas si legge come uno spartito, cioè si leggono contemporaneamente (almeno) due livelli di lettura - nello spartito rappresentate dalla chiave di violino e la chiave di basso.
L’inconscio è l’argomento di tutto questo libro; c’è un’omogeneità tra il sapere assoluto e l’inconscio - messo in evidenza dalla disposizione grafica del libro.

Altri testi bizzarri di Derrida sono La verità in Pittura e Invii.

Conferenza La différance

Due questioni importanti per capire questo testo:

  1. lo strutturalismo
  2. la metafisica della presenza

Strutturalismo

Lo strutturalismo è una corrente filosofica molto in auge nella Francia degli anni ’60 e ’70. In quegli anni c’erano due grosse correnti: la fenomenologia, che costituisce uno dei termini di confronto principali di Derrida, e lo strutturalismo.
Più che come corrente filosofica, lo strutturalismo nasce come teoria lingusitica di Ferdinand de Sassaure, che scrive corso di linguistica generale 1916. Lo strutturalismo nasce quindi come metodo di indagine linguistica e teoria del linguaggio e del significato, che si estende ad altre discipline, come l’antropologia (Levi-Strauss) e la filosofia (Lacan).

Ma cos’è una struttura? Applicata al linguaggio, significa che il linguaggio è una serie di permutazioni governate da una legge fondamentale di produzione del significato: la differenza.

Saussure dice che nel linguaggio non ci sono termini positivi; il significato si produce in maniera differenziale attraverso ciò che distingue una parola da un’altra, un significato da un altro significato. Una parola è significante se teniamo conto della sua differenza rispetto ad altre parole; non è mai un termine positivo assoluto.

Il termine polemico implicito di Derrida è l’atomismo logico di Russell. Il senso teorico dell’opera di Derrida è quello di contestare la teoria atomistica del significato; cioè l’idea che esistano significati in sé, che possano cioè essere isolati, senza relazione ad altro.
Per esempio, una concezione referenziale del significato dice che la parola libro si riferisce al libro.

Al contrario, lo strutturalismo si riferisce al significato come negazione di negazione; fa riferimento sulla possibilità non di isolare il significato, ma di identificare le sue relazioni differenziali rispetto ad altri. Non ci sono mai atomi ultimi, ma un gioco di differenze, cioè di negazioni.

Altro riferimento è l’intuizione eidetica di Husserl - lo vedremo ne La voce e il fenomeno.

Lo strutturalismo quindi contesta:

  1. fenomenologia
  2. atomismo logico

Secondo De Saussure, non c’è un modo unico di scrivere la lettera T, ognuno la scrive in modo diverso - l’importante è che si distingua dalle altre, cioè che mantenga un tratto differenziale, senza avere un’identità.
Nel linguaggio non ci sono termini positivi: questa è una contestazione del concetto aristotelico di sostanza, intesa come ciò che permane.

Per lo strutturalismo, dunque, tutto è relazionale e differenziale.

Alcuni aspetti dello strutturalismo vengono contestati da Derrida. Per questa sua posizione viene identificato come post-strutturalista, cioè si rifà al movimento ma ne contesta alcuni aspetti.
Ciò che Derrida non accetta dello strutturalismo (come Deleuze e in un certo senso Foucault) è che per Saussure lo studio delle strutture (ad esempio lo studio della parentela) è uno studio sincronico, come una quantità di elementi che si combinano e ricombinano tra di loro dando luogo a giochi differenti; questo privilegia lo studio sincronico della struttura e il suo aspetto costruttivo, cioè il fatto che questi elementi combinandosi danno luogo a delle costruzioni.

In Derrida invece c’è invece interesse per uno “smontaggio”, in riferimento alla forza, all’energia, a un aspetto dinamico e temporale: con particolare riferimento a Nietzsche e Freud.

I post-strutturalisti introducono il dionisiaco nello strutturalismo - un elemento dinamico, energetico, libidico, per cui le differenze non sono solo dovute a delle relazioni “inerti” combinatorie, strutturali, matematiche (matematizzazione del linguaggio, es. Chomsky), ma a delle energie, per così dire, per cui i rapporti relazionali e differenziali sono anche dei rapporti di forza e rapporti di potere; introducendo all’interno di questo discorso una dimensione etica e politica (es. concetto di dispositivo in Foucault).

Le strutture non sono immobili e inerti, ma sono dinamiche. Questo giustifica la loro decostruzione. Non bisogna perdere il tempo che sono delle strutture storiche che possono essere comprese - aspetto genetico.

Elvio fa una domanda: cosa rimane dello strutturalismo di Althusser? Derrida e Althusser hanno anche delle relazioni biografiche. C’è un testo, Teoria e prassi in cui Derrida parla di Althusser. Sembra che Althusser sia più incline a sostenere la prassi. Lo strutturalismo veniva accusato di essere eccessivamente deterministico e “platonico”, per cui le strutture sono prevalenti sugli individui (Foucault e Lacan: ci sono dei dispositivi, gli individui sono assoggettati e determinati dai dispositivi)

Cosa resta invece dello strutturalismo classico in generale? La dimensione relazionale delle strutture, che non sono forme platoniche; hanno una genesi e possono essere decostruite.

Metafisica della presenza

Metafisica della presenza è una espressione collegata alla critica di Heidegger alla metafisica.

Metafisica della presenza significa il privilegio della presenza all’interno della metafisica occidentale.
Platone e Aristotele insistono sul fatto che qualcosa è al tempo presente, ed è eternamente. È il privilegio di tutto ciò che è eterno, permanente, e che fa del presente il concetto cardine anche dal punto di vista temporale. Tutto è teorizzato a partire dal presente e come presente.

Heidegger in Essere e tempo cerca il senso dell’essere in generale, che è andato perduto. Per trovarlo, ci rivolgiamo a colui che pone questa domanda: l’esserci (ossia l’uomo), formalmente definito dal fatto di esistere, per cui la domanda sul senso dell’essere richiede anzitutto che si analizzi l’esistenza stessa dell’esserci (analitica esistenziale). Il senso ultimo di questa analitica esistenziale è il fatto che l’essere sa di essere mortale, cioè di essere temporale. Se l’orizzonte dell’esserci è il tempo, questo deve riflettersi sulla concezione del tempo in generale.

Il discorso di Heidegger: la metafisica, obliando la temporalità costitutiva dell’essere ha potuto costituire tutto il discorso metafisico in base alla presenza; la metafisica della presenza è un oblio del tempo, dimensione costitutiva dell’esserci.
Obliando il concetto temporale dell’esserci, la metafisica ha potuto costituirsi come privilegio della presenza in generale.

Tutti i concetti metafisica dipendono dalla presenza; per esempio il concetto di coscienza, e derivativamente tutta una galassia concettuale che fa riferimento alla coscienza, come la voce.
Questo comporta una svalutazione di tutto ciò che non è presente: il passato, il futuro e tutto ciò che mette in discussione la dimensione di presenzialità.

La parola fondamentale di tutta la filosofia di Derrida è la scrittura (in greco grammé). Per questo della grammatologia, cioè una scienza della scrittura.
Nella filosofia c’è una contrapposizione originaria tra la sostanza, ossia la presenza (per i greci anche la coscienza); contro un altro concetto che è quello della scrittura, che indica una non-presenza: il testo scritto non richiede né la presenza dell’autore né del lettore.

Per il fatto stesso di essere scritto rimanda intrinsecamente a queste due assenze potenziali. I suoi testi possono essere considerati degli invii, che vanno verso il futuro.

Dove si vede questa primigenia discriminazione tra il sistema della presenza e della voce da una parte, e una scrittura, non presenza, traccia dall’altra?
In Platone, nel Fedro, precisamente nel Mito di Teuth, in cui Teuth dona a sua padre Thamus la scrittura. Teuth è anche l’inventore delle tecniche in generale - dice di aver trovato un rimedio (pharmakon) alla dimenticanza e all’oblio del sapere. Derrida scrive queste cose ne La farmacia di Platone (1970).

Thamus obietta a Teuth: questo non è un rimedio alla mancanza di memoria, ma qualcosa di negativo, in quanto i testi scritti possono essere lasciati a sé stessi, figli bastardi che dimenticano il loro padre e si emancipano, comportando un allontanamento dall’origine, elemento negativo perché porta lontano dalla verità e dal vero sapere.
La questione deriva dalla dualità della parola pharmakon, che in greco ha significato sia di veleno che di medicina.

Platone, tramite Socrate, nel Fedro, condanna la scrittura, che comporta un allontanamento dall’origine e dalla verità. Questo implica - che la verità sia nell’origine - che la verità consista nella presenzialità nell’origine

Per Socrate la filosofia si deve svolgere con la voce e nell’immediatezza; per questo non ha scritto nulla. Platone l’ha fatto, andando contro il suo maestro, ma utilizzando la forma più vicina al discorso: quella dialettica.

Il metodo decostruttivo di Derrida consiste in questo: prendere un aspetto marginale di una filosofia e usarlo per far crollare tutto il sistema. Questi aspetti vengono intesi come sintomi e tracce di qualcos’altro.
In questo caso si prende un mito secondario all’interno della tradizione platonica, e viene adoperato per mostrare come viene fondato il sistema della metafisica della presenza, come elemento fondativo e strutturante della metafisica occidentale.
Facendo vedere questa costruzione, la decostruisce.

