Filosofia Teoretica II - Derrida

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Gabriele Ferri

Lezione 1: lunedì 11 novembre

I testi del corso sono tra i suoi primi scritti, tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70.

Anziché essere scritta différence è scritto différance; è un neologismo di Derrida, ma a livello fonetico le due cose sono indistinguibili.

Questo corso prenderà le mosse dal testo La différance.

Biografia (1930 - 2004)

È un francese di origine algerina e ebrea. Non è mai stato un praticante ebreo, ma la cultura ebraica ha influito sulla sua filosofia, in particolare sugli aspetti etico-politici della sua filosofia, in particolare con l’idea di un messianismo deserto.

Spettri di Marx (1993), con riferimento a La fine dell’uomo di Fukuyama. Derrida riprende il pensiero di Marx, sostenendo che la filosofia di Marx è l’istanza di un messianismo, come qualcosa che deve ancora realizzarsi. Secondo Derrida ciò che scrive Fukuyama è la realizzazione di una buona novella del liberalismo; ma non è vero, sostiene Derrida, il messia non è ancora arrivato, e la giustizia deve ancora realizzarsi. Messianismo deserto: cioè la giustizia deve ancor arrivare.

Viene cacciato dal suo liceo in Francia a causa delle leggi razziali.

In generale, anche rispetto alle sue origini biografiche, potremmo dire che la sua filosofia tematizza una Unheimlichkeit, uno spaesamento.

Decostruzione

Il suo nome è legato all’introduzione dell’idea decostruzione in filosofia. Nella decostruzione si cerca di smontare (de-costruire) qualcosa che è costruito.

Un primo riferimento a questo concetto è presente in Essere Tempo (1927).
Derrida afferma che nessuna delle risposte della decostruzione sarebbe stata possibile senza l’apertura delle domande heideggeriane.

Al paragrafo 6 di Essere e Tempo, Heidegger ripropone la domanda sul senso dell’essere in generale. Questo è un primo riferimento che può essere citato per identificare il concetto di decostruzione. Heidegger sostiene che l’essere sia caduto nell’oblio, a partire da Platone. Non sappiamo più che cosa significa to on, l’ente. Dobbiamo allora esaminare il problema dell’essere.

Platone nel sofista contrappone i monisti e i dualisti, e dà una delle definizioni di ciò che è l’essere (un hapax legomenon, si trova soltanto in quel luogo di Platone e da nessun’altra parte): dobbiamo pensare all’essere come dynamis, ossia come dinamicità.

Heidegger pone questo brano del Sofista di Platone in esergo a Essere e Tempo. Heidegger dice che bisogna indagare i certificati di nascita dei concetti filosofici, facendone una genealogia (Adbauen), rendendosi conto di come si sono costruiti geneticamente questi concetti. Un metodo simile a quello fenomenologico della genesi e a quello nietzschiano della genealogia.

Derrida estende l’applicabilità di questo metodo da Heidegger a qualsiasi concetto. Si tratterebbe di un metodo “indisciplinato”, in quanto:

  1. va fuori da un discorso sistematico.
  2. non rispetta i territori disciplinari. C’è una contaminazione nel senso che spesso Derrida esamina non testi filosofici quanto letterari (psicanalitici), intrecciando tutti questi discorsi, per esempio leggendo un testo filosofico in modo psicanalitico e un testo psicanalitico in modo filosofico. Tutti questi testi si intrecciano tra di loro, in un modo che possiamo chiamare testo generale: non c’è una delimitazione specifica delle discipline, ma tutte si intrecciano nell’ambito del testo generale.

Anche dal punto di vista stilistico, non solo troviamo riferimenti variegati, ma anche nel modo in cui i testi sono costruiti - non rispettano, cioè, la forma canonica del testo filosofico, e sono in un certo avanguardistici e provocatori nell’esposizione.

Derrida parla a proposito dei suoi testi di labirinto.
Un altro testo di Derrida, Glas, è ancora più illeggibile, il testo del libro si presenta come un insieme incrociato di testi disposti variamente all’interno della pagina da.

Un intreccio di voci ed elementi quindi, il cui obiettivo è quello di contestare un aspetto: la dimensione lineare del significato. Contesta l’idea cioè che il significante si sviluppi in maniera lineare; il significato si sviluppa invece come una rete sincronica attraverso vari riferimenti.

Secondo il figlio di Levinas, Glas si legge come uno spartito, cioè si leggono contemporaneamente (almeno) due livelli di lettura - nello spartito rappresentate dalla chiave di violino e la chiave di basso.
L’inconscio è l’argomento di tutto questo libro; c’è un’omogeneità tra il sapere assoluto e l’inconscio - messo in evidenza dalla disposizione grafica del libro.

Altri testi bizzarri di Derrida sono La verità in Pittura e Invii.

Conferenza La différance

Due questioni importanti per capire questo testo:

  1. lo strutturalismo
  2. la metafisica della presenza

Strutturalismo

Lo strutturalismo è una corrente filosofica molto in auge nella Francia degli anni ’60 e ’70. In quegli anni c’erano due grosse correnti: la fenomenologia, che costituisce uno dei termini di confronto principali di Derrida, e lo strutturalismo.
Più che come corrente filosofica, lo strutturalismo nasce come teoria lingusitica di Ferdinand de Sassaure, che scrive corso di linguistica generale 1916. Lo strutturalismo nasce quindi come metodo di indagine linguistica e teoria del linguaggio e del significato, che si estende ad altre discipline, come l’antropologia (Levi-Strauss) e la filosofia (Lacan).

Ma cos’è una struttura? Applicata al linguaggio, significa che il linguaggio è una serie di permutazioni governate da una legge fondamentale di produzione del significato: la differenza.

Saussure dice che nel linguaggio non ci sono termini positivi; il significato si produce in maniera differenziale attraverso ciò che distingue una parola da un’altra, un significato da un altro significato. Una parola è significante se teniamo conto della sua differenza rispetto ad altre parole; non è mai un termine positivo assoluto.

Il termine polemico implicito di Derrida è l’atomismo logico di Russell. Il senso teorico dell’opera di Derrida è quello di contestare la teoria atomistica del significato; cioè l’idea che esistano significati in sé, che possano cioè essere isolati, senza relazione ad altro.
Per esempio, una concezione referenziale del significato dice che la parola libro si riferisce al libro.

Al contrario, lo strutturalismo si riferisce al significato come negazione di negazione; fa riferimento sulla possibilità non di isolare il significato, ma di identificare le sue relazioni differenziali rispetto ad altri. Non ci sono mai atomi ultimi, ma un gioco di differenze, cioè di negazioni.

Altro riferimento è l’intuizione eidetica di Husserl - lo vedremo ne La voce e il fenomeno.

Lo strutturalismo quindi contesta:

  1. fenomenologia
  2. atomismo logico

Secondo De Saussure, non c’è un modo unico di scrivere la lettera T, ognuno la scrive in modo diverso - l’importante è che si distingua dalle altre, cioè che mantenga un tratto differenziale, senza avere un’identità.
Nel linguaggio non ci sono termini positivi: questa è una contestazione del concetto aristotelico di sostanza, intesa come ciò che permane.

Per lo strutturalismo, dunque, tutto è relazionale e differenziale.

Alcuni aspetti dello strutturalismo vengono contestati da Derrida. Per questa sua posizione viene identificato come post-strutturalista, cioè si rifà al movimento ma ne contesta alcuni aspetti.
Ciò che Derrida non accetta dello strutturalismo (come Deleuze e in un certo senso Foucault) è che per Saussure lo studio delle strutture (ad esempio lo studio della parentela) è uno studio sincronico, come una quantità di elementi che si combinano e ricombinano tra di loro dando luogo a giochi differenti; questo privilegia lo studio sincronico della struttura e il suo aspetto costruttivo, cioè il fatto che questi elementi combinandosi danno luogo a delle costruzioni.

In Derrida invece c’è invece interesse per uno “smontaggio”, in riferimento alla forza, all’energia, a un aspetto dinamico e temporale: con particolare riferimento a Nietzsche e Freud.

I post-strutturalisti introducono il dionisiaco nello strutturalismo - un elemento dinamico, energetico, libidico, per cui le differenze non sono solo dovute a delle relazioni “inerti” combinatorie, strutturali, matematiche (matematizzazione del linguaggio, es. Chomsky), ma a delle energie, per così dire, per cui i rapporti relazionali e differenziali sono anche dei rapporti di forza e rapporti di potere; introducendo all’interno di questo discorso una dimensione etica e politica (es. concetto di dispositivo in Foucault).

Le strutture non sono immobili e inerti, ma sono dinamiche. Questo giustifica la loro decostruzione. Non bisogna perdere il tempo che sono delle strutture storiche che possono essere comprese - aspetto genetico.

Elvio fa una domanda: cosa rimane dello strutturalismo di Althusser? Derrida e Althusser hanno anche delle relazioni biografiche. C’è un testo, Teoria e prassi in cui Derrida parla di Althusser. Sembra che Althusser sia più incline a sostenere la prassi. Lo strutturalismo veniva accusato di essere eccessivamente deterministico e “platonico”, per cui le strutture sono prevalenti sugli individui (Foucault e Lacan: ci sono dei dispositivi, gli individui sono assoggettati e determinati dai dispositivi)

Cosa resta invece dello strutturalismo classico in generale? La dimensione relazionale delle strutture, che non sono forme platoniche; hanno una genesi e possono essere decostruite.

Metafisica della presenza

Metafisica della presenza è una espressione collegata alla critica di Heidegger alla metafisica.

Metafisica della presenza significa il privilegio della presenza all’interno della metafisica occidentale.
Platone e Aristotele insistono sul fatto che qualcosa è al tempo presente, ed è eternamente. È il privilegio di tutto ciò che è eterno, permanente, e che fa del presente il concetto cardine anche dal punto di vista temporale. Tutto è teorizzato a partire dal presente e come presente.

Heidegger in Essere e tempo cerca il senso dell’essere in generale, che è andato perduto. Per trovarlo, ci rivolgiamo a colui che pone questa domanda: l’esserci (ossia l’uomo), formalmente definito dal fatto di esistere, per cui la domanda sul senso dell’essere richiede anzitutto che si analizzi l’esistenza stessa dell’esserci (analitica esistenziale). Il senso ultimo di questa analitica esistenziale è il fatto che l’essere sa di essere mortale, cioè di essere temporale. Se l’orizzonte dell’esserci è il tempo, questo deve riflettersi sulla concezione del tempo in generale.

Il discorso di Heidegger: la metafisica, obliando la temporalità costitutiva dell’essere ha potuto costituire tutto il discorso metafisico in base alla presenza; la metafisica della presenza è un oblio del tempo, dimensione costitutiva dell’esserci.
Obliando il concetto temporale dell’esserci, la metafisica ha potuto costituirsi come privilegio della presenza in generale.

Tutti i concetti metafisica dipendono dalla presenza; per esempio il concetto di coscienza, e derivativamente tutta una galassia concettuale che fa riferimento alla coscienza, come la voce.
Questo comporta una svalutazione di tutto ciò che non è presente: il passato, il futuro e tutto ciò che mette in discussione la dimensione di presenzialità.

La parola fondamentale di tutta la filosofia di Derrida è la scrittura (in greco grammé). Per questo della grammatologia, cioè una scienza della scrittura.
Nella filosofia c’è una contrapposizione originaria tra la sostanza, ossia la presenza (per i greci anche la coscienza); contro un altro concetto che è quello della scrittura, che indica una non-presenza: il testo scritto non richiede né la presenza dell’autore né del lettore.

Per il fatto stesso di essere scritto rimanda intrinsecamente a queste due assenze potenziali. I suoi testi possono essere considerati degli invii, che vanno verso il futuro.

Dove si vede questa primigenia discriminazione tra il sistema della presenza e della voce da una parte, e una scrittura, non presenza, traccia dall’altra?
In Platone, nel Fedro, precisamente nel Mito di Teuth, in cui Teuth dona a sua padre Thamus la scrittura. Teuth è anche l’inventore delle tecniche in generale - dice di aver trovato un rimedio (pharmakon) alla dimenticanza e all’oblio del sapere. Derrida scrive queste cose ne La farmacia di Platone (1970).

Thamus obietta a Teuth: questo non è un rimedio alla mancanza di memoria, ma qualcosa di negativo, in quanto i testi scritti possono essere lasciati a sé stessi, figli bastardi che dimenticano il loro padre e si emancipano, comportando un allontanamento dall’origine, elemento negativo perché porta lontano dalla verità e dal vero sapere.
La questione deriva dalla dualità della parola pharmakon, che in greco ha significato sia di veleno che di medicina.

Platone, tramite Socrate, nel Fedro, condanna la scrittura, che comporta un allontanamento dall’origine e dalla verità. Questo implica - che la verità sia nell’origine - che la verità consista nella presenzialità nell’origine

Per Socrate la filosofia si deve svolgere con la voce e nell’immediatezza; per questo non ha scritto nulla. Platone l’ha fatto, andando contro il suo maestro, ma utilizzando la forma più vicina al discorso: quella dialettica.

Il metodo decostruttivo di Derrida consiste in questo: prendere un aspetto marginale di una filosofia e usarlo per far crollare tutto il sistema. Questi aspetti vengono intesi come sintomi e tracce di qualcos’altro.
In questo caso si prende un mito secondario all’interno della tradizione platonica, e viene adoperato per mostrare come viene fondato il sistema della metafisica della presenza, come elemento fondativo e strutturante della metafisica occidentale.
Facendo vedere questa costruzione, la decostruisce.

La scrittura diventa il chiavistello per scardinare tutto il sistema.

In Memoir pour Paul Demain Derrida afferma che la decostruzione individua delle fratture in delle unità che si pretendono monadiche (ben costruite e sistematiche) e le decostruisce. È sempre un’operazione marginale, che opera su elementi marginali, sottaciuti e non visti. Derrida la chiama anche un’operazione micrologica, che parte da elementi minimali per produrre effetti catastrofici.

Tutto il sistema della fenomenologia secondo Derrida è debitore del sistema originariamente platonico della presenza.

Lettura da La différance (1968) - in margini della filosofia

Leggiamo i primi due capoversi della Differance - che leggeremo tutto.

Il testo è da una conferenza tenuta di fronte alla società filosofica francese nel 1968.

Un’altra raccolta di saggi di Derrida è intitolata La scrittura e la differenza.

Il problema dell’alfabeto, nell’analisi della lettera “A”, è anche il problema dell’origine. La sostituzione della e con la a nella parola différance è una sorta di trasgressione dell’ortodossia.

Questa trasgressione sembra non produrre effetti, perché rimane al livello del logos - si potrebbe sempre fare come se ciò non facesse differenza, ma fa differenza, in un’ottica strutturalista produce uno slittamento del significato.

Vuole riunire in modi convergenti i vari in modi in cui gli è capitato di usare questa parola - che non è un concetto - nei suoi testi passati. Quello che cerca di fare è tenere insieme tutte le linee semantiche che ha seguito, che sono anche delle linee di forza: ogni costituzione di significato, ogni differenzialità che produce significato, è una linea di forza, un elemento dinamico.

Lezione 2: 12 novembre

Ricordo dunque in via del tutto preliminare…

Due questioni in questo paragrafo:

  1. la “a” di différance non si intende, non è un fatto sonoro - non si intende nemmeno al livello dell’intelletto - va al di là dell’intelletto ossia al di là del logos; eccede sia l’ordine della percezione che del mero intelletto.
  2. riferimento alla “piramide” (Enciclopedia) in cui Hegel paragona il segno alla Piramide della filosofia (nel volume Margini della filosofia questo riferimento continuerà ne il pozzo e la piramide: il pozzo è la riserva del senso contenuta nella piramide. Il segno è come la piramide perché è come un sarcofago che custodisce un cadavere, la scrittura. Il senso deve essere ri-vivificato. Al suo interno il segno custodisce qualcosa di morto.

Littera occidit, la lettera uccide, e lo spirito vivifica. Ciò che è scrittura è morte - è sempre in funzione della voce; questa è un’idea che ritroviamo nelle scritture; e anche in Fichte.
È una tomba che non si può nemmeno far risuonare (non può essere vivificata dalla voce). La differenza grafica “non risuona”, nemmeno nella voce. La differenza è qualcosa di scritto: ci sono differenze che si producono senza avere risonanza, senza accedere al logos o elemento spirituale.
La fondamentalità della scrittura è il senso ultimo del suo discorso.

Non esiste scrittura unicamente fonetica - la scrittura fonetica funziona solo accogliendo in se stessa elementi non fonetici in rapporto ai quali ci si potrebbe rendere conto che essi tollerano assai male il concetto di segno.

La scrittura è sempre stata concepita, almeno nella cultura occidentale, in funzione della voce.
La nostra scrittura alfabetica riproduce i suoni. La struttura fonetica è indicativa di una concettualità che si è affermata in occidente - nel De Interpretatione troviamo il modo in cui si è formata questa concettualità; aristotele dice che tutti i segni rimandano a cose che sono fuori di noi, e queste cose sono uguali per tutti. Anche le affezioni che queste cose producono sono uguali per tutti.

Le rappresentazioni vengono indicate con segni, su tutti la voce, e sono per convenzione. I segni scritti poi, riproducono le cose.
Gerarchia:

La scrittura dunque non fa che essere copia di copia, in particolare dei suoni.
Ciò che è primario rimane dunque la voce.
Non esiste, dice qui Derrida, una scrittura puramente fonetica. La punteggiatura, per esempio, non ha alcun valore fonetico, ma, soprattutto, gli spazi vuoti. Gli spazi vuoti non sono suoni, ma sono significanti differenziali.

In un passo del Sofista Platone dice che se noi parlassimo in maniera continua e dicessimo le parole una dietro l’altra non si capirebbe nulla - bisogna sapere dove inserire degli spazi, un elemento che in quanto spazio produce una differenza. Questo è quanto vuole dire qui Derrida: ci sono degli elementi interni al linguaggio che producono differenze senza avere un suono.

La differenza, di per sé, è il prodotto di una spaziatura, che non può essere logicizzata.

Se non esiste scrittura puramente fonetica, è perché non c’è una fonetica puramente fonetica. La differenza resta, in sé, inudibile.

Se si prende sul serio la teoria saussuriano del significato, si deve dire che la differenza di per sé non ha un suono ( hanno un suono i singoli elementi, ma non la differenza tra loro).
Questo significa che un suono è sempre qualcosa di immediato che viene colto temporalmente. Ha suono la “a” e ha suono la “b”, ma ciò che produce questa differenziazione non ha un suono.
Per questo Derrida si rivolge alla scirttura, perché la scrittura è un sistema in cui i vari simboli si danno spazialmente e sincronicamente. La scrittura ha una dimensione spaziale.

Si obietterà che la differenza grafica [soffre degli stessi problemi]; senza dubbio - ma bisogna lasciarsi rinviare a un ordine che non appartiene né alla sensibilità né all’idealità, associata all’oggettività dei teoremi. Bisogna lasciarsi rinviare a un ordine che va oltre l’opposizione tra sensibile e intellegibile. La différance non appartiene né alla voce né alla scrittura.

La scrittura è il luogo reale di produzione delle differenze. La différance eccede sia la sensibilità che l’intelletto. In che senso? Se per sensibilità intendiamo che la struttura temporale della sensibilità è il presente, è il presente anche la struttura temporale dell’intelletto? L’intelletto, come la sensibilità, non fa altro che cogliere delle idealità, in sé definite e atomiche.

Nella sensibilità colgo un colore, e lo colgo in termini husserliani nella sua essenzialità. L’intelletto in questo caso è come se funzionasse allo stesso modo, ossia come una capacità puramente di pensiero che coglie un quid concettuale allo stesso modo con cui la sensibilità coglie il colore rosso.

La noesis come la aisthesis per Aristotele coglie ciò che è indiviso, ossia atomico.

Sensibilità e intelletto hanno così la stessa strutturazione: quella di cogliere qualcosa di immediato e in sé per sé. Derrida li mette in correlazione in questo modo.
Identità di struttura tra ciò che è puramente ideale, noetico, e ciò che è sensibile.

Ciò che è differenziale richiede invece una operazione diversa, comparativa. Ci torneremo.

Da dove mi rifarò…?

Verità del presente e presenza del presente. La différance eccede l’ordine della verità e può essere definita solo negativamente.

La différance è ciò che permette la presenza, il darsi di qualcosa. Ma di per sé non si presenta mai. In questo senso mette in discussione la verità nella misura in cui la verità (intesa in senso fenomenologico) è evidenza, ossia venire alla manifestazione.

È un aspetto molto heideggeriano (l’essere non si dà mai come ente).

La différance è il gioco delle differenze, che permette il msotrarsi di qualcosa ma di per sé non si mostra mai. Il tono del discorso potrebbe così sembrare quello della teologia negativa.

Già si è dovuto mostrare…
Non ricade sotto nessuna categoria dell’ente, ma ciò che si rimarca della différance non è teologico, in quanto essa si è sempre sforzato di aprire un varco.[…]
Non è solo irriducibile a qualsiasi definizione teologica; ma la comprende, la iscrive, la eccede.[…]

Non vogliamo esprimere una teologia dell’essenza. Onto-teologia è un termine introdotto da Heidegger, per cui Dio è un super-ente, qualcosa per cui gli attributi dell’ente si possono dare in maniera analogica, ma che resta qualcosa che ha questi attributi in maniera eminente. La différance non è questa; non è un ente né un Dio ma il gioco differenziale che si produce e rende possibili gli enti. Non è dunque una super-essenza.

Per la stessa ragione… […]
Il concetto di gioco è al di là dell’opposizione; annuncia l’unità del caso e della necessità in un calcolo senza fine

La différance viene definita come l’origine di tutte le opposizioni metafisiche. Non si può dire che la scrittura in quanto différance è il “vero luogo” in opposizione alla phone.
Vuole dire che la différance è il luogo originario dell’opposizione tra phonè e scrittura.
La différance è la differenza tra la a e la e, che non ha nessun segno tangibile.
Un po’ come Heidegger dice del senso dell’essere; non è un ente - lo posso nominare l’essere, nel momento in cui lo nomino lo trasformo in un ente, ma in verità l’essere non è un eente.
In questo senso la differenza è un luogo originario; ma questo non ha niente a che fare con l’origine concepita come una sostanza, come una sorta di unità; questa unità produce una serie di conseguenze. Se per origine, per principio si intende questo, un quid da cui si origina qualcos’altro, la différance non è questo.
La différance è già in se stessa, e dall’inizio qualcosa di diviso; non è qualcosa di atomico. Non è una arché intesa come principio unico. Derrida parlerà della archiscrittura, e dovremo tenere presente questo significato.
L’empirico è qualcosa che non ha un principio né un telos.

I post-strutturalisti fanno una “iniezione di dionisiaco nelle strutture d’ordine, sistematiche, combinatorie dello strutturalismo”. Nel momento in cui i post-strutturalisti inseriscono il dionisiaco nella struttura inseriscono un elemento di disordine.

Perciò per decisione…[…]

Persino l’introduzione della différance ha una motivazione strategica; serve a smontare l’edificio della metafisica. È una violenza che ha questo risultato.

Dirò dunque in primo luogo […] La différance è ciò che è migliore per pensare e non dominare […]

È un operazione strategica che faccio in un momento storico ben preciso

Benché…

Non è un concetto, non è una parola, ma il modo in cui la parola è fatta richiama una serie di fili semantici che prova a sbrogliare.

Innanzitutto la parola stessa différance, la parola differre, da cui deriva differenza in latino ha due significati distinti e non è la semplice traduzione del greco diaphero.
Il latino era considerata una lingua filosofica inferiore al greco. Il latino consente delle chance filosofiche maggiori che non il latino. Il significato che la parola greca diapherein non contempla è quello temporale. Differance mantiene questa proprietà, che lui chiama temporizzazione - concetto del tempo diverso da quello della phone

Se la phonè è fondata sulla presenza, la différance è fondata sul differimento della presenza. Il segno ha la struttura temporale del differimento.

Differire in questo senso è temporeggiare

La voce e il fenomeno ha come argomento la dottrina del segno in Husserl (Par. 6 della I Ricerca Logica). Husserl dice che l’esperienza vera della coscienza deve mettere da parte la scrittura ma anche i segni verbali; la modalità propria di esprimersi della fenomenologia è l’espressione, cioè la totale aderenza del significanteal significato.

Bisogna riempire i segni vuoti: la verità è un riempimento delle nostre forme concettuali. Derrida vuole mettere in discussione questo aspetto.

La différance è un rinvio costante e continuo…

Non abbiamo mai l’intuizione ultima di qualcosa. La différance è una temporizzazione che è un rimando.

L’altro senso del differire è quello più comune

Non essere identico, essere altro, discernibile.

Bisogna comunque attivamente che dagli elementi altri si produca intervallo, distanza.

La différence non ha mai potuto rinviare al dissidio Può rimandare allo stesso tempo a una quantità di significati, è polisemica.

Différant significa “che differisce” - la parola conserva questo aspetto di dinamico come ciò che si attua prima che ciò abbia prodotto un aspetto differente.

In una concettualità…

La différance designa la causalità originaria, il processo di divisione di cui le differenze sarebbero i prodotti. Ossia, è un arché in se stessa divisa, cioè produce la sua divisione.

Può essere pensata come una causalità attiva; ma in francese delle parole che finiscono in -ance sembrano indicare uno stato verbale intermedio tra l’attivo e il passivo. Come se la parola différance recuperasse la voce media, che nella nostra lingua si è persa.
Queste parole conservano il senso di questa voce.

Infatti ciò che si lascia designare con différance non è né passivo né attivo, ma piuttosto richiama la voce media. […] Non è né passione ne azione di un soggetto su un oggetto.

La filosofia si è costituita accentuando i dualismi e reprimendo questa dimensione mediale che è andata perduta attraverso la contrapposizione, per esempio, soggetto-oggetto.
Facendo prevalere la dualità attivo-passivo, ha perso il senso di questa voce media.

Differance come temporeggiamento

La différance, aveva detto, è origine dello spazio tempo, tempo come differimento e spazio come spaziamento.
La questione del temporeggiamento fa riferimento alla struttura del segno.

Il segno si mette al posto della cosa stessa, che vale tanto per il significato quanto per l’oggetto - il segno rappresenta il presente in sua assenza e sta in luogo di essa, ossia lo rap-presenta, sta al suo posto.

Quando il presente non si presenta noi significhiamo, passiamo attraverso la mediazione del segno. Segno che sarebbe dunque la presenza differita.

La circolazione dei segni differisce il momento in cui potremo incontrare la cosa stessa. Tutto questo è fortemente anti-fenomenologico, in quanto la fenomenologia ammette la possibilità di arrivare al vero significato delle cose. Il segno mette in discussione la presenzialità.

Ciò che…

Derrida vuole dire che se il segno è definito come ciò che sta per qualcosa - questo presuppone che prima c’è la cosa, poi c’è il segno, ossia il differimento della presenza.

Conseguentemente, questo prima è anche il fine del segno. Il segno rinvia a una presenza come ciò che prima o poi si deve dare di nuovo, in presenza. È cioè un tra provvisorio tra due presenze, due intuizioni, quella che sta all’inizio e quella che sta alla fine.

Il segno è una struttura di rinvio, ma una struttura di rinvio provvisoria, ossia secondaria rispetto alla presenza.

Derrida vuole invertire questo ordine: prima c’è la differenza, mentre la presenza è un prodotto secondario della différance. È perché c’è différance che c’è presenza, e non viceversa.

Se mettessimo in discussione questo carattere, vedremmo affermarsi una différance originaria (espressione ossimorica). […] Interrogare il carattere

Derrida preferisce a segno la parola traccia (definizione di Levinas) come un passato che non è mai stato presente; cioè, un puro rinvio.

La différance sembra riportarci alla differenza ontico-ontologica.

Si vede il debito di Derrida nei confronti di Heidegger. La dimensione temporale non è la temporalità dell’“ora”. Il senso del tempo viene sempre definito, dice Heidegger in Essere Tempo, in base al presente.

Distingue la différance dalla differenza ontologica di Heidegger.

Concentriamoci innanzitutto…

Vuole mostrare il nesso tra la différance come spaziamento e come differimento Saussure ha posto l’arbitrarietà del segno a fondamento della semiologia differenziale. Non può esserci arbitrarietà nel sistema dei segni.

Il segno è arbitrario perché è originario il gioco differenziale.
Potremmo inventare dei segni per qualsiasi concetto, segni che si distinguono arbitrariamente da tutti gli altri segni che usiamo - e non perché sono legati intrinsecamente ai concetti che rappresentano.

La parola différance non è venuta fuori dall’intuizione di qualcosa - è stato un gesto arbitrario ha prodotto uno spostamento concettuale; produrre un significato è un gesto e non una intuizione.
Il gesto differenziale non proviene da nessuna pienezza significante, ma è lui stesso a produrre un significato.

Lezione 3: 13 novembre

p. 37 Ora questo principio della differenza…

Il principio della differenza affetta la totalità del segno; Saussure diceva che il segno è un’unità, una moneta, una pagina in cui il retto e il retro sono il significante e il significato; per questo è la totalità del segno.

Nella lingua non ci sono che differenze senza termini positivi; la lingua non comporta né idee né suoni che preesistano al sistema linguistico, ma solo differenze concettuali e foniche (citazione di Saussure).

Si ribadisce il principio differenziale come principio linguistico generale che riguarda sia il significante che il significato; nella lingua non ci sono termini positivi; non c’è mai un significato identificabile in sé stesso come punto autonomo che possa sussistere di per sé senza relazione con gli altri significati.