La scrittura diventa il chiavistello per scardinare tutto il sistema.

In Memoir pour Paul Demain Derrida afferma che la decostruzione individua delle fratture in delle unità che si pretendono monadiche (ben costruite e sistematiche) e le decostruisce. È sempre un’operazione marginale, che opera su elementi marginali, sottaciuti e non visti. Derrida la chiama anche un’operazione micrologica, che parte da elementi minimali per produrre effetti catastrofici.

Tutto il sistema della fenomenologia secondo Derrida è debitore del sistema originariamente platonico della presenza.

Lettura da La différance (1968) - in margini della filosofia

Leggiamo i primi due capoversi della Differance - che leggeremo tutto.

Il testo è da una conferenza tenuta di fronte alla società filosofica francese nel 1968.

Un’altra raccolta di saggi di Derrida è intitolata La scrittura e la differenza.

Il problema dell’alfabeto, nell’analisi della lettera “A”, è anche il problema dell’origine. La sostituzione della e con la a nella parola différance è una sorta di trasgressione dell’ortodossia.

Questa trasgressione sembra non produrre effetti, perché rimane al livello del logos - si potrebbe sempre fare come se ciò non facesse differenza, ma fa differenza, in un’ottica strutturalista produce uno slittamento del significato.

Vuole riunire in modi convergenti i vari in modi in cui gli è capitato di usare questa parola - che non è un concetto - nei suoi testi passati. Quello che cerca di fare è tenere insieme tutte le linee semantiche che ha seguito, che sono anche delle linee di forza: ogni costituzione di significato, ogni differenzialità che produce significato, è una linea di forza, un elemento dinamico.

Lezione 2: 12 Novembre

Ricordo dunque in via del tutto preliminare…

Due questioni in questo paragrafo:

  1. la “a” di différance non si intende, non è un fatto sonoro - non si intende nemmeno al livello dell’intelletto - va al di là dell’intelletto ossia al di là del logos; eccede sia l’ordine della percezione che del mero intelletto.
  2. riferimento alla “piramide” (Enciclopedia) in cui Hegel paragona il segno alla Piramide della filosofia (nel volume Margini della filosofia questo riferimento continuerà ne il pozzo e la piramide: il pozzo è la riserva del senso contenuta nella piramide. Il segno è come la piramide perché è come un sarcofago che custodisce un cadavere, la scrittura. Il senso deve essere ri-vivificato. Al suo interno il segno custodisce qualcosa di morto.

Littera occidit, la lettera uccide, e lo spirito vivifica. Ciò che è scrittura è morte - è sempre in funzione della voce; questa è un’idea che ritroviamo nelle scritture; e anche in Fichte.
È una tomba che non si può nemmeno far risuonare (non può essere vivificata dalla voce). La differenza grafica “non risuona”, nemmeno nella voce. La differenza è qualcosa di scritto: ci sono differenze che si producono senza avere risonanza, senza accedere al logos o elemento spirituale.
La fondamentalità della scrittura è il senso ultimo del suo discorso.

Non esiste scrittura unicamente fonetica - la scrittura fonetica funziona solo accogliendo in se stessa elementi non fonetici in rapporto ai quali ci si potrebbe rendere conto che essi tollerano assai male il concetto di segno.

La scrittura è sempre stata concepita, almeno nella cultura occidentale, in funzione della voce.
La nostra scrittura alfabetica riproduce i suoni. La struttura fonetica è indicativa di una concettualità che si è affermata in occidente - nel De Interpretatione troviamo il modo in cui si è formata questa concettualità; aristotele dice che tutti i segni rimandano a cose che sono fuori di noi, e queste cose sono uguali per tutti. Anche le affezioni che queste cose producono sono uguali per tutti.

Le rappresentazioni vengono indicate con segni, su tutti la voce, e sono per convenzione. I segni scritti poi, riproducono le cose.
Gerarchia:

La scrittura dunque non fa che essere copia di copia, in particolare dei suoni.
Ciò che è primario rimane dunque la voce.
Non esiste, dice qui Derrida, una scrittura puramente fonetica. La punteggiatura, per esempio, non ha alcun valore fonetico, ma, soprattutto, gli spazi vuoti. Gli spazi vuoti non sono suoni, ma sono significanti differenziali.

In un passo del Sofista Platone dice che se noi parlassimo in maniera continua e dicessimo le parole una dietro l’altra non si capirebbe nulla - bisogna sapere dove inserire degli spazi, un elemento che in quanto spazio produce una differenza. Questo è quanto vuole dire qui Derrida: ci sono degli elementi interni al linguaggio che producono differenze senza avere un suono.

La differenza, di per sé, è il prodotto di una spaziatura, che non può essere logicizzata.

Se non esiste scrittura puramente fonetica, è perché non c’è una fonetica puramente fonetica. La differenza resta, in sé, inudibile.

Se si prende sul serio la teoria saussuriano del significato, si deve dire che la differenza di per sé non ha un suono ( hanno un suono i singoli elementi, ma non la differenza tra loro).
Questo significa che un suono è sempre qualcosa di immediato che viene colto temporalmente. Ha suono la “a” e ha suono la “b”, ma ciò che produce questa differenziazione non ha un suono.
Per questo Derrida si rivolge alla scirttura, perché la scrittura è un sistema in cui i vari simboli si danno spazialmente e sincronicamente. La scrittura ha una dimensione spaziale.

Si obietterà che la differenza grafica [soffre degli stessi problemi]; senza dubbio - ma bisogna lasciarsi rinviare a un ordine che non appartiene né alla sensibilità né all’idealità, associata all’oggettività dei teoremi. Bisogna lasciarsi rinviare a un ordine che va oltre l’opposizione tra sensibile e intellegibile. La différance non appartiene né alla voce né alla scrittura.

La scrittura è il luogo reale di produzione delle differenze. La différance eccede sia la sensibilità che l’intelletto. In che senso? Se per sensibilità intendiamo che la struttura temporale della sensibilità è il presente, è il presente anche la struttura temporale dell’intelletto? L’intelletto, come la sensibilità, non fa altro che cogliere delle idealità, in sé definite e atomiche.

Nella sensibilità colgo un colore, e lo colgo in termini husserliani nella sua essenzialità. L’intelletto in questo caso è come se funzionasse allo stesso modo, ossia come una capacità puramente di pensiero che coglie un quid concettuale allo stesso modo con cui la sensibilità coglie il colore rosso.

La noesis come la aisthesis per Aristotele coglie ciò che è indiviso, ossia atomico.

Sensibilità e intelletto hanno così la stessa strutturazione: quella di cogliere qualcosa di immediato e in sé per sé. Derrida li mette in correlazione in questo modo.
Identità di struttura tra ciò che è puramente ideale, noetico, e ciò che è sensibile.

Ciò che è differenziale richiede invece una operazione diversa, comparativa. Ci torneremo.

Da dove mi rifarò…?

Verità del presente e presenza del presente. La différance eccede l’ordine della verità e può essere definita solo negativamente.

La différance è ciò che permette la presenza, il darsi di qualcosa. Ma di per sé non si presenta mai. In questo senso mette in discussione la verità nella misura in cui la verità (intesa in senso fenomenologico) è evidenza, ossia venire alla manifestazione.

È un aspetto molto heideggeriano (l’essere non si dà mai come ente).

La différance è il gioco delle differenze, che permette il msotrarsi di qualcosa ma di per sé non si mostra mai. Il tono del discorso potrebbe così sembrare quello della teologia negativa.

Già si è dovuto mostrare…
Non ricade sotto nessuna categoria dell’ente, ma ciò che si rimarca della différance non è teologico, in quanto essa si è sempre sforzato di aprire un varco.[…]
Non è solo irriducibile a qualsiasi definizione teologica; ma la comprende, la iscrive, la eccede.[…]

Non vogliamo esprimere una teologia dell’essenza. Onto-teologia è un termine introdotto da Heidegger, per cui Dio è un super-ente, qualcosa per cui gli attributi dell’ente si possono dare in maniera analogica, ma che resta qualcosa che ha questi attributi in maniera eminente. La différance non è questa; non è un ente né un Dio ma il gioco differenziale che si produce e rende possibili gli enti. Non è dunque una super-essenza.

Per la stessa ragione… […]
Il concetto di gioco è al di là dell’opposizione; annuncia l’unità del caso e della necessità in un calcolo senza fine

La différance viene definita come l’origine di tutte le opposizioni metafisiche. Non si può dire che la scrittura in quanto différance è il “vero luogo” in opposizione alla phone.
Vuole dire che la différance è il luogo originario dell’opposizione tra phoné e scrittura.
La différance è la differenza tra la a e la e, che non ha nessun segno tangibile.
Un po’ come Heidegger dice del senso dell’essere; non è un ente - lo posso nominare l’essere, nel momento in cui lo nomino lo trasformo in un ente, ma in verità l’essere non è un eente.
In questo senso la differenza è un luogo originario; ma questo non ha niente a che fare con l’origine concepita come una sostanza, come una sorta di unità; questa unità produce una serie di conseguenze. Se per origine, per principio si intende questo, un quid da cui si origina qualcos’altro, la différance non è questo.
La différance è già in se stessa, e dall’inizio qualcosa di diviso; non è qualcosa di atomico. Non è una arché intesa come principio unico. Derrida parlerà della archiscrittura, e dovremo tenere presente questo significato.
L’empirico è qualcosa che non ha un principio né un telos.

I post-strutturalisti fanno una “iniezione di dionisiaco nelle strutture d’ordine, sistematiche, combinatorie dello strutturalismo”. Nel momento in cui i post-strutturalisti inseriscono il dionisiaco nella struttura inseriscono un elemento di disordine.

Perciò per decisione…[…]

Persino l’introduzione della différance ha una motivazione strategica; serve a smontare l’edificio della metafisica. È una violenza che ha questo risultato.

Dirò dunque in primo luogo […] La différance è ciò che è migliore per pensare e non dominare […]

È un operazione strategica che faccio in un momento storico ben preciso

Benché…

Non è un concetto, non è una parola, ma il modo in cui la parola è fatta richiama una serie di fili semantici che prova a sbrogliare.

Innanzitutto la parola stessa différance, la parola differre, da cui deriva differenza in latino ha due significati distinti e non è la semplice traduzione del greco diaphero.
Il latino era considerata una lingua filosofica inferiore al greco. Il latino consente delle chance filosofiche maggiori che non il latino. Il significato che la parola greca diapherein non contempla è quello temporale. Differance mantiene questa proprietà, che lui chiama temporizzazione - concetto del tempo diverso da quello della phone

Se la phoné è fondata sulla presenza, la différance è fondata sul differimento della presenza. Il segno ha la struttura temporale del differimento.

Differire in questo senso è temporeggiare

La voce e il fenomeno ha come argomento la dottrina del segno in Husserl (Par. 6 della I Ricerca Logica). Husserl dice che l’esperienza vera della coscienza deve mettere da parte la scrittura ma anche i segni verbali; la modalità propria di esprimersi della fenomenologia è l’espressione, cioè la totale aderenza del significanteal significato.

Bisogna riempire i segni vuoti: la verità è un riempimento delle nostre forme concettuali. Derrida vuole mettere in discussione questo aspetto.

La différance è un rinvio costante e continuo…

Non abbiamo mai l’intuizione ultima di qualcosa. La différance è una temporizzazione che è un rimando.

L’altro senso del differire è quello più comune

Non essere identico, essere altro, discernibile.

Bisogna comunque attivamente che dagli elementi altri si produca intervallo, distanza.

La différence non ha mai potuto rinviare al dissidio Può rimandare allo stesso tempo a una quantità di significati, è polisemica.

Différant significa “che differisce” - la parola conserva questo aspetto di dinamico come ciò che si attua prima che ciò abbia prodotto un aspetto differente.

In una concettualità…

La différance designa la causalità originaria, il processo di divisione di cui le differenze sarebbero i prodotti. Ossia, è un arché in se stessa divisa, cioè produce la sua divisione.

Può essere pensata come una causalità attiva; ma in francese delle parole che finiscono in -ance sembrano indicare uno stato verbale intermedio tra l’attivo e il passivo. Come se la parola différance recuperasse la voce media, che nella nostra lingua si è persa.
Queste parole conservano il senso di questa voce.

Infatti ciò che si lascia designare con différance non è né passivo né attivo, ma piuttosto richiama la voce media. […] Non è né passione ne azione di un soggetto su un oggetto.

La filosofia si è costituita accentuando i dualismi e reprimendo questa dimensione mediale che è andata perduta attraverso la contrapposizione, per esempio, soggetto-oggetto.
Facendo prevalere la dualità attivo-passivo, ha perso il senso di questa voce media.

Differance come temporeggiamento

La différance, aveva detto, è origine dello spazio tempo, tempo come differimento e spazio come spaziamento.
La questione del temporeggiamento fa riferimento alla struttura del segno.

Il segno si mette al posto della cosa stessa, che vale tanto per il significato quanto per l’oggetto - il segno rappresenta il presente in sua assenza e sta in luogo di essa, ossia lo rap-presenta, sta al suo posto.

Quando il presente non si presenta noi significhiamo, passiamo attraverso la mediazione del segno. Segno che sarebbe dunque la presenza differita.

La circolazione dei segni differisce il momento in cui potremo incontrare la cosa stessa. Tutto questo è fortemente anti-fenomenologico, in quanto la fenomenologia ammette la possibilità di arrivare al vero significato delle cose. Il segno mette in discussione la presenzialità.

Ciò che…

Derrida vuole dire che se il segno è definito come ciò che sta per qualcosa - questo presuppone che prima c’è la cosa, poi c’è il segno, ossia il differimento della presenza.

Conseguentemente, questo prima è anche il fine del segno. Il segno rinvia a una presenza come ciò che prima o poi si deve dare di nuovo, in presenza. È cioè un tra provvisorio tra due presenze, due intuizioni, quella che sta all’inizio e quella che sta alla fine.

Il segno è una struttura di rinvio, ma una struttura di rinvio provvisoria, ossia secondaria rispetto alla presenza.

Derrida vuole invertire questo ordine: prima c’è la differenza, mentre la presenza è un prodotto secondario della différance. È perché c’è différance che c’è presenza, e non viceversa.

Se mettessimo in discussione questo carattere, vedremmo affermarsi una différance originaria (espressione ossimorica). […] Interrogare il carattere

Derrida preferisce a segno la parola traccia (definizione di Levinas) come un passato che non è mai stato presente; cioè, un puro rinvio.

La différance sembra riportarci alla differenza ontico-ontologica.

Si vede il debito di Derrida nei confronti di Heidegger. La dimensione temporale non è la temporalità dell’“ora”. Il senso del tempo viene sempre definito, dice Heidegger in Essere Tempo, in base al presente.

Distingue la différance dalla differenza ontologica di Heidegger.

Concentriamoci innanzitutto…

Vuole mostrare il nesso tra la différance come spaziamento e come differimento Saussure ha posto l’arbitrarietà del segno a fondamento della semiologia differenziale. Non può esserci arbitrarietà nel sistema dei segni.

Il segno è arbitrario perché è originario il gioco differenziale.
Potremmo inventare dei segni per qualsiasi concetto, segni che si distinguono arbitrariamente da tutti gli altri segni che usiamo - e non perché sono legati intrinsecamente ai concetti che rappresentano.

La parola différance non è venuta fuori dall’intuizione di qualcosa - è stato un gesto arbitrario ha prodotto uno spostamento concettuale; produrre un significato è un gesto e non una intuizione.
Il gesto differenziale non proviene da nessuna pienezza significante, ma è lui stesso a produrre un significato.

Lezione 3: 13 novembre

p. 37 Ora questo principio della differenza…

Il principio della differenza affetta la totalità del segno; Saussure diceva che il segno è un’unità, una moneta, una pagina in cui il retto e il retro sono il significante e il significato; per questo è la totalità del segno.

Nella lingua non ci sono che differenze senza termini positivi; la lingua non comporta né idee né suoni che preesistano al sistema linguistico, ma solo differenze concettuali e foniche (citazione di Saussure).

Si ribadisce il principio differenziale come principio linguistico generale che riguarda sia il significante che il significato; nella lingua non ci sono termini positivi; non c’è mai un significato identificabile in sé stesso come punto autonomo che possa sussistere di per sé senza relazione con gli altri significati.

Il suo significato è definito come non essere tutto ciò che lo circonda - questa è una definizione olistica del significato; rimanda alla totalità dei significati, e in rapporto alla totalità; non è mai qualcosa di isolabile che sussiste in sè (idea anti-platonica del significato).

Quando parla del significante, Saussure parla sin dall’inizio della maniera fonica. Saussure resta legato ad una concezione meramente fonetica dei segni, senza alcune riferimento alla scrittura. Saussure dirà anzi che la scrittura è un traviamento del linguaggio e dei segni, una condanna di tipo platonico. A causa di ciò Derrida accusa Saussure di psicologismo, l’anima è il movimento vitale, il modo in cui si esprime il movimento vitale è la parola. Dire in questo modo che il significante è un principio psichico significa riportalo alla voce - Derrida tratterà di queste questioni ne La grammatologia.

Ogni concetto è inscritto in una catena o in un sistema in cui invia all’altro. La differenza è la possibilità della concettualità, e non un concetto. Non è neanche una semplice parola.

Dire presenza e rinvio a sé è la stessa cosa per Derrida. La sostanza è qualcosa che sussiste autonomamente.
Da qui deriva, insieme al pregiudizio psicologistico, il pregiudizio coscienzialistico (la coscienza che si riferisce a sé stessa è l’autocoscienza - Cartesio); tutti i filosofi di questa epoca hanno come riferimento Cartesio.

Uno di questi attacchi all’idea cartesiana che la coscienza sia un principio di principi, ossia che sia sostanza, verrà dalla psicanalisi. Questo è il motivo per cui Spinoza lo criticherà - se la sostanza è ciò che sussiste di per sé e non è in relazione ad altro, la sostanza è una sola.

Per Derrida non c’è neanche quella sostanza, non c’è nulla che esiste in modo autonomo e sostanziale. Filosofia differenziale è un attacco alla sostanza e al principio di identità, i principi fondamentali della metafisica; un attacco radicale, quindi.

La differenza di cui parla Saussure…

In un sistema della lingua non ci sono che differenze.

Tutto ciò che c’è nella lingua non è qualcosa di platonico, non c’è nessun luogo noetico, non preesistono come le idee platoniche. Non sono a priori, ma sono effetti e prodotti del gioco differenziale della différance; per questo hanno una storia e sono temporali.