Il suo significato è definito come non essere tutto ciò che lo circonda - questa è una definizione olistica del significato; rimanda alla totalità dei significati, e in rapporto alla totalità; non è mai qualcosa di isolabile che sussiste in sè (idea anti-platonica del significato).

Quando parla del significante, Saussure parla sin dall’inizio della maniera fonica. Saussure resta legato ad una concezione meramente fonetica dei segni, senza alcune riferimento alla scrittura. Saussure dirà anzi che la scrittura è un traviamento del linguaggio e dei segni, una condanna di tipo platonico. A causa di ciò Derrida accusa Saussure di psicologismo, l’anima è il movimento vitale, il modo in cui si esprime il movimento vitale è la parola. Dire in questo modo che il significante è un principio psichico significa riportalo alla voce - Derrida tratterà di queste questioni ne La grammatologia.

Ogni concetto è inscritto in una catena o in un sistema in cui invia all’altro. La differenza è la possibilità della concettualità, e non un concetto. Non è neanche una semplice parola.

Dire presenza e rinvio a sé è la stessa cosa per Derrida. La sostanza è qualcosa che sussiste autonomamente.
Da qui deriva, insieme al pregiudizio psicologistico, il pregiudizio coscienzialistico (la coscienza che si riferisce a sé stessa è l’autocoscienza - Cartesio); tutti i filosofi di questa epoca hanno come riferimento Cartesio.

Uno di questi attacchi all’idea cartesiana che la coscienza sia un principio di principi, ossia che sia sostanza, verrà dalla psicanalisi. Questo è il motivo per cui Spinoza lo criticherà - se la sostanza è ciò che sussiste di per sé e non è in relazione ad altro, la sostanza è una sola.

Per Derrida non c’è neanche quella sostanza, non c’è nulla che esiste in modo autonomo e sostanziale. Filosofia differenziale è un attacco alla sostanza e al principio di identità, i principi fondamentali della metafisica; un attacco radicale, quindi.

La differenza di cui parla Saussure…

In un sistema della lingua non ci sono che differenze.

Tutto ciò che c’è nella lingua non è qualcosa di platonico, non c’è nessun luogo noetico, non preesistono come le idee platoniche. Non sono a priori, ma sono effetti e prodotti del gioco differenziale della différance; per questo hanno una storia e sono temporali.

Ciò che si dice différance

È ciò che produce le différance, ma non è per ciò stesso prima di esse - è un’origine strutturata ma non in sé.
Non c’è niente che precede le différance. Esistono solo le differenze. È lo spaziamento che produce e dà luogo alle differenze.

Poichè la lingua, che Saussure…

Le differenze sono effetti prodotti, ma effetti che non hanno per causa una cosa in generale o una sostanza. Se il concetto di causa implicasse tale presenza, dovremmo parlare di effetto senza causa.
La traccia non è un effetto più di quanto non abbia una causa.

I concetti di sostanza e di soggetto sono in un certo senso correlativi; il soggetto rappresenta ciò che sta sotto, hypokeimenon (Aristotele), fa da fondamento ed è ciò che permane, cioè è una sostanza.

La correlazione tra sostanza e soggetto si realizza proprio in Cartesio. Oggi quando leggiamo soggetto, leggiamo direttamente “Io”.
Per i Greci il soggetto era lo hypokeimenon, cioè l’oggetto, qualsiasi cosa che sia un “supporto” dei predicati. Con Cartesio si realizza questo spostamento, perché Cartesio vede lo hypokeimenon nel pensiero, cioè nell’Io.

Sorgerà il problema nella filosofia successiva a Cartesio del carattere sostanziale o meno dell’Io. In Kant per esempio l’Io non è sostanza, per esempio. L’idealismo ha cercato in qualche modo di recuperare la sostanzialità del soggetto. Hegel contro Spinoza che aveva detto che c’è la sostanza ma nessun soggetto.

Qui Derrida introduce il concetto di traccia, se parliamo di effetto dobbiamo parlare di una causa, ma come la pensiamo questa causa? Aristotele aveva ipotizzato che l’atto viene prima della potenza, ciò che assolutamente differenziale, è la forza, è la dynamis.

La differenza viene prima dell’identità.
Se io penso una causa senza possibilità (causa prima, cioè un’origine) è come pensare una causa senza differenza. La forza, la possibilità, è differenziale.

Il problema della traccia è legato a questo fatto di pensare la causa: il problema di Derrida è che non si può concepire nessuna causa come priva di differenzialità interna.

Dato che…

Si danno degli effetti di différance, ma la différance non è qualcosa di ulteriore - la différance è esattamente il darsi delle differenze. Una produzione di effetti che è storica

Mantenendo…

La différance è il movimento secondo il quale ogni codice, ogni sistema di rinvii si costituisce storicamente come tessuto di differenze. Produzione storica di differenze.

Continuiamo, dice Derrida, a usare la lingua della metafisica, ma con un significato che viene dislocato.
È un metodo che nel testo finale di Margini, testo-evento-contesto (contro Austin), chiama paleonimia, una parola che possiamo usare per indicare il fatto che l’uso di parole antichi può avere un senso che si disloca per contestare e decostruire l’intero sistema della metafisica.

Se ora si considera la catena…

La traccia si rapporta tanto al passato quanto al futuro. La struttura della traccia viene a coincidere con la struttura del tempo.
Ogni traccia non è mai semplicemente presente, ma marcata da un rapporto con il passato e un rinvio al futuro.

La traccia è un rinvio ad altro e basta. Come dice Levinas, a un passato che non è mai stato presente.

Perché il presente sia se stesso…

Considero un’unità temporale, il presente. Lo considero come unità, cioè come separato da altro, dunque esiste uno spaziamento che lo separa da altro. Se uso al posto di spaziamento qualcos’altro, ci ricorda Hegel. Ci ricorda il fatto che omnis determinatio est negatio, una negazione definitoria. Lo spazio della negazione è costitutivo; dunque qualsiasi punto di questa identità è a sua volta identificato alla stessa maniera; è come dire che ogni oggetto si divide in sé stesso all’infinito.

È un riferimento ai capitoli della scienza della logica dove nella dottrina dell’essenza Hegel parla dei principi logici fondamentali; mentre dico a = a c’è un nulla che viene detto col parlare identico - ciò che trasforma l’identità in differenza. L’identità si trasforma in differenza, e la differenza si trasforma in negazione, e la negazione si sviluppa in contraddizione. Dunque Hegel arriva a derivare la contraddizione dall’identità. Ogni cosa si contraddice in sé stessa.

In Violenza e metafisica, saggio dedicato a Levinas, Derrida cita direttamente Hegel, mentre qui lo sta citando implicitamente.
Questo concetto di differenza è il concetto per noi più ineludibile.

Non c’è niente di semplice e di originario, perché nel momento si cerca di cogliere qualcosa come identità, agisce un principio differenziale, un principio di divisione di qualcosa all’infinito - un concetto che entra nella matematica antica con la scoperta dei numeri irrazionali.

L’architraccia denomina la struttura di rinvio in quanto tale, come rinvio ad altro senza che questo altro sia precedente alla struttura stessa. Ciò che è originario è il rinvio, l’essere traccia.

Questo movimento attivo della produzione…

Non potevamo parlare della différance solo come differenziazione (concetto presente anche in Deleuze)?

  1. Differenziazione farebbe perdere ciò a cui lui tiene, cioè il differimento temporale
  2. Differenziazione potrebbe far pensare a un’unità originaria come la sostanza spinoziana che al suo interno si divide. Ma non è questo il senso della différance. Una teoria “atea” della differenziazione, quindi, se chiamiamo Dio questa unità originaria, à la Spinoza.

Citazione di Hegel

Per Hegel se qualcosa si determina in sé stessa è una totalità escludente, cioè si determina escludendo ciò che essa non è. L’infinito si determina da qualcos’altro, il nulla. Ma la negazione con l’altro implica sempre una relazione.
La negazione quindi è escludente, cioè nelle espressioni a e non-a il non le mette in relazione.

Nel caso del presente, se lo definisco come ciò che non è passato e non è futuro, il non è è ciò che lo differenzia da altro, e Derrida vuole sottolineare come questo rapporto è il presente come rapporto differente, in senso attivo: non è un caso che Hegel usi una parola che derivi dal latino e non è Verschieden o Ungleichlik; Hegel usa una particolare per descrivere ciò, e la lettura che fa Derrida di questo uso è come segue:

Scrivere différant…

Ma chi è che differisce?

Se rispondessimo a tali questioni…

Si può usare il concetto di différance e continuare a usare la nozione di soggetto?

Derrida assume il principio strutturalista per cui ciò che struttura precede ciò che viene strutturato; anche il soggetto è strutturato dalla différance.

Se per ipotesi…

La différance sarà il rapporto della parola con la lingua.

Secondo questo principio strutturalista, anche il soggetto è preso nel principio della différance; la différance concerne non solo gli elementi della lingua, ma il rapporto degli elementi con la lingua.

La lingua non esiste in maniera autonoma dal darsi dalle parole nella lingua - ma è questo rapporto, che coinvolge il soggetto.

[ un salto di pagine]

Questo gesto prima di essere così radicalmente…

La messa in discussione della metafisica della presenza è stata prima di Heidegger, da Freud e Nietzsche. Ma come si articola il concetto di différance in questi autori?

Il concetto di différance è un principio energetico e dinamico e non solo al differenza combinatoria.

Quest’ultimo compare con il proprio nome…

La coscienza è l’effetto di forze le cui cause non sono note.
La forza stessa non è mai presente; non è che un gioco di presenza e di quantità. Ma in che senso? Non ci sarebbe forza in generale senza la differenza tra le forze. La differenza di quantità - il rapporto tra una forza e l’altra - è l’essenza della forza.

La realtà, dice Nietzsche, è una realtà dinamica, da dynamis, ossia fatta di forze, e le forze non si vedono.

Innanzitutto la forza è differenziale. La forza di per sé non si vede; quello che vedo è l’effetto, l’atto, della forza.

Questi argomenti si ritrovano già in Aristotele, libro IX della metafisica, quando parla della dynamis - definita come il principio del cambiamento.

La forza è in relazione a qualcos’altro.

Aristotele introduce la forza per spiegare il movimento; se ho una concezione puramente attualistica del movimento, non posso spiegarlo - Aristotele si rende conto di questo dai paradossi di Zenone.
Per spiegare il movimento e il mutamento bisogna cercare di andare al di là della mera empiria.

Il concetto di dynamis è un concetto non presente, non attuale, che richiede una modalità di approccio che non è quella della percezione, quella preferita dai megarici.

Il medesimo è precisamente…

La differenza tra il medesimo e l’identico.

Il pensiero di Nietzsche è un pensiero contro la repressione adiaforistica (cioè contro la differenza).

La filosofia si è resa cieca al medesimo, che non è l’identico - riferimento a Heidegger (Identità e differenza). Heidegger fa la distinzione tra ciò che è identico.
Se l’identico è identità analitica (idem, cioè a = a, cioè identità analitica) il medesimo è ipsum ed è l’identità differenziale. Ipse pater significa lui e non un altro. Heidegger dice che il vero concetto dell’identità era già in Parmenide.

Kant ha concepito l’io penso come un’identità sintetica, cioè un’identità che si costituisce come una costituzione di differenza.

Derrida distingue il medesimo (la différance) dall’identico.

Lezione 4: lunedì 18 novembre

Cifra senza verità… La verità diventa una funzione (interna al sistema) compresa iscritta, circoscritta.
Nietzsche oppone questo sistema (di forze) alla metafisica.
Questo è importante da considerare, perché implica un sistema di forze in movimento.

La messa in questione della teoria della coscienza è la…

Concependo la coscienza in questi termini (da Cartesio in poi) il discorso che fanno Nietzsche e Freud è un discorso che vuole minare alla base questa concezione della coscienza. Chiurazzi ritiene che noi non sia vero che la coscienza si è sempre concepita così. La distinzione tra medesimezza e identità è probabilmente ripresa da Heidegger (vedi lezione 3).

I primi a concepire l’identità come medesimezza sono Kant e tutti i suoi seguaci (sintesi a priori, cioè il cogito) - un altro modo di concepire la coscienza - Hegel riconosce questo come il più grande merito di Kant. C’è da discutere se la coscienza sia identica e cioè sostanziale, se sia propria anche dell’idealismo tedesco (in Hegel la coscienza è sempre in rapporto all’altro e mai da sola).

Questi due elementi si fondono. La memoria non può essere analizzata senza analisi della differenza.

Il modo stesso in cui Freud concepisce la coscienza denuncia il fatto che per Freud la coscienza è una originaria struttura di spaziamento, un esempio di scrittura.

Esistono popoli senza scrittura (disputa di Derrida con Levi Strauss? Anche una tribù che apre una traccia nella foresta è una popolazione che scrive, lascia una traccia nel suo operare. L’idea che ci siano popolazioni senza scrittura è priva di senso.

Freyez, Freyage, traduce il termine tedesco Badung, indica che l’energia si incanala in una certa dimensione. Nella memoria è come se le esperienze traccino dei tracciati.

Nel noves magico (una tavoletta di cera di cui parla Platone nel Teeteto) Freud vede un simbolo della memoria. Derrida scrive un saggio che si trova ne La scrittura e la differenza.

La memoria quindi nasce come traccia, e nello specifico traccia dell’inconscioche si trova ne La scrittura e la differenza.

La memoria quindi nasce come traccia, e nello specifico traccia dell’inconscio. Il sogno per esempio in Freud: flussi di desiderio che si esprimono; in Freud è esplicitamente il desiderio e il principio di piacere è esplicitamente paragonato a un sistema idraulico, una metafora idraulica.

Una buona traduzione sarebbe instauramento, avviamento.

Tutte le differenze nella traduzione delle trace inconsce possono essere interpretate in termini di différance…

La coscienza non è altro che questo continuo piacere, un piacere pienamente estrensicato è la morte; se un organismo continua a vivere è perché continua ad avere in riserva energia, a differirla; se tutto si estrinseca la differenza si cancella (la morte).

Il piacere, l’assoluto soddisfacimento di qualcosa, possa essere minimamente dilazionato.

La rinuncia alla possibilità di conseguirlo…

Sul concetto batalliano di signoria e servitù; resta interno all’economia ristretta, logica in cui si tende a conservare per capitalizzare;

Dall’altra parte economia generale, del dispendio assoluto, che Bataille chiama sovranità; esempi di Mauss di saggio sul dono oppure esempi di Malinovsky.
La nozione di depense, l’economia del dono per Derrida.
Diversamente da Mauss che dice che il dono innesca lo scambio e inizia la circolazione, il significante mancante.

La questione del dono in Derrida sta in Donare il tempo, su un racconto di Baudelaire. Due escono dalla tabaccheria per comprare delle sigarette; hanno comprato del fumo - l’amico che ha comprato le sigarette si avvicina a un povero e dà una moneta di argento; l’amico si stupisce e dice che era la moneta falsa.
L’amico dice ma tu sei un coglione, dai una moneta falsa a un povero, gli fai passare i guai, oppure l’amico ha voluto sminuire il suo gesto davanti all’amico dicendo che era una moneta falsa? Il racconto finisce con queste speculazioni. Derrida fa a questo punto tutta una riflessione per cui:

  1. il vero dono è quello che va in fumo
  2. uno dono senza avere nulla in ritorno - il dono non deve avere un ritorno, il vero dono è qualcosa di cui non si accorge neanche chi lo riceve.

Derrida discute il saggio di Mauss e legge la critica di Levi-Strauss a Mauss; secondo Derrida il dono si deve fare senza aspettativa di ritorno, perché il ritorno implica una struttura circolare che per Derrida è sempre simbolo di una presenza. Il cerchio è una forma chiusa.

Giacché il carattere economico della différance non implica che la…

In questo senso, contrariamente…

La struttura del ritardo…

Il concetto di traccia…

Prima conseguenza….

Conseguenze:

  1. La différance non è niente; non è un principe né un principio, fomenta la sovversione di ogni regno (ossia di ogni dominio), che la rende minacciosa. È sempre in nome di un regno e di una A maiuscola si può rimproverarle di poter regnare. La différance non è un principio ordinatore, ma un principio di disordine, e in questo senso è sovversivo. L’aspetto differenziale è tutt’altro che un principio di ordine.

  2. La différance non è che dispiegamento storico e epocale dell’essere. La differance ha a che fare con la riflessione epocale di Heidegger sulla perdita della differenza.

Pensare la differenza ontologica…

L’uno differente da sé, in dissidio da sé, si perde all’interno di questa storia dell’essere.
Pensare la differenza ontologica resta un compito difficile il cui enunciato è stato quasi ineludibile.

Pensare questa differenza non significa criticare e riconoscerne la necessità, ma fare una lettura rigorosa della metafisica, bisogna far apparire e sparire col massimo rigore, traccia che non può mai apparire e manifestarsi come tale.
Presentandosi essa si cancella…

Vattimo insiste molto su questa cosa, mantenere la differenza tra essere ed ente consente di non appiattire il senso su ciò che è presente. Appiattire il senso sull’ente potrebbe voler dire appiattire il senso su ciò che è attuale (la percezione) mentre il problema del senso dell’essere è relativo ai segni. La divaricazione tra Heidegger e Husserl si attua anche a questo livello; per la fenomenologia mira al superamento del linguaggio per ripresentare la cosa in se stessa; mentre per Heidegger e l’ermeneutica il senso è sempre ciò a cui rinvia il linguaggio, quindi mette al centro della sua riflessione il problema della comprensione e la funzione mediatrice del linguaggio.

Dire che il senso non è l’ente ha queste conseguenze, l’appiattimento sul presente.
Tutto ciò che è rinvia ad altro, ad un’ulteriorità; più in alto dell’attualità sta la possibilità.

Dove vuole andare a parare Derrida? Il suo discorso è questo: anche il riferimento al mantenimento della differenza ontologica, al fatto che bisogna ricordarla, è un modo di pensare interno alla metafisica della presenza in quanto consiste nel tentativo di mantenere in un qualcosa dell’essere il senso di questa differenza. Mentre la vera traccia della différance non è tanto l’essere e il suo senso, quanto l’oblio dell’essere. L’oblio è la vera traccia della différance; è lo spazio vuoto l’unico luogo della différance, non tanto la A o la E di différance.

Consideriamo per esempio il testo del ’46 “La traccia di Anassimandro

Heidegger gioca sui termini Anwesen (presenza nel senso di provenienza) e wesen (essenza). In alto tedesco il wesen significava il venire alla presenza di qualcosa. Non è la presenza come il gegenwat (il presente nel tempo).

Non è che Heidegger qui sta mettendo in piedi la filosofia della presenza; Anwesen mantiene il significato della provenienza da.
Per Heidegger questo è un modo per intendere la differenza ontologica fuori dal “dualismo” della metafisica. Ciò che resta impensato in Heidegger è la relazione tra presenza come Anwesen ed essenza.

Nella metafisica tradizionale, la provenienza viene trasformata in qualcosa che è già presente, e poi ne fa il principio.

Richiamandoci…

La differenza dell’essere è scomparsa senza lasciare traccia, la traccia stessa della differenza è sparita. Questo sembra essere implicato dal detto di Anassimandro.

Per Heidegger, La storia dell’essere, ciò significa, incomincia con l’oblio dell’essere. La differenza resta esclusa e obliata; solo il presente e la presenza, si svelano, ma non in quanto differenza* - la differenza negativa è cancellata; la differenza appare come un essente presente*.

L’essere stesso, diventa un ente, un “essente presente” (onto-teologia). L’essere per eccellenza diventa così un ente supremo - viene cancellata la differenza stessa e anche la traccia della differenza; tutto è entificato.

La traccia non essendo…

La cancellazione della traccia appartiene alla sua struttura, la costituisce fin dall’inizio, la installa come cambiamento di luogo e la fa scomparire nell’opposizione.

Nella misura in cui l’ente è tale, e nella totale entificazione si cancella ogni traccia della differenza, l’unica traccia che rimane è la cancellazione.
È un discorso contorto.

Derrida vuole esprimere un atteggiamento nichilistico, si fa riferimento alloblio attivo (Aktive ….o) di Nietzsche.

L’oblio diventa l’unica traccia della differenza, che non può assumere nessuna traccia positiva.

Per Derrida la differenza è ancora più antica, che non ha nessuna forma positiva. Prima parlava di teologia negativa, sta portando alle estreme conseguenze il discorso per cui traccia sull’essere non è nulla di positivo, è l’oblio la vera traccia della differenza.

Il testo della metafisica è ancora così compreso…

Si pensa allora senza contraddizione…

Il mantenimento lascia essere il presente, e lo abbandona adesso. Il mantenimento è la remissione della presenza alla disconnessione.

Heidegger fa una traduzione del detto di Anassimandro kata to kreon, cioè secondo necessità. fa un’etimologia di kreon come proveniente da kreomai, traducendolo con Brauen, ossia usare per evidenziare il nesso tra il mantenimento e tenere qualcosa con la mano.

Heidegger non è sufficiente radicale per accettare l’ontologia della differenza. La differenza ontologica apre su questo pensiero, ma il modo in cui Heidegger la concettualizza, nella forma del mantenimento della differenza, lo riporta nella rosa dei metafisici, per dire.

La scelta della parola mantenimento…

È un innominabile, un gioco che fa si che ci siano effetti nominabili, strutture atomiche che si chiamano nomi, catene di sostituzioni di nomi in cui l’effetto di différance è esso stesso trascinato; anch’essa è parte del gioco, funzione del sistema.

Questo totalmente altro non è né un Dio né un quid; l’attenzione va sul gioco stesso della différance. Non c’è un senso dell’essere al di là dell’ente; la stessa differenza essere-ente è un risultato.

Tutto questo è epocale per Derrida, esiste una differenza ancora più radicale della differenza semantica.

  1. Derrida introduce una energetica nello strutturalismo, introduce un livello fisico (nel senso di physis), anteriore al senso dell’essere. C’è uno strato anteriore a ogni senso, l’accadere di qualcosa che assume senso e significato. Si può intendere così questo livello, del puro manifestarsi energetico, come il manifestarsi di qualcosa. Qualcosa accade e non c’è nulla da capire; persino la dotazione di senso e significato può risultare una limitazione rispetto a ciò che accade. Un modo per intendere la différance è che è accaduto qualcosa.

Questo ha prodotto una differenza; nella misura in cui fa differenza inizia a introdurre senso e significato.

La différance è gramma, cioè pura scrittura, e in questo senso non significa nulla. Di per sé il tracciarsi di qualcosa è l’arché; come accadimento diagrammatico.

Lezione 5: martedì 19 novembre

Iniziamo Della grammatologia. Utilizziamo l’edizione Orthotes. Il testo è del 1967, prima della conferenza sulla différance. È un testo pro-grammatico.

Il titolo definisce in modo ossimorico la scrittura: Derrida vuole mettere in luce l’antecedenza della scrittura rispetto al logos; nella misura in cui la scienza si è sempre definita in funzione del logos, la grammatologia è una scienza impossibile - una scienza che per suo stesso statuto è fatta per mettere in discussione il presupposto di ogni scienza, il logos, e questo nella misura in cui il logos (la ragione) è stata opposta alla scrittura.

Il libro è così strutturato:

Parte prima

  1. La struttura ante-litteram: una prima parte, più programmatica e teorica, in tre capitoli. Prima della lettera (archiscrittura). La fine del libro e l’inizio della scrittura.
  2. Confronto serrato con lo strutturalismo
  3. Della grammatologia come scienza positiva: in che senso può esistere una simile scienza?

Parte seconda: NATURA, CULTURA, SCRITTURA è dedicata a Rousseau


La storia del libro ha visto nell’alfabeto il telos della realizzazione del segno.

Platone cercava di riprodurre non solo nella forma linguistica dell’alfabeto, ma anche nella forma del libro, ciò che è più vicino alla phonè, ossia il dialogo socratico. La storia dell’occidente viene intesa da Derrida come un sistema che tiene insieme un certo concetto della scrittura (quello alfabetico), la storia della metafisica solidale a questo sistema della scrittura (metafisica della presenza) e la scienza.

Derrida pone a fondamento di tutto l’Occidente una tecnica, quella della scrittura alfabetica. Così facendo inaugura tutta una tradizione di pensiero che vede alla base del pensiero occidentale una forma di tecnica. La scrittura risulta essere la tecnica originaria: non esistono popoli senza scrittura, la scrittura è l’origine della civiltà.

1. Il programma

Il capitolo I inizia con una frase di Nietzsche su Socrate:

Socrate, colui che non scrive

Il capitolo inizia con un riferimento a dei sintomi del periodo in cui Derrida scrive: in quest’epoca c’è una inflazione della parola linguaggio (siamo a ridosso della svolta linguistica). Iniziano una serie di studi che prendono in considerazione da un lato Wittgeinstein, dall’altro Gadamer e Heidegger. Si parla di linguaggio per qualsiasi cosa.

Eppure, dice Derrida, ci sono dei segni del tempo che lasciano già intuire come il privilegio del linguaggio cederà il passo a un privilegio della scrittura.

Dei modi di dire sostituiscono alla parola linguaggio il termine “grafia”: coreografia, cinematografia. C’è una emergenza della parola grafica, del gramma che mette in crisi il privilegio del linguaggio, mette in crisi il sistema fondato sulla nozione del linguaggio.

Al centro del linguaggio c’è il significante: la struttura del significante è quella di rimandare a una presenza.

p. 24 in fondo

La scrittura è intesa da Rousseau come semplice supplemento; dice Derrida che nel momento in cui il linguaggio assume questa dimensione esorbitante, se ne scopre il limite, il suo debordare in un’altra economia (dalla phonè alla grafia).
La scrittura è sempre stata considerata come qualcosa di subordinato.

p. 28

Aristotele: ci sono alcune affezioni uguali per tutti, mentre sono convenzionali i segni fonetici che usiamo per determinare queste affezioni. La scrittura è sempre stata considerata come qualcosa di succedaneo, copia di copia.

**

La scrittura storicamente è venuta dopo la produzione dei primi manufatti tecnici; già la produzione dei primi manufatti tecnici è per Derrida una forma di scrittura. Sono tracce; c’è un significato diagrammatico della différance; qualcosa è successo (la a di différance) - è stata lasciata una traccia.

Il manufatto tecnico è già una forma di scrittura.

p. 26

Derrida individua una mutazione storica: l’emergenza dei computer dimostra che la scrittura diventa molto più importante del linguaggio - in questo senso la fine del libro; per libro intendiamo un certo concetto del sapere come funzionale, solidale con la metafisica della presenza o logo-centrica.

Logocentrismo:

  1. indica che al centro c’è il logos, un modo per descrivere la preminenza della parola sulla scrittura.
  2. indica un’accezione più estesa indica l’idea stessa che ci sia un centro.

Le due definizioni in un certo senso si equivalgono: se pensiamo il logos come legato alla metafisica della presenza, il presente è un punto centrale, ciò a partire da cui si definisce ciò che non è presente. Il logos coincide con l’idea che ci sia un centro da cui poi si irradia tutto il resto.

La scrittura invece individua una situazione priva di centro, una situazione segnata da disseminazione - un concetto che deriva ancora dal modo in cui Platone aveva parlato della scrittura nel Fedro.

Anche nel Sofista quando parla dei giovani che si lasciano ingannare dai sofisti, dice che si lasciano ingannare perché non conoscono ancora il pharmakon della filosofia - anche la filosofia è un pharmakon.

Cosa c’è che non va nella scrittura? La scrittura è indipendente dal padre, indipendente da colui che li ha pronunciati. È in una dimensione di immediatezza che si coglie la verità - dimensione che vuole ridurre lo scarto e ogni forma di mediazione. Tutto è cioè mediato.

Thamus dice che la scrittura, senza padre, non può difendersi da sola. Qui c’è l’aspetto ebraico della filosofia di Derrida, legato alla Scrittura. La scrittura non è in grado di difendersi da sé, è dunque un discorso bastardo, che rinnega il padre ed è soggetto a fraintendimenti.

Questo ultimo aspetto è ciò che è indicato dalla parola disseminazione, che gioca sull’assonanza tra thema, il significato, e “seme”. Una dispersione del significato che si realizza nella scrittura, cosa che comporta un lavoro interpretativo continuo.

p.27: infine, che abbia o meno dei limiti essenziali…

p.27 Abbiamo già fatto allusione…

Dato che per Hegel la scrittura fonetica era la più intelligente, la scrittura cinese rappresentava la staticità dell’intelletto, i simboli vengono giustapposti gli uni agli altri. Questo, come la scrittura matematica, è per Hegel un modo di pensare tipicamente intellettualistico.

In Hegel, L’intelletto coglie le determinazioni del reale come statico, mentre la ragione le coglie nel loro divenire e nella loro dimensione dialettica. La ragione coglie la contraddizione del reale, mentre l’intelletto no. Hegel diceva che Leibniz si era fatto traviare da tutto questo, arrestandosi a un modo di pensiero intellettualistico.

Le matematiche sono una sorta di enclave nel pensiero occidentale, un’isoletta nel mare della scrittura fonetica del pensiero occidentale.
La scrittura alfabetica risulta essere in generale più economica, usa meno simboli; ma questo fatto di avere meno simboli non è legato alla phonè.

p.28 Ma al di là della matematica teorica…

Il concetto stesso di scrittura fonetica è già una forma di rimozione - non si vogliono vedere gli elementi non fonetici che già ci sono nella scrittura fonetica - anzi tutto gli spazi.

2. Il significante e la verità

In questo paragrafo viene introdotto il discorso più filosofico, che riguarda Heidegger e il problema del senso. Quando Derrida parla di una differenza originaria anteriore alla differenza ontologica, si sta riferendo al discorso sul senso dell’essere, che possiamo ricondurre in realtà a un discorso sul senso in generale - la differenza ontologica tra essere ente, il fatto che ci sia qualcosa di più di ciò che è, è la condizione di possibilità della conoscenza di qualcosa.