Ciò che si dice différance

È ciò che produce le différance, ma non è per ciò stesso prima di esse - è un’origine strutturata ma non in sé.
Non c’è niente che precede le différance. Esistono solo le differenze. È lo spaziamento che produce e dà luogo alle differenze.

Poichè la lingua, che Saussure…

Le differenze sono effetti prodotti, ma effetti che non hanno per causa una cosa in generale o una sostanza. Se il concetto di causa implicasse tale presenza, dovremmo parlare di effetto senza causa.
La traccia non è un effetto più di quanto non abbia una causa.

I concetti di sostanza e di soggetto sono in un certo senso correlativi; il soggetto rappresenta ciò che sta sotto, hypokeimenon (Aristotele), fa da fondamento ed è ciò che permane, cioè è una sostanza.

La correlazione tra sostanza e soggetto si realizza proprio in Cartesio. Oggi quando leggiamo soggetto, leggiamo direttamente “Io”.
Per i Greci il soggetto era lo hypokeimenon, cioè l’oggetto, qualsiasi cosa che sia un “supporto” dei predicati. Con Cartesio si realizza questo spostamento, perché Cartesio vede lo hypokeimenon nel pensiero, cioè nell’Io.

Sorgerà il problema nella filosofia successiva a Cartesio del carattere sostanziale o meno dell’Io. In Kant per esempio l’Io non è sostanza, per esempio. L’idealismo ha cercato in qualche modo di recuperare la sostanzialità del soggetto. Hegel contro Spinoza che aveva detto che c’è la sostanza ma nessun soggetto.

Qui Derrida introduce il concetto di traccia, se parliamo di effetto dobbiamo parlare di una causa, ma come la pensiamo questa causa? Aristotele aveva ipotizzato che l’atto viene prima della potenza, ciò che assolutamente differenziale, è la forza, è la dynamis.

La differenza viene prima dell’identità.
Se io penso una causa senza possibilità (causa prima, cioè un’origine) è come pensare una causa senza differenza. La forza, la possibilità, è differenziale.

Il problema della traccia è legato a questo fatto di pensare la causa: il problema di Derrida è che non si può concepire nessuna causa come priva di differenzialità interna.

Dato che…

Si danno degli effetti di différance, ma la différance non è qualcosa di ulteriore - la différance è esattamente il darsi delle differenze. Una produzione di effetti che è storica

Mantenendo…

La différance è il movimento secondo il quale ogni codice, ogni sistema di rinvii si costituisce storicamente come tessuto di differenze. Produzione storica di differenze.

Continuiamo, dice Derrida, a usare la lingua della metafisica, ma con un significato che viene dislocato.
È un metodo che nel testo finale di Margini, testo-evento-contesto (contro Austin), chiama paleonimia, una parola che possiamo usare per indicare il fatto che l’uso di parole antichi può avere un senso che si disloca per contestare e decostruire l’intero sistema della metafisica.

Se ora si considera la catena…

La traccia si rapporta tanto al passato quanto al futuro. La struttura della traccia viene a coincidere con la struttura del tempo.
Ogni traccia non è mai semplicemente presente, ma marcata da un rapporto con il passato e un rinvio al futuro.

La traccia è un rinvio ad altro e basta. Come dice Levinas, a un passato che non è mai stato presente.

Perché il presente sia se stesso…

Considero un’unità temporale, il presente. Lo considero come unità, cioè come separato da altro, dunque esiste uno spaziamento che lo separa da altro. Se uso al posto di spaziamento qualcos’altro, ci ricorda Hegel. Ci ricorda il fatto che omnis determinatio est negatio, una negazione definitoria. Lo spazio della negazione è costitutivo; dunque qualsiasi punto di questa identità è a sua volta identificato alla stessa maniera; è come dire che ogni oggetto si divide in sé stesso all’infinito.

È un riferimento ai capitoli della scienza della logica dove nella dottrina dell’essenza Hegel parla dei principi logici fondamentali; mentre dico a = a c’è un nulla che viene detto col parlare identico - ciò che trasforma l’identità in differenza. L’identità si trasforma in differenza, e la differenza si trasforma in negazione, e la negazione si sviluppa in contraddizione. Dunque Hegel arriva a derivare la contraddizione dall’identità. Ogni cosa si contraddice in sé stessa.

In Violenza e metafisica, saggio dedicato a Levinas, Derrida cita direttamente Hegel, mentre qui lo sta citando implicitamente.
Questo concetto di differenza è il concetto per noi più ineludibile.

Non c’è niente di semplice e di originario, perché nel momento si cerca di cogliere qualcosa come identità, agisce un principio differenziale, un principio di divisione di qualcosa all’infinito - un concetto che entra nella matematica antica con la scoperta dei numeri irrazionali.

L’architraccia denomina la struttura di rinvio in quanto tale, come rinvio ad altro senza che questo altro sia precedente alla struttura stessa. Ciò che è originario è il rinvio, l’essere traccia.

Questo movimento attivo della produzione…

Non potevamo parlare della différance solo come differenziazione (concetto presente anche in Deleuze)?

  1. Differenziazione farebbe perdere ciò a cui lui tiene, cioè il differimento temporale
  2. Differenziazione potrebbe far pensare a un’unità originaria come la sostanza spinoziana che al suo interno si divide. Ma non è questo il senso della différance. Una teoria “atea” della differenziazione, quindi, se chiamiamo Dio questa unità originaria, à la Spinoza.

Citazione di Hegel

Per Hegel se qualcosa si determina in sé stessa è una totalità escludente, cioè si determina escludendo ciò che essa non è. L’infinito si determina da qualcos’altro, il nulla. Ma la negazione con l’altro implica sempre una relazione.
La negazione quindi è escludente, cioè nelle espressioni a e non-a il non le mette in relazione.

Nel caso del presente, se lo definisco come ciò che non è passato e non è futuro, il non è è ciò che lo differenzia da altro, e Derrida vuole sottolineare come questo rapporto è il presente come rapporto differente, in senso attivo: non è un caso che Hegel usi una parola che derivi dal latino e non è Verschieden o Ungleichlik; Hegel usa una particolare per descrivere ciò, e la lettura che fa Derrida di questo uso è come segue:

Scrivere différant…

Ma chi è che differisce?

Se rispondessimo a tali questioni…

Si può usare il concetto di différance e continuare a usare la nozione di soggetto?

Derrida assume il principio strutturalista per cui ciò che struttura precede ciò che viene strutturato; anche il soggetto è strutturato dalla différance.

Se per ipotesi…

La différance sarà il rapporto della parola con la lingua.

Secondo questo principio strutturalista, anche il soggetto è preso nel principio della différance; la différance concerne non solo gli elementi della lingua, ma il rapporto degli elementi con la lingua.

La lingua non esiste in maniera autonoma dal darsi dalle parole nella lingua - ma è questo rapporto, che coinvolge il soggetto.

[ un salto di pagine]

Questo gesto prima di essere così radicalmente…

La messa in discussione della metafisica della presenza è stata prima di Heidegger, da Freud e Nietzsche. Ma come si articola il concetto di différance in questi autori?

Il concetto di différance è un principio energetico e dinamico e non solo al differenza combinatoria.

Quest’ultimo compare con il proprio nome…

La coscienza è l’effetto di forze le cui cause non sono note.
La forza stessa non è mai presente; non è che un gioco di presenza e di quantità. Ma in che senso? Non ci sarebbe forza in generale senza la differenza tra le forze. La differenza di quantità - il rapporto tra una forza e l’altra - è l’essenza della forza.

La realtà, dice Nietzsche, è una realtà dinamica, da dynamis, ossia fatta di forze, e le forze non si vedono.

Innanzitutto la forza è differenziale. La forza di per sé non si vede; quello che vedo è l’effetto, l’atto, della forza.

Questi argomenti si ritrovano già in Aristotele, libro IX della metafisica, quando parla della dynamis - definita come il principio del cambiamento.

La forza è in relazione a qualcos’altro.

Aristotele introduce la forza per spiegare il movimento; se ho una concezione puramente attualistica del movimento, non posso spiegarlo - Aristotele si rende conto di questo dai paradossi di Zenone.
Per spiegare il movimento e il mutamento bisogna cercare di andare al di là della mera empiria.

Il concetto di dynamis è un concetto non presente, non attuale, che richiede una modalità di approccio che non è quella della percezione, quella preferita dai megarici.

Il medesimo è precisamente…

La differenza tra il medesimo e l’identico.

Il pensiero di Nietzsche è un pensiero contro la repressione adiaforistica (cioè contro la differenza).

La filosofia si è resa cieca al medesimo, che non è l’identico - riferimento a Heidegger (Identità e differenza). Heidegger fa la distinzione tra ciò che è identico.
Se l’identico è identità analitica (idem, cioè a = a, cioè identità analitica) il medesimo è ipsum ed è l’identità differenziale. Ipse pater significa lui e non un altro. Heidegger dice che il vero concetto dell’identità era già in Parmenide.

Kant ha concepito l’io penso come un’identità sintetica, cioè un’identità che si costituisce come una costituzione di differenza.

Derrida distingue il medesimo (la différance) dall’identico.

Lezione 4: lunedì 18 novembre

Cifra senza verità… La verità diventa una funzione (interna al sistema) compresa iscritta, circoscritta.
Nietzsche oppone questo sistema (di forze) alla metafisica.
Questo è importante da considerare, perché implica un sistema di forze in movimento.