Può darsi una scienza del gramma? In che senso può sussistere ubbidendo alle forme classiche del modo di concepire la scienza ossia la verità.

La verità è sempre stata concepita nei termini di una trasparenza. La verità consiste nell’eliminare ogni forma di mediazione, per cogliere l’oggetto in maniera immediata.

p.30 Essa rimane dunque…

Gli autori della metafisica occidentale esercitano una rimozione cercando di fondare su un principio puro, ma la scrittura, come ciò che è rimosso, emerge sempre da qualche parte.

p.31 Quanto è detto…

In queste pagine si parla di come il logocentrismo e di conseguenza anche la la verità (tornare a ciò che è presente e tornare ad è fondata sulla metafisica della presenza.
La scrittura ha sempre operato anche all’interno della storia di questa metafisica della presenza.
Derrida parla di come alcuni abbiano parlato di una “scrittura buona” e “scrittura cattiva”.

In generale, Derrida dice che c’è un ordine scritturale che è anteriore persino al discorso sul senso. La scrittura è ciò che è pre-scritto.

La questione della auto-affezione pura la vedremo in La voce e il fenomeno.

Citazioni a p. 35

Questo è il modo più innocui con cui la scrittura è stata a un tempo recuperata e distorta dalla metafisica: Si distingue tra scrittura naturale e scrittura umana: la scrittura naturale è quella buona; quella umana è una scrittura secondaria, sbagliata, che corrompe la scrittura naturale.
In ogni caso, la scrittura naturale viene sempre intesa come un elemento che resta intatto nella sua purezza.

La scrittura è invece per Derrida contaminazione; la scrittura è qualcosa di totalmente anti-idealistico, nella misura in cui l’idealismo parla della purezza e della presenza.

Tutti questi discorsi mettono in luce un elemento che non può essere trascurato: quello della pre-scrizione che emerge

p.36 Ci sarebbe molto da dire…

Ciò che rende strutturale la prescrizione è il fatto che la parola rinvia a qualcos’altro - nel momento in cui questo accade io capisco che non sono l’origine di ciò che mi arriva, ma la scrittura è il rinvio a un’altra origine in generale. Nel momento in cui qualcosa diventa scritto, la scrittura implica il riferimento a un’altra origine in generale, che non è altro che la storia.
La scrittura è l’essenza della storia - si dice anche che la storia è cominciata con la scrittura.

La scrittura naturale è intesa come una forma di prescrizione cioè è:

3. L’essere scritto

Derrida cerca di mostrare come in Heidegger ci sia un discorso molto ambiguo: in Essere e tempo prevale la dimensione del senso, Heidegger sembra più vincolato a certi meccanismi della metafisica; poi man mano il suo discorso prende una piega diversa, in Tempo ed essere, quando arriva ad esprimere anche la parola essere barrata sopra, sbarazzandosi di essa in qualche modo. La barratura è l’ultima scrittura di un’epoca. L’ambiguità consiste nel fatto che funziona soltanto nel suo essere scritto, è un essere scritto.

Sotto i tratti della scrittura si cancella, restando leggibile, la presenza di un significato trascendentale(essere).

In quanto delimita l’ontoteologia, questa è l’ultima scrittura dell’epoca del libro, e la prima dell’epoca della scrittura (epoca del testo).
Questo è il passaggio da un modo di intendere la scrittura come succedanea rispetto al logos (logocentrismo) al testo, che è ciò che è intrinsecamente scritturale; il testo è un tessuto fatto di tracce che funziona in modo indipendente dal suo essere logos.

Heidegger è rimasto sulla soglia di un modo di concepire la filosofia come critica alla filosofia della presenza, ma è anche colui che con la scrittura dell’essere barrato delimita quest’epoca.

p.45 Già in Hegel era immerso in questo gioco…

Questo discorso su Heidegger vale anche per Hegel, perché?

Hegel è il culmine di questa metafisica che è fondamentalmente idealizzazione, idealismo.

(La scrittura alfabetica) modifica il terreno dell’interiorità del soggetto.
La scrittura fonetica è Aufhebung di tutte le varie forme di scrittura.

p. 46 La scrittura geroglifica…

Una lingua geroglifica scritta comporterebbe una cultura statica, e questo è il difetto della scrittura non fonetica.
Per Hegel, la scrittura non fonetica infrange il nome, esprime relazioni e non denominazioni.
Nella scrittura matematica noi abbiamo a che fare soltanto con relazioni, i simboli servono a far emergere delle relazioni. Il nome e la parola si cancellano nella scrittura pura.

Questo tipo di scrittura tradisce un’esigenza fondamentale del linguaggio, che è il nome. La cosa più importante del pensiero è che le sue determinazioni si sviluppino come nomi (Scienza della logica).

C’è per Hegel una struttura che collega la dimensione grammaticale delle nostre lingue fonetiche con la nostra logica-ontologica. Le lingue fonetiche hanno quindi una dimensione ontologica.

Sono le lingue indo-europee a determinare la metafisica occidentale o viceversa? È una questione aperta.

p.48: Tutto ciò che Hegel ha pensato può essere riletto come…

Hegel:

Lezione 6: mercoledì 20 novembre

Nessun Libro è sufficiente a se stesso: Derrida intende che il sistema di rinvii e di verità della metafisica della presenza è un sistema di segni tale che nel suo insieme ha una forma di chiusura in quanto rinvia a un significato trascendentale che lo chiude.

La Bibbia per come è stata concepita dai protestanti è un sistema rappresentativo emblematico: ha il suo sistema di significati chiuso in se stesso; non richiede il debordamento di se stesso verso altro.

L’epoca del libro presuppone un significato trascendentale che chiude il libro in se stesso, come un suggello, un timbro. Qualcosa che lo rende concluso (Vollendung).

Tolta questa chiusura finale del sistema, il sistema resta totalmente aperto: questo è il passaggio al testo - per questo Hegel è il primo filosofo della scrittura; la struttura di pensiero di Hegel è per Derrida una struttura di rinvio continuo, tutte le definizioni dell’assoluto sono negative, e perciò potremmo dire relazionali.

La stessa cosa Derrida l’ha detta di Heidegger. Derrida interpreta la differenza ontologica tra l’essere e l’ente come se l’essere fosse qualcosa che dà avvio a questo sistema di significati. La differenza ontologica fa sì che io possa comprendere, è la differenza tra il senso in generale da cui posso derivare il senso particolare.

Derrida interpreta la differenza ontologica come se l’essere fosse un significato ultimo trascendentale, cioè con una funzione arcontica, di arché come termine ultimo finale.

La différance è più originaria rispetto alla differenza ontologica; il senso dell’essere non è un significato trascendentale. Quando Heidegger ha definito il senso dell’essere non intendeva un significato; se Husserl parla sempre di ssignificati. Husserl usa senso e significato come se fossero sinonimi; in Heidegger il senso dell’essere è iun senso e non un significato.
Il significato è per Husserl sempre una forma di riempimento. Il significato della parola giallo o blu deve essere suscettibile di un riempimento induttivo.

Di un significato, dice Heidegger, posso avere un riempimento percettivo. Ma secondo Heidegger l’intuizione fenomenologica deve essere radicata in una comprensione; il senso è qualcosa che può debordare la percezione, perché è più originaria.

Per Heidegger il senso è fondamentalmente un orientamento. La maniera più immediata per considerare le cose è zu Handen (trad. essere a disposizione), ossia utilizzarle. La struttura dell’utilizzabile è l’essere per.

Per Heidegger un caso specifico di utilizzabile è il segno, caratterizzato da una struttura di rinvio. Tutta la spazialità dell’esserci è caratterizzato da orientamenti di senso, dati dal fatto che usa gli oggetti come orientamento; indicano la direzione.

Queste cose disegnano i miei comportamenti nel mondo, mi danno un orientamento. Non sono qualcosa che ha un significato in senso stretto.

Heidegger dice che gli uomini sono formatori di mondo perché hanno la differenza ontologica; le pietre non vanno da nessuna parte, non hanno mondo perché non hanno kosmos. Non hanno sensi nella realtà, non vanno da nessuna parte. Ci sono dei tracciati, delle traiettorie. L’uomo costruisce strade, in questo senso è formatore di mondo. Il muoversi nel mondo degli animali è totalmente istintivo.

L’uomo costruisce sensi totalmente arbitrari. Le parole servono per costruire dei sensi e dei comportamenti che nella realtà non ci sarebbero.

Il mondo non è la realtà, è l’ordine che viene introdotto nella realtà.

La spazialità dell’esserci, concetti come il disallontanamento (Entfernung); questi sono concetti semantici e non geometrici. Dal punto di vista semantico, dice Heidegger, vicino e lontano sono cose che dipendono dalla persona. Nel mio mondo semantico, New York mi è più vicina perché c’è la mia fidanzata.

Senso non è significato: se il senso è esso stesso una struttura di rinvio, Heidegger è anche lui un filosofo del testo e non del libro; perché il senso originariamente è già rinvio, è già differenza.
Se il senso non è significato e non è una forma di orientamento intuitivo, la differenza ontologica non ha nessun rapporto con la fenomenologia; il senso è una struttura di rinvio sin dall’inizio, e svolge una funzione fondamentale della significazione in generale. Senza questa struttura non possiamo trovare nessun significato. Il senso è l’elemento che apre il sistema del significato in generale.

II. Linguistica e grammatologia

Una critica decostruttiva della linguistica, cioè Saussure.

Nelle prime pagine si pone il problema se una grammatologia che deve sostituire la semiologia di Husserl è possibile. Perchè deve farlo? Perchè la scrittura deve superare il concetto di segno come metafisica della presenza, la grammatologia deve superare la semiotica e la linguistica.

Come è possibile una grammatologia?

  1. L’idea stessa di scienza è nata in una certa epoca della scrittura fonetica.
    Se a un certo punto il debordamento, la grammatologia deve essere possibile, in quanto è una nuova scienza.

La matematica è un enclave all’interno della scrittura fonetica, assurta a modello di scientificità ma non sufficientemente valorizzata.

  1. La grammatologia che esiste oggi fa riferimento solo ad un oggetto ristretto (XVII secolo)
  2. Riferimento all’Origine della geometria (1963) di cui ha scritto l’introduzione. Nel testo Husserl prende atto che la scienza non può sussistere come tale se non sganciandosi dalla puntualità, dalla psiche, del primo scienziato. Il primo geometra, sia esso Talete o chi altro sia…

Il problema di Husserl è che la scienza non può rimanere vincolata all’intuizione individuale; per essere scienza deve trasmettersi e dunque deve scriversi.

Ma questa scrittura della scienza, dice Husserl, porta con sé dei problemi, si rischia che il significato vada perduto! La scrittura diventa la condizione della crisi delle scienze europee, uno svuotamento dei plena, in cui ci sono dei simboli ma che sono assolutamente vuoti e funzionano in maniera automatica, macchinica.

L’idealità si presenta come qualcosa che deve superare lo spazio e il tempo.
Le idealità della fenomenologia non sono temporali, sono onnitemporali.

  1. La storicità stessa è legata alla possibilità della scrittura; le idealità devono attraversare la storia.

L’origine della geometria ha senso se si può individuare in maniera diversa l’accadere di questa origine.
È una cosa diversa dall’origine dell’opera d’arte - Heidegger quando parla del tempio greco, fa riferimento al Riss (taglio). L’origine dell’opera d’arte è l’origine di una Gestalt, figura, contorno, Riss - dunque un tracciamento, una scrittura. Il tempio greco ha la funzione di esporre un mondo.

Restituzioni - la verità in pittura è un testo in cui Derrida interpreta in termini scritturali la nascita del tempio greco. In Heidegger non c’è nessun momento intuitivo all’origine, l’origine dell’opera d’arte è già scrittura.

Il problema a questo punto è quello del rapporto tra la linguistica e la grammatologia, con tutta la relazione fonologica che caratterizza la linguistica con tutta la questione della scrittura.

p. 51 Consideriamo che la scientificità…

Si assume e si teorizza il carattere secondario della scrittura. Di per sé, la lingua parlata è indipendente dalla scrittura: il fuori e il dentro.

Tutta la questione ruota attorno all’autonomia della phonè rispetto alla scrittura. La scrittura viene concepita come qualcosa di derivato di cui si può fare a meno, con una funzione meramente rappresentativa.

p. 53

Si tratta di un ideale che dirige un funzionamento che non è mai pienamente fonetico.

p. 55

Secondo Saussure:

Secondo Saussure Ci sono due sistemi di scrittura:

  1. il sistema ideografico - esemplificato dalla scrittura cinese
  2. il sistema fonetico - le scritture sono o sillabiche o alfabetiche. Le scritture ideografiche diventano volentieri miste, cioè ideogrammi finiscono per rappresentare suoni.

Che cosa comporta questo?

Certi ideogrammi possono diventare fonetici. Ma la scrittura fonetica* a sua volta - e questo è il vero punto della questione - non è mai puramente fonetica.

Saussure cerca di tracciare un legame naturale tra l’immagine acustica e i concetti, e un legame arbitrario tra i concetti e i significati.

Saussure ha detto: il significante è arbitrario. Anche i suoni allora dovrebbero essere arbitrari; Derrida dice che i suoni sono anche totalmente arbitrari. Non è arbitrario il fatto che siano i suoni a indicare i significati.

Il legame naturale che Derrida vuole mettere in luce lega il significante fonetico (non i singoli significanti fonetici) ai significato. La scrittura in questo senso viene dopo, è qualcosa di ulteriore e secondario.

**

Scienza del linguaggio deve ritrovare rapporti naturali, cioè semplici e originari, tra un dentro e un fuori. Ci sarebbe nelle concezioni metafisiche un legame del senso con i sensi. Il legame naturale del significato (concetto o senso) subordina la scrittura alla parola. Questo è il rapporto naturale invertito dal peccato originale della scrittura. La scrittura grafica si impoverisce a favore della scrittura.

Il teorico dell’arbitrarietà dei significanti, Saussure, pensa cioè come naturale il legame tra i significanti fonetici e i significati. È naturale che i significanti siano fonetici, acustici. La scrittura dovrebbe limitarsi a riprodurre questi suoni.

Saussure è preoccupato dalla possibile inversione dei rapporti tra la scrittura e la parola; la scrittura deve solo riprodurre i suoni e rimanere incasellata nel suo ruolo; altrimenti produce una perversione del linguaggio.

Questo discorso prende la piega di un rapporto tra natura e cultura, e in particolare con la tecnica. Come concepire questo rapporto?

p. 58

La funzione della techne.

Derrida introduce la questione dell’istituzione della tecnica, come due concetti che possono essere considerati come qualcosa di secondario, di inessenziale; insieme alla storia, che si apre appunto con la tecnica.
Tutto ciò sarebbe qualcosa di esteriore, che va mantenuto all’esterno.

Derrida legge Saussure sempre in parallelo a Rousseau. Troviamo citazione intrecciate di Saussure e Rousseau.

p. 62

L’immagine grafica di una parola ci colpisce come oggetto solido.

La permanenza della scrittura è ciò che produce la sua supremazia, il suo primeggiare sulla scrittura.
Si tratterebbe, per Rousseau, di una rottura con la natura, del legame naturale tra i segni istituiti della voce e il primo linguaggio dell’uomo.

Il vocabolo scritto si fonde con il vocabolo parlato e lo usurpa

La scrittura non è che la rappresentazione della parola, è singolare che si cerchi di determinare di più l’immagine che l’oggetto vero e proprio.

Viene messa in discussione la derivazione gerarchica della scrittura (intesa come techne o seconda natura) dalla prima natura.

Come concepire dunque l’origine? Va concepita come qualcosa di in sé in tatto, la natura a cui si aggiunge in maniera supplementare qualcos’altro.

p. 63

Nel gioco della rappresentazione il punto di origine è inafferrabile. C’è un rinvio infinito delle immagini le une alle altre, ma non c’è più sorgente, origine semplice, atomos.
Ciò che si riflette si sdoppia in se stesso; non soltanto come addizione a sé della sua immagine. L’origine della speculazione diventa una differenza.

L’origine è qualcosa di monolitico, o già in se stesso sdoppiato? Jacob, studioso francese. L’unità della vita è il batterio, che ha un’unità interna. Poi Jacob ammette che il batterio inizia a riprodursi perché ha accolto in se un batterio - questa è la prima forma di riproduzione sessuale non endogena; una intrusione di materiale genetico esterno.

Il problema per Derrida non è come da uno si produce due, ma come da due si produce uno. All’origine c’è questo sdoppiamento, la différance, da cui si produce l’uno. Sdoppiamento come carattere originario dell’essere.

Istituzione di una seconda natura rispetto alla prima natura. Questo è un problema teorico interessante.

Derrida si sgancia quindi dal platonismo come forma di monismo, e l’idealismo, che in realtà è sempre stata una forma di dualismo. C’è l’Uno e la Diade infinita all’origine di tutto per Platone.

Innanzitutto la polemica nei confronti dell’idealismo è giusta. L’idea dell’origine come qualcosa di intrinsecamente divisa ha a che fare con l’idealismo. Hegel nella dottrina dell’essere vuole distinguere il suo sistema dal sistema dell’identità, quello di un certo Schelling.

La questione dell’origine riguarda in definitiva più l’idealismo che delle forme di monismo.

Non bisogna confondere il dualismo con una divisione soggetto/oggetto - questo è un dualismo cartesiano, dualismo sostanzialistico in cui la res cogitans è il soggetto e la res extensa l’oggetto.
Il problema del dualismo è il problema dell’esistenza di qualcosa che non è la natura stessa, ma l’immagine della natura.

Il soggetto non è uno dei poli di questo dualismo, ma è ciò che rende possibile il dualismo. Il problema del dualismo secondo Chiurazzi è legata al fatto concreto che esiste la realtà ed esiste il sapere della realtà; e non la divisione soggetto oggetto.

Tocca allo psicologo determinare il posto esatto…

Ciò che Saussure non interroga è la possibilità della non-intuizione, o simbolicità - per Husserl i segni fonetici sono simboli delle cose. Questo è lo stesso modo in cui la parola simbolo veniva usata da Hegel: c’è un legame naturale tra il simbolo e ciò che esso simboleggia.

Quando si parlerà di Peirce, il segno sarà qualcosa di meramente convenzionale (es. simbolo matematico). La possibilità per i simboli di svuotarsi della loro notazione originaria è una crisi. La crisi è proprio una crisi del logos.

Lezione 7: lunedì 25 novembre

Riprendiamo dal secondo capitolo della Grammatologia - vediamo il problema dei rapporti tra la linguistica e la grammatologia; Derrida persegue il progetto di una grammatologia che si sostituisca alla linguistica.

Abbiamo visto la scorsa volta il rimando di Saussure alla phonè - una delle due tesi fondamentali della linguistica saussuriana è l’arbitrarietà del significante, che tocca il rapporto tra i singoli significanti ma non il legame tra la materia significante e la possibilità della significazione. A questo livello, il rapporto, dice Saussure, è naturale: la maniera più naturale di esprimere significati, per Saussure, è la voce, il linguaggio parlato - mentre la scrittura ha un ruolo puramente secondario, succedaneo, e comporta una deviazioni, ossia un ribaltamento di questo rapporto naturale, ed è fondamentalmente un pericolo.
Questo secondo la condanna che già Platone aveva avanzato nei confronti della scrittura.

Questo discorso tocca il rapporto tra natura e tecnica, tra natura e cultura. Derrida introduce anche una deviazione nella natura; questa è la maniera classica di intendere il rapporto tra natura e tecnica un rapporto di derivazione, la cultura è secondaria mentre la natura è primaria.

Non c’è origine semplice, perché ciò che si riflette si sdoppia in se stesso.

Derrida

Questo è un modo per organizzare i rapporti tra natura e cultura ponendo uno sdoppiamento originario, non c’è secondo Derrida una natura precedente, una forma di monismo che non è toccata dalla secondarietà, dalla scrittura e dalla tecnica.

Ciò che è originario è questa distinzione, questo sdoppiamento. Derrida ripete a p. 64

Quando i linguisti a questo proposito si imbarazzano per un errore teorico…

I linguisti hanno ceduto alla sensibilità e alla passione e sono caduti nella trappola della scrittura, che è una seconda natura.

Bisognerebbe allora sostituire il naturale all’artificiale… (Saussure)
Abbandonare la lettera per i primi linguisti era sprofondare; per noi invece è il primo passo verso la verità.

Per quanto importante sia…

Il modello particolare della scrittura fonetica non esista, nessuna pratica è puramente fedele al suo principio. Non esiste cioè nessuna phonè che non sia anche una scrittura; come non esiste nessuna scrittura che possa riprodurre la phonè, non esiste nessuna scrittura che non sia in se stessa scritturale.

Derrida va oltre questa semplice tesi di Saussure: non è sufficiente dimostrare che non esiste una scrittura puramente fonetica. Questa idea invece rivela l’idea che possa esistere una phonè non scritturale.

La phonè è indipendente dalla scrittura; può cioè esistere una scrittura che ne riproduce esattamente i suoni.
Si può dimostrare che la scrittura non è completamente fonetica; per converso secondo Derrida il principio scritturale è già dentro la phonè.

Non esiste nessuna phonè che sia completamente fonetica, perché contiene un elemento grafico, scritturale: il principio differenziale; che in se stesso è grafico e non fonetico .

L’idea che possa esistere qualcosa di fonetico coincide con l’idea che possa esistere qualcosa di identico, di atomico.

Il ragionamento di Derrida è questo: dimostrando che non esiste una scrittura fonetica, vuole dimostrare che non esiste phonè senza scrittura. La scrittura riproduce i significati nel loro carattere differenziale - e questo è il vero principio della significazione, ed è già presente all’interno dello stesso linguaggio.
Il principio della significazione è quello del rinvio, dell’essere segno; e questo essere segno è un principio scritturale. Rinviare ad altro è l’essenza della scrittura.

La voce è più legata invece a un principio espressivo in senso husserliano, ossia intuitivo.
Voce e scrittura si opporrebbero per cui nella voce il significato è immediatamente presente in ciò che si sta dicendo; e la scrittura in cui il significato non è immediatamente presete.

Il nucleo fondamentale di ogni scrittura è il rinvio ad altro (critica al principio intuizionistico della fenomenologia), ossia il segno.

Per Husserl, lungi dall’essere principio di significazione, la non intuizione è principio della crisi del significato - il significato c’è quando vedo il colore rosso, come presente alla coscienza, e non quando dico “rosso”.

Per Derrida esattamente il contrario; la non-intuizione è l’origine del significato, e questo comporta una diversa valutazione di tutta la problematica. La nozione significante comincia quando il significato non c’è più.
La parola rosso si riferisce al colore rosso, ma proprio in quanto rinvio è una nozione significante.

Se usiamo i segni è perché a un certo punto le cose non sono più presenti, e noi inventiamo una maniera per significarle.

Se la scrittura è la struttura del rinvio, c’è un principio scritturale già nella phonè.
Il pregiudizio husserliano della presenza del significato nella voce tende secondo Derrida ad annullare la significazione. Husserl vuole annullare il rinvio.

Secondo Derrida, se il significante è un rinvio a qualcosa, questo è perché il rinvio ha qualcosa che non è presente alla coscienza.

La scrittura, dice Derrida, è rinvio a due assenze:

p.68: Questa parte per rendere conto dell’usurpazione…

Non si può spiegare l’usurpazione della scrittura con la natura durevole della scrittura.

Non si può affidare il problema della significazione alla psicologia, come pretende di fare Saussure; la significazione contempla la possibilità:

  1. che non ci sia il referente
  2. che non ci sia il firmatario, l’autore

Alla base di tutto questo, la durata della scrittura non deve essere intesa come la permanenza di una sostanza identica a sé, il permanere della struttura è il permanere di due assenze, il permanere del sistema di rinvio che la scrittura è.

La scrittura apre la storia, ci mette di fronte al fatto che le cose possono sparire, ossia sono storiche. Non c’è firmatario né significanti. La scrittura rende evidente il passare del tempo. Il quel senso la scrittura ha un carattere tombale.

p.72: Ci si accorge allora che ciò che era stato respinto oltrefrontiera…

Nella linguistica c’è qualcosa che non ha mai smesso di assillare (hantis, assillare, abitare come un fantasma) le sue possibilità.

In Spettri di Marx viene usata questa parola, la hantis è la struttura stessa del tempo e della storia; di ciò che provenendo dal passato non è mai propriamente assente e mai propriamente presente.

Derrida collega tutto questo, dice che occorrerebbe una nuova struttura trascendentale del tempo; in cui il tempo nn sia legato alla presenza (passato e futuro sono presenti modificati), ma in cui il tempo è legato all’assenza, e il tempo in questo senso è una struttura grafica.

2. Il fuori e il dentro

Viene introdotto il concetto di traccia istituita. Traccia istituita come grammatologia è un ossimoro.

Traccia istituita fa riferimento a due elementi:

  1. il concetto di traccia - mantiene dal concetto di segno la struttura del rinvio, è il nucleo costitutivo di ciascuna significazione, ma non mantiene dal concetto di segno il rinvio a una presenza ultima.

Una traccia è una struttura di rinvio generalizzata, che non approda a un significato ultimo. La traccia è la struttura fondamentale della testualità generale in quanto si oppone a un libro, significazione chiusa.

  1. istituita di carattere culturale; un concetto che vuole opporsi radicalmente a segni naturali; finché si è nella natura non esistono segni naturali.

Bisogna tenere a mente l’aspetto fantasmatico: questi elementi non sono mai fattori che possono semplicemente co-abitare identificandosi l’uno con l’altro, ma non si possono nemmeno pensare come totalmente esteriori e indipendenti, gesto che obbedirebbe a una logica identitaria.

Il fuori e il dentro si riferisce al fatto che c’è qualcosa che corrode dall’interno qualsiasi forma di identificazione; il processo di divisione va all’infinito. Questa divisione è frutto di una logica che Derrida chiama ossessiva, una logica decostruttiva, non c’è mai un’identità ultima, ma c’è sempre un elemento dirompente e corrosivo.

La scrittura non è immagine né simbolo (nel significato di Saussure, cioè di legame naturale) di niente.
Prima di essere legato all’incisione, a un significante che rinvia a un significato, il concetto di grafia implica l’istanza della traccia istituita.

La traccia istituita è immotivata (cioè arbitraria). Per come ne parla Saussure, non significa che è fondata sulla libera scelta, ma non ha alcun aggancio naturale del significato sulla realtà.
Questo è il motivo per cui l’opposizione non deve essere iscritta in un dualismo, secondo Derrida. Non è come il grido, non c’è nessun aggancio naturale.

La traccia o è istituita o non è propriamente significante, cioè non ha nessun aggancio naturale. Questa è una radicalizzazione del principio husserliano dell’arbitrarietà del significante - Derrida vede questa idea molto più in Peirce che non in Saussure, dicendo che concezione peirciana del significato è molto più coerente di quella di Saussure; secondo Peirce il significante instaura una struttura di rinvio generalizzata che non trova nessun aggancio naturale.

Peirce distingue due modi di significazione:

  1. l’icona
  2. l’indice
  3. il simbolo

L’icona è legata al significato da un rapporto di similitudine/somiglianza; l’indice è legato da un rapporto causale (per esempio, un’impronta di un animale è un indice), è tale perché è stato prodotto naturalmente.
Il simbolo è invece qualcosa di indipendente.

Ciò che intende Peirce con simbolo è totalmente diverso da ciò che intende Saussure. Per Saussure il simbolo è legato da un rapporto di similitudine con ciò che simboleggia, mentre per Peirce rappresenta il livello della maggiore arbitrarietà.
Ogni significante tende a diventare un simbolo, sempre. Questa è la teleologia della significazione.

La vera natura della significazione è di “sganciare”.

Peirce è stato più attento di Saussure, bisogna parlare del divenire immotivato del simbolo; questo al di fuori degli altri segni e al di fuori dell’icona, nella misura in cui l’icona e il simbolo partecipa di qualcosa di naturale.

Noi pensiamo per Peirce solo in simboli; i simboli della mente si chiamano concetti; se si produce un nuovo simbolo, si produce un nuovo concetto.

Omne simbolo de simbolo, da un simbolo sempre un altro simbolo.

Perché è così importante Peirce per Derrida? Introduce una struttura di rimando, per il fatto che una struttura di rimando, una volta avviata, non si può più fermare.

Avere a che fare con una simile struttura di rinvio, struttura di rinvio generalizzata, permette di riconoscere il segno in quanto tale; non c’è un significante trascendentale o un significato trascendentale.

Derrida quindi vede un’affinità tra il suo progetto di una grammatologia e quello che Peirce chiamava semiotica, che non è la semiotica di cui parla Saussure, ossia una grammatica generale.

Per fondare la grammatologia, Derrida parte dal progetto di Peirce per una grammatica speculativa.

la semiotica ha 3 branche:

  1. grammatica speculativa o pura, determina ciò che devono esprimere i significanti. Riferimento a Duns Scoto.
  2. logica. Scienza di ciò che è sicuramente vero dei representamen. La scienza formale delle condizioni di verità delle rappresentazioni.
  3. retorica pura. Determina le leggi secondo cui in ogni intelletto scientifico un segno fa posto a un altro. possibilità di introdurre un nuovo segno a partire da una vecchia.