La messa in questione della teoria della coscienza è la…

Concependo la coscienza in questi termini (da Cartesio in poi) il discorso che fanno Nietzsche e Freud è un discorso che vuole minare alla base questa concezione della coscienza. Chiurazzi ritiene che noi non sia vero che la coscienza si è sempre concepita così. La distinzione tra medesimezza e identità è probabilmente ripresa da Heidegger (vedi lezione 3).

I primi a concepire l’identità come medesimezza sono Kant e tutti i suoi seguaci (sintesi a priori, cioè il cogito) - un altro modo di concepire la coscienza - Hegel riconosce questo come il più grande merito di Kant. C’è da discutere se la coscienza sia identica e cioè sostanziale, se sia propria anche dell’idealismo tedesco (in Hegel la coscienza è sempre in rapporto all’altro e mai da sola).

Questi due elementi si fondono. La memoria non può essere analizzata senza analisi della differenza.

Il modo stesso in cui Freud concepisce la coscienza denuncia il fatto che per Freud la coscienza è una originaria struttura di spaziamento, un esempio di scrittura.

Esistono popoli senza scrittura (disputa di Derrida con Levi Strauss? Anche una tribù che apre una traccia nella foresta è una popolazione che scrive, lascia una traccia nel suo operare. L’idea che ci siano popolazioni senza scrittura è priva di senso.

Freyez, Freyage, traduce il termine tedesco Badung, indica che l’energia si incanala in una certa dimensione. Nella memoria è come se le esperienze traccino dei tracciati.

Nel noves magico (una tavoletta di cera di cui parla Platone nel Teeteto) Freud vede un simbolo della memoria. Derrida scrive un saggio che si trova ne La scrittura e la differenza.

La memoria quindi nasce come traccia, e nello specifico traccia dell’inconscioche si trova ne La scrittura e la differenza.

La memoria quindi nasce come traccia, e nello specifico traccia dell’inconscio. Il sogno per esempio in Freud: flussi di desiderio che si esprimono; in Freud è esplicitamente il desiderio e il principio di piacere è esplicitamente paragonato a un sistema idraulico, una metafora idraulica.

Una buona traduzione sarebbe instauramento, avviamento.

Tutte le differenze nella traduzione delle trace inconsce possono essere interpretate in termini di différance…

La coscienza non è altro che questo continuo piacere, un piacere pienamente estrensicato è la morte; se un organismo continua a vivere è perché continua ad avere in riserva energia, a differirla; se tutto si estrinseca la differenza si cancella (la morte).

Il piacere, l’assoluto soddisfacimento di qualcosa, possa essere minimamente dilazionato.

La rinuncia alla possibilità di conseguirlo…

Sul concetto batalliano di signoria e servitù; resta interno all’economia ristretta, logica in cui si tende a conservare per capitalizzare;

Dall’altra parte economia generale, del dispendio assoluto, che Bataille chiama sovranità; esempi di Mauss di saggio sul dono oppure esempi di Malinovsky.
La nozione di depense, l’economia del dono per Derrida.
Diversamente da Mauss che dice che il dono innesca lo scambio e inizia la circolazione, il significante mancante.

La questione del dono in Derrida sta in Donare il tempo, su un racconto di Baudelaire. Due escono dalla tabaccheria per comprare delle sigarette; hanno comprato del fumo - l’amico che ha comprato le sigarette si avvicina a un povero e dà una moneta di argento; l’amico si stupisce e dice che era la moneta falsa.
L’amico dice ma tu sei un coglione, dai una moneta falsa a un povero, gli fai passare i guai, oppure l’amico ha voluto sminuire il suo gesto davanti all’amico dicendo che era una moneta falsa? Il racconto finisce con queste speculazioni. Derrida fa a questo punto tutta una riflessione per cui:

  1. il vero dono è quello che va in fumo
  2. uno dono senza avere nulla in ritorno - il dono non deve avere un ritorno, il vero dono è qualcosa di cui non si accorge neanche chi lo riceve.

Derrida discute il saggio di Mauss e legge la critica di Levi-Strauss a Mauss; secondo Derrida il dono si deve fare senza aspettativa di ritorno, perché il ritorno implica una struttura circolare che per Derrida è sempre simbolo di una presenza. Il cerchio è una forma chiusa.

Giacché il carattere economico della différance non implica che la…

In questo senso, contrariamente…

La struttura del ritardo…

Il concetto di traccia…

Prima conseguenza….

Conseguenze:

  1. La différance non è niente; non è un principe né un principio, fomenta la sovversione di ogni regno (ossia di ogni dominio), che la rende minacciosa. È sempre in nome di un regno e di una A maiuscola si può rimproverarle di poter regnare. La différance non è un principio ordinatore, ma un principio di disordine, e in questo senso è sovversivo. L’aspetto differenziale è tutt’altro che un principio di ordine.

  2. La différance non è che dispiegamento storico e epocale dell’essere. La differance ha a che fare con la riflessione epocale di Heidegger sulla perdita della differenza.

Pensare la differenza ontologica…

L’uno differente da sé, in dissidio da sé, si perde all’interno di questa storia dell’essere.
Pensare la differenza ontologica resta un compito difficile il cui enunciato è stato quasi ineludibile.

Pensare questa differenza non significa criticare e riconoscerne la necessità, ma fare una lettura rigorosa della metafisica, bisogna far apparire e sparire col massimo rigore, traccia che non può mai apparire e manifestarsi come tale.
Presentandosi essa si cancella…

Vattimo insiste molto su questa cosa, mantenere la differenza tra essere ed ente consente di non appiattire il senso su ciò che è presente. Appiattire il senso sull’ente potrebbe voler dire appiattire il senso su ciò che è attuale (la percezione) mentre il problema del senso dell’essere è relativo ai segni. La divaricazione tra Heidegger e Husserl si attua anche a questo livello; per la fenomenologia mira al superamento del linguaggio per ripresentare la cosa in se stessa; mentre per Heidegger e l’ermeneutica il senso è sempre ciò a cui rinvia il linguaggio, quindi mette al centro della sua riflessione il problema della comprensione e la funzione mediatrice del linguaggio.

Dire che il senso non è l’ente ha queste conseguenze, l’appiattimento sul presente.
Tutto ciò che è rinvia ad altro, ad un’ulteriorità; più in alto dell’attualità sta la possibilità.

Dove vuole andare a parare Derrida? Il suo discorso è questo: anche il riferimento al mantenimento della differenza ontologica, al fatto che bisogna ricordarla, è un modo di pensare interno alla metafisica della presenza in quanto consiste nel tentativo di mantenere in un qualcosa dell’essere il senso di questa differenza. Mentre la vera traccia della différance non è tanto l’essere e il suo senso, quanto l’oblio dell’essere. L’oblio è la vera traccia della différance; è lo spazio vuoto l’unico luogo della différance, non tanto la A o la E di différance.

Consideriamo per esempio il testo del ’46 “La traccia di Anassimandro

Heidegger gioca sui termini Anwesen (presenza nel senso di provenienza) e wesen (essenza). In alto tedesco il wesen significava il venire alla presenza di qualcosa. Non è la presenza come il gegenwat (il presente nel tempo).

Non è che Heidegger qui sta mettendo in piedi la filosofia della presenza; Anwesen mantiene il significato della provenienza da.
Per Heidegger questo è un modo per intendere la differenza ontologica fuori dal “dualismo” della metafisica. Ciò che resta impensato in Heidegger è la relazione tra presenza come Anwesen ed essenza.

Nella metafisica tradizionale, la provenienza viene trasformata in qualcosa che è già presente, e poi ne fa il principio.

Richiamandoci…

La differenza dell’essere è scomparsa senza lasciare traccia, la traccia stessa della differenza è sparita. Questo sembra essere implicato dal detto di Anassimandro.

Per Heidegger, La storia dell’essere, ciò significa, incomincia con l’oblio dell’essere. La differenza resta esclusa e obliata; solo il presente e la presenza, si svelano, ma non in quanto differenza* - la differenza negativa è cancellata; la differenza appare come un essente presente*.

L’essere stesso, diventa un ente, un “essente presente” (onto-teologia). L’essere per eccellenza diventa così un ente supremo - viene cancellata la differenza stessa e anche la traccia della differenza; tutto è entificato.

La traccia non essendo…

La cancellazione della traccia appartiene alla sua struttura, la costituisce fin dall’inizio, la installa come cambiamento di luogo e la fa scomparire nell’opposizione.

Nella misura in cui l’ente è tale, e nella totale entificazione si cancella ogni traccia della differenza, l’unica traccia che rimane è la cancellazione.
È un discorso contorto.

Derrida vuole esprimere un atteggiamento nichilistico, si fa riferimento alloblio attivo (Aktive ….o) di Nietzsche.

L’oblio diventa l’unica traccia della differenza, che non può assumere nessuna traccia positiva.

Per Derrida la differenza è ancora più antica, che non ha nessuna forma positiva. Prima parlava di teologia negativa, sta portando alle estreme conseguenze il discorso per cui traccia sull’essere non è nulla di positivo, è l’oblio la vera traccia della differenza.

Il testo della metafisica è ancora così compreso…

Si pensa allora senza contraddizione…

Il mantenimento lascia essere il presente, e lo abbandona adesso. Il mantenimento è la remissione della presenza alla disconnessione.