La prima condizione è che l’oggetto a cui mi riferisco esiste. C’è un riferimento oggettuale, deve esistere l’oggetto a cui mi riferisco.
Questo è uno degli elementi che Derrida adopera attraverso Husserl, che aveva un progetto analogo: anche Husserl aveva progettato una logica formale trascendentale, distinta in una logica apofantica (logica del discorso distinta da un lato in morfologia [studio delle forme linguistiche] e dall’altra logica della conseguenza [studia le inferenze logiche, cioè le condizioni di verità dei discorsi]), e dall’altro ??

Questa è la logica che per Husserl studia l’adeguatezza del contenuto, ossia le condizioni di possibilità degli oggetti. Posso fare nella mia testa vari discorsi apparentemente significanti, come La montagna è d’oro. Il vero punto di interesse per Husserl è quello dell’ontologia, cioè quello in cui mi chiedo se una montagna simile possa esistere - e questo attraverso l’intuizione.

Husserl nella Filosofia dell’aritmetica prova a fondare addirittura la matematica sull’intuizione - verrà confutato da Frege.

p.79: Peirce va molto lontano in quello che abbiamo chiamato…

Possiamo continuare a usare la parola segno, con l’avvertenza di intendere il segno come rinviante a un significato ultimo.
Logocentrismo: desiderio potente, sistematico, di significato. Desiderio stesso di un centro.

L’indefinitezza del rinvio è per Peirce il fattore che ci fa capire di essere all’interno di un sistema di segni, che poi non si può interrompere.
Nel momento in cui si traccia un segno, si inizia un rinvio generalizzato, e la natura è persa per sempre.

La restaurazione più radicale e più critica della metafisica della presenza.

Derrida critica la fenomenologia specificamente di Husserl, in cui vede la natura metafisica della filosofia occidentale, della metafisica della presenza.

Peirce è più vicino a Lambert, che si proponeva di ridurre la teoria delle cose a teoria dei segni; secondo peirce la rappresentazione non rivela la presenta, ma fa segno; l’idea di manifestazione è un segno, cioè che si manifesta è un segno.
Non c’è fenomenalità. La cosa stessa è già da sempre un ri-presentare (presentamen) sul piano dell’evidenza intuitiva.

C’è una identità a sé del significato - la logica escludente (o significante o significato) è una logica dell’identità, mentre tutti i concetti che Derrida introduce mettono in discussione l’identità come criterio ultimo dell’ontologia e della logica.

Il proprio del representamen è il non essere proprio.

Dunque non ci sono che segni, quando c’è un senso. Questo fa precipitare la nozione di segno. Si può chiamare gioco l’assenza del significato trascendentale.

Qui Derrida introduce l’idea del rinvio generalizzato e della testualità generale è tipica della postmodernità: non c’è un modello, un paradigma, un significato trascendentale.

Il Nome della Rosa è un tipico romanzo postmoderno: alla fine, dopo l’incendio della biblioteca non restano altro che frammenti di libri, e ciò che noi possediamo non è più la rosa, ma soltanto i nomi.
Derrida con Baudrillard ha portato questa logica alle estreme conseguenze, soprattutto per la questione della verità. Sicuramente la verità non è l’evidenza, questo è una conseguenza radicale del discorso. Un problema su cui torneremo.

Se essere significa sostanza, e sostanza significa identità, questa non è un’ontologia. Esiste una realtà ultima identificabile, di cui possiamo dire “questo è ciò che è veramente reale”, questo per Derrida non è possibile. Per Derrida questa non può essere una questione di pura evidenza. Nell’Origine della geometria Husserl vuole mettere in luce che per quanto la verità sia per qualcuno in carne ossa, deve entrare nella storia.

Un discorso che si può opporre a questo è il platonismo di Frege: i significati esistono in un terzo regno.

Quanti sono i pianeti del sistema solare, per esempio, non è un fatto intuitivo; la definizione di pianeta è cambiata nel tempo, ed è cambiato nel tempo il significato; ma un fatto che si sostituisce tra intuizioni e concetti; l’esperienza è fatta di concetti e intuizioni.

Questa non è dunque un’ontologia del mero dato intuitivo.

p.83: Derrida scrive che c’è un elemento scritturale all’interno della lingua. Anche per Saussure, per quanto si provi ad eliminare l’aspetto scritturale, questo riemerge sempre.

La questione della phoné: esistono significati e significanti che possono essere considerati autonomi?

Nota 18: assumeremo il sistema differenziale della scrittura (Saussure assume la scrittura come termine di paragone), i segni della scrittura sono arbitrari.

Il valore delle lettere è puramente indicativo e differenziale; l’importante è che non si confonda la vera identità di ogni lettera.
L’identità è puramente negativa, dipende da ciò che distingue.

I valori della scrittura agiscono per la loro azione reciproca.

Essendo arbitrario il segno grafica, non ha importanza la sua forma se non rispetto ai limiti imposti dal sistema. Ogni elemento differenziale è da leggere in tutto il sistema in cui è inserito, un sistema di opposizioni.

Il mezzo di produzione del segno è indifferente in quanto non interessa il sistema. Scrivere le parole in bianco o in nero non ha alcuna importanza ai fini della significazione; conta l’aspetto formale, ossia le caratteristiche dei segni, e non la loro materialità, cioè dal fatto che si tatti di sostanza fonica o sostanza grafica.

Lezione 8: martedì 26 novembre

In questa lezione i riferimenti alle pagine sono edizione vecchia

Non possiamo dire che Derrida sia il pensatore di un indifferenziato - cosa che possiamo attribuire a Deleuze con l’idea del CsO, su cui si sviluppano poi delle differenze; ma questo non vale per Derrida, il quale non è un monista.
Continua il discorso della linguistica, dopo aver parlato di Saussure e poi della semiotica di Peirce. È possibile una grammatologia come scienza? La domanda è in un certo senso kantiana, quali sono le condizioni di una grammatologia come scienza?

Nella scuola di Copenaghen il gioco delle differenze (arbitrarietà del senso, carattere differenziale del significante) è indipendente dalla materia significante, cioè sia dalla sostanza fonica che daquella grafica.
L’errore è di isolare il tratto differenziale senza legarlo ad una sostanza significante specifica. Non riguarda principalmente né il suono né la scrittura.

Saussure aveva detto che il significato è come un valore economico, determinato dagli scambi commerciali tra le merci, basato sullo scambio. Il valore economico è variabile, ma normalmente è fissato da un campione (il valore era fissato all’oro fino al 1971, quando Nixon lo abolisce sulla base del pensiero di Chicago.). Il gioco economico diventa indipendente dal valore di riferimento, cosa che ha comportato una finanziarizzazione dell’economia.
Wu (?) su un numero della rivista Tropos sostiene che il decostruzionismo è la logica dell’economia finanziaria, mette a confronto l’eliminazione del significante trascendentale con l’eliminazione del gold standard.
Bergson diceva che i significati sono come l’oro, punti di riferimento a cui dobbiamo sempre tornare.
C’è qualcosa che eccede lo scambio, che non è il valore d’uso (per Marx) o il gold standard nel sistema precedente, ma è il dono.

In linguistica al contrario non c’è nulla che corrisponda al campione…

Emancipazione della grammatica dalla semantica, indipendenza del gioco differenziale da qualsiasi sostanza significante: questo va nella direzione di una grammatologia - si è aperto un campo di ricerche inedite e feconde.

Non è il parallelismo tra sostanza fonetica e grafica, ma il fatto che il gioco differenziale si è liberato da qualsiasi riferimento a una sostanza particolare, per esempio quella grafica.

A questo punto possiamo usare la parola forma - la différance è una scrittura per cui possiamo usare il termine forma. L’isolamento di questa forma originaria è l’archiscrittura (p.95).

Il fatto è che l’archiscrittura, movimento della différance…

La différance non può fare parte del sistema linguistico, essere situata come un oggetto nel suo campo, non è un altro sito, (un altro luogo) assegnabile, non è un luogo non intaccato dalla differenza che precede qualsiasi operazione differenziale. Il gioco differenziale a cui intende arrivare Derrida: individuare un elemento.

Derrida arriverà a chiamare la différance “trascendentale”, ma di cui non si possa dare una scienza. Qui trascendentale significa che è la condizione di possibilità di qualcosa; per Kant ha un significato più specifico, è condizione di possibilità della conoscenza, quindi si dà una conoscenza, trascendentali sono le forme che il soggetto pone nell’esperienza.

Kant si riferisce alla rivoluzione copernicana come una rivoluzione metodologica. Per Kant l’esperienza è l’esperienza di qualcuno; non possono esistere oggetti di conoscenza senza qualcuno che conosce, l’elemento necessario dell’esperienza è il soggetto.
La scrittura riguarda la produzione di significazione, e anche il concetto stesso di esperienza.

p.91: Quanto al concetto di esperienza…

Derrida continua ad usare la parola esperienza, sta andando nella direzione di un trascendentalismo, condizioni dell’esperienza - proprio perché il trascendentalismo va in una direzione opposta all’empirismo. Derrida affronta questa questione anche nel testo Violenza e metafisica, in cui si confronta con Levinas. In questo testo, Derrida sostiene che non esiste un’esperienza pura, che non sia legata al soggetto, kantianamente. Stacca quindi il suo discorso dall’empirismo e lo imposta in modo che giustifichi il trascendentalismo.

Il mettere tra parentesi le regioni dell’esperienza…

Glossematica è un sinonimo di grammatologia.

Si riferisce alla trascendentalità per non ricadere in un oggettivismo ingenuo. Il riferimento alla trascendentalità non è il riferimento a una regione a-storica, ma come la traccia istituita è una regione della storia, così la différance, architraccia, è apertura della storia, è trascendentale in quanto condizione di possibilità della storia, e in questo senso non è un concetto naturale.

L’empirismo brutale, “ingenuo”, è quello che pretende di fare riferimento nell’esperienza a degli elementi totalmente naturali. Ma l’esperienza, in quanto architraccia, non è mai un fatto naturale. Un conto è intendere l’esperienza come una modalità per cogliere qualcosa di originario (immediato, intuitivo, naturale); altro è cogliere l’esperienza come un testo, ossia come una rete di rinvio. Per questo motivo il termine che meglio la descrive è architraccia, traccia istituita. Il trascendentale di questa esperienza è la traccia istituita.

Per oggettivismo intende il fatto che gli oggetti possano essere dati in sé per sé nell’esperienza, che gli oggetti siano dati, cioè intesi come un dato ultimo, e dunque non intaccati dall’archiscrittura.

L’esperienza stessa è un testo - prende la struttura kantiana trascendentale e la traduce nella forma dell’archiscrittura e della testualità generale.

p.92 L’origine è l’effetto del gioco trascendentale

Usa un linguaggio della metafisica che poi viene messo sotto barratura - e questo evidenzia il fatto che si tratta di un percorso - Derrida la chiama paleonimia - usare la stessa parola per spiegare concetto diversi.

Il concetto di origine è perciò derivato dalla différance. Per strappare il concetto di traccia allo schema classico, bisogna parlare di traccia originaria o architraccia.
Non c’è un’identità originaria, per cui il concetto di traccia è posto all’originaria come architraccia. Questo significato che viene spogliato del riferimento a una presenza antecedente. Il concetto di traccia volgare fa riferimento a qualcosa che l’ha prodotto; la traccia originaria, no - questa è la sua marca empirica, l’impronta di un animale è una marca empirica, ha senso se fa riferimento a una presenza che l’ha prodotta. Ma la traccia originaria non è segnata da nessuna impronta. Il punto è che non esiste una presenza ultima, il gioco che produce una marca empirica - quello prodotta da una traccia - è il gioco generale dell’ontologia. In Derrida non c’è invece, una presenza ultima: c’è una traccia originaria, architraccia.

p. 93: Questo concetto distrugge e il suo nome, e se tutto comincia con la traccia, non c’è traccia originaria…

Per Husserl l’esperienza trascendentale è l’esperienza della coscienza, è in quanto tale la sua metafisica è tutta inglobata nella metafisica della presenza.

Nella decostruzione dell’archia non si procede a un elezione, ossia una scelta

La cosa buona della fenomenologia è la sua impostazione trascendentale; cioè che non è buono è che questa trascendentalità è radicata nella presenzialità della coscienza.

Veniamo ora alla questione della forma.

p. 94 La traccia originaria è anche un’impronta, e in questo senso è una forma…

Lui fa nuovamente riferimento a questo elemento formale, la différance, che intende però in senso attivo. Non è la forma platonica, atemporale, ma il formarsi della sua forma - per cui preferisce usare la parola impronta.
La traccia è intesa come tracciamento, ma anche il tracciarsi scritturale di qualcosa è il gioco delle differenze.

Ciò che Derrida intende con différance è il fatto che qualcosa accada; per questo è un’apertura della storia. C’è un gioco energetico. Ha una sostanza alla base? No. La dynamis precede la sostanza, la sostanza è effetto di una dynamis.

Derrida vuole dire che tutte le sostanze della storia della metafisica sono effetti, effetti di una intenzionalità. Tutte le funzioni come la coscienza vengono riportate così a una dimensione regionale, sono effetti del gioco differenziale. È un gioco causale.

Ne La disseminazione, parla di Mallarmé, del caso assoluto, della casualità - la parola più adatta per descrivere il gioco.

La différance è la formazione della forma, e l’essere impresso da un’impronta (p.94).

Si sa che Saussure distingue tra immagine acustica (parol) e suono oggettivo.

L’immagine acustica è diversa dal suono espresso.

Derrida qui comincia una discussione per difendere questo concetto dell’immagine acustica, che per certi versi può sembrare platonico, cioè potrebbe sembrare rappresentare una idealità del suono.

p.95: L’immagine acustica…

Non è né un concetto (una pura forma, come i concetti kantiani) né qualcosa di materiale.
Per quanto l’espressione immagine psichica (o acustica, Saussure usa entrambe le espressioni per significare la stessa cosa) contiene nel suo concetto una congiunzione tra una materialità che non è la materia empirica e una forma che non è concettuale (come uno schema kantiano): immagine acustica è come suono non pronunciato che non ha una forma.

Il luogo della différance è dunque l’informe?

In Margini della filosofia c’è un testo, La forma e il voler dire, ha in esergo una citazione di Plotino: la traccia come forma dell’informe.
Ma qui l’immagine acustica non è l’informe, e lì Derrida cita Plotino perché il suo discorso non è difendere l’idea che la traccia sia la traccia di qualcosa di informe; questo porterebbe di nuovo all’idea della pagina bianca su cui poi si applica la scrittura; c’è già, dall’inizio, la scrittura.

p.96: Benché la nozione di immagine psichica…

È tra il puramente psichico e il puramente materiale; questo è un modo per rileggere in un certo senso Kant, che parte dalla divisione tra ciò che è materiale (sensazione) e ciò che è oggettivo (intelletto), con una sintesi tra questi due elementi. Ma come ha fatto Kant a isolare questi due aspetti della conoscenza?

Qui è come se Derrida rivisitasse Kant a partire dalla sintesi attuata in questo esempio di immagine acustica, come sintesi tra forma e materia.

Reel significa che è un contenuto reale, esistente, dell’esperienza; Real significa che è un contenuto. Kant distingue la categoria della Realitaet (qualità, che corrisponde alla realitas), da quella della Wirklichkeit, quella dell’oggettualità. Il concetto di Dio ha una realitaet perché è dotato di tutte le determinazioni. È un ens realissimum ma non possiamo dire se è Wirklichkeit.

Derrida difende questa distinzione perché questa architraccia non è la pura pagina bianca. Per concludere il discorso delle condizioni di possibilità di una grammatologia.

3. La fessura

Origine dell’esperienza dello psazio e del tempo…

Derrida nella différance aveva detto che non si tratta dell’identico, ma del medesimo. L’immagine acustica individua questa medesimezza.

Ontologia dell’istituzione differenziale dell’identità; ha una costituzione ab origine di tipo differenziale; una costituzione temporale dell’identità; non esiste un’identità che non sia una sintesi temporale.

La fessura è un altro nome per dire la spaziatura.

p. 103 (edizione nuova): come mai la traccia è definita rispetto a un passato? Perché questo privilegio del passato?

Quello che si vuole sottolineare in questo caso è un certo movimento di ritenzione; nella traccia viene ritenuto qualcosa.

Questo è un aspetto che lo distingue da Heidegger; per Heidegger il tempo, la sua forma fondamentale, è l’avvenire; dunque ciò che importa nel tempo è il progetto, la proiezione verso il futuro.

Derrida invece vuole sottolineare con il riferimento al passato la condizione di passività, ossia il fatto che c’è nella costituzione della traccia, qualcosa che non è in nostro potere; mentre il riferimento al futuro già per Heidegger si riferisce al potere, al fatto che l’esserci è possibilità. Derrida vuole sottolineare la dimensione passiva.

p. 107 (102 edizione vecchia):

Xora in greco moderno significa regione, frazione, luogo abitato - oggi la traduciamo con materia. Il verbo Xorein significa ritrarsi, la Xora indica qualcosa che sotto l’azione dello stilo (o del demiurgo) si ritrae e quindi produce un incisione; l’azione del Xorein è di fare un vuoto; Xoris in greco significa senza. Non è produttivo, ma si ritrae.

La significazione non si produce se non nell’incavo della différance.

La scrittura, perché produce un’incisione e una spaziatura, produce delle discontinuità. Questo aspetto del linguaggio a un certo punto si è scontrato con un altro pregiudizio nella linguistica, il pregiudizio del continuo.

Il flusso del linguaggio parlato […] pose in origine la teoria della comunicazione. Tradotto in italiano: l’opposizione tra la voce e la scrittura viene intesa come opposizione tra un elemento continuo (la voce) e la scrittura che è discontinua.
Tuttavia, questo aspetto di continuità della voce, è stato risolto dalla linguistica in unità discontinue.

Queste unità discontinue vengono raggruppate in fonemi.

p. 103 Bisogna porre la questione del senso e della sua origine nella differenza…

L’opposizione tra un elemento continuo e discontinuo non è così semplice come la mette Derrida; lui dice che la scrittura si presenta in elementi discreti, perché sono tali in quanto sono circondati da una spaziatura.

Nietzsche è il primo filosofo che scrive con la macchina da scrivere. La macchina da scrivere distrugge l’unità della parola in quanto inserisce una parcellizzazione della scrittura.
È vero dunque che la scrittura parcellizza, ossia rende discontinuo, mentre la phoné è questo elemento del continuo. Ma qui sta un problema concettuale: che non esistono atomi, aveva detto Derrida - ma il concetto del discontinuo indica che esistono degli atomi, ossia le lettere dell’alfabeto; attribuire il discontinuo agli elementi della linguistica significherebbe dire che esistono degli atomi ultimi, come dice qui Jacobson, che sono i fonemi.

Viceversa il continuo è la divisibilità all’infinito. Se una retta è continua, significa che è fatta di punti infiniti, dunque è divisibile all’infinito.

Se per Derrida esistono atomi (discontinuo) e la lettera è divisibile all’infinito (continuo), c’è una sorta di contraddizione.

Lezione 9: mercoledì xx novembre []: prof. assente

Lezione 10: lunedì 2 dicembre

L’eliminazione di un significato trascendentale si risolve in un nichilismo assoluto (cioè non c’è nessun significato)?

Non si può cioè parlare in assoluto di nessuna identità? A volte Derrida sembra dire esattamente che tutto è significante; Derrida afferma: che il significato sia ordinariamente ed essenzialmente, traccia, che sia già da sempre posizione di significante, ecco la proposizione apparentemente innocente…

Solo per un intelletto divino diventerebbe possibile la comprensione del significato. L’eliminazione della fessura (o cesura) è comprensibile all’infinito. Per questo tutta l’ontologia si esprime in termini, teologici, è una teologia. Solo l’infinito positivo può togliere la traccia, sublimarla.

Un pregiudizio teologico funziona qua è la quando si parla del logos come pienezza. Le teologie sono sempre logocentrismi, siano o no dei creazionismi. L’epoca del libro è anche l’epoca della teologia. Il libro è concettualmente il libro sacro, lequivalente del testo sacro, cioè che si comprende a partire da se stesso e in funzione di se stesso; l’infinito equivale a questa dimensione di completezza e di chiusura.

Per un intelletto finito il rinvio sarebbe paradossalmente infinito. Ciò pone dei problemi molto seri per l’utilizzo di categorie come finito, infinito. Per un intelletto finito la semiosi appare infinita, perché il rinvio non si chiude mai; per un intelletto infinito. Per uno spirito finito c’è sempre un significante che rinvia, e il tutto non è che traccia - un intelletto finito non può avere l’intuizione di una pienezza piena e assoluta che è quella della totalità (un po’ come nella critica kantiana alla metafisica, un intelletto finito non può togliere la totalità del mondo o di Dio). Per un intelletto finito il rinvio è dunque infinito.

Per un rinvio infinito si potrebbe invece dare la chiusura del libro; perché riesce a cogliere la totalità. C’è un incrocio chiasmatico tra finito e infinito, forse dovuto a una sorta di ridefinizione dei concetti che Derrida opera.

Il concetto di completezza associato all’infinito attuale, come qualcosa che si dà nella sua totalità, per i Greci coincideva piuttosto con la finitezza, con la determinatezza di qualcosa. un infinito perché ha raggiunto la sua entelèchia. Infinito, cioè apeiron. Per i Greci l’infinito era qualcosa imperfetto, il finito era qualcosa di perfetto.

Per il cristianesimo tutto il contrario; il finito è imperfetto, mentre l’infinito (Dio) è perfetto :

Bisognerebbe introdurre una differenza tra finitezza e finitudine (la condizione in cui il rinvio all’infinito è inevitabile, per esempio la condizione di essere vivente). Cioè, quello che vogliamo dire è che uno che coglie molto bene questi rapporti chiasmatici è Hegel. Dire che il finito non è non significa che il finito non esiste, ma che non esiste come chiuso in se stesso; in questo senso il finito è infinito, in quanto sempre rimandato ad altro: questo avviene tramite la dialettica. Il finito assume la consapevolezza di non essere un entità chiusa, cioè di essere “sottoposto” al rinvio, dunque si nega.

Questa difficoltà teorica, interessante e notevole, è legata al mondo in cui i concetti di finito e infinito vengono assunti; se si assume l’infinito come completo sembra che sia finito, se si assume l’infinito come ciò che può essere rimandato ad altro, questo non può essere il finito.
La questione ha un’interpretazione concettuale interessante in Hegel.

Teniamo ben presente questa idea: solo per un ente finito la traccia è infinita. Lo vedremo alla fine de La voce e il fenomeno.

Viene ora sviluppata la questione della linearizzazione del significato, il fatto che Saussure il priivlegio della espressione fonetica porta il privilegio del tempo, e della comprensione del tempo in senso lineare. Questo è ciò che Heidegger ha chiamato “senso volgare del tempo” che fa sì che la scrittura sia anche concepita secondo questa logica lineare, cioè se concepita come fonetica, come sequenza.

Alla scrittura viene attribuita così una linearizzazione - Derrida nota che Jacobson si distacca in questo punto, perché fa riferimento all’accordo musicale. Il modo di funzionamento di questa scrittura non è quella della successione lineare, ma quella della partitura musicale in cui le note di danno contemporaneamente. Si leggono cioè contemporaneamente più note, più simboli.

L’aspetto del modo in cui si legge - per Derrida non è tanto di superare la scrittura fonetica, ma di superare una sorta di idealizzazione, una forma di pregiudizio che porta a considerare la scirttura come veramente fonetica; anche la scrittura fonetica è per Derrida una sorta di partitura.

È il momento di cominciare a leggere e scrivere in maniera diversa.

Il problema non è tanto quello di sostituire la scrittura con un altro tipo di scrittura, ma di evidenziare all’interno della presunta scrittura fonetica tutti quelli che non sono riducibili alla pura phoné, facendo qualcosa di diverso.

Non è che a un tipo di scrittura alfabetica bisogna opporre un tipo di scrittura ideografica (sulla base della considerazione del cinese da Leibniz nel ’700), non è questo il punto, ma ciò che Derrida vuole dire è l’idea della significazione, per cui ogni modo di considerare in termini puri qualcosa è destinato allo scacco. Non si tratta di dire esistono solo scritture fonetiche o ideografiche; Derrida vuole dimostrare che la scrittura è qualcosa di multidirezionale.

L’idea della scrittura musicale è interessante perché come nel pentagramma si legge su più righe contemporaneamente e lo sguardo deve leggere contemporaneamente più cose, allo stesso modo questo rimanda ad una maniera di leggere non lineare, sincronica (Derrida usa di più la parola mitogramma, cioè un tipo di gramma, o scrittura, o segno grafico che è un racconto di se stesso, e cioè non riproduce solo un suono ma è una rete di rinvii a un riferimento più ampio e non solo a un suono.

III. Della grammatologia come scienza positiva.

p. 115

Sempre la solita domanda kantiana: a quali condizioni è possibile la grammatologia?

Si tratta di definire che cos’è l’episteme e che cos’è il logos. Questa domanda è una domanda trascendentale che ha anche un significato empirico; cioè si traduce in una domanda sull’origine empirica della scrittura: dove e quando comincia?

Se l’origine, l’arché è il darsi di qualcosa, la scrittura è la negazione della presenza.

p.116

Porre in maniera radicale la questione della scrittura occorre mettere in questione l’idea di origine semplice. La questione di origine si confonde anzitutto con la questione dell’essenza della scrittura, cioè che cos’è e da che cosa la si riconosce.

Questa è una domanda tipicamente fenomenologica; individuare l’essenza è qualcosa che avviene in particolare in Husserl, cogliere l’origine di qualcosa significa ritornare al momento in cui si è data una intuizione piena.

La scrittura è ciò che mette in discussione il che cos’è. La non è niente, la eccede e la rende possibile.

La scrittura è cioè interamente storica; per questo motivo è naturale e quasi sorprendente che uno studio scientifico sulla scrittura si sia ridotto ad uno studio storico della stessa.

La scrittura di per sé denuncia una condizione storica dell’uomo e del sapere, per cui:

  1. o è superata da una condizione priva di scrittura (la phoné, che la precede (mondo in cui la scrittura non esiste)
  2. o c’è un altro tipo di scrittura, una scrittura più originaria, data direttamente dalla mano di Dio.

In ogni caso c’è una sorta di tentativo di riduzione della lettura storica della scrittura in favore di una lettura a-storica. Secondo Derrida cioè anche quando viene rivalutata, la scrittura sarebbe refrattaria, incompatibile con una lettura storica.

Anche Cartesio e Leibniz avevano della scrittura cinese una condizione tale per cui essa sarebbe da leggere in una dimensione a-storica, cioè è statica.
La scrittura cinese viene rivalutata e considerata come forma più perfetta di scrittura (non storica) proprio perché non è una scrittura fonetica, e non essendo fonetica non è lineare.

Ciò che emerge nel dibattito è che il linearismo della scrittura fonetica è sempre associato alla storia. Questo crea un altro cortocircuito concettuale: la scrittura fonetica allora ha favorito nel mondo occidentale una concezione del tempo lineare? No, il problema è più radicale:

la storicità può essere ridotta alla linearità? Linearità = storia; non linearità = astoricità.

Se il cristianesimo ha una concezione lineare ed escatologica, allora il cinese sarebbe astorico; Derrida vuole mettere in discussione questa sorta di equivalenza; queste equivalenza implicano che la storia non può essere concepita in termini lineari.

Il linearismo cinese è la tesi per cui la scrittura cinese non sarebbe storica; in questo consisterebbe la sua perfezione.

Un aspetto del problema riguarda il modo di concepire la storia; l’altro è che la scrittura cinese è come un pentagramma, è multidimensionale; esprime un concetto mentre esprime anche un suono, e nel farlo rimanda ad altri concetti. Eppure non è questo il modo in cui veniva compreso il cinese; anche qui, dice Derrida, c’è una specie di pregiudizio; il fatto cioè che gli ideogrammi potessero essere considerati come una ideografia, rappresentazione diretta di idee, e si potessero perciò trovare delle idee semplici, che Leibniz chiamava l’alfabeto delle idee. Un principio, per così dire, analitico, che informa questo modo di pensare. Questo in relazione alla nozione di caratteristica universali di Leibniz; in un linguaggio si possono individuare concetti composti, che possono essere scomposti in concetti elementari nell’alfabeto e nelle idee. Un’idea atomistica questa, l’abbiamo detto più volte. Sarebbe possibile secondo Leibniz costruire una linguistica universale.

Questo aveva a che fare con la questione delle Guerre di religione causate dalle diverse traduzioni del testo Sacro, connessa alla Riforma e alla traduzione luterana della Bibbia:

  1. nella Pentecoste, lo spirito di Dio scende sugli apostoli, che iniziano a parlare in lingue conosciute; queso veniva inteso con l’idea che il linguaggio evangelico dovesse essere tradotto in lingue correnti (volgari)
  2. traducendo il testo, il fedele si rivolgeva direttamente a Dio, senza la mediazione della Chiesa. La traduzione che circolava prima era la Vulgata di San Girolamo.

Da questi due assunti Lutero ha proceduto alla democratizzazione del messaggio evangelico - questo ha prodotto anche grande alfabetizzazione (Svezia, Scozia hanno sconfitto l’analfabetismo prima di tutti, molto di più del Sud Europa più legato al cattolicesimo).

Questo pregiudizio rispetto al cinese riguarda:

  1. la sua
  2. la sua ideograficità
  3. il suo carattere astorico, cioè che sarebbe una lingua “più perfetta”

p.120-121

Per Leibniz i caratteri rappresentano direttamente cose senza la mediazione dei suoni. Il presupposto è quello dell’atomismo, di come sia possibile eliminare questo carattere. Il concetto di semplice assoluto, in questo tipo di argomentazioni, è sempre all’opera, dice Derrida. Questo, oggi, è l’assunto della filosofia analitica. Wittgeinstein dice: se si assume che i nostri pensieri sono composti, è possibile eliminare i pensieri seplici di cui questi pensieri sono composti. La scomposizione presuppone una combinatoria; una combinatoria presuppone un assemblaggio.

I caratteri semplici sembrano idee platoniche che non vengono mutate da qualsiasi vicenda storica; restano cioè immutabili e sono non trasformabile e sempre uguali a se stessi.

Una vecchia questione della filosofia: esistono oggetti semplici o non esistono oggetti semplici? II antinomia di Kant, equivale a: la realtà è continua o discontinua? Dire che il processo di divisione va all’infinito significa appunto arrivare a dei quanta sempre più piccoli per cui si arriva a un oggetto ultimo.
Ma dire che tutto è divisibile all’infinito significa soprattutto che tutto è rapporto. L’idea non è tanto che esistano enti considerabili come l’ultimo mattoncino della realtà.

Il problema qui è capire se i quanta possano sussistere in maniera isolata, ossia non in rapporto con qualcos’altro.

Da cui derivano questioni molto interessanti, per esempio cosa significa trasformazione.

Se le lingue sono immutabili, allora derivano da un mondo in cui i cambiamenti storici sono prodotti da determinazioni casuali, come i singoli atomi. Il divenire allora è un’illusione, come dice Parmenide, perché è una mera combinatoria di questi elementi.

Questa questione del carattere storico, di che cos’è la storia, coinvolge anche sotterraneamente che cos’è la vita, nella misura in cui la vita è trasformazione.

Vedi la polemica contro Spallanzani, e il modo in cui Spallanzani concepiva la digestione, considerata come uno “smontaggio” dei cibi, che vengono ricomposte in un altro modo.
Hegel non era soddisfatto di questa interpretazione del metabolismo, che rappresenta una vera trasformazione di ciò che viene mangiato in un’altra cosa. Nel dire questo Hegel aveva in mente la transustanziazione, il dogma cristiano. Se noi cioè mangiamo certi alimenti, questi poi diventano carne, che è un’alltra cosa, una vera e propria trasformazione dal punto di vista di Hegel. Una implicazione filosofica profonda che ha sullo sfondo la questione della transustanziazione dunque, dall’altro ha al centro il concetto di trasformazione: se la trasformazione è una combinatoria, nulla si trasforma e la trasformazione è solo una ricombinazione di elementi sempre uguali a se stessi.

Linearità

Derrida vuole contestare entrambe le rappresentazioni:

C’è l’idea che le varie forme di scrittura non si sono mai adattate alle forme tipologiche che venivano di volta in volta individuate; e questo vale per la scrittura fonetica, per il cinese, e per la scrittura Maya e babilonese.

Anche nel babilonese, ma questo esiste anche nel cinese, ci sono tanti elementi ideografici assunti in maniera fonetica, ossia letti precisamente nel loro valore fonetico. Altri elementi, detti “determinativi”, non vengono letti ma indicano come deve essere letto l’ideogramma seguente e quello successivo. Agiscono come classificatori e non hanno nessun valore fonetico. esistono nel cuneiforme e nel cinese.

La scrittura è un pensiero multi-dimensionale, cioè implica una serie di operazioni che contestano la linearizzazione e la mono-dimensionalità dei riferimenti a cui il segno rinvia

p.132: il litogramma

Tutto ciò che resiste alla linearizzazione…

La sovrapposizione tra pensiero lineare e storico e la scrittura ideografica è il discorso che Derrida vuole contestare e negare.

Se si parla di pensiero multi-dimensionale, questo comporta una sorta di simultaneità che coincide con una forma di a-storicità; semplicemente un altro modo di pensare la storia.

Ci si dovrebbe servire di una parola diversa da storia, sia secondo la retta che secondo il cerchio. Né la retta né il cerchio.

  1. Linearizzazione

La scrittura multidimensionale non significa simultaneità. Questa scrittura non si dà nella struttura del simultaneo.

p. 135: la grafologia

Riferimento alla psicanalisi. L’archiscrittura dovrebbe aprire il campo di se stessa, non può essere regionale e deve essere archiscrittura.

Non può essere una grafologia. Cos’è la grafologia? Una analisi psichica attraverso la scrittura, i tracciati particolari rivelano la particolarità di spirito di colui che scrive. Cohen aspirava ad una grafologia culturale: la maniera in cui si scrive in determinate lingue si potrebbe in questo modo individuare in delle caratteristiche dello spirito collettivo dei popoli. Le condizioni sono condizioni soggettive o spirituali, come elementi che denunciano nella scrittura il modus cogitandi di un determinato popolo, appunto la sua cultura.

p.136: la generalità della psicanalisi

Per Husserl la logica ha un aspetto bilaterale, implica due aspetti:

Derrida qui insiste sul primo significato, la dimensione soggettiva. Più interessante della grafoanalisi è la psicanalisi, che riguarda la costituzione originaria dell’oggettività e del valore dell’oggetto - per ciò essa non è una semplice scienza regionale.

La generalità della psicanalisi ha un senso arcontico nei confronti di ogni scienza generale.

Quanto alle operazioni inconscienti, sono più interessanti per Derrida in quanto non rimandano alla coscienza ma all’inconscio, assumendo ancora più radicalmente un carattere di traccia, di nozioni che non possono mai essere fenomenizzate diversamente.
Cita Melanie Klein e l’interpretazione della scrittura dei bambini.

Perché la psicanalisi ha questa posizione di privilegio? Per Derrida la psicanalisi non è semplicemente una scienza regionale, è già di per sé un superamento della metafisica della presenza in quanto si riferisce a sensazioni incoscienti.

p.139: la sinestesia

La scrittura non è qualcosa che si possa riferire a un solo senso (solo alla phoné o solo alla vista) non possiamo dire che la scrittura ideografica è più visuale o la scrittura fonetica si riferisca più al suono; ma ogni scrittura dovrebbe essere ridefinita nel suo carattere di scrittura a partire dal fatto che è di per sè e originariamente un’interpretazione sinestetica. Il termine différance agisce spettacolarmente (è messa in scena questo carattere sinestetico della scrittura). Tra la visione di différance scritto con la a e la scrittura corretta; il cambio di lettera svolge questa funzione sinestetica, pur non essendo un concetto. Esibisce in maniera chiara questa operazione, una composizione di sensi multidimensionale, sia in senso intellettuale che in senso finisico. Così dobbiamo intendere la scrittura.

L’aspetto fonetico non è altro che una repressione della multidimensionalità della scrittura.
La stessa multidimensionalità della scrittura è una faase storica, un segno nasce con un significato, magari, e muore con altri.

Ricorso alla psicanalisi: all’inizio tutti i segni grafici erano rappresentazioni mentali, ma poi hanno subito delle trasformazioni.

Non riconosciamo più certi significati alle lettere dell’alfabeto; questa è la prima cosa che fanno i bambini, attribuire significati alle singole lettere. C’è una stratificazione storica dei significati, come multisenso, la struttura multidimensionale della scrittura è storica. Altro che idea platonica e atomismo: la scrittura è stratificazione storica di una lingua.

p.145: filosofia e pensiero

La stratificazione della scienza…

Distinzione di Heidegger tra filosofia e pensiero. Il pensiero per Heidegger non sfugge al pensiero; il pensiero è apertura, la filosofia è comprensione di significati. Come qualsiasi apertura, il pensiero appartiene al di dentro di un’epoca passata.

Grammatologia: questo pensiero si terrebbe ancora murato nella presenza.

Lezione 11: martedì 3 dicembre

La metafisica della presenza determina una monodimensionalità, l’uno esclude l’altro. In questo senso il tempo è una successione seriale. La différance è invece una struttura di rinvio che determina una relazione non di simultaneità ma di appartenenza, un rinvio che rimanda a qualcosa che è assente. La différance è un concetto di tempo in favore di qualcosa di assente, in questo senso coincide con la struttura della traccia.

Monodimensionalità della linea: la struttura originaria dello spazio si dà come espacements che come rinvio, cioè con la srstruttura del tempo, il tempo pluridimensionale. Dire che è una struttura pluridimensionale fa riferimento al fatto che in questo contesto la pluridimensionalità è una struttura di non attualità, perché la metafisica della presenza è una successione di attualità. Carattere di potenzialità dinamica della différance. Una delle cose, la concezione del tempo, che Derrida desume da Heidegger.

Il concetto fondamentale del tempo con Heidegger non è più il presente, ma il futuro, l’avvenire, il potenziale e quindi il fatto che nell’attuale c’è sempre una dimensione dinamica che rimanda ad altro, nella misura in cui contiene una potenzialità e quindi una sorta di eccedenza. Questa eccedenza è ciò che Derrida vuole dire quando parla di pluridimensionalità del tempo. Qualsiasi cosa significa non soltanto se stesso, ma anche qualcos’altro.

Derrida è più portato ad accostare la traccia a un passato, un passato che non è mai stato presente…

Parte II. Natura, Cultura, Scrittura

Capitolo I. La violenza della lettera da Rousseau a Levi-Strauss

La parte terza si intitola: Natura, Cultura, Scrittura La scrittura cioè come punto di congiunzione tra la natura e la cultura.

Perché Rousseau? Rousseau rappresenta una congiunzione tra il cartesianesimo e Hegel. Hegel sarebbe per Derrida l’ultimo filosofo del libro e il primo filosofo della scrittura. Cartesio invece rappresenta il punto in cui la metafisica della presenza, perché la coscienza rappresenta il fondamento della realtà. Incontro della metafisica della presenza con la metafisica della coscienza.

La presenza acquista il carattere forte di sicurezza a sé, sicurezza del proprio sapere, come auto-affezione pura, l’elemento in cui poi si svilupperà la fenomenologia husserliana (in La voce e il fenomeno, non ci sarà altro che una discussione storica più approfondita dei tratti metafisici della metafisica della presenza.
La presenza come presenza assoluta fa sì che ci sia un privilegio del logos o della phoné. È un medium totalmente trasparente.

p.150

Dio è il nome e l’elemento di ciò che…

La struttura di significato è una struttura, auto-affettiva, ci si incalza tra se stessi.
Rousseau rappresenterebbe un momento emblematico dell’epoca che va da Descartes a Hegel, tutto ciò che dirà Rousseau della natura non è alto che un replicazione della “presenza a sé” che in Descartes viene attribuita alla coscienza.

L’estromissione della struttura è l’equivalente dell’estromissione della cultura che Rousseau opera a favore della natura.

1. La violenza della lettera. Da Levi-Strauss a Rousseau

Questo capitolo riguarda un aspetto importante nei rapporti tra metafisica della presenza e scrittura, e cioè l’etica. Il ruolo che la scrittura ha dal punto di vista etico e politico, e quindi il modo in cui è stata concettualizzata, la metafisica ha costituito un sistema di difesa essenziale contro la minaccia alla scrittura.

La scrittura è sempre stata estromessa perché considerata un’operazione violenta; violenta rispetto alla purezza della natura. In Rousseau utto ciò viene condannato perché la cultura viene considerata una distruzione della natura. In tutto questo discorso si riferisce a Levi-Strauss, che in molti testi cita Rousseau.

Hanno un identico impianto concettuale, che Rousseau deriva dal suo naturalismo e Levi-Strauss deriva dallo strutturalismo - il fonologismo, il privilegio della phoné. Questo elemento caratterizza tutto lo strutturalismo - fa sì che Levi-Strauss e molti altri antropologi assumessero la fonologia (la linguistica intesa in senso fonologico) di tutte le scienze umane, compresa la sociologia.

Altra questione è il fatto che attraverso questo privilegio del fonologismo ciò che si riscontra è una autentica condanna della scrittura. Questo è il problema per Derrida, che si riduce a una proiezione, un pregiudizio etnocentrico, di questa idea, persino nelle altre culture. In particolare, la cultura degli Armikvara, una popolazione dell’America Meridionale.

p.156

Il modo in cui viene operato il tema della scrittura nel definire i rapporti tra natura e cultura, risulta giocoforza sempre ambiguo. Questo perché non si capisce mai bene nei testi di Levi-Strauss se la scrittura sia un punto di sutura (o di congiunzione) tra la natura e la cultura, o sia un punto di divaricazione. Ovviamente si possono affermare entrambe le cose - ciò su cui Derrida vuole sostanzialmente insistere.

La scrittura riemerge sempre. Non è mai chiaro, vuole dire Derrida, se svolga una funzione di congiunzione (ossia origine della divaricazione) o sia l’elemento

Derrida vuole mettere in luce un doppio gesto; da un lato il gesto di concettualizzare la natura pura su cui interviene con violenza la scrittura; è impossibile escludere la cultura dalla natura per poter ristabilire un mondo dove questa violenza non c’è;; dall’altro l’impossibilità pratica di poter effettuare un discorso del genere, o il fatto che Derrida cerca di mostrare che ciò che viene chiamato “scrittura” c’è in realtà già prima della scrittura empirica, e in base alla quale viene inaugurata la distinzione tra popoli con la scrittura e popoli senza scrittura.

Si tratta di capire se la popolazione degli Armikvara sono un popolo ha la scrittura o meno. Derrida dice che se ci si attiene al concetto “volgare” di scrittura, la distinzione viene fatta sul base del fatto che la popolazione non possiede un sistema di scrittura. Ma se ci si attiene al concetto di scirttura usato da Derrida, l’archiscrittura, non può esistere nessuna popolazione che sia esente dalla scrittura.

Questo discorso porta una conseguenza: che se la scrittura è violenza, possiamo ammettere che la violenza è alle origini? Possiamo ammettere che esistano società non violente. Questo motivo del Buon Selvaggio sarà centrale anche nella seconda parte.

La questione della scrittura viene a coincidere su qual è il punto dove noi possiamo dire che nasce una civiltà, indipendentemente dal fatto che possieda o non possieda una scrittura. La nascita della civiltà coincide con la nascita della scrittura? Sono sostanzialmente la stessa cosa?

È interessante a questo riguardo il problema dell’incesto. L’incesto presenta una struttura che ha gli stessi tratti di ambiguità della scrittura.

Indubbiamente Levi-Strauss è sempre andato da un punto a un altro…

Il problema dell’archiscrittura è analogo al problema della proibizione dell’incesto.

la proibizione dell’incesto è una regola, ma è l’unica regola tra le regole sociali che ha carattere di universalità. È una norma giuridica che pare esista in tutte le culture - almeno così sostiene Levi-Strauss. È una proibizione universale, cioè un punto di congiunzione o divaricazione tra natura (cioè che è universale) e la cultura (ciò che è particolare, perché è una norma istituita). L’incesto è una norma istituita che però è universale.

p.157

Di fronte all’ambiguità, Levi-Strauss sembra dire in questo luogo che la distinzione natura-cultura è una distinzione metodologica. Su questo tema si pone la stessa questione di ieri: si può dire che per Derrida esiste il significato? Dobbiamo dire che tutto è cultura e non esiste niente che non sia naturale? Derrida avvalora una logica per cui la testualità generale è tale perché coinvolge una struttura, sia la natura sia la cultura - è il concetto originario di questa distinzione.

La cancellazione equivarrebbe a dire che il tutto ricade nella differenza, la distinzione ha una sua funzione, ma Derrida non vuole definire questa cosa differenziando tra natura e cultura; si deve ripensare la natura e la cultura come qualcosa di legato alla différance.

La guerra dei nomi propri

Questione della nominazione in generale. Se in generale l’esistenza del nome sia già di per sé un allontanamento della relazione naturale; se intendiamo con relazione naturale il proprium, cioè che è più autentico e originario, nessun nome proprio in sé può essere la possibilità di raggiungimento di questa significazione autentica e originaria.

Un nome denota qualcosa in maniera propria, ossia identificando. Sono nomi che per questo dovrebbero sottrarsi a qualsiasi categorizzazione.

La nominazione strappa alla proprietà, trascina nella improprietà? O nella nominazione è possibile mantenere un rapporto autentico con la cosa designata? Potrebbe essere un modo per sottolineare la propria unicità, la propria autenticità.

La guerra dei nomi propri rappresenta un episodio da cui si sviluppa la questione teorica. In primis, fino a che punto è lecido dire che una popolazione è senza scrittura? Questo è ciò che afferma Levi-Strauss.

p.161

È lecito parlare di popoli senza scrittura di fronte a questi fenomeni culturali? Bisogna spostarsi da un concetto banale di scrittura a un concetto di archiscrittura come possibilità della traccia in generale, per cui una popolazione che produce i percorsi, delle strade. L’habitus è un comportamento che viene standardizzato, un instradamento.

Derrida afferma che questa popolazione già possiede la scrittura. Se la scrittura è violenta, l’archiscrittura lo è altrettanto.

Derrida non tende a negare che la scrittura sia violenta, afferma esplicitamente che la scrittura è violenta perché è determinata da un’incisione. Se è violenta la scrittura empirica, è violenta pure l’archiscrittura. Questo è molto radicale: l’idea che in origine è la violenza.

Lui contesta a Rousseau il fatto che lui sogni costantemente il recupero di un’immagine mitica che lui chiama natura.

Accettabile per Rousseau è che esiste un paradiso perduto che noi abbiamo perso con la venuta della scrittura.

Derrida non vuole dire che gli autori hanno torto; cerca di far vedere che quando un autore opera distinzioni troppo “platoniche”, ci sono dei sintomi nel discrso che incrinano la purezza di queste distinzioni.

Questo non significa che le distinzioni non si possano più fare; il discorso è volto a mettere in crisi l’idea per cui passi un’altra questione, in cui uno stato rappresenta uno stato di purezza e l’altro uno stato di degradazione; che sia cioè possibile eliminare ciò che è degradato per raggiungere nuovamente la purezza.

Questa specie di “contaminazione” o “indistinzione”, il punto di sutura che è allo stesso tempo un punto di separazione è un punto nel quale questi distinti si congiungono ma allo stesso tempo in una congiunzione che è separazione.

p. 165

Racconto. La popolazione ha dei nomi ma sono segreti, ciascuno si fa chiamare con un secondo nome che è il nome pubblico. Nell’episodio due bambine litigano, e una per ripicca rivela il nome proprio dell’altra bambina. L’altra bambina capisce il trucchetto e per vendetta rivela il nome della seconda bambina. Così si innesca un processo per cui vengono rivelati i nomi degli altri bambini e anche gli adulti.

Cosa ne ricava Levi-Strauss, una riflessione sul fatto che il nome proprio rappresenta per questa popolazione un tratto di maggiore vicinanza a se stessi, che non può essere intaccato dalla comunicazione con altri, non può essere rivelato.

Il fatto di rivelarlo si configura come un grave delito. La prossimità del nome proprio a se stessi è una prossimità senza coscienza. Derrida vede qui lo stesso meccanismo che porta il linguistica/etnologo a vedere nella linguistica il tratto principale dell’etnologia.

Derrida vuole dire che non può esistere un nome proprio, perché un nome dal momento che esiste, è nel sistema della scrittura.

p. 167- 168

La prossimità totale a se stessi è una pura illusione, che innesca una serie di violenze.

Interpretazione di Derrida; se per Levi-Strauss c’è una dimensione intatta, quella del nome, che viene infranta dalla rivelazione di questa bambina, e innesca un’altra violenza, quella riparatrice degli adulti che ordinano ai bambini di non parlare più.

Derrida traspone tutto questo già nel nome proprio, è come tale è una violenza. Tutto l’ordine delle violenze successive viene letto in un altro modo; la violenza che rivela il nome proprio non è la prima violenza, ma è la violenza che rivela la violenza originaria, ossia una seconda violenza.

C’è un terzo livello della violenza, quello della violenza riparatrice che cerca di ristabilire l’ordine. Ci sono tre gradi di violenza, e non uno.
La scena dei nomi propri mette in luce la violenza originaria. Non esiste un nome proprio, non esiste una natura intaccata.

p. 185

Il secondo episodio, della cosiddetta scena di scrittura.

Riguarda il fatto che questa popolazione non possiede una scrittura come la intendiamo, allora a un certo punto si verifica questo fatto: Levi-Strauss scrive sul suo taccuino, e si mette a imitarlo, tracciando su un pezzo di carta delle onde.

Mentre prima si parlava della questione etica della scrittura, qui emerge maggiormente la questione politica. Dunque cose fortemente interconnesse. C’è l’idea che la scrittura introduce nella società una gerarchizzazione politica.

Il capo imita l’etnologo e fa dei disegni come semplici ondine. Questa popolazione non aveva neanche una parola per il verbo scrivere, ma un vocabolo in particolare (il vocabolo sta a p.183). Il fatto che una popolazione non abbia una parola specifica ma usi una sorta di sinonimo denuncia il fatto che quella popolazione non possiede di fatto la scrittura.

La scrittura introdurrebbe la gerarchizzazione, l’inganno: il capo fa finta di sapere quello che fa, ma usa un inganno per dominare i suoi compagni.

Cosa se ne deduce?

Levi-Strauss fa esattamente questo discorso: la scrittura è una tecnica che in tutte le società introduce una disuguaglianza, che è legata all’economia (discorso marxiano di Levi-Strauss sullo sfondo). La scrittura introduce l’economia di mercato. La società dei Armikvara è una società più autentica secondo Levi-Strauss. Derrida considera la lettura di Levi-Strauss un po’ ingenua.

Derrida insiste sul fatto che Levi-Strauss nel giustificare la condanna della scrittura mette un atto un’operazione sul fatto che le società autentiche vivono nella prossimità, nel vicinato, in una comunicazione faccia a faccia; e per ciò non hanno bisogno di leggere, perché leggere è, di per sé, un inganno.

Se consideriamo attentamente…

A livello politico non è possibile una società che non abbia uno strumento che le consenta un passaggio inter-generazionale, quello della scrittura.

Il senso complessivo del discorso: obiettare, discutere e decostruire l’impostazione per cui il rapporto tra natura e cultura è un rapporto gerarchico in cui l’originario è la natura e il secondario la scrittura e la tecnica, non è così che si pone la questione.

Il sottofondo di questa domanda è per Derrida quello della natura stessa dell’etica. Esiste un’etica, una visione etica che possa conformarsi come etica della natura?

Se la scrittura coincide con una forma di violenza, l’etica consiste in una eliminazione totale della violenza, o c’è una violenza che non coincide con la scrittura?
Non possiamo concepire la non-violenza come qualche forma di autenticità; l’etica è una forma di violenza e il senso di questa…di questa…di questa tesi in Derrida equivale allo statuto della proibizione dell’incesto, la quale è una prima norma universale, costitutiva di una società, il cui significato è in un certo senso quello di violare l’autoriflessione, il fatto che la riproduzione umana non avviene in maniera endogaminca, e gli umani devono uscire dal loro proprium, della propria famiglia, familiarità, per potersi riprodurre.
Ma questo solo da un punto di vista normativo umano; dal punto di vista fisiologico non c’è nulla che proibisca l’incesto?

Non possiamo pensare l’etica come una mera adesione a ciò che è naturale, perché l’etica di per sé non è un fatto naturale non può essere un fatto naturale.
L’etica è qualcosa di ulteriore rispetto a un mondo originario e prettamente naturale. Non è possibile un’etica come totale adesione alla natura, perché l’etica è un risultato dell’architraccia, un risultato della natura, il risultato di una scissione interna all’architraccia. Stessa cosa per la politica, la quale non può avere come suo scopo una politica della prossimità.

Derrida vuole minare alla radice questi presupposti, e in particolare discutere come l’etica di per sé possa essere concepita in termini strettamente naturalistici.

La scrittura è originaria perché è la struttura di rinvio ad altro che vieta la riflessione. C’è questa analogia argomentativa che Derrida mette in campo a livello epistemologico, etico, politico. Vietare identità e autoriflessione.

L’etica e la politica non possono essere pensati come un ritorno all’origine; cosa che individua in Saussure e Levi-Strauss.

Lezione 12: mercoledì 4 dicembre

Per Rousseau tutto ciò che non è natura, la tecnica, la cultura, ecc., è supplementare. Derrida cerca di sviluppare la grafica del supplemento.

Nelle prime pagine Derrida continua il discorso, sottolineando un aspetto: il discorso che Rousseau fa in riferimento alla natura ha un carattere a un tempo ambiguo o sospeso tra il descrittivo e il normativo. È come se Rousseau parlasse della natura come un dato di fatto, la condizione di fatto dell’uomo come essere naturale che viene corrotta con la cultura - Il saggio sull’origine delle lingue viene letto da Derrida in parallelo con il Saggio sull’origine della disuguaglianza.

Da un lato atteggiamento descrittivo di Rousseau: la natura è ciò che noi siamo e non possiamo non essere - tutto ciò che interviene successivamente è una aggiunta, qualcosa di supplementare da cui noi potremmo eventualmente prescindere per ristabilire una condizione di purezza, come se nascessimo in una condizione di innocenza e purezza, e la cosa viene corrotta dalla cultura, dalla tecnica, dal progresso.

Il senso normativo di natura per Rousseau è che la natura è ciò che noi non siamo mai stati e a cui dovremmo tendere. Si capisce così la doppia funzione che in questo assume la cultura, la tecnica e in particolare l’educazione, che consiste in qualcosa che corrompe la natura dell’uomo, e deve essere rimandata il più possibile, oppure è qualcosa che ci consente di ricostruire lo stato di natura e di perfezione, a partire da una dimensione di colpevolezza?

Carattere ambiguo del discorso, carattere ambiguo del pharmakon, inteso come qualcosa che corrompe, a cui non si può ovviare, come nel caso della scrittura donata da Teuth. Qualcosa che secondo Tamus corrompe la natura originaria, o è qualcosa che interviene per ovviare a una manchevolezza dell’uomo, dato che l’uomo non è in grado di tenere a mente le cose?

Non troviamo la parola pharmakon nel testo (La farmacia di Platone è del 1972). Semantica farmacologica.

Di nuovo, in generale, abbiamo da una parte la natura come qualcosa di perfetto, dall’altro come qualcosa di imperfetto, di manchevole, a cui bisogna ovviare.

Questo è in generale il modo in cui Derrida imposta questa analisi di Rousseau: Dall’accecamento al supplemento.

p. 205

Rousseau considera in alcuni casi la scrittura come qualcosa di pericoloso - in tutti i linguisti strutturalisti c’è un privilegio della phonè come metafisica della presenza. La scrittura è il luogo di questa minaccia.

La scrittura diventa necessaria per ovviare alla presenza della voce - deve per forza aggiungersi al verbo.

L’arte di scrivere non è che una rappresentazione mediata del pensiero. Ma c’è qualcosa in più secondo Derrida in tutto questo: il concetto di supplemento alberga in sé due significati, la cui coabitazione è tanto strana quanto necessaria. Il supplemento è una pienezza che arricchisce un’altra pienezza (è qualcosa di eccedente rispetto a questa pienezza). Il supplemento cumula ed accumula la presenza.

La natura è di per sé autosufficiente; dall’altra parte il supplemento serve a condensare un difetto, cioè qualcosa che sostituisce a una mancanza iscritta nella natura; il supplemento dovrebbe dunque venire a ovviare.
Ma non si tratta di un complemento,, perché il supplemento è una addizione esterna. NOn sarebbe un complemento in quanto è interno alla natura, e può svolgere la funzione di eccedente o di contestazione di un difetto.

Vediamo come Derrida si muove all’interno di una logica eccessiva ed iperbolica - tutto il suo discorso è iscritto tra questi due estremi, senza riuscire a decidere in favore di uno o dell’altro. È proprio della scrittura essere a un tempo qualcosa di eccedente e difettoso. È qualcosa di aristotelico, che deriva dal fatto di estremizzare sempre certi argomenti.

Questo è un modo di procedere tipico della decostruzione - portare un sistema e individuare un punto nevralgico, sintomaticamente problematico, e a partire da esso distruggere tutte le nervature.

L’infanzia da un lato è uno stato di innocenza, dall’altro è uno stato di inettitudine, (condizione neotenica), cioè ha bisogno e dipende da qualcosa.

C’è una oscillazione nel testo di Rousseau. Gli uomini nascono di fatto ed empiricamente incompleti, manchevoli, e necessitano di un supporto con cui acquisire autonomia, uno stato di perfezione che non hanno sin dall’inizio. Dall’altro lato natura è inteso in maniera normativa il discorso a cui tutto tende.
In tutto il testo, non si capisce l’uso della parola natura, non si capisce se se ne fa un uso di fatto (descrittivo) o di diritto (normativo). Possiamo notare che anche nel discorso di Derrida questo dualismo viene portato alle estreme conseguenze.

Il supplemento è qualcosa di sovrabbondante e anche di difettivo.

L’argomentazione di Derrida si muove in certi meandri “rizomatici” - tutta la concezione di Deleuze forse è posteriore alla Grammatologia (1967). Nel capitolo che abbiamo visto ieri c’è tutto un discorso sulla radice che ricorda tantissimo questo studio di Derrida, ma che per lui si riferisce alla testualità generale, cioè il tessuto generale ha una strutturazione rizomatica.

Cercare le radici di qualcosa, porre in termini eccessivamente fondativi la questione della radice significa sfuggire a questa logica per cui c’è solo una radice. La struttura rizomatica è una struttura di intrecci.

Se dovessimo trovare anche qui un concetto che può spiegare meglio tutta questa questione del supplemento può essere inteso nei termini di una potenzialità. Il supplemento è tutta una questione di potenzialità (termini deleuziano che Derrida non usa) - anche il concetto di potenza storicamente è andato incontro a questa ambiguità concettuale: la potenza è qualcosa di difettivo o di eccedente?
Dal punto di vista di ciò che è attuale, è segnato da una mancanza. Aristotele dice che la dynamis esiste perché dipende da una mancanza, da qualcosa che ancora non è. Da altro punto di vista, è del tutto lecito pensare che la potenza sia qualcosa di eccedente, perché non è ancora attuale; e rappresenta una sorta di potenzialità.