Heidegger fa una traduzione del detto di Anassimandro kata to kreon, cioè secondo necessità. fa un’etimologia di kreon come proveniente da kreomai, traducendolo con Brauen, ossia usare per evidenziare il nesso tra il mantenimento e tenere qualcosa con la mano.

Heidegger non è sufficiente radicale per accettare l’ontologia della differenza. La differenza ontologica apre su questo pensiero, ma il modo in cui Heidegger la concettualizza, nella forma del mantenimento della differenza, lo riporta nella rosa dei metafisici, per dire.

La scelta della parola mantenimento…

È un innominabile, un gioco che fa si che ci siano effetti nominabili, strutture atomiche che si chiamano nomi, catene di sostituzioni di nomi in cui l’effetto di différance è esso stesso trascinato; anch’essa è parte del gioco, funzione del sistema.

Questo totalmente altro non è né un Dio né un quid; l’attenzione va sul gioco stesso della différance. Non c’è un senso dell’essere al di là dell’ente; la stessa differenza essere-ente è un risultato.

Tutto questo è epocale per Derrida, esiste una differenza ancora più radicale della differenza semantica.

  1. Derrida introduce una energetica nello strutturalismo, introduce un livello fisico (nel senso di physis), anteriore al senso dell’essere. C’è uno strato anteriore a ogni senso, l’accadere di qualcosa che assume senso e significato. Si può intendere così questo livello, del puro manifestarsi energetico, come il manifestarsi di qualcosa. Qualcosa accade e non c’è nulla da capire; persino la dotazione di senso e significato può risultare una limitazione rispetto a ciò che accade. Un modo per intendere la différance è che è accaduto qualcosa.

Questo ha prodotto una differenza; nella misura in cui fa differenza inizia a introdurre senso e significato.

La différance è gramma, cioè pura scrittura, e in questo senso non significa nulla. Di per sé il tracciarsi di qualcosa è l’arché; come accadimento diagrammatico.

Lezione 5: martedì 19 novembre

Iniziamo Della grammatologia. Utilizziamo l’edizione Orthotes. Il testo è del 1967, prima della conferenza sulla différance. È un testo pro-grammatico.

Il titolo definisce in modo ossimorico la scrittura: Derrida vuole mettere in luce l’antecedenza della scrittura rispetto al logos; nella misura in cui la scienza si è sempre definita in funzione del logos, la grammatologia è una scienza impossibile - una scienza che per suo stesso statuto è fatta per mettere in discussione il presupposto di ogni scienza, il logos, e questo nella misura in cui il logos (la ragione) è stata opposta alla scrittura.

Il libro è così strutturato:

Parte prima

  1. La struttura ante-litteram: una prima parte, più programmatica e teorica, in tre capitoli. Prima della lettera (archiscrittura). La fine del libro e l’inizio della scrittura.
  2. Confronto serrato con lo strutturalismo
  3. Della grammatologia come scienza positiva: in che senso può esistere una simile scienza?

Parte seconda: NATURA, CULTURA, SCRITTURA è dedicata a Rousseau


La storia del libro ha visto nell’alfabeto il telos della realizzazione del segno.

Platone cercava di riprodurre non solo nella forma linguistica dell’alfabeto, ma anche nella forma del libro, ciò che è più vicino alla phoné, ossia il dialogo socratico. La storia dell’occidente viene intesa da Derrida come un sistema che tiene insieme un certo concetto della scrittura (quello alfabetico), la storia della metafisica solidale a questo sistema della scrittura (metafisica della presenza) e la scienza.

Derrida pone a fondamento di tutto l’Occidente una tecnica, quella della scrittura alfabetica. Così facendo inaugura tutta una tradizione di pensiero che vede alla base del pensiero occidentale una forma di tecnica. La scrittura risulta essere la tecnica originaria: non esistono popoli senza scrittura, la scrittura è l’origine della civiltà.

1. Il programma

Il capitolo I inizia con una frase di Nietzsche su Socrate:

Socrate, colui che non scrive

Il capitolo inizia con un riferimento a dei sintomi del periodo in cui Derrida scrive: in quest’epoca c’è una inflazione della parola linguaggio (siamo a ridosso della svolta linguistica). Iniziano una serie di studi che prendono in considerazione da un lato Wittgeinstein, dall’altro Gadamer e Heidegger. Si parla di linguaggio per qualsiasi cosa.

Eppure, dice Derrida, ci sono dei segni del tempo che lasciano già intuire come il privilegio del linguaggio cederà il passo a un privilegio della scrittura.

Dei modi di dire sostituiscono alla parola linguaggio il termine “grafia”: coreografia, cinematografia. C’è una emergenza della parola grafica, del gramma che mette in crisi il privilegio del linguaggio, mette in crisi il sistema fondato sulla nozione del linguaggio.

Al centro del linguaggio c’è il significante: la struttura del significante è quella di rimandare a una presenza.

p. 24 in fondo

La scrittura è intesa da Rousseau come semplice supplemento; dice Derrida che nel momento in cui il linguaggio assume questa dimensione esorbitante, se ne scopre il limite, il suo debordare in un’altra economia (dalla phoné alla grafia).
La scrittura è sempre stata considerata come qualcosa di subordinato.

p. 28

Aristotele: ci sono alcune affezioni uguali per tutti, mentre sono convenzionali i segni fonetici che usiamo per determinare queste affezioni. La scrittura è sempre stata considerata come qualcosa di succedaneo, copia di copia.

**

La scrittura storicamente è venuta dopo la produzione dei primi manufatti tecnici; già la produzione dei primi manufatti tecnici è per Derrida una forma di scrittura. Sono tracce; c’è un significato diagrammatico della différance; qualcosa è successo (la a di différance) - è stata lasciata una traccia.

Il manufatto tecnico è già una forma di scrittura.

p. 26

Derrida individua una mutazione storica: l’emergenza dei computer dimostra che la scrittura diventa molto più importante del linguaggio - in questo senso la fine del libro; per libro intendiamo un certo concetto del sapere come funzionale, solidale con la metafisica della presenza o logo-centrica.

Logocentrismo:

  1. indica che al centro c’è il logos, un modo per descrivere la preminenza della parola sulla scrittura.
  2. indica un’accezione più estesa indica l’idea stessa che ci sia un centro.

Le due definizioni in un certo senso si equivalgono: se pensiamo il logos come legato alla metafisica della presenza, il presente è un punto centrale, ciò a partire da cui si definisce ciò che non è presente. Il logos coincide con l’idea che ci sia un centro da cui poi si irradia tutto il resto.

La scrittura invece individua una situazione priva di centro, una situazione segnata da disseminazione - un concetto che deriva ancora dal modo in cui Platone aveva parlato della scrittura nel Fedro.

Anche nel Sofista quando parla dei giovani che si lasciano ingannare dai sofisti, dice che si lasciano ingannare perché non conoscono ancora il pharmakon della filosofia - anche la filosofia è un pharmakon.

Cosa c’è che non va nella scrittura? La scrittura è indipendente dal padre, indipendente da colui che li ha pronunciati. È in una dimensione di immediatezza che si coglie la verità - dimensione che vuole ridurre lo scarto e ogni forma di mediazione. Tutto è cioè mediato.

Thamus dice che la scrittura, senza padre, non può difendersi da sola. Qui c’è l’aspetto ebraico della filosofia di Derrida, legato alla Scrittura. La scrittura non è in grado di difendersi da sé, è dunque un discorso bastardo, che rinnega il padre ed è soggetto a fraintendimenti.

Questo ultimo aspetto è ciò che è indicato dalla parola disseminazione, che gioca sull’assonanza tra thema, il significato, e “seme”. Una dispersione del significato che si realizza nella scrittura, cosa che comporta un lavoro interpretativo continuo.

p.27: infine, che abbia o meno dei limiti essenziali…

p.27 Abbiamo già fatto allusione…

Dato che per Hegel la scrittura fonetica era la più intelligente, la scrittura cinese rappresentava la staticità dell’intelletto, i simboli vengono giustapposti gli uni agli altri. Questo, come la scrittura matematica, è per Hegel un modo di pensare tipicamente intellettualistico.

In Hegel, L’intelletto coglie le determinazioni del reale come statico, mentre la ragione le coglie nel loro divenire e nella loro dimensione dialettica. La ragione coglie la contraddizione del reale, mentre l’intelletto no. Hegel diceva che Leibniz si era fatto traviare da tutto questo, arrestandosi a un modo di pensiero intellettualistico.

Le matematiche sono una sorta di enclave nel pensiero occidentale, un’isoletta nel mare della scrittura fonetica del pensiero occidentale.
La scrittura alfabetica risulta essere in generale più economica, usa meno simboli; ma questo fatto di avere meno simboli non è legato alla phoné.

p.28 Ma al di là della matematica teorica…

Il concetto stesso di scrittura fonetica è già una forma di rimozione - non si vogliono vedere gli elementi non fonetici che già ci sono nella scrittura fonetica - anzi tutto gli spazi.

2. Il significante e la verità

In questo paragrafo viene introdotto il discorso più filosofico, che riguarda Heidegger e il problema del senso. Quando Derrida parla di una differenza originaria anteriore alla differenza ontologica, si sta riferendo al discorso sul senso dell’essere, che possiamo ricondurre in realtà a un discorso sul senso in generale - la differenza ontologica tra essere ente, il fatto che ci sia qualcosa di più di ciò che è, è la condizione di possibilità della conoscenza di qualcosa.

Può darsi una scienza del gramma? In che senso può sussistere ubbidendo alle forme classiche del modo di concepire la scienza ossia la verità.

La verità è sempre stata concepita nei termini di una trasparenza. La verità consiste nell’eliminare ogni forma di mediazione, per cogliere l’oggetto in maniera immediata.

p.30 Essa rimane dunque…

Gli autori della metafisica occidentale esercitano una rimozione cercando di fondare su un principio puro, ma la scrittura, come ciò che è rimosso, emerge sempre da qualche parte.

p.31 Quanto è detto…

In queste pagine si parla di come il logocentrismo e di conseguenza anche la la verità (tornare a ciò che è presente e tornare ad è fondata sulla metafisica della presenza.
La scrittura ha sempre operato anche all’interno della storia di questa metafisica della presenza.
Derrida parla di come alcuni abbiano parlato di una “scrittura buona” e “scrittura cattiva”.

In generale, Derrida dice che c’è un ordine scritturale che è anteriore persino al discorso sul senso. La scrittura è ciò che è pre-scritto.

La questione della auto-affezione pura la vedremo in La voce e il fenomeno.

Citazioni a p. 35

Questo è il modo più innocui con cui la scrittura è stata a un tempo recuperata e distorta dalla metafisica: Si distingue tra scrittura naturale e scrittura umana: la scrittura naturale è quella buona; quella umana è una scrittura secondaria, sbagliata, che corrompe la scrittura naturale.
In ogni caso, la scrittura naturale viene sempre intesa come un elemento che resta intatto nella sua purezza.

La scrittura è invece per Derrida contaminazione; la scrittura è qualcosa di totalmente anti-idealistico, nella misura in cui l’idealismo parla della purezza e della presenza.

Tutti questi discorsi mettono in luce un elemento che non può essere trascurato: quello della pre-scrizione che emerge

p.36 Ci sarebbe molto da dire…

Ciò che rende strutturale la prescrizione è il fatto che la parola rinvia a qualcos’altro - nel momento in cui questo accade io capisco che non sono l’origine di ciò che mi arriva, ma la scrittura è il rinvio a un’altra origine in generale. Nel momento in cui qualcosa diventa scritto, la scrittura implica il riferimento a un’altra origine in generale, che non è altro che la storia.
La scrittura è l’essenza della storia - si dice anche che la storia è cominciata con la scrittura.

La scrittura naturale è intesa come una forma di prescrizione cioè è:

3. L’essere scritto

Derrida cerca di mostrare come in Heidegger ci sia un discorso molto ambiguo: in Essere e tempo prevale la dimensione del senso, Heidegger sembra più vincolato a certi meccanismi della metafisica; poi man mano il suo discorso prende una piega diversa, in Tempo ed essere, quando arriva ad esprimere anche la parola essere barrata sopra, sbarazzandosi di essa in qualche modo. La barratura è l’ultima scrittura di un’epoca. L’ambiguità consiste nel fatto che funziona soltanto nel suo essere scritto, è un essere scritto.

Sotto i tratti della scrittura si cancella, restando leggibile, la presenza di un significato trascendentale(essere).

In quanto delimita l’ontoteologia, questa è l’ultima scrittura dell’epoca del libro, e la prima dell’epoca della scrittura (epoca del testo).
Questo è il passaggio da un modo di intendere la scrittura come succedanea rispetto al logos (logocentrismo) al testo, che è ciò che è intrinsecamente scritturale; il testo è un tessuto fatto di tracce che funziona in modo indipendente dal suo essere logos.

Heidegger è rimasto sulla soglia di un modo di concepire la filosofia come critica alla filosofia della presenza, ma è anche colui che con la scrittura dell’essere barrato delimita quest’epoca.

p.45 Già in Hegel era immerso in questo gioco…

Questo discorso su Heidegger vale anche per Hegel, perché?

Hegel è il culmine di questa metafisica che è fondamentalmente idealizzazione, idealismo.

(La scrittura alfabetica) modifica il terreno dell’interiorità del soggetto.
La scrittura fonetica è Aufhebung di tutte le varie forme di scrittura.

p. 46 La scrittura geroglifica…

Una lingua geroglifica scritta comporterebbe una cultura statica, e questo è il difetto della scrittura non fonetica.
Per Hegel, la scrittura non fonetica infrange il nome, esprime relazioni e non denominazioni.
Nella scrittura matematica noi abbiamo a che fare soltanto con relazioni, i simboli servono a far emergere delle relazioni. Il nome e la parola si cancellano nella scrittura pura.

Questo tipo di scrittura tradisce un’esigenza fondamentale del linguaggio, che è il nome. La cosa più importante del pensiero è che le sue determinazioni si sviluppino come nomi (Scienza della logica).

C’è per Hegel una struttura che collega la dimensione grammaticale delle nostre lingue fonetiche con la nostra logica-ontologica. Le lingue fonetiche hanno quindi una dimensione ontologica.

Sono le lingue indo-europee a determinare la metafisica occidentale o viceversa? È una questione aperta.

p.48: Tutto ciò che Hegel ha pensato può essere riletto come…

Hegel:

Lezione 6: mercoledì 20 novembre

Nessun Libro è sufficiente a se stesso: Derrida intende che il sistema di rinvii e di verità della metafisica della presenza è un sistema di segni tale che nel suo insieme ha una forma di chiusura in quanto rinvia a un significato trascendentale che lo chiude.

La Bibbia per come è stata concepita dai protestanti è un sistema rappresentativo emblematico: ha il suo sistema di significati chiuso in se stesso; non richiede il debordamento di se stesso verso altro.

L’epoca del libro presuppone un significato trascendentale che chiude il libro in se stesso, come un suggello, un timbro. Qualcosa che lo rende concluso (Vollendung).

Tolta questa chiusura finale del sistema, il sistema resta totalmente aperto: questo è il passaggio al testo - per questo Hegel è il primo filosofo della scrittura; la struttura di pensiero di Hegel è per Derrida una struttura di rinvio continuo, tutte le definizioni dell’assoluto sono negative, e perciò potremmo dire relazionali.

La stessa cosa Derrida l’ha detta di Heidegger. Derrida interpreta la differenza ontologica tra l’essere e l’ente come se l’essere fosse qualcosa che dà avvio a questo sistema di significati. La differenza ontologica fa sì che io possa comprendere, è la differenza tra il senso in generale da cui posso derivare il senso particolare.

Derrida interpreta la differenza ontologica come se l’essere fosse un significato ultimo trascendentale, cioè con una funzione arcontica, di arché come termine ultimo finale.

La différance è più originaria rispetto alla differenza ontologica; il senso dell’essere non è un significato trascendentale. Quando Heidegger ha definito il senso dell’essere non intendeva un significato; se Husserl parla sempre di ssignificati. Husserl usa senso e significato come se fossero sinonimi; in Heidegger il senso dell’essere è iun senso e non un significato.
Il significato è per Husserl sempre una forma di riempimento. Il significato della parola giallo o blu deve essere suscettibile di un riempimento induttivo.

Di un significato, dice Heidegger, posso avere un riempimento percettivo. Ma secondo Heidegger l’intuizione fenomenologica deve essere radicata in una comprensione; il senso è qualcosa che può debordare la percezione, perché è più originaria.

Per Heidegger il senso è fondamentalmente un orientamento. La maniera più immediata per considerare le cose è zu Handen (trad. essere a disposizione), ossia utilizzarle. La struttura dell’utilizzabile è l’essere per.

Per Heidegger un caso specifico di utilizzabile è il segno, caratterizzato da una struttura di rinvio. Tutta la spazialità dell’esserci è caratterizzato da orientamenti di senso, dati dal fatto che usa gli oggetti come orientamento; indicano la direzione.

Queste cose disegnano i miei comportamenti nel mondo, mi danno un orientamento. Non sono qualcosa che ha un significato in senso stretto.

Heidegger dice che gli uomini sono formatori di mondo perché hanno la differenza ontologica; le pietre non vanno da nessuna parte, non hanno mondo perché non hanno kosmos. Non hanno sensi nella realtà, non vanno da nessuna parte. Ci sono dei tracciati, delle traiettorie. L’uomo costruisce strade, in questo senso è formatore di mondo. Il muoversi nel mondo degli animali è totalmente istintivo.

L’uomo costruisce sensi totalmente arbitrari. Le parole servono per costruire dei sensi e dei comportamenti che nella realtà non ci sarebbero.

Il mondo non è la realtà, è l’ordine che viene introdotto nella realtà.

La spazialità dell’esserci, concetti come il disallontanamento (Entfernung); questi sono concetti semantici e non geometrici. Dal punto di vista semantico, dice Heidegger, vicino e lontano sono cose che dipendono dalla persona. Nel mio mondo semantico, New York mi è più vicina perché c’è la mia fidanzata.

Senso non è significato: se il senso è esso stesso una struttura di rinvio, Heidegger è anche lui un filosofo del testo e non del libro; perché il senso originariamente è già rinvio, è già differenza.
Se il senso non è significato e non è una forma di orientamento intuitivo, la differenza ontologica non ha nessun rapporto con la fenomenologia; il senso è una struttura di rinvio sin dall’inizio, e svolge una funzione fondamentale della significazione in generale. Senza questa struttura non possiamo trovare nessun significato. Il senso è l’elemento che apre il sistema del significato in generale.