Una logica oppositiva, è una logica statica: questo determina una serie di ambiguità e di chiasmi concettuali difficili da seguire e perturbanti. In una logica energetica o dinamica, tutto il contrario; la potenza non è opposta con l’attualità e assume un significato che gli dà un altro aspetto (i concetti modali sono anticompatibili tra di loro).

È come dire che la tecnica, la scrittura, rappresenta una potenzialità eccedente rispetto alla natura e l’eccedenza sta nel fatto che realizza qualcosa che di per sé, pur rimanendo interno alla natura, non si sarebbe realizzato.

p. 210

Abitudine è la seconda natura, necessaria ma insufficiente.

Bisognerà che una seconda natura si sostituisca a una prima natura. Il discorso è inscritto in questa chiara ambiguità tra il carattere assolutamente completo (carattere normativo) della natura, per cui tutto ciò che le si aggiunge è qualcosa di secondario, prescindibile, e il carattere difettivo della natura (carattere di fatto).

p. 215

Derrida è un avversario del principio di identità inteso come tautologia (e non medesimezza), il pensiero dell’identità a sé dell’essere naturale. Il supplemento è l’immagine e la rappresentazione della natura. L’immagine non è né dentro né fuori la natura. Il supplemento è pericoloso per la salute naturale della ragione.

Nei confronti del supplemento si instaura una logica che pone da una parte la natura come identica a sé, dall’altra quello di considerare il supplemento come qualcosa che viene naturalmente a completare la natura.

Il supplemento supplisce alla mancanza della natura, ma il discorso della natura tende a rifagocitarlo al suo interno.
Questo è legato alla questione della tecnica. La tecnica è un fenomeno naturale o no Non è semplice rispondere. Chiurazzi pensa che Derrida, nella misura in cui pone alla base del suo pensiero la différance, faccia di tutto per sfuggire a entrambi questi discorsi, che dal punto di vista logico e metafisico sono una forma di ricondurre tutto all’uno.

La distinzione tra natura e storia. Per dire cultura, storia, parliamo in modo da distinguere dai prodotti naturali, da ciò che è veramente naturale. Questo è un discorso molto vecchio ma sempre molto attuale.
La domanda di fondo è non tanto se la differenza sia, come dire, qualcosa di essenziale; ma se sia una differenza di cui siamo veramente disposti a fare a meno, o possiamo veramente fare a meno.

L’abbiamo visto rispetto alla questione della violenza originaria: la differenza ci permette di distinguere la prima dalla seconda natura come differenza tra ciò che è etico e ciò che non è etico. Ci consente di distinguere delle scelte. Se non potessimo fare un’operazione del genere, tutta l’etica crolla.

Le nostre abitudini, i nostri modi di fare, non posso essere intesi che come storici, ossia che possono essere diversamente da come si sono prodotti, altrimenti per noi è impossibile distinguere.

La catena dei supplementi

Anche in questo paragrafo Derrida mostra come il supplemento non sia mai unico, e in Rousseau operi una sorta di trasposizione di supplemento in supplemento per cui la mamma vera è sostituita dalla mamma che allatta, la natura è sostituita da una … cosa che genera una sorta di concatenamento.

p. 226

All’interno di questo il significato trascendentale di natura sparisce. Elemento hegeliano nella filosofia di Derrida è l’originalità della mediazione, tutto è mediazione.

L’esorbitante. Questione di metodo.

Derrida sembra affrontare una questione locale (riferita al testo che sta scrivendo) ma che assume un carattere generale. La questione è locale (ci si riferisce in particolare a Rousseau) perché viene preso come termine di discussione all’interno del testo.

Testualità generale: la risposta di Derrida ha a che fare con una iperbolizzazione: la domanda del perché si confronta con Rousseau e non con qualcun altro è una questione che Derrida inscrive all’interno della testualità generale; Rousseau appartiene alla testualità generale (attraverso la struttura di rinvio per cui ogni testo non fa che rinviare ad altro) e c’è quindi questa frase divenuta famosa (p. 228) per cui non c’è fuori-testo.

p. 228

La questione ha a che fare da una parte con il singolo testo di Rousseau, l’intreccio che lui fa per spiegare la questione del supplemento tra ciò che Rousseau scrive nel testo e la vita reale di Rousseau. La narrazione della vita reale, dell’esistenza di Rousseau, non è per andare fuori dal testo, ma già appartiene al testo nella misura in cui non c’è una distinzione netta tra il testo c iò a cui il testo si riferisce. Questa è una posizione anti-fenomenologica, per cui ciò che è detto darsi in carne ed ossa (presenza alla coscienza in termini husserliani) è in realtà sempre un rinvio.

Questo è il motivo per cui Derrida quando discute un testo passa da un testo a un altro, da un testo a un altro. Questo fatto riguarda anche il rapporto del testo di Rousseau con tutti gli altri testi con cui esso può essere confrontato.

p.229

All’interno della testualità generale è possibile identificare delle testualità locali, “ritagliando il testo filosofico”.

Ogni unità relativa è un ritaglio all’interno della testualità generale, bisogna tagliare dei fili e dei rinvi perché esso assuma un’identità. L’identità non è originaria, ma è il risultato di una astrazione, che significa appunto prescindere da qualcosa.

Perché parlare proprio di Rousseau all’interno della testualità generale? Quando si assume una certa argomentazione, in questo c’è sempre un elemento di casualità, e ciò è inevitabile. Questo fatto assume un significato empirico, che in questa sua empiricità ha anche un significato filosofico. Se tutto questo è funzionale a una decostruzione del sistema della metafisica caratterizzato da questa totalità testuale, come si deve empiricamente procedere alla decostruzione del testo metafisico?

p. 232: che cos’è l’esorbitante?

La contrapposizione su Rousseau è su un terreno generale, che può essere tradotto con una formulazione filosofica (come nella Scienza della logica, da dove comincia una scienza?): da dove si deve cominciare a decostruire la metafisica della presenza? Siccome siamo sempre immersi nel testo generale, la scelta da dove si deve cominciare a decostruire, non può avere una risposta assolutamente empirica. Questa radicalità empirica - per Derrida la scrittura è fondamentalmente una prassi. Il senso di questo empirismo radicale è qualcosa che - Derrida tiene a specificarlo - non ha il significato dell’empirismo in quanto opposto al pensiero filosofico; non ha il senso di una mera opposizione ma vuole assumere un significato più radicale, un gesto che esorbita questa contrapposizione tra l’empirismo classico e la filosofia.

Questo empirismo radicale vuole essere eccedente rispetto all’orbe della metafisica della presenza. Bisogna assumere un atteggiamento di attacco.

Dove si comincia, è qualcosa che non può essere del tutto legittimato; volerlo legittimare significherebbe ri-inscriverlo all’interno di questo ordine concettuale, quando l’ambizione di questo discorso è sfuggire a questo ordine concettuale. Questo discorso rimanda al situazionismo: creare delle situazioni a partire dalle quali vengono prodotti degli sconvolgimenti.

p. 233

Bisogna cominciare da qualsiasi parte ci troviamo.

Domanda su Deleuze e Derrida: Differenza e ripetizione potrebbe essere molto in sintonia con Derrida; quello che trova di diverso sono alcune tesi che si trovano proprio nell’Anti-Edipo (la questione del liscio-striato); sembra che in Deleuze c’è il discorso che si possa tornare a una condizione di non-striatura, liscia, la condizione di godimento assoluto.

C’è una vicinanza di Deleuze a Spinoza, una condizione, quella del godimento, di non striatura, non differenziazione; in Deleuze è anche mlto più accentuata a livello politico che il godimento consista nell’eliminare la striatura (cioè la scrittura), che è la condizione della tecnica e dell’istituzione, in modo da poter ritornare, vivere, la condizione del godimento, come condizione in cui il desiderio ha un flusso senza intoppi, essendo libero di andare dove vuole perché può scorrere su una superficie liscia.

Il corpo senza organi: l’organo è uno strumento, il corpo senza organi è il corpo di puro desiderio antecedente alla divisione in organi, che svolgano uno una funzione particolare.

Per Deleuze la politica non deve darsi una strutturazione, e quello che conta è il movimentismo e la moltitudine; darsi troppa Per Derrida è come se non ci fosse mai liscio, come se il godimento non esistesse senza la striatura - questo per Derrida è come sognare una natura senza la tecnica; questo per Derrida è un puro e semplice miraggio, il godimento coincide con il principio di realtà.

Tutte le volte in cui si parla della natura perfetta in se stessa.

Dalla prospettiva derridiana, l’impressione è che Deleuze assuma l’opposizione liscio-striato a favore di ciò che è liscio come ciò che sistematicamente deve distruggere tutto ciò che è striato. Questa è una questione di non accontentarsi mai un punto positivo della realizzazione del desiderio in qualsiasi istituzione (ciò che è striato, che è sempre un fattore inibente).

Anche in Derrida c’è questa questione.

College National di Philosophie, lui lo ha diretto per 6 anni - non è un circolo accademico. Fu fondato da Derrida proprio per attivare una istituzione più libera ed estranea al mondo accademico.

Bisogna creare una istituzione in cui il desiderio può abitare (non repressiva) si dice in alcuni testi.
L’espressione in cui il desiderio può abitare non significa che questa istituzione debba cancellarsi come istituzione.

Differenza con Deleuze consiste pressoché in questo: Derrida ha sempre sostenuto che senza scrittura, senza striatura, non c’è desiderio. Il desiderio si auto-distrugge, e se sussiste come tale lo fa in virtù di una striatura e una forma di interdizione.

Se non c’è una limitazione della possibilità, non c’è possibilità. L’incanalamento del desiderio, nella misura in cui sembra interdire certe possibilità, ne apre alcune. Anche perché l’onnidinamicità del desiderio corrisponde allo stato di entropia.

È L’assunto assiomatico per cui se non faccio differenza non posso aprire una possibilità. Disattivando la possibilità incestuosa, si attiva la possibilità esogamica. Un sistema chiuso in se stesso, riflessivo, arriva all’entropia come raggiungimento di ogni possibilità, cioè della morte.

La scrittura apre delle possibilità per Derrida: in questo senso il supplemento, la cultura, assumono un significato differenziale rispetto alla natura.

La tecnica fa sempre questa operazione violenta o contro-natura (verso l’entropia). La natura tende a ripristinare le differenze, a confondersi con l’ambiente esterno (morire), mentre la tecnica fa l’opposto, instaura delle differenze. La funzione positiva della tecnica nella misura in cui è qualcosa di possibilizzante e non semplicemente inibente.

Lezione 13: lunedì 9 dicembre

Per Rousseau c’è una teleologia negativa nell’evoluzione delle lingue: ogni fase di una lingua è una degenerazione; non è un progresso. Non è neanche un regresso, ma un incremento della degenerazione. Questo perché per Rousseau è il principio stesso della rappresentanza a essere negativo; e lo è sia a livello linguistico in quanto principio negativo a livello politico.

Questo perché l’origine è rappresentata dall’espressione il senso della politica è espresso dalla volontà popolare, ma la volontà popolare è espressa dalla presenza delle persone simbole. Rousseau è un teorico delle democrazie dirette come ancora oggi è la Svizzera. Il principio di rappresentanza, ossia della delega della volontà equivale al principio per cui nel linguaggio si delega la significazione alla scrittura.

La rappresentanza politica va di pari passo con la scrittura; i due elementi seguono il medesimo principio degenerativo. La scrittura è una sorta di supplemento allo stesso modo in cui la rappresentanza politica è una forma di delega, di vicariato, di delega della propria volontà a qualcuno. La degradazione della lingua va di pari passo con la degenerazione politica.

Più ci si allontana dall’oralità, più la deriva politica aumenta. In questo senso Rousseau intende un parallelo tra i due saggi sull’origine delle lingue e sull’origine della diseguaglianza tra gli uomini.

Uno studioso (sssj) nota come Rousseau tocca un tema specifico, se la pietà sia un sentimento naturale (tesi del Discorso sull’origine della diseguaglianza) oppure non sia naturale (origine delle lingue). Il saggio sull’origine delle lingue sarebbe stato scritto prima.

La tesi più costante della produzione di Rousseau è che la pietà è un sentimento naturale. Derrida fa una discussione interessante rispetto a questa affermazione, volendo dimostrare che in realtà non c’è contraddizione tra le due affermazioni; la bontà, da sempre nel cuore dell’uomo, rimarrebbe inattiva senza l’immaginazione che la mette in gioco. Questo è ciò che Derrida vuole intendere leggendo Rousseau, cioè sostenere che non ha mai smesso di dire che la pietà sia un sentimento naturale, proprio per questo motivo.

Questa è la questione filologica quindi, questa fase non è dirimente. La sua tesi fondamentale resta che la pietà è un sentimento naturale.
Da questa questione di carattere filologico emerge una questione teorica interessante. Rousseau dice: benchè la pietà sia un sentimento naturale, non sarebbe attivata (e resterebbe inattiva) senza l’immaginazione che la mette in gioco.

Derrida indaga l’immaginazione.

p. 262

Con l’intervento dell’immaginazione Derrida mette in discussione il senso stesso del carattere naturale della pietà. L’immaginazione è una capacità di immaginare qualcosa che non è naturale; da questa discussione Derrida fa emergere il fatto che in fondo nessun sentimento può essere veramente naturale; se più originaria è la facoltà dell’immaginazione, che si attiva da sé, attivando a sua volta la pietà; allora la facoltà più originaria è veramente l’immaginazione.

Ci sono delle disposizioni - in questo stato primitivo si incontra l’equilibrio del potere e del desiderio; l’immaginazione si sveglia e sorpassa […] L’immaginazione stende per noi la misura delle cose possibili, sia in bene che in male, ed eccita ed aumenta i desideri con la speranza di soddisfarli.

Il mondo immaginario è infinito, il mondo naturale ha i suoi limiti, non potendo limitare l’immaginario, riferiamoci all’altro. C’è infatti una discrepanza tra i bisogni (del tutto naturali, es. fame sete) e i desideri, potenzialmente inappagati. I desideri vengono investiti dall’immaginazione, che ha il ruolo di estendere per noi la misura delle cose possibili; l’immaginazione rappresenta una apertura verso il possibile, aprendo un campo potenzialmente infinito per il desiderio.

La distinzione tra bisogno e desiderio è quella che gli uomini devono assottigliare il più possibile per essere felici. Questo tema si trova per molti versi anche in Nietzsche, nella II Inattuale, sull’utilità e il danno della storia per la vita; Nietzsche dice che l’animale soddisfa solo i suoi bisogni attuali, perciò è felice; l’uomo vive nella memoria e si immagina il futuro, e per questo è infelice.

Per Derrida si tratta di capire che cosa qui è umano, ossia se l’uomo possa essere del tutto naturale, cioè fatto solo di bisogni, oppure se consista nel fatto che la natura dell’uomo ha anche dei desideri - in questo caso sarebbe propria dell’uomo la différance originaria, che permetterebbe di espandere l’attuale fino al possibile.

La différance è un concetto dinamico, ossia una dynamis.

  1. L’immaginazione produce una différance
  2. Il rapporto con la natura è definito in termini di (..) negativa
  3. L’immaginazione che eccita le altre facoltà virtuali, è anch’essa una facoltà virtuale e la più attiva di tutte. Il suo potere di trasgredire la natura (potere di esorbitare, esorbitante) è anch’esso nella natura. Appartiene al fondo naturale, ossia tiene la riserva in riserva, il suo essere nella natura ha il modo di essere strano del supplemento. Designando a un tempo stesso la mancanza e l’eccedenza della natura nella natura.

Essere in (espressione heideggeriana, essere nel mondo significa essere in) per l’uomo significa il tremare di una logica classica. Questa condizione significa infatti essere dentro e fuori allo stesso tempo.

In quanto è la più attiva tra le facoltà…
Non può essere risvegliata da nessun’altra facoltà. Non crea nulla, ma non riceve nulla che le sia estraneo o anteriore; non è affetta dal reale; è pura autoaffezione (ossia medesimezza) e il nome della différance come auto-affezione.

Nella figura della storia della filosofia dell’immaginazione Derrida vede la struttura ancipite di una différance. Possiamo dire che è causa sui, si sveglia da sé, non ha una causalità esterna ed emerge proprio per quello che è, ossia come potenzialità; o c’è o non c’è.
A partire da questa possibilità Rousseau designa l’uomo, l’uomo può vivere solo per i suoi bisogni o deve avere undesiderio di eccedere.

L’immaginazione inserisce l’animale nella società umana; colui che non immagina niente è solo con se stesso e non appartiene al genere umano; la sofferenza è muta e chiusa in se stessa.

La facoltà di produrre rappresentazioni, l’immaginazione; nel momento l’immaginazione definisce l’uomo, in lui qualcosa eccede la natura, lo eccedo in questo suo essere in, una forma di trascendenza nell’immanenza (logica del supplemento, capacità di andare al di là restando all’interno).

Pensato nel suo rapporto con … il concetto di virtualità….

La virtualità ha come funzione in Rousseau in particolare e nella metafisica in generale la possibilità di determinare il divenire come sviluppo, sostituendo il compimento di una dynamis alla sostituzione di una traccia; sostituendo una saldatura a una rottura.

Il modo in cui si è configurato nella tradizione il rapporto tra la dynamis e l’energeia; la realizzazione sarebbe qualcosa di già implicito nella dynamis, c’è una teleologia intrinseca della dynamis che è appunto una realizzazione (una entelecheia).

Il putno centrale che Derrida sottolinea è che la dynamis è intesa nella tradizione come prsenza; capacità di riportare alla mente come immagine qualcosa che era reale, che era presente io ora immagino, cioè riproduco come immagine. La différance come dynamis è invece secondo Derrida la presenza in rapporto all’assenza.

In quanto dynamis, potenza, l’immaginazione ha qualcosa di costitutivamente non attuale, ha una vera capacità eccedente; tutto ciò è sottolineato bene dal concetto di traccia, come in rapporto a un passato che non è mai stata presente. Questo è un modo molto romantico di intendere l’immaginazione, che viene da Kant. C’è questo sottofondo creativo (Derrida usa la parola gioco**), per sottolineare il modo in cui agisce la storia.

Genesi e struttura del Saggio sull’origine delle lingue.

Le lingue nascono per Rousseau dalle passioni, le prime lingue sono lingue vocaliche perché sono legate alle passioni, la consonante esiste un suono non pieno, manchevole, ed è una forma di articolazione di una lingua che rappresenta una flessione rispetto al suono vocalico e pieno del linguaggio originario; Rousseau applica questo schema a qualsiasi cosa.

Approfondimento sulle parti dedicate alla musica nell’Origine delle lingue. Per Rousseau è nata prima la voce come suono vocalico, poi la musica.

La musica presuppone già una forma di articolazione. Derrida suppone che Rousseau avesse letto anche Vico, una serie di elementi lo fanno pensare; Vico sostiene che il linguaggio all’inizio fosse inizialmente metaforico.

Il pneuma è una pura vocalizzazione. Le lingue molto vocaliche come l’italiano e molto consonantiche come le lingue nordiche. Il principio dell’articolazione consonantica un principio “nordico”, il principio vocalico è un principio “caldo”.

Rousseau associa in questo modo a degli eventi naturali degli eventi di carattere storico.

  1. La lingua è un fatto naturale intrinseca alla natura dell’uomo.
  2. Successivamente il linguaggio si è evoluto secondo un principio naturale, quello dell’appartenenza geografica.

Interessante come costantemente anche per spiegare la degenerazione delle lingue Rousseau ricorra comunque alla fine a dei principi di carattere naturale.

A cosa è dovuta la degenerazione? auto-alienandosi. Se la cultura e la diversificazione del linguaggio sono fatti del tutto naturali?

Il discorso di Rousseau ha uno sfondo teologico, dice Derrida. Rousseau non ha lo schema di una caduta, non spiega il passaggio dall’Eden alla natura, perché per Rousseau Dio è la natura, è la natura stessa ad aver prodotto la sua degenerazione. Si tratta di spiegare come accade la disuguaglianza tra gli uomini e la degenerazione delle lingue.

Tutto questo è dovuto a cosa? Secondo Derrida Rousseau non è chiaro su questo tema; se tutto è attribuito alla natura lo si vede da tutta la logica del supplemento di cui abbiamo parlato.

La natura non avrebbe nessuna mancanza se fosse stata pura sin dall’inizio, dice Derrida. Richiama l’argomento del calderone di Freud; un tale prende in prestito un calderone da un suo amico, poi glielo restituisce bruciato; fa un argomentazione per dire che glielo aveva prestato già bucato,. Per giustificare un difetto si introduce un difetto nella questione iniziali.

Questa argomentazione di Rousseau della questione del supplemento è simile alla questione del paiolo bucato:

  1. la natura è integra a se stessa;
  2. tuttavia necessita di un supplemento;
  3. non avrebbe bisogno del supplemento se non avesse una mancanza - questo genera un cortocircuito logico.

In generale, non si può prendere un principio come completamente naturalecome puro, dice Derrida.

Derrida in questo è tragico: questa è la condizione originaria della natura, non c’è un’origine pura o un fine puro.

La questione della musica

La stampa e l’ambiguità del formalismo

Introdotta la critica alla stampa da parte di Rousseau; la stampa accentua ancora di più il principio di articolazione proprio della scrittura, secondo Rousseau.

Se la lingua è già una articolazione della voce, la scrittura è ancora più analitica. Il principio che porta a questa formalizzazione ultima è l’articolazione. Articolare significa introdurre delle fratture, le articolazioni nel corpo sono i punti in cui la continuità si spezza.

Il principio consonantico è un principio di articolazione. La scrittura a stampa radicalizza il principio fonetico di articolazione rispetto al suono vocalico.

Succede un fatto però: il formalismo ha delle ambiguità. Essendo un principio degenerativo che non fa che fissare ancora di più della stampa le articolazioni che intervengono nel linguaggio, è sicuramente una degenerazione; rappresenta un momento culminante che può avere anche un senso positivo.

Per capire questo dobbiamo capire come Rousseau pensa in generale all’evoluzione della scrittura: il linguaggio

  1. pura voce (vocali)
  2. articolazione
  3. scrittura - ha una storia particolare con una sua evoluzione

Fasi della scrittura

1. Pittura

Riproduce non il suono, ma direttamente la cosa significata. Rappresentando gli oggetti direttamente, è una scrittura universale. Tutti possono comprende una simile struttura, puramente pittografico.

Questo tipo di scrittura è tuttavia poco economica; per poter rappresentare tutti gli oggetti bisognerebbe riprodurli tutti.

1. Parziale fonografia

A un certo punto si riproduce nella scrittura un principio economico: quello della parola. La scrittura non rappresenta più direttamente gli oggetti, ma delle parole. Questa è una fase intermedia secondo Rousseau. Vivono insieme elemento pittografico e fonografico.

Alcuni fatti rappresentano immagini, altri rappresentano delle parole. Questo è più economico, perché posso rappresentare una serie di oggetti, esprimendomi al plurale per esempio: tavoli. La parola è un principio più economico.

Il passaggio avviene grazie a un rebus ac transfer: un’immagine perde il suo valore di immagine e su di essa viene trasferito un valore unicamente fonetico; assume come significante un suono.

Questo è ciò che è successo con i geroglifici, alcuni geroglifici hanno assunto un significato fonetico e ora è una lingua ibrida.

3. Scrittura puramente fonetica

Rappresenta dei suoni con meno simboli possibile; può essere usata per rappresentare tutte le lingue e acquista perciò un valore maggiormente universael; questa è l’ambiguità della formalizzazione; cioè che la consente è la scrittura fonetica.

Questa apre alla scrittura a stampa (è più semplice perché ci sono meno simboli, in italiano per esempio sono 21).

L’aspetto ambiguo è questo: per Rousseau c’è una forma di universalità nella scrittura pittografica, che però è diseconomica. La scrittura fonetica ha anch’essa un aspetto di universalità perché diventa completamente universale.

La questione viene sviluppata a partire da pagina 391.

p. 393: La filosofia è il nome di ciò che precipita questo movimento…

La filosofia, ha detto finora Derrida, è una difesa dalla scrittura, in quanto la scrittura è logocentrismo, laddove la filosofia si ha un privilegio della phoné a svantaggio della scrittura.
Per Rousseau all’opposto, nel momento in cui si filosofizza, il discorso si fa più astratto e filosofico; sono in questo momento interviene la scrittura.

La questione è questa: la scrittura prende il sopravvento man mano che il linguaggio si fa sempre più esatto, più preciso, attraverso l’intervento della filosofia.

Per Rousseau non c’è una incompatibilità tra scrittura e filosofia come nel Fedro platonico, ma c’è una congiunzione tra la filosofia e la scrittura. Questo vuole dire che se si realizza questa congiunzione della filosofia con la scrittura fonetica, abbiamo a che fare con una nuova forma di universalità. La scrittura fonetica+ in quest’ottica +consentirebbe l’universalizzazione.

p. 393

La filosofia non è che la scrittura come cancellazione…

Il concetto di rimozione almeno quanto quello di oblio è il prodotto di una flessione. La filosofia è una rimozione della scrittura in Hegel.

Derrida parla del concetto hegeliano di filosofia intesa come sapere assoluto. L’oblio del significante rivelerebbe la presenza del significato.

p. 

In questa parte Derrida fa notare che ciò che Rousseau vuole dire con l’universalizzazione della scrittura fonetica, è nuovamente il ripristino di una cndizione di unitarietà in cui ciò che è scomparso il significato.

Nella scrittura fonetica abbiamo il puro simbolo senza significato; si tratta di due estremi il cui senso è infine lo stesso; in entrambi i casi c’è il ripristino di una condizione di purezza; o del significato oppure il puro significante del simbolo; che in quanto vuoto di qualsiasi significato assume allo stesso modo il carattere di universalità della pura voce.

Secondo Derrida allora la scrittura che diventa puro simbolo, formalizzazioone, alienandosi il significato, acquisisce stesso carattere di purezzo della scrittura origianria, il simbolo completamente vuoto non fa che significare, rappresentare se stesso, assumendo un carattere di autoesposizione di sé** che corrisponde al carattere originariamente espressivo della voce (quando il grido è consustanziale alla passione). Allo stesso modo, nella struttura matematica, formale, l’algebra, accade la stessa cosa: si ricostituisce una sorta di purezza non contaminata.

Per Derrida è anche importante il fatto che non è mai possibile instaurare un linguaggio puramente vocalico o puramente simbolico.

p. 411

Seguendo lo stesso grafico…

Razionalità analitica portata dalla razionalizzazione dall’algebra mette in luce un significante puro, in se stesso insignificante e astratto. Il valore di una simile scrittura è ambiguo; dà una universalità naturale al livello più arcaico della scrittura, ossia la pittura, scrittura universale capace diriprodurre qualsiasi cosa sensibile.

Prossimità limitativa che la lega ad esso.

La pittura sarebbe perfettamente empirica e mutevole come i corpi che rappresenta; l’universalità ideale della scrittura fonetica dipende dalla distanza infinita rispetto al suono (scrittura completamente vuota, puro significanti).

Tra questi due poli, l’universalità è perduta; tutto ciò che c’è in mezzo non è puro. La fonografia pura è un’idea della ragione.

Idee della presenza pura:

  1. presenza della cosa rappresentata alla sua cosa perfetta
  2. presenza a sé della parola stessa. Il significante tende a cancellarsi di fronte alla presenza del significato.

Nel discorso ci sono una serie di questioni che intrecciate con quelle viste finora creano una dissonanza. La scrittura è la degradazione o il punto culminante della scrittura fonetica?

In questo modo Derrida vede questa evoluzione: da un lato più legato all’impostazione platonica del Fedro, la scrittura è una perversione della voce,

La filosofia è una perversione o una realizzazione della Scrittura? I due elementi secondo Derrida si equivalgono: o il principio dell’aderenza del significante al significato (phoné o principio fonografico della scrittura). Questo è espresso anche dalla vocalità, esprime completamente il significato del significante.

Anche una divaricazione infinita del significante e il significato raggiunge lo stesso risultato, cioè annulla.
Il principio simbolico, la formalizzazione totale, tende alla stessa cancellazione della differenza.

Entrambi per Derrida sono idee della presenza pura.

Idea centrale: puramente differenziale, e contaminato, è per Derrida tutto quello che c’è in mezzo.

Nulla è di per sé puro e la presenza pone la sostanzialità.

p. 398

Introduce la questione che si collega a due questioni:

  1. estetica trascendentale, relazione dello spazio e del tempo, forme a priori della sensibilità

La questione dell’immaginazione viene affrontata in questo testo e poi in Spettri di Marx.

Lezione 13: martedì 10 dicembre - la voce e il fenomeno

Derrida della fenomenologia critica la presenza nel contesto della intuizione. L’edificio fenomenologico non ha semplicemente un intento descrittivo di ciò che si pone davanti alla coscienza nel modo in cui sembra darsi nella fenomenologia francese - un tipo di fenomenologia che assume la fenomenologia così come si dà alla coscienza ossia meramente descrittiva.

L’intento di Husserl è anche descrittivo ma ha soprattutto un intento fondativo, fondativo della conoscenza (ripresa del progetto kantiano: fondare la conoscenza così come aveva fatto Kant, su delle basi diverse. La diversità principale rispetto a Kant sta nella parola stessa f-e-n-o-m-e-n-o-l-o-g-i-a, Kant pone una differenza fondamentale tra fenomeno e noumeno - c’è una distinzione radicale tra la dimensione esperienziale (fenomenica - cioè che si manifesta dal greco phainomenon, cioè che si mostra).

Differenza fondamentale in Kant tra le cose che posso conoscere (fenomeno) e quelle che non posso conoscere (noumeno). Per Kant è molto importante questa distinzione, è quella che impedisce che si possa assumere come conoscenza metafisica a quella che è soltanto una conoscenza della fisica - come si era configurata a partire da Galileo in poi, fondata sulla base del metodo sperimentale - abbandonare il metodo sperimentale significa allontanarsi dall’esperienza, e quindi è impossibile conoscere l’essenza profonda delle cose, ossia una conoscenza dell’esperienza.
Il fenomeno è nella dimensione dell’esperienza, da un lato, il noumeno poi di principio lo posso anche pensare.

Husserl vuole fondare la conoscenza in generale; il primo gesto che fa è eliminare la distinzione tra fenomeno e cosa in sé; fenomenologia significa scienza dei fenomeni, ma fenomeno è ciò che si dà alla coscienza in maniera immediata e viene assunto così come esso si dà.
Non c’è nessun motivo per Husserl di pensare che ciò che si dà alla coscienza non sia l’in sè delle cose.

Questo è molto importante perché diversamente da Kant Husserl fa una distinzione: c’è differenza tra la conoscenza scientifica e la filosofia. La conoscenza scientifica riguarda il mondo naturale ed è la conoscenza dell’esperienza, ma dell’esperienza intesa come avente a proprio oggetto dei dati di fatto, più propriamente il mondo fisico così come esiste davanti a noi, mentre la conoscenza filosofica non è una conoscenza di dati di fatto, ma una conoscenza di essenze, delle cose così come sono anche se non si danno in quanto esistenti.

Se Kant faceva una distinzione tra cosa in sé e fenomeno, e diceva che l’essenza delle cose non la posso conoscere, ma posso conoscere solo il loro manifestarsi nella mia esperienza - ossia in quanto esistono nella mia esperienza. Io posso anche pensare in forma noumenica che cos’è Dio, ma da dire che lo conosco ce ne passa, perché Dio dovrebbe esistere, darsi concretamente nell’esperienza.

È importante che io abbia a fare con oggetti concreti che si danno con una realtà. L’esistenza reale è importante. L’esistenza è la condizione di possibilità di ogni conoscenza.

Per Kant è importante che la cosa che io conosco esista; e l’esistenza resta sempre sconosciuta nel caso del noumeno.
Per Husserl tutto il contrario; questo è ciò che fa la scienza naturale, mentre la filosofia fa tutto il contrario mette tra parentesi la conoscenza delle scienze - esattamente quello che accade quando io considero qualcosa nella mia esperienza, nella misura in cui presto attenzione al puro darsi del fenomeno nell’esperienza. Se per esempio in questo momento vedo una scrivania di colore verde, c’è un oggetto materiale della mia esperienza che è una scrivania e che è verde; l’oggetto potrebbe anche non esistere, ma è un dato della mia coscienza; il verde che vedo è verde in sé, verde è basta.

Conosco la scrivania, conosco che potrebbe essere verde. Conosco delle essenze e le conosco così come mi si danno, a prescindere che la scrivania esista o non esista.

La fenomenologia presta attenzione al puro phainomenon, in cui si danno le eidee, ossia le essenze. Conosco l’essenza-colore, l’essere verde, è questo è l’oggetto puro della mia conoscenza fenomenologica. Non è importante considerare se esista la scrivania.

Se per la scienza naturalistica è importante l’esistenza, cioè che importa alla fenomenologia è mettere tra parentesi le esistenze, per concentrarsi sulla datità dell’esperienza, cioè che si mostra. Husserl fa questo perché considerare che la scienza abbia a che fare con dati di fatto significa condannare la scienza allo storicismo (guarda a datità storiche e non eide). Lo storico guarda alle esistenze e non alle essenze. Es. Lo storico guarda alla sconfitta di Napoleone a Waterloo, si interessa all’esistenza. Il fenomenologo invece guarda all’essenza per esempio del colore rosso, guardandolo nella mia esperienza per quello che è.

Husserl era fondamentalmente un matematico; Kant invece si riferiva alla fisica, e quindi si riferiva per forza alle esistenze reali; Husserl invece è un matematico che ha come modello di conoscenza delle idealità onnitemporali.

Il fatto che una figura geometrica è data matematicamente, allora per Husserl esiste; Kant non potrebbe dire una cosa del genere.
È assurdo. Nell’analogia matematica-filosofica non si può fare un’operazione di questo genere. Posso dire che se a = b = qualcosa non posso dire che quell’elemento esiste se non si dà veramente nell’esperienza.
L’esistenza, per Kant, non si costruisce. Un assioma del criticismo. La conoscenza deve essere data nell’esperienza.

VIM - text editor

Il gesto della messa tra parentesi dell’esistenza; la fenomenologia apre un campo in cui il fenomeno coincide con l’essenza, attraverso la messa tra parentesi delle esistenze. Il termine greco per questa messa tra parentesi è epoché, che Husserl usa in vario modo dicendo che nell’esperienza della coscienza non si deve dare peso a nessuna trascendenza, assumendo la coscienza nella sua pura immanenza.

L’epoché è una messa tra parentesi del mondo, (Weltlos, senza mondo).

Heidegger al contrario mette tra parentesi le essenze e considera esattamente l’esistenza. L’uomo innanzitutto esiste, vive nel mondo, quindi inizia a vedere il mondo come esso è. Husserl gli dice che sta facendo pura antropologia, perché Heidegger fa rientrare il mondo all’interno.

La questione del segno in Husserl è fondamentale; anche per Heidegger il segno è una specie dello strumento, qualcosa con cui abbiamo a che fare costantemente, mentre per Husserl il segno così come si svilupperà è qualcosa che opera esattamente questo movimento di trascendenza verso qualcos’altro. In questo modo si segna un progetto mondano. Se si fa l’epoché del mondo, questo comporta innanzitutto l’epoché del segno.

La conoscenza fenomenologica.

Il segno è un rimando a qualcos’altro, qualcosa che rimanderebbe al darsi di un oggetto nella sua trascendenza:

Bisogna quindi mettere tra parentesi il segno, differenziando tra espressione e segno. La possibilità stessa dell’epoché per Derrida si fonda su questa questione: possiamo veramente fare la distinzione husserliana tra ausbruch e segno? E una forma di significazione, quella dell’espressione, che non ha questa funzione di trascendenza, di rinvio ad altro. Tutta la possibilità dell’epoché si regge su questa questione.

A cosa mira la fenomenologia? Al campo puro dell’esperienza della coscienza, quello in cui la coscienza è strettamente correlata ai propri oggetti, a ciò che le si dà in maniera del tutto immanente; la trascendenza implicherebbe il riferimento a un’esistenza esterna.

La possibilità di distinguere una scienza dei fatti empirici aventi a che fare con oggettualità esistenti, da una scienza che non ha a che fare con questi fatti empirici, è importante, perché in questo consiste la differenza tra la psicologia e la fenomenologia.

Questa è una distinzione molto sottile. Equivale a dire: cosa distingue l’io psicologico dall’io trascendentale? Per Husserl la psicologia si occupa di fatti fisici. Lo psicologo ragione nei termini: cosa succede nel cervello quando vedo un tavolo verde, cioè studio il fatto da un punto di vista strettamente fattuale ed empirico, come cosa succede alle persone quando vedono qualcosa nel loro cervello? UNos tudio fisiologico, empirico, mentre la fenomenologia è una scienza di forme, non di fatti empirici.

In questo la fenomenologia si avvicina alla matematica, studia il modo in cui questi fenomeni che si danno alla coscienza si manifestano nella coscienza.

Distinzione fondamentale per Husserl; senza questa distinzione ogni scienza diventa soltanto empirica, e se una scienza diventa soltanto empirica non è possibile allora una scienza rigorosa. In questo Husserl è un platonico (1916, La fenomenologia come scienza rigorosa) - in che senso può essere una scienza rigorosa, contro:

La distinzione assolutamente radicale per Husserl è ideale e reale, due domini del tutto distinti che nn si può in alcun modo pensare di derivare l’idealità dalla realtà (prospettiva empirista) - ex pulice acquam non si può derivare l’acqua dalla pietra Si farebbe una Metabasis algo genos cercando di derivare l’ideale dal reale.

La fenomenologia apre un campo di immanenza totale della coscienza, il quale si struttura secondo la formula ego, cogitum, cogitatum. Husserl riprende il progetto cartesiano della coscienza come fondamento della scienza, perché soltanto nella coscienza si danno della evidenze dirette, che sono un cogitatum, che coincide con il fenomeno.

In questo testo non si distinguono il noumeno (cogitatum) e ciò che si dà alla coscienza. La struttura ego, cogito, cogitatum costituisce il concetto di intenzionalità, termine che prende da Brentano, e asua volta corrispondente e derivante dall’intensio medievale.

Husserl intende per intenzionalità l’opposizione fondamentale tra ego (coscienza) e cogitatum (o noema). La cogitatio che collega l’ego al cogitatum è detta noesis. Interessante la ripresa del termine platonico, che indica il momento in cui si conosco direttamente le idee. Una forma di conoscenza diretta, senza intermediazione, delle idee e perciò intuitiva. Così anche in Aristotele.

La noesis rappresenta il grado più alto perché coglie il proprio oggetto in una visione diretta (cioè che si intende con intuizione, Anschaaung).

Il senso proprio dell’intuizione è l’immanenza e di conoscenza diretta del loro oggetto; tutto un altro uso rispetto a Kant. In Kant intuizione significa in un certo senso proprio il contrario: Kant dice esplicitamente che con l’intuizione non si conosce fondamentalmente nulla se non delle relazioni, infatti spazio e tempo sono relazioni.

Kant con intuizione quindi non intende la conoscenza di oggetti ma di relazioni, come le forme a priori di spazio e tempo. Tant’è che Hegel quando parla dell’intuizione in Kant dice che ha trovato una così grande confusione nella tradizione filosofica che non bisognerebbe seguirlo. Kant usa lo stesso concetto di intuizione dell’empirismo.

La noesis lega l’ego trascendentale con il proprio oggetto, cioè il proprio cogitatum. Una correlazione tra queste due cose.

La voce e il fenomeno

Non leggiamo l’Introduzione, la vedremo alla fine sennò non capiamo un caffo.

“Questo corso mi gasa troppo…”
Tommaso

Sono 7 capitoli, iniziamo dall’ *  * ESERGO * *.

p.29

Un nome pronunciato davanti a noi ci fa pensare a una galleria di Dresda…

SIM − SALABIM

Il segno produce un rinvio all’infinito. L’abbiamo letto nella Grammatologia, quando Derrida indicava Peirce in senso positivo come l’alternativo alla strutturalismo.

Il testo è dedicato al problema del segno.

Se l’intuizione è il darsi in presenza di qualcosa, ciò in cui non è più indispensabile il segno. Solo nell’intuizione noi possiamo veramente fare l’epoché del segno; finché abbiamo a che fare con segni non possiamo fare l’epoché e l’istituzione segnica non può cioè rappresentare altro che un rinvio all’infinito, come ci raccontava Peirce prima.

1. Il segno e i segni

Allora, vediamo innanzitutto il capitolo I: il segno e i segni.

Nel I paragrafo Derrida parla del VI paragrafo della Ricerca Logica denunciandone un problema.

Occhio, da ora iniziano termini tedeschi.

Il fatto è capire che i due tipi di segni si distinguono in questo, l’espressione contiene in se stessa la propria Bedeutung, mentre l’indice non contiene in se stesso la propria Bedeutung, è cioè Bedeutunglos, cioè senza Bedeutung.

In tedesco si può dire che esiste un Anzeige Bedeutunglos, cioè senza significato. Questo significa che nel caso della Ausbruck il significato è immanente alla Ausbruck se stessa - in questo caso il significato è del tutto immanente; nell’altro caso il significato non è immanente, ma è oggetto di rinvio, ciò a cui il segno, l’indice, rinvia.

Questa è una distinzione importante: se è davvero possibile effettuare una distinzione tra una significazione immanente (o espressione) e una significazione non immanente, ossia indicativa.

Se è possibile fare questa distinzione, può proseguire il progetto fenomenologico, altrimenti il progetto fenomenologico cade.

  1. Altro fatto che Derrida sottolinea è che l’espressione è sempre un segno linguistico, che ha a che fare con la Rede, il discorso.
    L’indice invece può essere anche non linguistico: può essere la parola casa, che indica una casa. Ma può essere anche qualcosa di non linguistico; un segno di vario tipo, un nodo di fazzoletto o robe del genere.
    Husserl vuole istituire una grammatica pura logica: il fatto che l’espressione abbia un carattere linguistico, ossia logico, è alla base del fatto che Husserl poi operi una restrizione del progetto che lui perseguiva di una grammatica pura alla logica, e cioè alla discorsività. Dimensione di pura immanenza di significati in un certo tipo di discorsività che è quello della logica.

  2. Altro fatto che Derrida nota è che Husserl usa in modo interscambiabile Sinn e Bedeutung. Nell’espressione, il significato è immanente all’espressione stessa.


La traduzione di Bedeutung è voler dire.

p.49 in fondo

Husserl vuole dire che fin dove si estende l’intenzionalità della coscienza, lì possiamo parlare di espressione in senso fenomenologico, cioè l’intenzione della coscienza nella sua attualità.

Bedeutung viene usato secondo l’antica nozione, quella espressiva che riguarda la forma linguistica.

Derrida dice che Husserl usa i due concetti i maniera sinonimica, ma ci potrebbe essere una ulteriore differenza linguistica.

Husserl pone che la Bedeutung logia è una espressione

C’è una equivalenza, dice Derrida, tra l’espressione e la dimensione logica. Il senso è usato come sinonimo di Bedeutung, ma sembra poterlo estendere anche nel campo al di là del logico. Ciò avviene però dice Derrida in maniera accidentale.

Altro aspetto da vedere qui è come si configura la relazione tra espressione e indice; abbiamo detto che sono entrambi segni.

C’è tutta una questione se il segno può essere considerato come genere sovra-ordinato, e l’espressione e l’indice come due specie di questo genere sovraordinato.
Husserl dice di sì ma la distinzione tra espressione e indice non è una distinzione sostanziale e bensì funzionale; si possono dare casi in cui ciò che appare come indice può essere assunto come espressione; e ciò che è espressione essere aggiunto come indice.

Espressione e indice, dice Husserl, sono assolutamente separati. Dice allora Derrida: questo genere superiore del segno, viene messo lì “in maniera soltanto nominalistica”, e cioè non è espressione allo stesso titolo in cui lo è l’indice? Husserl ha usato questo termine, Seiten, in maniera soltanto nominalistica? Quello che esiste sono soltanto le espressioni e l’indice.

Che cos’è allora propriamente il segno?, si chiede Derrida. Husserl a un certo punto sembra dire che la relazione tra indice ed espressione è una relazione di intreccio.

p.50

riga più o meno 12

Espressione e segno possono essere separati nel discorso? No. Espressione e indicazione sono legate. Cosa fare per sciogliere questo discorso? Risposta: non attuare un discorso comunicativo.

Esiste una forma di espressione non comunicativa? Cosa vuol dire una espressione non comunicativa? Se vogliamo isolare l’espressione dall’indice, dobbiamo isolare l’espressione dalla comunicazione.

Il discorso puramente espressivo non comunica nulla; dato che l’espressione avviene nel rapporto interpersonale, scoprima che l’espressione è una sorta di soliloquio, un discorso che la coscienza fa a se stessa - il famoso soliloquio dell’anima con se stessa di cui Platone parla nel Teeteto.

Il fatto che si possa isolare una espressione che non comunichi niente, dà l’indicazione che comunica qualcos’altro: la distinzione tra una idealità dell’espressione e fattualità dell’indice.

Visto che quando parliamo ci rivolgiamo sempre a un’altra persona, questa è una convenzione che l’epoché deve mettere tra parentesi - di nuovo incontriamo questa preminenza del reale.

Esiste una espressione non comunicativa? Esiste una forma di discorso - l’espressione è comunque un fatto di discorso - che non è rivolto a qualcun altro?

Tornando alla questione del segno in generale.
Dice Derrida: Husserl non pone mai la domanda su che cos’è un segno in generale, usando cioè la parola Seiten in senso nominalistico.

p.54

Ma a un certo punto c’è una definizione che Husserl dà di segno, che cosa è dunque un segno in generale?

Ogni segno è segno di qualche cosa (fur etwas)…

Ogni segno non ha una Bedeutung, un senso, espresso con un segno.

La riduzione dell’indice

Riduzione è sinonimo di epoché; riduzione dell’indice significa messa tra parentesi - bisogna salvaguardare la purezza di questa distinzione.

Espressione ed indice sono separati, il progetto di Husserl è quello di distinguerli nettamente.

Husserl, dice Derrida, dedica 3 paragrafi all’indice e 11 all’espressione.

Fa anzitutto questa distinzione:

Qui sorge la domanda importante per il discorso che dicevamo prima nella grammatica pura logica:

Su che cosa si basa il nesso di significazione in generale?

Questa è una sorta di motivazione, che ci permette di collegare un indice a ciò che indica. Una motivazione è un motivo per cui è possibile fare il collegamento tra il canale e la persona che l’ha prodotto, il gesso e ciò di cui il gesso è il marchio.

Si collega una cosa attuale (l’indice) con una cosa inattuale, cioè ciò a cui l’indice si riferisce.

Bisogna capire che tipo di relazione ci può essere tra i due elementi:

Innanzitutto, dice qui Husserl, è molto importante che per designare i due elementi che vengono messi in relazione, Husserl usa delle parole, che possono essere delle cose qualsiasi, oggetti in generale (Gegenstand in generale). La relazione tra ciò che è attuale (indice) e ciò che è inattuale, è la relazione tra due oggetti che sono in sé consistenti, ma non è detto che esistono. Per esempio la parola chimera indica un oggetto consistente, che non è detto che esista. Questa è una considerazione di tipo fenomenologico.

Es. Il segno fantasma può designare un significato che noi assumiamo come oggetto, e a noi non interessa se esiste o meno, ma ci interessa la sua essenza, cioè il fatto che sia qualcosa di consistente.

Gegenstand, cioè qualsiasi. Affinché sia un segno può cioè anche non esistere.

Lezione 14: mercoledì 11 dicembre

Per Husserl la possibilità della distinzione tra ideale e reale è fondamentale, se non si può fare questa distinzione crolla la possibilità di fondare una scienza rigorosa, su essenze a-temporali o onni-temporali.

Vari tipi di segni, naturali e artificiali. In che senso questa distinzione?
Di che natura è il nesso tra il segno e il significato?

Nesso o di […] o di presunzione (Vernudung), cioè lega qualcosa che si dà attualmente a qualcosa che non si dà attualmente; vedo il marchio di qualcosa e dico che questo marchio è il marchio di qualcosa, non lo vedo attualmente. Altra cosa che Husserl sottolinea: in questo collegamento ciò che importa è che cosa viene collegato- non è importante che siano entità realmente esistenti, ci interessa il contenuto e la materia con cui abbiamo a che fare.

p. 60

In nome di questa comunanza…

Nel caso di indice questa posizione è una pura opinione, ossia una relazione fondata sulla convinzione o una presunzione che ci sia un nessuno tra questo e quello. Questa relazione è in un certo senso arbitraria, non è mai una relazione del tutto necessaria. È stabilita come nell’anzeigen come un motivo.

Se c’è questa cosa, c’è anche quest’altra. Il problema di cui qui si tratta è quello dell’implicazione - cosa mi permette di dire che dato questo c’è anche quest’altro? Cosa permette di dire che l’impronta è stata prodotta dall’animale? Si tratta in quest’ultimo caso di un rinvio indicativo, caratterizzato da una inattualità per cui il nesso è presunto e non fondato su una intuizione attuale.

Quello a cui Husserl vuole arrivare è la distinzione tra espressione e indicazione come distinzione tra due modi diversi dell’implicazione (parola che Husserl non usa).

Es-primere significa portare fuori. Cosa si deve portare fuori? Una cosa implicita, implicata. La distinzione che è in gioco è la possibilità di una implicazione fondata su un nesso necessario.

Es. monade leibniziana: contiene in se implicitamente tutte le proprie determinazioni, in questo senso la monade è una sorta di essenza che sviluppa la propria entelecheia, sviluppa in maniera necessaria tutte le sue determinazioni.

Intesa come esplicazione di un implicito, nella espressione c’è un motivo immanente: ciò che viene fuori è già incluso in ciò che sta dentro. Nell’implicazione, il nesso è presunto; può essere un fondamento puramente estrinseco.

Al fondo di questa distinzione c’è un problema fondamentale per Husserl: quello di una costruzione di una logica. È l’espressione in un’altra terminologia del problema della causalità di Hume (cioè il problema dell’induzione, risolto da Kant nella Critica della Ragion Pura facendone una forma a priori).

L’indicazione ha una struttura mondana, è un fatto che si determina attraverso il mondo. Il nesso è del tutto cioè contingente e arbitrario. Ma la logica può procedere secondo un legame di questo tipo? No, la logica deve rispondere a nessi necessari, per cui l’espressione di B deve essere presente necessariamente in A.

Espressione e immanenza di significato: questione che va a toccare i fondamenti della logica (Prolegomeni alla fenomenologia pura - questione della fondazione della logica).

p. 61

La motivazione generale così definita

_____Segno (zeichen) ___ | | | | espressione indicazione | | | | Bedeutung Bedeutunglos: senza significato

La logica è cioè fondata su una dimostrazione deduttiva, evidente, apodittica.

Si rivela una legalità (serie di connessioni) ideale, che si estende al di là dei giudizi contaminati da generazioni hic et nunc.

Anche se A indica B con una certezza empirica totale, non ci sarà mai una certezza; l’espressione indica una relazione analitica (verità di ragione). L’espressione ha il proprio significato in se stessa perché lo mostra in maniera evidente; altra cosa rispetto ad una inferenza che faccio in maniera indiretta e segnica (ossia con una indicazione).

Verità analitica (vere in funzione del loro puro significato es. il triangolo ha tre anni) e verità di fatto.

Per Kant, i giudizi a posteriori sono puramente esplicativi, cioè esprimono qualcosa che è già implicito nel soggetto, ossia sono tautologici; i giudizi a posteriori invece aggiungono qualcosa alla nostra conoscenza.

Anche se l’indicazione sembra intervenire da…

La relazione nei giudizi “pragmatici” sarà sempre una relazione estrinseca, a posteriori, il predicato non è necessariamente incluso nel soggetto.

La questione

Due tipi di mostrazione:

  1. con un dito: indicazione. Si collega qualcosa di visto con qualcosa di non visto
  2. dimostrazione immediata ed evidente. Non c’è il non-visto.

L’indice cade fuori dal contenuto dell’oggettività ideale in quanto esprime una relazione contingente.

Possiamo pensare:

  1. che il linguaggio è tutto indicativo
  2. che non tutto il linguaggio è indicativo

Derrida osserva come secondo Husserl c’è sempre una parte del linguaggio che non è indicativa, o quantomeno che ci sia un tipo di linguisticità, discorso che non sia indicativo. Dove si trova questo discorso che non è indicativo? Deve essere un discorso non comunicativo - quello indicativo è sempre intriso di negatività - e poi andare a cercare la parte non linguistica che non contiene nessuna indicazione.

In che senso un simbolo aderisce totalmente al proprio significato? Qual è la lingua della verità? La logica formale, un tipo di linguaggio che aderisce totalmente al proprio significato? E in che modo aderisce, come si devono intendere alcune formule logiche come i quantificatori?

Come si concatenano i nessi logici?

La dimensione dell’anzeigen, del segno, è inevitabile. Un mondo totalmente aderente tra significante e significato è possibile? Se questa distanza permane, questo è il passaggio per Heidegger dall’intuizione alla comprensione, cioè lo comprendo. L’intuizione mi dà qualcosa in presenza, la comprensione mette in relazione qualcosa di presente con qualcosa di non presente.

Noi usiamo la parola espressione come un segno di qualcos’altro (per esempio l’espressione del volto è segno di un sentimento). Ma se è il segno di un sentimento, allora sto facendo un’inferenza, sono rimandato a un significato.
In Husserl invece la parola ha un significato molto specifico, cioè quello leibniziano, che esprime una verità di ragione che è una verità analitica.

Vedo che c’è un nesso necessario e non posso non dire così.

Capitolo terzo: il voler dire come soliloquio

Tra i segni indicativi (Seiten) troviamo le espressioni.

Le espressioni hanno significati, e ci sono espressioni volenti dire.

Innanzitutto l’espressione è una esteriorizzazione, cioè imprime in un certo fuori un senso che si trova in un certo dentro; è una forma di esplicazione che esteriorizza un implicito. Questa esteriorizzazione ha un significato puramente fenomenologico, ossia resta nell’immanenza della coscienza come esplicazione puramente ideale. Rimaniamo nell’ambito della idealità.

Husserl dice che l’espressione è simile a uno specchio, perché riflette ogni intenzionalità, cioè rispecchia il suo contenuto. Scapolo è un uomo non sposato, abbiamo esplicato ciò che è uno scapolo è in modo analitico.

È cioè uno strato improduttivo, uscita verso il senso noematico del cogitatum. Giudizio improduttivo perché non aggiunge nulla.

Altra caratteristica: l’espressione è un esteriorizzazione intenzionale. Qui Derrida dà la sua spiegazione di Bedeutung come volontà precisa, l’espressione cioè non è inconscia, ma è consapevole. L’idealità dell’espressione ha un suo radicamento nella vita spirituale (ideale) della coscienza (ossia l’essere presente in se stessa).

Ogni filosofia dell’intenzionalità è sempre anche una filosofia volontaristica della realtà. Se un discorso vuol dire è perché è animato da una volontà, la quale rappresenta la dimensione della spiritualità.

Nella scrittura c’è la mortalità del significato, deve essere rianimata perché ci sia il significato.

Intenzionalità: la coscienza è sempre coscienza di, tesa verso il proprio oggetto. Presenzialità della coscienza all’oggetto. La coscienza è presente come volontà.

L’intenzionalità così intesa esclude qualsiasi opacità dalla coscienza - la volontà è un fatto altamente cosciente.

p. 65

Bisogna escludere tutte le forme di significazione indiretta come la gestualità, la fisiognomica, la segnalazione mondana: tutto ciò che cade nella esteriorità mondana; qui si tratta del campo fenomenico della coscienza. L’espressione non riguarda questi aspetti nella misura in cui queste forme di comunicazione sono qualcosa anche di involontario. Tutto questo non riguarda il significato specifico della parola espressione. Qualcuno può interpretare le mie espressioni, dice Husserl (fisiognomica, gesti): ma questa interpretazione è sempre un fatto indiretto, che assume le espressioni del mio volto come indici della realtà: perciò si parlerebbe di espressione in questo caso.

La comprensione è sempre un fatto indiretto.

Husserl è accusato di solipsismo, la relazione interpersonale è solamente indiretta e puramente analogica. Nelle Meditazioni Cartesiane Husserl pone il problema della soggettività in questi termini.
Quando io interpreto in qualche modo i gesti o i segni sul volto dell’altro non posso dire che questo corrisponde veramente al vissuto dell’altro, che mi è sempre estraneo.

In questo caso allora non si ha una vera e propria intuizione dei significati, che vengono così soltanto interpretati.

Il secondo carattere è questo (p.76): la discorsività.

p. 68 (B)

Non è sufficiente riconoscere un discorso orale come mezzo dell’espressività…

Bisogna eliminare qualsiasi intento comunicativo: questo afferma Husserl, soprattutto se si è guidati da fini logici. A Husserl interessa lo strato di totale immanenza che è quello della pura logica, che non ha a che fare con la comunicazione.

p.74

Come avviene questa riduzione alla non-comunicazione?

Differenza tra una atto effettivo e l’atto solamente posto.
Mentre il luogo della coincidenza è la nozione di presenza, il nodo. La presenza del vissuto altrui è negata alla nostra intuizione originaria.

La questione riporta alla presenza della coscienza a se stessa, che è il fondamento della significazione puramente espressiva. Se c’è rapporto all’altro, c’è invece una forma di discrepanza.

In che cosa consiste la presenza a sé? Nel monologo dell’anima con se stessa, cioè il voler dire come soliloquio. Non si può interpretare l’indice se non assumendo la categoria della sua esistenza mondana.

Mentre nella comunicazione reale i segni indicano altri segni probabili, nel monologo dei segni mostrano dei significati reali, cioè non esistenti.

Tutto finisce per reggersi sulla relazione del tutto tautologica tra l’ego e se stesso; persino i segni che l’io usa con se stesso non sono puramente reali.
La realtà della coscienza, la sua immanenza, non si serve di nulla di reale.

La nozione di immaginazione qui. Per Rousseau abbiamo visto nella grammatologia che è la nozione che mette in collegamento il reale e il possibile. In Husserl gioca un altro ruolo: non è qualcosa di concreto, ma mette in relazione e rappresenta una modalità che è quella del non-concreto.

Il soliloquio dell’anima con se stessa, significa che tutto è in un certo senso puramente immaginato, cioè non ho bisogno di usare segni puramente concreti. Idealità dei contenuti della coscienza (idealità dei segni), per Husserl. In questo senso va inteso il riferimento all’immaginazione, cioè come il riferimento come a qualcosa che sta nella coscienza, ma “non si trova” lì.

Capitolo terzo: il voler dire come soliloquio

Nelle Idee viene espresso il principio guida di esprimere tutto esattamente come si dà nella coscienza.

Come fondare le verità anche deduttive-matematiche su una intuizione? Dov’è l’evidenza degli assiomi? Husserl in questo è platonico-aristotelico, sostiene che gli assiomi si intuiscono e basta, intuisco che da una retta all’altra passa una sola parallela. Le intuizioni come quella del colore rosso sono fondate sulla natura materiale degli oggetti.