II. Linguistica e grammatologia

Una critica decostruttiva della linguistica, cioè Saussure.

Nelle prime pagine si pone il problema se una grammatologia che deve sostituire la semiologia di Husserl è possibile. Perchè deve farlo? Perchè la scrittura deve superare il concetto di segno come metafisica della presenza, la grammatologia deve superare la semiotica e la linguistica.

Come è possibile una grammatologia?

  1. L’idea stessa di scienza è nata in una certa epoca della scrittura fonetica.
    Se a un certo punto il debordamento, la grammatologia deve essere possibile, in quanto è una nuova scienza.

La matematica è un enclave all’interno della scrittura fonetica, assurta a modello di scientificità ma non sufficientemente valorizzata.

  1. La grammatologia che esiste oggi fa riferimento solo ad un oggetto ristretto (XVII secolo)
  2. Riferimento all’Origine della geometria (1963) di cui ha scritto l’introduzione. Nel testo Husserl prende atto che la scienza non può sussistere come tale se non sganciandosi dalla puntualità, dalla psiche, del primo scienziato. Il primo geometra, sia esso Talete o chi altro sia…

Il problema di Husserl è che la scienza non può rimanere vincolata all’intuizione individuale; per essere scienza deve trasmettersi e dunque deve scriversi.

Ma questa scrittura della scienza, dice Husserl, porta con sé dei problemi, si rischia che il significato vada perduto! La scrittura diventa la condizione della crisi delle scienze europee, uno svuotamento dei plena, in cui ci sono dei simboli ma che sono assolutamente vuoti e funzionano in maniera automatica, macchinica.

L’idealità si presenta come qualcosa che deve superare lo spazio e il tempo.
Le idealità della fenomenologia non sono temporali, sono onnitemporali.

  1. La storicità stessa è legata alla possibilità della scrittura; le idealità devono attraversare la storia.

L’origine della geometria ha senso se si può individuare in maniera diversa l’accadere di questa origine.
È una cosa diversa dall’origine dell’opera d’arte - Heidegger quando parla del tempio greco, fa riferimento al Riss (taglio). L’origine dell’opera d’arte è l’origine di una Gestalt, figura, contorno, Riss - dunque un tracciamento, una scrittura. Il tempio greco ha la funzione di esporre un mondo.

Restituzioni - la verità in pittura è un testo in cui Derrida interpreta in termini scritturali la nascita del tempio greco. In Heidegger non c’è nessun momento intuitivo all’origine, l’origine dell’opera d’arte è già scrittura.

Il problema a questo punto è quello del rapporto tra la linguistica e la grammatologia, con tutta la relazione fonologica che caratterizza la linguistica con tutta la questione della scrittura.

p. 51 Consideriamo che la scientificità…

Si assume e si teorizza il carattere secondario della scrittura. Di per sé, la lingua parlata è indipendente dalla scrittura: il fuori e il dentro.

Tutta la questione ruota attorno all’autonomia della phoné rispetto alla scrittura. La scrittura viene concepita come qualcosa di derivato di cui si può fare a meno, con una funzione meramente rappresentativa.

p. 53

Si tratta di un ideale che dirige un funzionamento che non è mai pienamente fonetico.

p. 55

Secondo Saussure:

Secondo Saussure Ci sono due sistemi di scrittura:

  1. il sistema ideografico - esemplificato dalla scrittura cinese
  2. il sistema fonetico - le scritture sono o sillabiche o alfabetiche. Le scritture ideografiche diventano volentieri miste, cioè ideogrammi finiscono per rappresentare suoni.

Che cosa comporta questo?

Certi ideogrammi possono diventare fonetici. Ma la scrittura fonetica* a sua volta - e questo è il vero punto della questione - non è mai puramente fonetica.

Saussure cerca di tracciare un legame naturale tra l’immagine acustica e i concetti, e un legame arbitrario tra i concetti e i significati.

Saussure ha detto: il significante è arbitrario. Anche i suoni allora dovrebbero essere arbitrari; Derrida dice che i suoni sono anche totalmente arbitrari. Non è arbitrario il fatto che siano i suoni a indicare i significati.

Il legame naturale che Derrida vuole mettere in luce lega il significante fonetico (non i singoli significanti fonetici) ai significato. La scrittura in questo senso viene dopo, è qualcosa di ulteriore e secondario.

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Scienza del linguaggio deve ritrovare rapporti naturali, cioè semplici e originari, tra un dentro e un fuori. Ci sarebbe nelle concezioni metafisiche un legame del senso con i sensi. Il legame naturale del significato (concetto o senso) subordina la scrittura alla parola. Questo è il rapporto naturale invertito dal peccato originale della scrittura. La scrittura grafica si impoverisce a favore della scrittura.

Il teorico dell’arbitrarietà dei significanti, Saussure, pensa cioè come naturale il legame tra i significanti fonetici e i significati. È naturale che i significanti siano fonetici, acustici. La scrittura dovrebbe limitarsi a riprodurre questi suoni.

Saussure è preoccupato dalla possibile inversione dei rapporti tra la scrittura e la parola; la scrittura deve solo riprodurre i suoni e rimanere incasellata nel suo ruolo; altrimenti produce una perversione del linguaggio.

Questo discorso prende la piega di un rapporto tra natura e cultura, e in particolare con la tecnica. Come concepire questo rapporto?

p. 58

La funzione della techne.

Derrida introduce la questione dell’istituzione della tecnica, come due concetti che possono essere considerati come qualcosa di secondario, di inessenziale; insieme alla storia, che si apre appunto con la tecnica.
Tutto ciò sarebbe qualcosa di esteriore, che va mantenuto all’esterno.

Derrida legge Saussure sempre in parallelo a Rousseau. Troviamo citazione intrecciate di Saussure e Rousseau.

p. 62

L’immagine grafica di una parola ci colpisce come oggetto solido.

La permanenza della scrittura è ciò che produce la sua supremazia, il suo primeggiare sulla scrittura.
Si tratterebbe, per Rousseau, di una rottura con la natura, del legame naturale tra i segni istituiti della voce e il primo linguaggio dell’uomo.

Il vocabolo scritto si fonde con il vocabolo parlato e lo usurpa

La scrittura non è che la rappresentazione della parola, è singolare che si cerchi di determinare di più l’immagine che l’oggetto vero e proprio.

Viene messa in discussione la derivazione gerarchica della scrittura (intesa come techne o seconda natura) dalla prima natura.

Come concepire dunque l’origine? Va concepita come qualcosa di in sé in tatto, la natura a cui si aggiunge in maniera supplementare qualcos’altro.

p. 63

Nel gioco della rappresentazione il punto di origine è inafferrabile. C’è un rinvio infinito delle immagini le une alle altre, ma non c’è più sorgente, origine semplice, atomos.
Ciò che si riflette si sdoppia in se stesso; non soltanto come addizione a sé della sua immagine. L’origine della speculazione diventa una differenza.

L’origine è qualcosa di monolitico, o già in se stesso sdoppiato? Jacob, studioso francese. L’unità della vita è il batterio, che ha un’unità interna. Poi Jacob ammette che il batterio inizia a riprodursi perché ha accolto in se un batterio - questa è la prima forma di riproduzione sessuale non endogena; una intrusione di materiale genetico esterno.

Il problema per Derrida non è come da uno si produce due, ma come da due si produce uno. All’origine c’è questo sdoppiamento, la différance, da cui si produce l’uno. Sdoppiamento come carattere originario dell’essere.

Istituzione di una seconda natura rispetto alla prima natura. Questo è un problema teorico interessante.

Derrida si sgancia quindi dal platonismo come forma di monismo, e l’idealismo, che in realtà è sempre stata una forma di dualismo. C’è l’Uno e la Diade infinita all’origine di tutto per Platone.

Innanzitutto la polemica nei confronti dell’idealismo è giusta. L’idea dell’origine come qualcosa di intrinsecamente divisa ha a che fare con l’idealismo. Hegel nella dottrina dell’essere vuole distinguere il suo sistema dal sistema dell’identità, quello di un certo Schelling.

La questione dell’origine riguarda in definitiva più l’idealismo che delle forme di monismo.

Non bisogna confondere il dualismo con una divisione soggetto/oggetto - questo è un dualismo cartesiano, dualismo sostanzialistico in cui la res cogitans è il soggetto e la res extensa l’oggetto.
Il problema del dualismo è il problema dell’esistenza di qualcosa che non è la natura stessa, ma l’immagine della natura.

Il soggetto non è uno dei poli di questo dualismo, ma è ciò che rende possibile il dualismo. Il problema del dualismo secondo Chiurazzi è legata al fatto concreto che esiste la realtà ed esiste il sapere della realtà; e non la divisione soggetto oggetto.

Tocca allo psicologo determinare il posto esatto…

Ciò che Saussure non interroga è la possibilità della non-intuizione, o simbolicità - per Husserl i segni fonetici sono simboli delle cose. Questo è lo stesso modo in cui la parola simbolo veniva usata da Hegel: c’è un legame naturale tra il simbolo e ciò che esso simboleggia.

Quando si parlerà di Peirce, il segno sarà qualcosa di meramente convenzionale (es. simbolo matematico).

La possibilità per i simboli di svuotarsi della loro notazione originaria è una crisi.

La crisi è proprio una crisi del logos.