Le Ricerche logiche sono una svolta idealistica o platonizzante, sono in un certo senso in sintonia con la logica di Frege.

La logica non ha niente a che fare con gli atti psichici, secondo Frege. Esiste il mondo della logica anche se non esistesse nessuno che lo conosce.

Husserl resta un kantiano, l’istanza trascendentale è fortissima. La logica formale e il trascendentale - ma anche le Idee sono considerate l’iniziano della svolta idealistica (le Ricerche hanno una visione più platonizzante).

Il vero problema di Husserl è che la sua non-adesione al logicismo è dovuto al fatto che per lui questa istanza trascendentale permane sempre. La logica formale non prevede nessun riferimento all’io penso, a Kant.

L’intuizione di principi come quello di identità e non contraddizione, probabilmente è un’altra cosa.

Lezione 15: lunedì 16 dicembre

Che relazione c’è tra questi due capitoli? Il capitolo III cerca di dimostrare che è possibile una riduzione tale del mondo (per Husserl) fino a liberare l’ambito della coscienza, che è una sfera del discorso, in cui lo strato espressivo coincide totalmente con il contenuto, non è perciò intaccato da nessuna funzione comunicativa.

Tuttavia, in questa dimensione, tutto quello che accade, dice Husserl, è privo di qualsiasi indice di esistenza: abbiamo a che fare con puri fenomeni (esperienze vissute, nel senso cioè di Erlebniss). Non ci interessa se l’oggetto della coscienza in un dato momento è esistente oppure no.

Immaginazione: la funzione di deprivare quello che si dà alla coscienza di ogni indice di esistenza (epoché), cioè l’esperienza è data in una dimensione di immaginazione senza tenere conto se questa cosa esiste o no. Il discorso dell’anima con se stessa è totalmente immaginario, non è una comunicazione.

Nel discorso interiore io non comunico nulla a me stesso: quello che dico coincide con l’atto stesso, con quello che sta accadendo. L’atto stesso in cui mi si presenta.

Il voler dire e la rappresentazione

Che relazione c’è tra il contenuto intenzionale della conoscenza e la rappresentazione? Il problema è se la rappresentazione non finisca per introdurre una forma di scissione.

Derrida insinua un cuneo in Husserl: Husserl vuole dire che l’espressione coincide con l’atto, ma nel momento in cui parla di rappresentazione Derrida si inserisce e sostiene che la rappresentazione non può che introdurre una duplicità e dunque uno scarto.

Il discorso interiore non comunica nulla, posso fingere di comunicare perché non ne ho bisogno di comunicare a me stesso, perché non c’è nessuna finalità, nessuna referenzialità, non ne ho bisogno. L’esistenza degli atti psichici non deve essere indicata, perché è quella cosa stessa che sto vivendo in quel momento.

p.84

Quando qualcuno dice a se stesso: tu hai agito male, non si comunica nulla a se stessi, ma si rappresenta soltanto se stessi come parlanti e comunicanti.

Nel monologo le parole non hanno un valore referenziale, non sono indici di esistenza, perché un valore referenziale non avrebbe nessuna finalità.

Gli atti vissuti sono vissuti nello stesso istante.
Il capitolo successivo si chiamerà Nello stesso battere d’occhio - Im selben augenblick.

Il fatto che io rappresento a me è condizione sufficiente per l’identità della coscienza, garantendo la possibilità dell’espressione.
Per quanto questo linguaggio è finto e non comunica, il fatto che sia un linguaggio non fa che introdurre una struttura iterativa che compromette l’identità dell’espressione a se stessa.

Husserl nega che tutto questo abbia lo statuto del linguaggio mondano, referenziale; Derrida fa l’operazione opposta perché dice che questa operazione non può essere condotta all’infinito. L’anima dovrebbe ridursi a un puro mutismo.

Immaginiamo per la coscienza cosa significherebbe ridursi al puro darsi della sua esperienza.

Nel momento in cui compaiono immagini e prime forme di scrittura, sento un dolore.

Derrida vuole dire che se si riporta la coscienza al puro dato esperienziale, possiamo parlare ancora di conoscenza? Se consideriamo l’intento fondativo di Husserl, posso considerare l’immaginazione come qualcosa che si dà in maniera eventuale e puntuale.

Quello che sto esprimendo in questo momento, posso chiamarlo davvero conoscenza?

p.85

Husserl stesso dice: il linguaggio non può fare a meno della rappresentazione.

In un linguaggio finzionale non comunico niente, ma c’è già in questa finzione una ripetizione.

Il soliloquio finisce col ridurre l’esperienza ad un fatto puntuale (Augenblich), o forse la conoscenza di per sé deve essere confutata. Esiste una conoscenza che non debba essere comunicata, cioè che intrinsecamente non debba entrare nell’ambito della comunicazione?

Un’esperienza del genere, totalmente individuale, può essere comunicata? Entra in campo una forma di esternalizzazione che è quello della possibilità della dimensione segnica.
In quello stesso momento, dice Husserl, l’espressione viene compromessa nella sua identità. Non ci sono altro che segni.

La questione corrisponde alla domanda fondamentale della fenomenologia: qual è il fondamento della conoscenza?

Husserl vuole riportare un diffuso, distinto tra espressione e comunicazione; questo vissuto deve garantire una totale pienezza e coincidenza tra ciò che si vive e ciò che si esprime.

Questo crea il problema della comunicazione della scienza. La scienza per essere tale deve essere condivisa e comunicata.
Il problema è lo stesso dell’Origine della geometria, che ritroviamo nelle Ricerche Logiche del 1901 e nella Appendice C alla Critica delle scienze europee.

Derrida si era già impegnato su ciò nell’introduzione all’origine della geometria. Il problema del capitolo Il voler dire e la rappresentazione è quello della trasmissione del sapere. Anche avendo ricondotto la conoscenza a una dimensione totalmente intuitiva - se questa dimensione intuitiva è un fatto puntuale, si pone il problema di come questo aspetto intuitivo si trasmette poi nella storia.

Il problema di Husserl è quello dello svuotamento dei plena, delle essenze eidetiche oggetto di una intuizione diretta. Le essenze eidetiche si allontanano dalla loro origine e diventano delle cose che vengono trasmesse per tradizioni, allontanate dal loro vero senso. Galileo occulta con il metodo questo allontanamento.

Un metodo etimologicamente significa seguire un odos, una via che viene aperta, che è la via della scrittura.
Metodo nel perseguire questa strada.
Il conflitto è tra la prosecuzione metodica, che diventa un semplice tecnicismo, e le intuizioni originarie e eidetiche alla base delle scienze regionali.

Tutto questo problema è il problema della mathesis, cioè insegnamento. Manthano significa imparare ma anche insegnare, la mathesis riguarda in generale il modo in cui un certo ambito oggettuale (regione eidetica) viene trasmesso e insegnato.

La degenerazione della geometria si vede da come viene insegnata nei libri di scuola - si sono perse le intuizioni alla base della geometria; queste intuizioni non sono oggetto di insegnamento; si impara solo il metodo, ormai acquisito.

Come nello Spirito Oggettivo, abbiamo a che fare con produzioni che si sono già date nella cultura, e le impariamo nei libri.

Mathema è il modo di intuire una certa regione, es. il mathema della biologia è la vita, l’idea essenziale che si apre al biologo, nonché l’oggetto del suo studio.

Husserl in Idee III afferma che la fenomenologia nasce come una mathesis universalis - non intendendo con ciò che la fenomenologia è oggetto di calcolo, alla Leibniz; ma vuole invece mettere in luce come noi apprendiamo le essenze eidetiche, che poi diventano scienza e vengono trasmesse.

La mathesis universalis comprende vari ambiti. Nelle Lezioni di Heidegger (1895), Heidegger parla del concetto greco di mathesis; i greci avevano vari ambiti tra cui tà poioumena, oggetti artificiali, tà cremata, oggetti propri della prassi; tutti gli ambiti rientrano nella tà mathesika, oggetto universale perché come modo di apprendere gli ambiti universali. In questo senso la mathesis è un ambito trascendentale.

È l’ambito del matematico nel senso che è oggetto di un’apprensione, e viene insegnato. Originariamente per i greci questo era il significato di mathesis, e effettivamente la fenomenologia è mathesis universalis.

Non lo è nel senso che una scienza deduttiva - la fenomenologia è una scienza descrittiva che vuole descrivere la pura esperienza della coscienza. La scienza ha dei modi di apprendere gli oggetti e il modo in cui ci sono dati, e di trasmettere questa esperienza.

Perché Derrida si pone questo problema? È lo stesso problema che Husserl si era posto nell’origine della geometria: come può una scienza essere comunicata?

Sempre nell’origine Husserl ammette che la scienza deve in qualche modo sganciarsi dalla geometria del proto-geometra.
Per Husserl l’eidos è contenuto.

L’intuizione fondamentale deve essere trasmessa ad altri, staccandosi dal carattere puntuale dell’Augenblich, per entrare nel mondo, nella storia, nella comunicazione, venendo comunicata agli altri.

La domanda è se la sfera della comunicazione sia una sfera opzionale o una sfera costitutiva dell’oggettività degli oggetti ideali.

Nell’Origine della geometria la questione diventa problematica: per potersi trasmettere, questi eide si devono incarnare, ossia incorporati in un linguaggio e ancor di più si devono incorporare in una scrittura - altrimenti non è possibile la trasmissione.

Husserl ammette che questa è una possibilità ma anche un rischio per il sapere - un po’ come il pharmakon del Fedro, una trasformazione del modo originario in cui queste essenze si sono date.
Un conto è incontrare l’oggetto matematico direttamente, altro è apprenderlo attraverso i libri, in maniera simbolica e indiretta.

Il problema è il mito della caverna: quando ci si trova fuori dalla caverna prima si vedono gli oggetti reali riflessi nell’immagine; poi li si vede realmente.

L’obiettivo della conoscenza matematica dianoetica, è la conoscenza dell’idea, diretta e propriamente noetica.
Husserl postula cioè una continuità tra conoscenza dianoetica (matematica) e quella strettamente noetica. Deve essere sempre possibile riattivare l’essenza originaria, per riattivare il senso originario.

Secondo Husserl, una volta che le conoscenze si incarnano, espongono la conoscenza al rischio di deviazioni. Problema della scrittura è il fatto che il significato si possa trasmettere identico di generazione in generazione.

In questa catena (la trasmissione della scienza) ogni scienziato dovrebbe essere un anello della catena che assicuri la totale trasparenza della trasmissione.

Ogni trasmissione del sapere è come una traduzione trasparente.

L’espressione è la traduzione del significato in maniera totalmente trasparente nel suo significante.

Il significato secondo Husserl deve potersi trasmettere in maniera univoca, in modo da assumere l’univocità delle espressioni linguistiche (per assicurare la sinonimia tra le parole, cioè il fatto che esprimano lo stesso significato; distinzione fatta da Aristotele all’inizio delle Categorie.

Nella trasmissione storica un contenuto di significato si trasmette in maniera identica da scienziato a scienziato? Problema interessante.
Dire che la trasmissione deve garantire una trasmissione univoca non significa assumere un’idea di trasmissione storica che prende a modello la geometria.

Espressione: c’è una premessa e tutti gli anelli che ne conseguono sono legati da una relazione di identità. Lì troviamo il modello della trasmissione storica. Dovrebbe avere come modello la geometria? Se è una scienza descrittiva non può assicurare questa forma di deduzione logica.

Il modello della trasmissione storica diventa la geometria - non ci possono essere interferenze, cioè interpretazioni (deviazioni).

Dire che la mathesis generale e la geometria è solo un caso locale, significa che il modello della traduzione storica dovrebbe essere quello della scienza deduttiva, con gli scienziati sono come gli anelli di una catena e totalmente trasparenti. Il modello di trasmissione del significato dalle premesse alle conseguenze finisce per essere un modello analitico. Per questo abbiamo parlato dell’espressione come concetto analitico.

Dunque, da una parte, la scrittura è necessaria perché sia comunicata; dall’altra parte, la scrittura crea delle opacità rispetto alle intuizioni originarie; e queste opacità non sono altro che il risultato di una forma di tecnicismosia comunicata; dall’altra parte, la scrittura crea delle opacità rispetto alle intuizioni originarie; e queste opacità non sono altro che il risultato di una forma di tecnicismo.

Nell’Origine della geometria c’è un passo interessante in cui Husserl dice che la trasmissione deve assicurare la continuità delle intuizioni originarie, che però hanno un limite intrinseco: lo scienziato non è sempre e in tutti gli aspetti della sua vita collegato a delle essenze eidetiche, perdono cioè in certe condizioni il senso di continuità.

La scrittura rende evidenti i vuoti che si producono. La trasmissione puramente simbolica rischia di produrre uno svuotamento dei contenuti, i quali diventano simboli logici di cui si è perso il senso originario.

Husserl dice sempre che si deve tornare allo stato eidetico - oppure se è un fatto costitutivo delle essenze eidetiche, il fatto che vengano “sganciate” dalla coscienza e vengano per ciò esposte alla perdita di senso. Questa è la tesi di Derrida; il fatto che questa perdita sia costitutiva.
La mathesis va incontro a un abbandono dell o strato originario.

La fenomenologia, dice Husserl, non è una scienza deduttiva ma descrittiva: descrivere significa far intervenire un elemento grafico nell’intuizione.

Per Heidegger, anche l’origine dell’oper ad’arte ha a che fare con la mathesis, come apprendo un’opera d’arte.
Heidegger si rivolge a un ambito non strettamente conoscitivo, o meglio considerato come un ambito lontano tre gradi dalla verità, come dice Platone nella Repubblica. Nel fabbricare il letto, l’artigiano nel fabbricare il letto è più vicino alla verità; il pittore del letto invece opera su una copia di copia. L’arte è la messa in opera della verità.

Cosa c’è di diverso da Husserl? anche qui c’è da difendere un certo contenuto esperienziale, una mathesis. Non è il rimando rappresentativo delle scarpe di Van Gogh (che rappresentano la contadina) a valere.

Poi parla del tempio greco: Il tempio non rappresenta nulla. Il tempio greco si erge su una valle. E così facendo espone un mondo, diventa il luogo dove la gente si raccoglie e il punto di riferimento per una cultura. È come un Ris, cioè un taglio, un tratto, nel senso che appunto introduce una scrittura (Derrida traduce Ris con scrittura).

Nel mondo ciò che prima era solo terra, assume un senso. Se per Husserl il senso è legato ad una intuizione eidetica come contenuto, in Heidegger è molto più chiaro il fatto che ciò che si apre con l’opera d’arte è una forma.
Il tempo greco configura il mondo, fissa una Gestalt, diventa un punto di configurazione di senso, di orientamenti.

In questo senso apre e configura il mondo. Umris è il contorno, Aufris delinea qualcosa: Heidegger usa tutti questi termini per dire che l’arte configura un nuovo mondo. È un eidos non solo materiale, ma formale.
Non è solo individuare solo un’essenza, un che cos’è, ma l’eidos come individuazione di un mondo.
Questa è una differenza fondamentale tra Husserl e Heidegger, e corrisponde alla differenza tra fenomenologia e ermeneutica. L’arte come messa in opera della verità è fin dall’inizio un’opera di scrittura, nella misura in cui apre dei tracciati che configurano un oggetto e una Gestalt.

Si arriva a una verità più originaria e addirittura più formale. Per Heidegger, se non ci fosse l’opera d’arte non ci sarebbe la verità. È il luogo in cui la verità si rende possibile, perché mostra la capacità dell’uomo di introdurre forme nella realtà. L’uomo è così in grado di formalizzare la realtà. L’arte dunque per Heidegger è modello della mathesis universalis.

Derrida poi si addentra in questioni che riguardano la rappresentazione, che già di per sé è una ripetizione. Per quanto si tratti di un soli-loquio, nella misura in cui è un discorso non fa altro che introdurre la struttura iterativa di ogni segno e questo fa sì che “non esistano altro che segni”, non esiste alcuno strato intuitivo puro.

La struttura indicativa compromette fin dall’inizio il progetto husserliano del radicamento del senso in uno strato puramente intuitivo.

p.88: idealità

Il concetto di idealità…

La struttura del discorso non può essere descritta secondo Husserl che come idealità. La parola deve rimanere la stessa - espressione totalmente trasparente.

Idealità in certi casi dell’oggetto stesso, che assicura la trasparenza ideale e l’univocità perfetta del linguaggio formale e matematico.

Idealità e ripetizione sono correlative: Husserl dice: è perché resta identico che può essere ripetuto. Per Derrida, all’inverso, è perché è ripetuto, che lo rende identico.

Per Derrida è la ripetizione che è condizione dell’idealità e non viceversa. L’errore di Husserl secondo Derrida è porre la presenza assoluta, ossia l’identico, come condizione.

Si dà forse questa presenza assoluta? Il passaggio successivo riguarda la possibilità della presenza assoluta intesa come identità a se stessa.

Nella Differance abbiamo letto che non esiste un essere atomico, indiviso.

L’istante (Augenblich) come punto su cui appoggia tutto questo edificio.

Finora il discorso riguardava le condizioni di possibilità dell’anima con se stessa; se c’è un discorso, c’è un linguaggio, se c’è un linguaggio c’è un segno, se c’è un segno…; adesso Derrida porta la questione al livello ontologico della dimensione temporale della conoscenza.

Nell’Augenblich si realizzerebbe l’intuizione originaria come non-senso e come non-significazione.

Ogni volta che Husserl vuole ricordare l’intuizione, parlerà della presenza di un segno - il segno è inutile è quello che ha detto finora; cioè l’indicazione e non la significazione è inutile - nella significazione c’è veramente la bedeuteng immanente. Questo è il principio dei principi della fenomenologia, che Husserl enuncia nelle Idee I.

Lezioni sulla coscienza interna del tempo - nella traduzione italiana traduce anthym, la coscienza intima - non sa perché hanno tradotto così, ma in italiano diciamo coscienza interna.

Dice Derrida: il problema della temporalità della coscienza non è argomento della Ricerche Logiche (pubb. 1900-1901, edite da Heidegger, e questo è un dato molto importante, negli anni ’20 Heidegger veniva scrivendo Essere e Tempo - prima faceva altre lezioni, anche pubblicate, e poi le lezioni di Husserl sulla coscienza del tempo interno. Husserl spiegherà poi molto bene la direttiva che Heidegger ha preso rispetto alla fenomenologia, proprio perché attraverso queste lezioni Heidegger ha dato molta importanza alla dimensione temporale della coscienza. )

Perché sono importanti queste lezioni sulla coscienza interna del tempo? Esaminano il problema della temporalità della coscienza; non è solo coscienza del tempo, il punto fondamentale delle lezioni è la temporalità propria della coscienza.

Non è che la coscienza resta una entità pura isolata dal tempo, ma la coscienza è nel tempo, questo in Heidegger nel modo tradizionale di concepire l’uomo come sostanza, l’umano è qualcosa che dice che permane ed è identico, il tempo è qualcosa solo di addizionale e non lo tocca; la rivoluzione che Heidegger fa - non usa più la parola coscienza, usa la parola esistenza, e lo fa in maniera cosciente (lol); questo lo fa solo per segnare lo scarto rispetto a Husserl e alla fenomenologia.

Che Husserl sia arrivato a questa formulazione della temporalità della coscienza, per Heidegger è importante; Heidegger radicalizza questa idea ontologica, con l’idea che l’esserci è essenzialmente temporale) - das Sein, esistenza.

Heidegger e Husserl hanno litigato molto su questo punto. In particolare, nella redazione della voce Fenomenologia per la Enciclopedia Britannica sono emersi i loro dissidi personali: Husserl insisteva sulla dimensione più coscienzalistica della fenomenologia; Heidegger invece non insisteva in questo senso.

Per Husserl coscienza significa essere consapevole. In Husserl coscienza in italiano si dice in due modi, non come in italiano;

Gewussstein - Coscienza gnoseologocia Gewiss - In senso morale (quando si parla della morte della coscienza ecc. (Heidegger)).

Gewusstein non viene mai usata in Essere e Tempo, questo è indicativo.

Husserl esamina la dimensione temporale della coscienza, e arriva a un risultato che Derrida sfrutta proprio per mettere in discussione la concezione per cui la temporalità della coscienza possa anche solo ammettere l’esistenza di una puntualità tale che possa essere isolata a se stessa e perciò identica a se stessa.

Per Heidegger le lezioni sulla coscienza interna avevano fornito una notevole innovazione alla coscienza della coscienza fin dalla concezione del tempo nella Fisica di Aristotele, concepito come una serie di ora (nun), una catena di ora.

Già Bergson aveva distinto tra tempo come durata e tempo come serialità, il tempo come una collana di perle che si susseguono uno dietro l’altro e percoò sono identici. Per la prima volta Husserl mette in discussione questo concetto di tempo. Leggiamo

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Il concetto di puntualità adesso come stygme..*

Non solo Husserl riconosce che non si può avere un’esperienza puntuale, isolata…
L’idea di presenza originaria e di cominciamento assoluto, cioè principio, rimanda sempre nella fenomenologia in questo punto-sorgente.

Husserl ammette che nella temporalità non si danno punti isolati, eppure - dice Derrida - fa sempre coincidere il punto originario di ogni intuizione fenomenologica con la complicità di questo punto-sorgente, dato in se stesso. Dice Derrida: la questione è più complicata, quando Husserl introduce la coscienza introduce i concetti di:

  1. ritenzione
  2. propensione

Paragona la coscienza alla coda di una cometa, l’apprensione è una **cometa di ritenzioni.

Ritensione significa, un ricordo, con Bergson diremo una durata, per ricordare che l’adesso non è mai atomico ma si costituisce in un continuum comunque legato ad un istante precedente e anche ad un istante futuro (aspetto pro-tenzionale, cioè anticipazione).

L’adesso è qualcosa in cui si è costituita la filosofia come sapere, che si dia in ultimo un fondamento; il mostrarsi di qualcosa così com’è (principio di principi). Come dice Derrida, la fenomenologia si è costituita tutta così. Quello che dice Husserl è veramente vero, si applica ad esempio per Platone? Si può discutere.

Sicuramente si può ammettere che la fondamentale modalità del sapere della filosofia occidentale, di Platone, di Cartesio, è una posizione molto francese, e i francesi degli anni ‘70 hanno questo lume tutelare molto potente, Cartesio.
La coscienza in Hegel invece è una coscienza differenziale, non sempre uguale a se stesso, persino per Leibniz possiamo dire questa cosa, la dimensione dell’*appercezione** si differenzia dalla percezione.

Ci sono degli elementi per intendere la problematica anche in modo differente, ma teniamo presente che quando Derrida parla in maniera forte della costituzione del sapere come costituito da un fondamento identico, questo è qualcosa che ha a che fare molto con il progetto fondazionalistico cartesiano.

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Aspetto ritentivo della non-presenza riguarda anche l’inconscio, la non-presenzialità a sé della coscienza. Il predominio dell’adesso.

Anzitutto il riferimento a Freud, all’inconscio, è interessante, perché Freud ha elaborato una concezione della coscienza come ritardo, la coscienza non è caratterizzata da una presenzialità a sé, ma arriva sempre in ritardo, nel senso che la coscienza si costituisce sempre après cous, per tradurre la parola tedesca che è nachtraeghlich.

La struttura dell’Augenblich è il fatto che la presenza è estremamente rpresente ai suoi stessi atti, quando la coscienza è presente è consapevole di ciò che sta accadendo. In Husserl, in Freud, c’è l’idea che nella coscienza c’è sempre un ritardo.

Essere consapevole di un ritardo rispetto a qualcosa introdurrebbe un elemento scritturale, un ritardo.
Non è un momento di indicazione segnica. Derrida individua in questa frase di Husserl il tema del nachtraeghlich, per dire che Freud ha scardinato la dimensione di immanenza tra la coscienza e ciò che accade, cosa che Husserl esclude totalmente; Per Husserl è assurdo parlare di un contenuto incoscio, che arriverebbe solo dopo; la coscienza è necessariamente essere cosciente, in ognuna delle sue fasi, cioè accompagna puntualmente ogni atto.

La coscienza della precedente, anche il dato originario è già presente nell’adesso, e senza essere oggettivo.
La ritenzione di un contenuto inconscio è impossibile, diventa assurdo interrogarsi su un contenuto ulteriore.

Non si dà un contenuto inconscio in nessun modo. Magari rimane qualcosa, qualcosa che rimane come la cometa, ma l’inversione di questa operazione è per Husserl impossibile. Questo equivale a dire che per Husserl se si dà questa perfetta coincidenza allora vale il suo discorso; può esistere l’espressione e l’indicazione è un dato successivo.
La coscienza arriva sempre per Freud apres coup, nachtraeghlich, **quindi è caratterizzata da un espacements, separazione strutturale, la coscienza è distanziata da ciò ci cui è cosciente.

Nel resto del capitolo, la forma originaria della presenza è quella della presenza a te; dall’altra parte, nelle lezioni sulla coscienza interna del tempo, mette in evidenza che la coscienza è caratterizzata da un continuum e da una scia, non è mai isolabile ma è sempre collegato.

Dire che un punto non è mai isolabile significa che il tempo è divisibile all’infinito - il contrario di una dimensione di discontinuità della coscienza, la coscienza per Husserl non è un insieme di ora, ora, ora (stygme) insieme di punti isolabili; divisione all’infinito significa che il rapporto - ossia la divisione è la sua operazione originaria, non dobbiamo intendere che ho dei frammenti sempre più piccoli (come anche in Leibniz), con un granellino di sabbia.

Quando Wolff illustrava il concetto di infinitesimo di Leibniz diceva che è come un granellino di sabbia che il vento porta via dalla cima della montagna, e in questo modo questo infinitesimo si può trascure e non influisce sulla misurazione della montagna.
In matematica si dice che è una grandezza non archimedea, una grandezza tale che se A è più piccola di B, c’è una grandezza tale che se la moltiplico per un numero più grande per A c’è una grandezza C. Per la grandezza archimedea non esiste nessun numero per cui se io divido un numero per questa grandezza piccola piccola. Gli infinitesimi sono questa idea per Wolff.

(++ SCUSA LETTORE, NON HO CAPITO SEMPLICEMENTE NULLA DI QUESTA COSA - la cercherò giuro:))) ++)

Per usare la metafora di Husserl della scia, non posso mai scalare l’ultimo scalino con la realtà, ma c’è sempre una dimensione costitutiva con qualcos’altro; c’è sempre un rapporto. Husserl oscilla continuamente tra le due opzioni, il discorso è che Husserl deve tenere fermo al centro della fenomenologia il concetto della punta dell’istante, ma quando si sposta nel tempo si scontra con la temporalità del tempo, che dovrebbe costringerlo secondo Derrida a mettere in discussione tutti questi presupposti.

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Dal momento che si ammette questa continuità dell’adesso e del non-adesso (continuità l’uno con l’altro).

Il continuo è una identità x, una trasformazione sempre possibile. Natura non facit saltus, il bambino che diventa adulto non è un fotogramma del cinema (la collana di perle teorizzata da Bergson); è un continuo, c’è n’è sempre un altro, c’è una trasformazione continua.
Non c’è un salto, ma in maniera continua io mi alzo; il continuo non è la permanenza sostanziale. Tienilo presenza.

Se ammettiamo questo continuo - nell’Augenblick c’è la scia della cometa.

C’è una durata (Bergson) del battere d’occhio, e questa chiude l’occhio (forma di intermittenza).

La questione fondamentale passa attraverso la differenza tra ricordo primario e ricordo secondario, Husserl vorrebbe che ci fosse una differenza radicale, perché il ricordo secondario dipenderebbe dal ricordo primario; ma Derrida cerca di dimostrare che anche il ricordo primario è secondario, perchè è Nachtraglichkeit (wow).

Non c’è stygmé, esso distrugge radicalmente ogni possibilità di identità a sé nella semplicità, questo vale nel flusso presente a se stesso.

Husserl ammette che il flusso della coscienza è una continuità di ritenzioni e protensioni, ma è difficile esprimere qualsiasi fase di questo processo con una identità. In questo punto Husserl ammette che panta rei.

Per Derrida, se è impossibile evitare la dimensione segnica è perché la coscienza è temporale, questo è la tesi che Derrida fa valere contro la fenomenologia che fonda nell’Augenblick.

Per parlare di una vita solitaria dell’anima, una vita fuori dal vissuto, dovrebbe essere una vita fuori dal tempo. Dovrebbe essere un momento pensato a partire dal presente. Il concetto di solitudine pura e di monade nel senso fenomenologico non è intaccato nella sua propria origine; il tempo ripassato a partire dalla différance nella sua pura affezione è qualcosa di dovuto al tempo.

Dimensione **originariamente sintetica della dimensione della coscienza

La coscienza è identità idem o è l’identità del Selbst, ossia inteso in senso temporale, identità come continuo (quest’ultima dice: io sono me stesso in tutta la mia vita, in modo continuo).

In Derrida c’è un’altra questione contenuta in Margini in cui parla di tutta una serie di modi con cui Husserl concepisce il senso e il significato, nel testo si esprime una dimensione puntuale della coscienza, ma in altri luoghi Husserl parla del senso come accumulazione geologica, perché il Selbst è proprio una forma di identitità sintetica, come nella metafora della cometa.

L’analogia è il concetto di proporzione, una proporzione a più termini. L’analogia è una proporzione a più termini.

Dice Aristotele, ci sono tre modi di concepire i rapporti tra enti:

  1. discontinuo, quando i due enti hanno limiti esterni.
  2. contiguo, quando i loro limiti si toccano.